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La fibromialgia - La sindrome fantasma raccontata da chi in prima persona ne conosce il dolore.

By Marzia Carocci November 07, 2022 1920

 Il dolore è ancor più dolore se tace (Giovanni Pascoli)

 

 

La fibromialgia è una malattia cronica caratterizzata da dolore diffuso, rigidità muscolare, disturbi del sonno, della memoria, stanchezza cronica, e conseguente riduzione del tono dell'umore. Può compromettere seriamente lo svolgimento delle comuni attività quotidiane, oltre ad avere un impatto negativo sulla maggior parte degli aspetti legati alla qualità della vita. Vi è un continuo, costante, a tratti intenso malessere fisico, causato da tutta questa serie di disturbi e relative difficoltà giunte a minare la vita del paziente. Tutto ciò, arriva nel tempo a creare un umore deflesso, soprattutto perché fibromialgia e relative difficoltà ribaltate nel quotidiano, sono spesso sottovalutate o incomprese sia a livello medico, che familiare, che lavorativo.

Questa malattia colpisce circa 2 milioni di italiani ed il suo esordio si manifesta generalmente tra i 25 e i 55 anni, con una particolarità: le donne hanno molta più probabilità di sviluppare la fibromialgia rispetto agli uomini.

Non essendone note le cause, a tutt’oggi non esistono cure specifiche per la fibromialgia. Sono tuttavia disponibili diversi farmaci, studiati ed usati per la cura di patologie appartenenti ad altre branche specialistiche, e che per alcune caratteristiche compatibili, sono usati per cercare di controllare ed alleviare i disturbi (sintomi) della fibromialgia.

 

Di questa patologia vorremmo saperne di più, e vorremmo conoscere anche a che punto siamo arrivati con la medicina.

Chiederemo a Rosaria Mastronardo, di Firenze, facilitatrice del Gruppo Auto Aiuto  "Fibromialgia: affrontiamola Insieme", socia di "Cittadinanza Attiva Toscana" e socia del Coordinamento Toscano dei Gruppi di Auto Aiuto, malata lei stessa da anni di questa patologia.

 

 

D-Buongiorno Rosaria, prima di porti nello specifico domande inerenti al tuo impegno per rendere sempre più nota ai più questa patologia, vorrei sapere quando ti sei resa conto del tuo personale problema e soprattutto delle difficoltà che hai incontrato per farti riconoscere "fibromialgica"

 

R-Purtroppo, lo ricordo benissimo, era il 2015.

Iniziai a non sentirmi bene: ero particolarmente stanca e pensavo fosse influenza, oppure fosse solo stanchezza causata dalla mia frenetica routine. Mi facevano male le gambe e facevo fatica a camminare: dolori ovunque. All’inizio, proprio perché convinta si trattasse di un virus influenzale, cominciai ad assumere paracetamolo. Andai avanti per qualche tempo, ma senza risultato, anzi, i dolori aumentarono a tal punto che mi accorsi di non avere più sensibilità dal bacino in giù.

 

Purtroppo, ricordo molto bene quel periodo, perché fu l’anno della tesi di mio figlio. Strano vero? Arrivò il giorno della laurea, il livello di euforia era alto, ero stanca ma con la felicità alle stelle, perché vedevo finalmente realizzarsi un sogno, quello che è uno dei più bei traguardi nella vita del proprio figlio, soddisfazione infinita per tutta la famiglia. Era il 1° dicembre del 2015: non posso dimenticare quello che è avvenuto dopo, perché ancora oggi soffro terribilmente, non solo per la fibromialgia ma per tutte le altre patologie che in questi anni sono emerse. Subito dopo i festeggiamenti, non avevo nessuna intenzione di rovinare la festa a mio figlio e a tutti gli invitati, convinsi mio marito a portarmi al pronto soccorso. Quel giorno non si può dimenticare, avevo paura, tanta paura. Mi sottoposero a numerosi esami, ma fortunatamente tutti i risultati erano buoni; gli stessi medici che mi visitarono non sapevano dare una collocazione a quei sintomi. Alla fine, il medico di turno mi disse che mi avrebbe fatto visitare da un neurologo. Fece lui stesso le pratiche per affidarmi a questo specialista. Fui fortunata: mi affidarono al primario di neurologia di quella struttura. Intanto la mia paura aumentò, insieme ai miei dolori: quella sensazione di non avere sensibilità, quelle scosse che avvertivo quando mi toccavo le gambe erano sempre lì: sentivo le gambe pesantissime come se fossero di cemento. Passarono 9 mesi tra esami di tutti i tipi, risonanze al cervello, radiografie, ecografie, esami ematici, di tutto e di più. Nel frattempo, cominciai a perdere i capelli a manciate. Stress, confermato anche dal dermatologo a cui mi rivolsi. Furono mesi lunghissimi, durante i quali mi imbottirono di farmaci per alleviare i dolori, i quali si attenuavano ma non più di tanto, quel poco da permettermi di non stare ferma immobile nel letto. Farmaci che mi portarono anche ad un notevole aumento di peso, che non aiutava; mi si continuava a dire che non sapevano cosa darmi e che, soprattutto, non sapevano cosa io avessi. Alla fine, quando tutti gli esami furono finiti e non vi era nulla che giustificasse quella condizione, il neurologo pronunciò la diagnosi: fibromialgia.

 

Relativamente alla domanda sulle difficoltà che si incontrano per farsi riconoscere "fibromialgica", ti dirò che, ancora oggi, così come nel 2015, come tutti coloro che convivono con questa malattia, ho difficoltà, abbiamo tante difficoltà. Ci sono diversi motivi. Il primo motivo è caratterizzato dal sintomo principale della malattia: il dolore. Il dolore è qualcosa che nessuno vede, nessuno può toccare, il dolore lo sente e lo vive chi lo porta con sé, chi lo subisce in tutta la sua intensità, cupa e sorda; tieni presente che il dolore della fibromialgia è un dolore sì, fluttuante come intensità, ma costantemente presente, perché trattasi di dolore cronico. In alcuni momenti il dolore è talmente intenso, che quando l’ondata di picco passa, ti sembra quasi di stare bene, ma non è vero, è solo passato il picco. Nessuno di noi sa più cosa sia una giornata senza dolore, piccolo o grande che sia. Per capire cosa possa essere il quotidiano da gestire quando il dolore ti sovrasta, prova ad immaginare la tua vita, i tuoi tantissimi impegni di lavoro e famiglia, che già fatichi a coordinare. Fatti davanti che improvvisamente cominci a sentire dolori costanti, che ti tolgono la concentrazione in ogni momento, qualsiasi sia l’attività a cui ti stai dedicando. Esiste una linea di demarcazione fra malattia acuta e malattia cronica. Il nostro corpo riesce a tollerare benissimo una malattia acuta, benché fortemente debilitante, perché come è sorta, poi finisce. Ma quando si entra nel cronico, si inserisce anche un meccanismo psicologico di sempre meno sopportazione, che ti fa piombare nella non accettazione della tua sopravvenuta condizione. Bisogna lavorare molto su sé stessi per poter gestire questa nuova realtà.

 

La stessa OMS, nel 1992 definì la fibromialgia una malattia cronica ed invalidante ma, ad oggi, pochi la considerano, ancora pochi la conoscono, e alla diagnosi purtroppo si arriva per esclusione, non essendoci un marcatore, un qualsiasi tipo di esame che individui incontrovertibilmente la malattia, nonostante i significativi e numerosi sintomi che la caratterizzano (ad oggi se ne contano più di 200).

Un altro motivo, legatissimo al primo, è la tua “invisibilità”. Il paziente fibromialgico è un malato cronico a tutti gli effetti, ma non ha nessuna tutela, questo perché la malattia in Italia non è riconosciuta, o meglio, lo è solo in alcune Regioni. La situazione in Italia, sulla fibromialgia, per far capire a tutti, è a “macchia di leopardo”. Ciò è dovuto all’autonomia regionale in ambito sanitario, ogni Regione decide da sé. Quindi c’è questo paradosso assurdo, cittadini di una stessa Nazione, ma tutelati dai 20 Sistemi Sanitari diversi, in modalità diverse, a seconda della propria regione di residenza.

Ulteriore motivo di difficoltà nel farmi riconoscere fibromialgica, e che riguarda tutti noi malati fibromialgici, è la difficoltà di far comprendere ai datori di lavoro quali siano le difficoltà nello svolgimento delle nostre mansioni lavorative, ed il motivo è sempre lo stesso: il mancato riconoscimento ufficiale della malattia, con definizione precisa della patologia, relative cure, cut-off e tutele. Anche se ci presentiamo al nostro datore di lavoro con il referto del medico specialista che attesta la nostra malattia, non è che si possa chiedere tanto, quasi sempre il gesto non sortisce alcun effetto. A volte, anzi direi quasi sempre, devi spiegare tu al datore di lavoro che cos’è la fibromialgia, questa sconosciuta, perché la maggior parte dei manager non sa che cosa sia la fibromialgia e cosa comporti.

A noi capita spesso di non riuscire a svolgere la nostra mansione come vorremmo, o di non riuscire a svolgerla affatto, dobbiamo di conseguenza spiegare al nostro datore di lavoro il tipo di sofferenza e difficoltà che la malattia porta giorno dopo giorno, durante tutto l’arco lavorativo, con connotazione di ingravescenza progressiva. A questo punto bisogna solo sperare che l’interlocutore dinnanzi a noi, sia dotato di una buona dose di empatia, e capisca sia meglio chiudere un occhio davanti alle nostre eventuali defaiance, se ad esempio ci vede fermi o seduti per un attimo per recuperare le forze. Se è intelligente, può comprendere che la scelta migliore per lui, per entrambi, sia tentare un nostro cambio mansione. Se si trattasse addirittura di datore di lavoro dal cuore d’oro, potrebbe arrivare addirittura a proporre un part time, o l’attivazione del telelavoro o dello smartworking, quando possibile. Se invece al posto del cuore, il datore di lavoro, ha un sasso, appena notata la discontinuità di rendimento, grafici e statistiche alla mano diventi automaticamente una zavorra, una voce passiva di bilancio, e senza alcun rimorso mette in atto tutto un meccanismo che ti spinge a licenziarti, a trovarti una soluzione più consona, praticamente ti stringe la mano e ti accompagna alla porta.

 

 

D-Quali ostacoli burocratici hai incontrato prima di essere riconosciuta fibromialgica?

 

R- I miei ostacoli sono quelli di tutti i fibromialgici. Noi siamo malati cronici “invisibili”, in assenza totale di diritti e di una vera e propria presa in carico da parte del Sistema Sanitario Regionale, per alcune Regioni per il motivo che ho spiegato sopra, come succede per tutti i malati cronici. Senza dimenticare i problemi legati al lavoro. Io mi reputo fortunata, rispetto alle altre malate come me, perché lavoro in una Pubblica Amministrazione e usufruisco della legge sul telelavoro ma solo perché il mio lavoro è tele-lavorabile però tutte le volte, ogni anno, questo è l’assurdo, devo ripresentare tutti i miei referti sulla fibromialgia per il rinnovo del Telelavoro. Come se una malattia per definizione cronica come la fibromialgia, potesse da un anno all’altro, smettere di esistere, quando invece di fatto non può guarire mai. Dimmi, spiegami questo: che senso ha rifare tutto, ogni anno d’accapo quando hai una malattia cronica? Il termine “cronica” sta a significare che NON PASSA MAI, quella c’è e ti rimane. Ho scritto che mi reputo fortunata perché sono venuta a conoscenza di tante altre “amiche di sventura” che come me soffrono di fibromialgia, e pur lavorando in una Pubblica Amministrazione ed avendo un lavoro tele-lavorabile, non hanno la possibilità di usufruire di questa legge. Siamo all’assurdo, perché addirittura si tratta di aziende pubbliche sanitarie locali, che dovrebbero per prime tutelare il lavoratore, in quanto sono proprio le aziende che si occupano di controllare rischi e sicurezza sui luoghi di lavoro, ed hanno inoltre al loro interno un team di medici legali, e medici competenti che possiedono tutti i mezzi possibili per poter valutare il rischio che può comportare far continuare un malato a svolgere una determinata mansione. Chi controlla il controllore?

 

D-Quale impegno stai portando avanti? con chi?

 

R-In questi anni i miei impegni sono stati tantissimi, avevo “solo” la fibromialgia, che “gestivo” alla meglio, ora con un farmaco ora con altri. All’inizio ho collaborato con due associazioni, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla nostra condizione, poi ho lasciato, anzi sono stata costretta a lasciare le associazioni, e faccio da sola, quello che posso, sempre la stessa cosa, sensibilizzazione a 360° sulla fibromialgia, per il suo riconoscimento, sulla presa in carico del paziente  e tanto altro. Durante la malattia sono entrata in contatto con il Coordinamento Toscano dei Gruppi di Auto Aiuto, ho conosciuto la referente scientifica Francesca Gori, sono diventata facilitatrice e attualmente facilito due gruppi, uno in presenza e l’altro on-line. Il primo è attivo da ben 4 anni e vorrei ricordare che per il Coordinamento Toscano è il primo gruppo sulla Fibromialgia sorto a Firenze, l’altro è nato durante il periodo della pandemia. Il Covid ci aveva rinchiuso in casa, non potevamo incontrarci in presenza e così mi è venuta l’idea di vedersi on-line. La cosa ha fatto “colpo” sulle altre fibromialgiche della regione ma anche fuori dalla Toscana ed è rimasto attivo anche dopo la fine del lockdown. Con il Coordinamento e grazie alla loro collaborazione ho potuto realizzare tante cose, eventi, dibattiti discussioni sulla nostra condizione, mi sono stati sempre vicini, mi hanno accolta e sostenuta, posso affermare, senza piaggeria che nel Coordinamento ho trovato quello che le associazioni non ho avuto: ascolto, vicinanza, comprensione e appoggio, supporto, in tutto L’altro mio impegno è con Cittadinanza Attiva e il Tribunale del Diritto del Malato. Ricordo che ho cercato io il Coordinatore, il Dottore Franco Alajmo, persona, umana, preparata e interessato molto alle mie idee, iniziative per la fibromialgia. Insieme abbiamo fatto tante cose, tantissime e altre sono ancora da fare e sono sicura si porteranno a termine, perché con Franco Alajmo credo di avere una cosa in comune, siamo entrambi, determinati e testardi.

Ho collaborato anche con la SISP (Società Italiana per la Promozione della Salute) con loro ho partecipato a diversi meeting organizzati ogni anno in città diverse. Ho preso parte a quello di Potenza e Bari, dove ho portato la mia testimonianza sull’esperienza con i gruppi di auto aiuto. Purtroppo la mia situazione di salute si è aggravata e non posso più partecipare ai loro meeting, però devo tanto, tantissimo alla Dott.ssa Filomena Lo Sasso e al Dottore Sergio Ardis che mi hanno permesso di fare queste belle esperienze. Ad oggi con loro, quando posso, in modalità webinar seguo i loro interessantissimi lavori e sono onorata di averli conosciuti e di avermi dato queste opportunità.

 

D- Vuoi spiegare a chi soffre di questa malattia subdola come iniziare a chiedere aiuto? che passi deve fare?

 

R- Solitamente, quando c’è un problema di salute, la prima cosa da fare, è consultare il proprio medico di medicina generale, è giustissimo. I medici di medicina generale occupano una posizione diagnostica chiave, perché guidano la gestione precoce del dolore e hanno un ruolo cardine nella selezione dei pazienti per specifici approcci terapeutici. La terapia farmacologica è selezionata in base al tipo di dolore: determinare se esso sia nocicettivo o neuropatico è il prerequisito per adottare l’approccio corretto. Lo stesso medico di medicina generale può prescrivere esami per capire la natura del problema. Ma ciò, dobbiamo sottolinearlo, succede solo se il medico di medicina generale ha una minima conoscenza della fibromialgia, perché se ne è a digiuno, tu malata ti trovi in una “gabbia”, non sai dove sbattere la testa, sei confusa, disorientata. Cosa posso consigliare a chi, nonostante tutti i suggerimenti del medico di famiglia, continua a dover gestire il proprio dolore sul tutto il corpo, la stanchezza invalidante che non va via… posso dire di rivolgersi al medico indicato per questo tipo di patologia, cioè il reumatologo. Oppure sarebbe ancora meglio recarsi in un centro multidisciplinare per la fibromialgia. L’elenco di questi centri può essere consultato dal sito della SIR (Società Italiana di Reumatologia) anche se devo ammettere, non è sempre aggiornato. In ogni modo questo è il sito: https://www.reumatologia.it/registro-fibromialgia

 

Se cerchiamo la Toscana, ad oggi sono indicati 3 soli centri. Consiglio i centri in modo particolare, perché si possono trovare in queste strutture, medici che non ignorano la malattia e che sanno come trattare il paziente fibromialgico. Non suggerisco nessuno dei tre, solo perché so per certo che la scelta del medico che ti deve seguire deve avere la tua fiducia, la scelta del medico è molto soggettiva, suggerisco però caldamente i centri multidisciplinari perché presso la SIR, con il patrocinio del Ministero della salute, con cui è stata costruita la partnership scientifica ed istituzionale, è stato istituito un Registro della Fibromialgia, il quale ha l’obiettivo di realizzare uno strumento che consente ricerche nel campo della fibromialgia e favorisce lo sviluppo della medicina di precisione, in questo ambito. Grazie al registro sarà possibile definire l’incidenza della malattia, misurare il grado di severità, migliorare la conoscenza della storia naturale della malattia, definire l’intervallo di tempo tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi, monitorare ed aggiornare il percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PDTA) e valutare gli esiti e l’impatto socio/economico. Quello sulla fibromialgia rappresenta uno dei primi registri relativo alle malattie da dolore cronico in Europa. Il registro Italiano per la fibromialgia è un progetto strategico, che consente una raccolta osservazionale e prospettica dei dati clinici e clinimetrici dei pazienti fibromialgici sul territorio nazionale.

 

D- Che tipo di lamentele ti senti di esprimere? Cosa manca affinché questa patologia sia riconosciuta?

 

R-Manca sicuramente un marcatore, un qualsiasi tipo di esame che permette subito l’identificazione della malattia e il suo riconoscimento ufficiale, ed è quello che nelle varie udienze presso le commissioni al Senato, ci siamo sentiti dire, dietro le numerose richieste di riconoscimento della malattia. da parte di tante associazioni ma, non è semplice anzi sembra una meta irrealizzabile. Io credo, questo è un mio parere personale, ci tengo a precisarlo subito, che ci sono tante altre malattie riconosciute che però non hanno un marcatore, oppure un esame diagnostico che la definisca con precisione. Pensiamo ad esempio alle malattie come il disturbo bipolare di personalità. In alcune malattie tipo questa, non c’è un marcatore, non c’è un esame diagnostico, sono sintomi che il paziente riferisce, eppure nel caso di disturbo bipolare di personalità, il riconoscimento c’è, nei soggetti fibromialgici, che riferiscono di avere “sintomi”, numerosi sintomi, pretendono debba esserci un marcatore, questa cosa io personalmente non l’ho mai capita.

Poi è necessario fare una precisazione, dobbiamo distinguere tra l’approvazione di un disegno di legge per il riconoscimento della fibromialgia e il suo inserimento nei LEA - Livelli Essenziali di Assistenza, che sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale.

Infatti, a livello Nazionale, si sta tentando di lavorare su questi due fronti:

l’inserimento della patologia nei LEA e l’approvazione di un disegno di legge.

 

Però mi preme raccontare un po’ di storia VERA su questo tema.

 

Per quanto riguarda l’inserimento della fibromialgia nei LEA, le associazioni coinvolte, e non le indico, il motivo si capirà dopo, hanno cominciato con un’istanza presentata al Consiglio Superiore della Sanità, che ha seguito il suo iter fino a fermarsi all’Istituto Superiore di Sanità. Questo perché, in parallelo, si stanno discutendo a livello politico ben 5 disegni di legge. Il primo, a firma della Senatrice Paola Boldrini, è stato accorpato in Commissione sanità con altri quattro disegni di legge, a favore del riconoscimento della fibromialgia. La Commissione sanità ha convocato le Associazioni e gli specialisti: il documento è stato finalizzato per passare in aula al Senato. Purtroppo l’iter si è poi fermato a Giugno 2020, a seguito dei cambiamenti politici. Il percorso dei LEA e dei disegni di legge ha indotto il Ministero a procedere, incaricando la Società italiana di reumatologia (SIR) di presentare uno studio prospettico sulla definizione dei Cut-Off e della cronicità sulla fibromialgia, anche in virtù del famoso registro di cui abbiamo accennato sopra. La SIR ha trasmesso i suoi risultati e il Ministero della Sanità ha poi ufficializzato l’intenzione di convocare in audizione il responsabile della Società Scientifica per approfondimenti. Quindi, lentamente, ma si sta andando avanti. Ma come malata mi sto chiedendo questo: perché mai si è voluto dare tutto in mano alla SIR, premetto che a me sta benissimo, senza interpellare le associazioni?

 

Questa è la famosa domanda da un milione di dollari che tutti i malati che hanno seguito le vicende tortuose, difficili delle varie associazioni in questo lungo lasso di tempo si devono fare. Io me la sono posta, la domanda. Le associazioni dei malati sono le istituzioni che dovrebbero ben rappresentare le varie e numerose esigenze dei malati. Perché allora sono state scavalcate? È semplice: perché a livello Nazionale le Associazioni sono varie e numerose, molte delle quali sono piccole realtà non presenti su tutto il territorio nazionale. Spesso non si accordano fra loro, e per questo motivo non sono ancora riuscite a mettere in disparte certi protagonismi ed a presentarsi con voce univoca dinnanzi alle istituzioni. Spesso si sono presentate alla spicciolata, ognuna con personali idee su come risolvere il problema del riconoscimento, atteggiamento che ha fatto spazientire chi all’interno delle istituzioni, aveva la responsabilità di decidere in merito previa consultazione degli addetti ai lavori (le associazioni stesse). Questa è la cosa più ignobile, secondo me, che possa capitare a noi malati, non esistono malati di serie A e malati di serie B, siamo tutti malati italiani, e tutti dobbiamo avere gli stessi diritti. E allora mi chiedo ancora una volta: le associazioni rappresentano davvero gli interessi dei malati? Se avessero a cuore realmente il nostro benessere, la risposta sarebbe sì. Siccome in linea generale si può affermare il contrario, forse dobbiamo rimettere in discussione parecchie cose.

 

D- Ci sono novità scientifiche a livello farmaceutico? ci sono terapie funzionali al momento?

R- Purtroppo la risposta è no. Tutto ciò che abbiamo attualmente a disposizione sono farmaci che non curano la malattia, ma tamponano solamente i sintomi, se si ha fortuna. Non esiste purtroppo una cura, si prova prima un farmaco e poi l’altro, ma non ti curano, hanno solo la funzione di alleviare il dolore, alleviare non curare, perché curare è tutt’altro.

 

Cara Rosaria, ogni volta che intervisto qualcuno, lascio all’intervistato uno spazio "bianco", ossia la possibilità di scrivere un proprio pensiero libero, una richiesta, un annuncio.

 

A te lo spazio:

R

Marzia, prima di tutto, grazie. Pubblicamente, ti ringrazio di avermi dato questa opportunità, ci fossero in giro persone come te, il mondo sarebbe migliore, non è piaggeria la mia, è quello che penso. Chi mi conosce sa benissimo come sono fatta, io sono sincera, schietta, dico quello che penso senza giri di parole. A volte, sono consapevole che questo mio modo di fare, di pormi, può dar fastidio a qualcuno ma, è più forte di me, devo dire SEMPRE la verità ed essere SEMPRE sincera.

Premesso questo, le mie richieste e il mio annuncio.

 

Richieste

 

1) Ascolto.

 

Per esperienza personale, in quanto affetta da diverse malattie croniche e autoimmuni e per la mia esperienza di facilitatrice di un gruppo di Auto Aiuto sulla Fibromailgia posso affermare che le difficoltà che incontriamo noi pazienti affetti da questa patologia, sia prima che dopo la diagnosi, sono enormi, spesso troppo onerosi da poterle sopportare.

Ci rivolgiamo a diversi medici di diverse specializzazioni , spesso senza aver ricevuto una diagnosi precisa ma soprattutto senza una terapia mirata.

 

E' un girovagare tra specialisti che porta inevitabilmente in noi la frustrazione di non essere compresi, oppure, nel peggiore dei casi, di non essere assolutamente creduti.

Come già detto, la diagnosi di fibromialgia è al momento esclusivamente clinica e si basa sull'applicazione di criteri diagnostici del 2016 che valutano la presenza di dolore diffuso, stanchezza, disturbi di memoria e concentrazione, sonno non ristoratore, dolori al basso addome, depressione e mal di testa secondo una precisa combinazione e gradazione.

Purtroppo, si arriva alla diagnosi solo per esclusione.

Personalmente credo che il rapporto fiduciario tra medico e paziente sia importantissimo, esso consente di affrontare ogni tentativo terapeutico con una migliore consapevolezza e aspettativa di miglioramenti dei sintomi.

Nella nostra società, le malattie croniche gravi ed invalidanti continuano ad essere invisibili. Ci riferiamo a malattie come la Fibromialgia, il Lupus, Emicranie, Reumatismi, Sensibilità Chimica Multipla (MCS) e di Elettrosensibilità (EHS) e tantissime altre. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità le malattie croniche socialmente invisibili rappresentano quasi l'80% dei disturbi attuali. Queste malattie sono da molti considerate frutto di un dolore immaginario con cui le persone giustificano le assenze sul lavoro.

NON È VERO, NON SONO IMMAGINARIE, ESISTONO.

Manca l'ascolto, mancano le cure, manca un riconoscimento in alcuni casi. La malattia cronica è "invisibile" non è immaginaria. Bisogna cambiare mentalità: non c’è bisogno di una ferita evidente perché il dolore e il disagio, siano autentici. Per iniziare il cambiamento dobbiamo saper ascoltare e non giudicare.

È essenziale comunicare con il paziente in modo che esso possa prendere coscienza della propria condizione attraverso informazioni precise.

Oggi la "medicina” non deve essere più centrata sulla malattia. La malattia è l’oggetto cruciale dell’agire del medico.

Al medico sono affidati due grandi compiti: raggiungere una diagnosi corretta e intervenire attraverso strategie terapeutiche adeguate.

L’approccio del medico alla malattia dev’essere gradualmente modificato, bisogna lasciare molto più spazio al “Paziente” nella sua globalità ed alla “Relazione” come strumento fondamentale, imprescindibile e basilare nel processo di diagnosi e cura.

Non più la malattia al centro dell’interesse del medico, ma il paziente, quel paziente, con la sua storia e all’interno di quel contesto specifico e con il quale viene instaurata una relazione.

La comunicazione, verbale e non verbale, come strumento di relazione, deve diventare con il tempo il centro di interesse nei vari corsi di formazione rivolti, nello specifico, al personale sanitario (medico e paramedico) ed estesi, spesso, anche al personale front-office inserito in contesti di cura.

La comunicazione e l’Ascolto DEVONO diventare parte della terapia, il tempo della comunicazione e dell’ascolto sono fondamentali per la crescita della relazione di cura.

Sono i momenti nei quali la relazione tra medico e paziente trova la sua massima espressione. Senza comunicazione senza l’ascolto non c’è alleanza, non c’è rapporto di fiducia.

Se manca l'ascolto, se manca la comunicazione, ogni ambulatorio, ogni casa di cura, ogni struttura sanitaria diventa una catena di montaggio, il paziente un bullone, il medico un mero esecutore.

Deve a mio avviso, cambiare il sistema di interagire con soggetti portatori di queste malattie, se ciò non avviene, se ciò non si realizza al più presto è una “sconfitta” per lo Stato, per le Istituzioni.

 

2) Richieste

 

Più centri multidisciplinari: per ora sono stati ideati solo sulla carta, mentre la realtà è assai diversa

 

Il mondo della cronicità è un’area in progressiva crescita, si è visto soprattutto anche dopo la pandemia. Questo comporta un notevole impegno di risorse, richiedendo continuità assistenziale per periodi di lunga durata e una forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali, necessitando nel contempo anche di servizi residenziali e territoriali finora non sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro territorio, nel nostro Paese.

Il Piano Nazionale della Cronicità (PNC) nasce dall’esigenza di armonizzare a livello nazionale le attività in questo campo, proponendo un documento, condiviso con le Regioni, che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico comune inteso a promuovere interventi basati sulla unitarietà di approccio, centrato sulla persona ed orientato su una migliore organizzazione dei servizi e una piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell’assistenza.

Il fine è quello di contribuire al miglioramento della tutela per le persone affette da malattie croniche, riducendone il peso sull’individuo, sulla sua famiglia e sul contesto sociale, migliorando la qualità di vita, rendendo più efficaci ed efficienti i servizi sanitari in termini di prevenzione e assistenza e assicurando maggiore uniformità ed equità di accesso ai cittadini.

Questi sono tutti buoni propositi, ma solo sulla carta. A Firenze, il Governo Clinico, nel 2009 redigeva per la Fibromialgia un PDTA che divenne immediatamente operativo dal giorno in cui venne pubblicato sul BURT, con Delibera 1311 del 28 ottobre 2019 dove al punto 2 si legge (riporto quanto trascritto):

di impegnare le Aziende Sanitarie ad organizzare, tenuto conto delle diverse aree vaste, le modalità con le quali realizzare il percorso assistenziale per la presa in carico delle persone con sindrome fibromialgica, con particolare attenzione alle differenze di genere

 

Ecco, sono passati diversi anni ma, noi fibromialgiche non abbiamo ancora visto nulla e se tu chiedi agli interessati, ti rispondono sempre allo stesso modo: ci stiamo lavorando.

Ora io mi chiedo e chiedo a voi tutti è mai possibile tutto questo? A cosa servono le Delibere, gli Atti, i Regolamenti se poi non vengono attuati?

Sembra proprio una presa in giro e noi fibromialgiche , siamo stanche di attendere e di essere prese in giro.

Siamo stanche di mozioni, non sai quante ne sono state presentate, anzi lo so, eccole:

 

In Regione Toscana nel luglio e nell’ottobre del 2014, nel dicembre 2015 e nel maggio 2016 ha prodotto ormai ben quattro mozioni (la 844/14, la 911/14, la 138/15 e la 361/16), di grande sensibilità che avevano ricevuto un consenso unanime dell’aula; e nello specifico dette mozioni impegnavano la Giunta Regionale a:

  • un percorso di riconoscimento, individuazione e cura per la sindrome fibromialgica in Toscana (Moz. N°844/14);
  • alla “organizzazione dei percorsi condivisi per il riconoscimento e l’individuazione e cura della sindrome fibromialgica; attivazione di un Coordinamento regionale per la definizione e realizzazione di percorsi terapeutici dedicati” (Moz. N° 911/14);
  • in merito allo stato di avanzamento del riconoscimento della fibromialgia come malattia invalidante” (Moz N° 138/15); alla realizzazione, nell’ambito dei PDTA della sindrome fibromialgica, della presa in carico del paziente fibromialgico da parte dei Centri della Terapia del Dolore e Cure Paliative presenti sul territorio regionale, tramite aggiornamento e condivisione dei protocolli esistenti.

Considerato che il Consiglio Regionale con parere N° 65/2015 ha approvato il documento recante “Aggiornamento e PDTA sulla Sindrome Fibromialgica” con il quale sono definite le modalità diagnostiche e il percorso terapeutico per la presa in carico del paziente affetto da fibromialgia, tenuto conto che la sindrome fibromialgica è una malattia non omogenea sia per i sintomi sia per la risposta al trattamento e che non esiste, al momento attuale, una terapia ideale;

Considerata la presenza di una ulteriore interrogazione del consigliere Regionale Andrea Quartini   in merito “alla presa in carico dei malati di fibromialgia da parte dei Centri di Terapia del Dolore e dei centri di Reumatologia appartenenti o convenzionati con il SSN N IS 1247, del 13 luglio 2017

Atto N° 235 del 12/02/2019 In merito alla recente definizione del percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) sulla fibromialgia da parte dell’Organismo toscano per il governo clinico (OTGC) ed alla sua implementazione.

Atto N° 1019 del 07/11/2017 In merito al riconoscimento di un codice identificativo di patologia per la fibromialgia, un pacchetto di prestazioni regionali, il riconoscimento quale patologia cronica della stessa e la relativa esenzione dal costo del ticket, ai sensi del DM 329/1999

Atto N° 286 del 13/4/2021 In merito alla Giornata mondiale della fibromialgia (12 maggio 2021).

Atto 797 del 09/03/2022 In merito all’inserimento della fibromialgia nei Livelli essenziali di assistenza (LEA). Mozione n. 559 – Per il riconoscimento del Centro di Coordinamento Regionale per la Fibromialgia presso la SODc (Struttura Organizzativa Dipartimentale complessa) di Reumatologia di Ponte Nuovo (AOU Careggi) .

 

Ecco il mio primo ACCORATO APPELLO:

 

Non fate più mozioni ne abbiamo già tante, VOGLIAMO I FATTI IN REGIONE TOSCANA.

 

2) secondo ACCORATO APPELLO.

 

L’associazionismo e le sue controversie

 

Secondo il mio punto di vista, fare volontariato in associazioni di malati dovrebbe essere un'attività libera e gratuita da svolgersi per ragioni di solidarietà e di giustizia sociale.

Il volontariato nasce dalla spontanea volontà di persone di fronte a problemi non risolti o non affrontati dallo Stato.

A mio avviso, una delle caratteristiche del volontariato è l'anteporre il benessere collettivo al massimo profitto individuale senza lasciare nessuno sotto il livello di sussistenza. Il volontariato è sempre una testimonianza di solidarietà umana; è l'espressione della volontà di una o più persone di rendersi disponibili per aiutare chi è in difficoltà.

La sua dimensione sociale consiste nel rappresentare e promuovere il bene comune di quella parte di persone che sono deboli, sfruttate ed abbandonate.

Il ruolo delle associazioni dei pazienti è fondamentale nel nostro Paese, nell'incoraggiare politiche mirate, ricerche ed interventi di assistenza sanitaria.

In alcuni casi, è merito proprio delle attività di queste associazioni, che hanno permesso alla nostra società di acquisire consapevolezza della specificità sia di malattie rare che di quelle croniche, e dei problemi che esse comportano.

Sempre in alcuni casi, il lavoro delle associazioni ha anche contribuito a modificare i rapporti tra le Istituzioni siano esse centrali, regionali o locali, e la comunità dei malati, rimuovendo molte delle barriere esistenti.

È un diritto del paziente orientare le scelte sulla propria malattia o sulla propria condizione, sulle modalità di trattarla e sul percorso da seguire, poichè tutto questo incide positivamente sul successo della terapia. Inoltre, è dimostrato anche che il rafforzamento dei gruppi di sostegno porta ad una maggiore appropriatezza nell'uso dei servizi e il miglioramento dell'efficienza di chi presta le cure.

Il punto di forza delle malattie croniche insieme a quelle rare è la consapevolezza e l’autodeterminazione del paziente, il quale, oltre a condividere i bisogni collegati alle difficoltà del trattamento della malattia, chiede a gran voce sforzi coordinati tra le varie associazioni per migliorare la conoscenza e l’assistenza.

Inoltre, all'esigenza di condividere difficoltà e problemi, e alla volontà di vedere riconosciuti i propri diritti e di ricevere tutela, si aggiunge il valore peculiare del lavoro svolto dalle associazioni che, partendo dalla condivisione di esperienze, possono costruire un bagaglio di conoscenza diverso da quello del medico, ma non di meno utile nell'affrontare correttamente la malattia.

 

È perciò necessario che gli operatori sanitari e i professionisti medici si facciano promotori di un rapporto costruttivo e collaborativo con i pazienti, incoraggiando la loro informazione e sostenendo atteggiamenti solidali e comunitari. Per contro, la partecipazione ai processi decisionali da parte delle organizzazioni dei pazienti richiede forte senso civico e capacità di agire nell'interesse della collettività, e a questo non giova la frammentazione delle loro rappresentanze.

Le associazioni che si occupano di noi malati dovrebbero nascere per l’esigenza di fare da tramite parlante delle informazioni più concrete sull’arrivo e il decorso della malattia; dovrebbero essere i soggetti principali del supporto e del sostegno dei malati nella loro esperienza di cura; dovrebbero essere i veri portatori dei bisogni e delle attese dei malati nei confronti delle strutture sanitarie e dei relativi decisori politici.

Per la mia esperienza, ma anche alla luce di quello che è accaduto nel 2020, già descritto sopra, in particolare alla domanda D e nella mia relativa risposta, non è possibile avere “nei cassetti” 5 disegni di legge a favore di un riconoscimento di una malattia, qualunque essa sia. I malati hanno bisogno di risposte concrete e subito, non dimentichiamoci che l’OMS definì la Fibromialgia “malattia cronica ed invalidante” nell’ormai lontano 1992, quanti anni ancora bisogna attendere?

Altra cosa di non poco conto: le associazioni che dovrebbero essere le entità che meglio rappresentano i pazienti, in questo caso hanno fallito, perché si sono presentate al cospetto delle istituzioni, disunite e quasi sempre in contrasto. Ecco che mi sorge spontanea una domanda: se le associazioni in questione sono nate per rappresentare tutti i malati affetti da una stessa malattia, perché si presentano ad un appuntamento così importante, disunite?

Cosa posso dedurre io malata? Qui non si tratta di fare il tifo per una squadra di calcio, qui non siamo in una competizione canora o sportiva, qui si decide il futuro di un malato! Si decide da chi deve essere preso in carica, quali sono i percorsi da attuare per il suo benessere fisico e psichico, quali farmaci prescrivere e altro ancora.

Questo a me fa rabbia, molta rabbia, perché la nostra Carta Costituzione, all’articolo 32 recita:

 

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

 

Il diritto alla salute coincide col diritto al rispetto dell’integrità fisica dell’individuo; ma esso comporta anche il diritto all’assistenza sanitaria: infatti, con la riforma sanitaria del 1978, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale ha esteso l’obbligo dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non solo agli indigenti, ma anche a tutta la popolazione. TUTTA LA POPOLAZIONE.

Ricordo inoltre che, la protezione della salute, intesa come diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche, è stata inserita anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Noi fibromialgici non ci sentiamo tutelati, come non lo sono tutti coloro che sono nelle nostre stesse condizioni, cioè invisibili davanti allo Stato; siamo tutti “orfani” di un SSN che ci ignora fin da quando si è potuto, nei secoli, dare un nome alla nostra malattia.

 

Grazie

 

PS: Voglio dedicare questa intervista a tutte le persone che hanno condiviso con me l'esperienza dei Gruppi di Auto Aiuto, quelle che non saltano un appuntamento, quelle che si avvicinano, si allontanano e poi ritornano, quelle che entrano e poi escono senza ritornarci, a tutti coloro che dal gruppo hanno preso qualcosa e l'hanno fatto proprio.

Rosaria Mastronardo

 

 

E dopo questa esaustiva risposta alle domande da parte di Rosaria Mastronardo speriamo di avere fatto più chiarezza su questa sindrome "fantasma" che purtroppo dilaga a dismisura.

 

 

 

 

 

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Last modified on Monday, 07 November 2022 13:10