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DONNE “CEREBRALMENTE MORTE” COME MADRI SURROGATE? MA IL VERO ABOMINIO E’ IL CRITERIO DI “MORTE CEREBRALE”!

By Roberto Fantini May 02, 2023 657

 

 

 Ha prodotto non poche perplessità la proposta avanzata dalla ricercatrice dell’università di Oslo Anna Smajdor di utilizzare l’intero corpo di donne in stato di “morte cerebrale” come madri surrogate. Nel suo articolo apparso sulla rivista Theoretical Medicine and Bioethics, intitolato Whole Body Gestational Donation (Donazione gestazionale di tutto il corpo), la Smajdor, con abile retorica, ci domanda:

“Sappiamo che le donne “cerebralmente morte” possono portare a termine la gravidanza; perché non dovremmo iniziare gravidanze per aiutare le coppie senza figli?”

La premessa del ragionamento è dolorosamente vera: sono infatti noti i casi di madri dichiarate “cerebralmente morte” ed espiantate dei loro organi soltanto dopo aver portato a termine la loro gravidanza.

Ebbene, prima ancora di discutere criticamente la conclusione (indubbiamente raccapricciante ma non illogica) dell’argomentazione, credo che sarebbe opportuno riflettere con la massima serietà su detta premessa, ponendoci quegli interrogativi, semplici e spontanei, che il sistema filotrapiantistico imperante tende con sofistica capziosità ad impedire:

  • Quanto possiamo essere sicuri che una persona considerata “cerebralmente morta” sia veramente morta?
  • Come è possibile che un organismo, dichiarato oramai privo dell’attività del proprio centro funzionale unificatore (il cervello), riesca a portare a felice compimento un processo tanto complesso come quello della gravidanza?
  • Come può, in definitiva, una madre “morta” costruire (dentro di sé!) e partorire una nuova vita?

Nulla di meglio per affrontare senza pregiudizi di sorta una questione tanto delicata che rileggerci con la massima attenzione quanto dichiarato da coloro che, nel lontano 1968, coniarono la definizione di “morte cerebrale”, oggi adottata dalla Medicina ufficiale in modo universalmente acritico.

Fino a quella data, la tradizione medico-giuridica occidentale prevedeva l’accertamento della morte mediante riscontro oggettivo di tutte le funzioni vitali: respirazione, circolazione, attività del sistema nervoso. Nel 1968, un Comitato costituito ad hoc dalla Harvard Medical School propose un nuovo criterio di accertamento della morte in presenza della condizione di “coma irreversibile” ritenuto equivalente alla cessazione di tutte le funzioni cerebrali.

Questo quanto pubblicamente dichiarato dal Comitato:

“Il nostro obiettivo principale è definire come nuovo

criterio di morte il coma irreversibile. La necessità

di una tale definizione è legata a due ragioni.

 1)Il miglioramento delle tecniche di rianimazione e di

mantenimento in vita ha condotto a sforzi crescenti

per salvare malati in condizioni disperate. A volte

tali sforzi non ottengono che un successo parziale, e il

risultato è un individuo il cui cuore continua a battere,

ma il cui cervello è irrimediabilmente leso. Il peso

è grande per quei pazienti che soffrono di una perdita

permanente dell’intelletto, per le loro famiglie,

per gli ospedali e per quelli che avrebbero bisogno di

letti ospedalieri occupati da questi pazienti in coma.

2) Criteri di morte obsoleti possono originare controversie

nel reperimento di organi per i trapianti.”

Come non accorgersi della totale assenza di elementi conoscitivi ed argomentativi di natura scientifica?

Come non notare il carattere palesemente quanto cinicamente  utilitaristico delle motivazioni addotte a sostegno del nuovo criterio di “morte”?

Ovvero: liberare posti letto e creare uno scudo legale  per i medici espiantatori, in modo da metterli al riparo dalla possibile (e più che  legittima) accusa di omicidio ai danni di pazienti in stato di coma? Pazienti probabilmente moribondi, ma indiscutibilmente ancora vivi (e quindi da tutelare e non certo da macellare)?!?

Insomma, è necessario comprendere che il vero nodo problematico è rappresentato dalla accettazione teorica e dalla applicazione pratica del criterio della cosiddetta “morte cerebrale”. Finché non si avrà il coraggio di ribellarsi ad esse, il rischio che persone in condizioni di salute critiche siano, invece che curate, trattate come meri serbatoi a cui attingere per il prelievo di organi, tessuti, sangue, ecc., oppure utilizzate come cavie per ogni sorta di sperimentazioni, resterà inevitabilmente altissimo:

non essendo, infatti, più considerabile come “persona” in senso etico e giuridico, il “morto cerebrale” diviene una “cosa”. Di conseguenza, finirà ineluttabilmente per perdere ogni possibile diritto e non sarà più possibile, a sua difesa, appellarsi al principio della sacralità e dell’inviolabilità della dignità umana!

 

 

 

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Last modified on Tuesday, 02 May 2023 13:58