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I luoghi del tempo - Capodanno al Gianicolo di Roma

By Domenico Ienna December 26, 2022 617

Al Gianicolo, al Gianicolo! 

Passeggiare senza fretta per le curve che da Trastevere salgono verso la sommità di questa collina panoramica romana potrebbe rappresentare - all’alba del primo di Gennaio, magari rincasando dopo i festeggiamenti pirotecnici della notte - un’occasione suggestiva per rivisitare un rilevante episodio di storia calendariale. 

Ma cosa lega il primo giorno e mese dell’anno all’antico “Mons Aureus”, la piccola altura così chiamata per la prevalente doratura dei materiali che la compongono? La risposta è contenuta nei miti religiosi di Roma antica, che consideravano il mese “Ianuarius”-Gennaio e il colle “Ianiculus”-Gianicolo dirette dipendenze del dio “Ianus”-Giano, anche etimologicamente ad esso collegate.

 Il nume - figura già presente nel pantheon romano più arcaico - era quello che presiedeva a tutti i momenti di passaggio e, in particolare, alla fase iniziale di qualsiasi attività; veniva rappresentato sia con un’erma a due/quattro facce per la sua capacità di controllare e conciliare passato e futuro, sia con la “ianua”- porta, che apre e chiude la comunicazione tra piani diversi. Garantendo Giove lo scorrere normale del tempo durante tutto l’anno, non poteva certo essere lui a determinarne poi morte rinascita: in questi casi entravano in azione Saturno (a Dicembre) per dissolvere il vecchio anno con i rituali trasgressivi dei “Saturnalia”-Saturnali e appunto Giano (a Gennaio) per presiedere alla rigenerazione di quello nuovo. 

Oggi, oltre che nel toponimo Gianicolo, sono ancora rinvenibili a Roma tracce del culto di Giano nell’arco d’epoca costantiniana sito in via del Velabro e - probabilmente - pure nelle due erme a quattro facce sull’antichissimo ponte “Fabricius”-Fabricio detto appunto, in città, “dei Quattro Capi”. 

A partire dal 153 a.C. si cominciò nell’Urbs a far insediare ufficialmente i consoli nella loro carica proprio alle “Calendae”-Calende di Gennaio (il primo del mese) esprimendo in questo giorno pure gli auguri allo Stato, indirizzati in seguito all’imperatore. L’abitudine era comunque anche privata, con la simpatica aggiunta di “strenae”-strenne o doni di buon auspicio. A Giano venivano offerti farro col sale e il tortino al forno “Ianual” (impasto di uova, farina, olio e cacio grattuggiato), per propiziare fertilità alla natura e produttività al lavoro dell’uomo. Nonostante questa ricorrenza fosse la più sacra e importante del calendario, non rientrava comunque tra i periodi di vacanza, senza essere per questo - però - neppure considerata una comune giornata lavorativa. Il lavoro veniva a perdervi infatti finalità produttive, acquistando invece dignità sacrale di rito. 

La credenza che gli avvenimenti del primo di Gennaio - proprio perché verificatisi in un giorno inaugurale - possano in qualche modo proiettarsi su tutto il periodo futuro, veniva ribadito anche da abitudini augurali come quella di scambiarsi miele, datteri e fichi per addolcire il tempo nuovo che iniziava; nonché dagli stessi intenti propiziatori che informano ancora le attuali pratiche di fine-inizio d’anno: ad esempio indossare indumenti nuovi o mangiare cotechino e lenticchie, simbologie forti d’abbondanza e di ricchezza. Ma altre antiche usanze del periodo del Solstizio invernale - disperse nei mesi di Dicembre e di Gennaio soprattutto per esigenze moralizzatrici del Cristianesimo - sono riuscite in qualche modo a influenzare il Capodanno attuale, con riti d’espulsione delle negatività accumulate durante i mesi precedenti: fuochi (anche d’artificio) alludenti al sole che rinasce, pratiche divinatorie e auguri senza regali passati – questi - invece al Natale. 

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