L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Politics (361)

    Carlotta Caldonazzo

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October 21, 2021

America e Russia sembrano tornati alla guerra fredda di un tempo. Dal 1° novembre Mosca sospenderà il funzionamento della sua missione presso la Nato e le operazioni della missione militare di collegamento della Nato a Mosca. L'America ha già convinto gli alleati europei a non importare più il gas russo, fino ad ora venduto a prezzo relativamente basso, e a importare quello americano (liquefatto per il trasporto) molto più costoso, ma che a suo parere renderebbe l'Europa più indipendente dalla Russia, con buona pace delle bollette energetiche che il nostro paese dovrà affrontare, di gran lunga più costose, le prime conseguenze le vedremo questo inverno.

In questo modo i paesi del Patto Atlantico, a detta degli USA, metteranno all'angolo la potenza russa? Lo chiediamo al presidente di Vision&Global Trends, International Institute for Global Analyses, dott. Tiberio Graziani:” I rapporti tra la Federazione Russa e la Nato sono sempre stati tesi, se si eccettua il breve periodo che intercorse tra il 2002 e il 2008, vale a dire dalla “Dichiarazione di Roma”, firmata a Pratica di Mare nel corso del vertice NATO-Russia, fino alla crisi georgiana e la tensione nel 2014, con un'altra crisi internazionale, quella relativa alla Crimea. Tenuto conto di ciò, la notizia non mi ha affatto colto di sorpresa.”Afferma Graziani che continua:” La decisione di Mosca di sospendere i legami diplomatici a partire dal primo novembre era, a mio avviso, nell'aria; essa risulta essere la risposta, peraltro scontata, all'espulsione degli otto diplomatici russi della scorsa settimana. È, in sostanza, un altro episodio della “guerra delle espulsioni” di diplomatici iniziata tra Russia e USA nel marzo del 2018, che tuttora perdura e interessa alcuni paesi dell'Alleanza NATO (ad esempio la Gran Bretagna) e la stessa organizzazione della NATO, come sta accadendo in questi giorni. La Russia non continuerà a fingere che un cambiamento nelle relazioni con la Nato sia possibile nel prossimo futuro, ha sottolineato il ministro degli esteri russo Lavrov, annunciando la rottura con la NATO. Con tale affermazione, il ministro cerca di mettere un punto fermo in merito alle pessime relazioni NATO-Russia. In definitiva, Lavrov non vuole lasciare nel vago, molto semplicemente, i rapporti tra l'organizzazione atlantica e la Federazione russa."

Ma veniamo al nostro paese, chiediamo al Presidente Tiberi quali potrebbero essere le conseguenze dei rapporti tra l'Italia e la Federazione Russa: “certamente hanno un effetto negativo, a causa del fatto che i paesi membri dell'Unione sono anche membri dell'Alleanza atlantica. Tuttavia, questi ultimi screzi tra la Federazione e la NATO sono da leggersi anche in riferimento alla strategia che gli USA stanno mettendo in campo contro il costituendo asse Mosca-Pechino. C'è da aggiungere, al fine di avere un quadro più completo possibile, che con l'espulsione degli otto diplomatici di una settima fa, la NATO ha inviato un segnale non solo, ovviamente, alla Russia, ma anche ai suoi alleati, come la Francia e la Germania, che intrattengono relazioni con Mosca e Pechino. Per quanto concerne l'Italia, Roma seguirà le indicazioni della NATO. ” Per Graziani “allo stato attuale, non sembrano esserci le condizioni per tornare allo spirito di Pratica di Mare. Nel 2002, il presidente del Consiglio Berlusconi e il presidente della Commissione europea Prodi perseguivano in riferimento ai rapporti con la Russia un progetto che vedeva l'Italia e l'Unione Europea come ponte di collegamento tra il sistema occidentale a guida statunitense e la Federazione Russa. Ora le condizioni sono mutate ed anche gli uomini...”

Chiediamo ancora se L'Italia, guidata da Mario Draghi, che crediamo si renda conto che la Russia è un attore fondamentale per gestire l'attuale situazione di crisi in Afghanistan e altri dossier Internazionali, potrebbe realizzare un'operazione di avvicinamento, come una volta riuscì a Silvio Berlusconi:“allo stato attuale, non sembra ci siano le condizioni per tornare allo spirito di Pratica di Mare. Ora le condizioni sono mutate ed anche gli uomini...”

October 18, 2021
 
                                                        per il video clicca sulla foto
October 10, 2021

October 05, 2021

Grane in vista per FI. Roberto Casalena, nostro collega responsabile del settore economico della Flip nonché direttore della testata "www.economicomensile.it" è stato a sua insaputa escluso dalla lista dei candidati alle elezioni comunali di Roma. Ora c'è il rischio che per la cancellazione di un candidato, appunto Roberto Casalena,  possa essere annullata l'elezione del I Municipio e Comune, per l'eventuale richiesta di broglio elettorale.

 

 

Tra DC e UDC era stato effettuato un accordo con FI, tramite il Senatore Maurizio Gasaparri, per partecipare insieme alle elezioni dei Municipi di Roma, nonchè del Sindaco, tant'è che, poi, sui biglietti e locandine elettorali è stato stampato il simbolo di FI, con sotto lo Scudo Crociato e la scritta Unione di Centro (DC e UDC). Poi l'intesa è stata disattesa, successivamente, almeno in parte. perchè? Infatti un candidato DC per il I Municipio, il dott. Casalena, è stato cancellato unilateralmente dalla lista elettorale, e quanto risulterebbe all'insaputa di Gasparri, effettuato dal suo braccio destro per Roma, Giordano Tredicine e senza motivazioni.Tra l'altro il Tredicine ha avvertito solo il 20 di Settembre, con un messaggio Whatsapp, il Segretario politico della DC, Franco De Simoni, sulla eliminazione del candidato in questione,

 

E' bene ricordare che Giordano Tredicine è passato dalle caldarroste alla politica ed è il pronipote tecnologico della dynasty che controlla camion bar e bancarelle. Esponente del Pdl, secondo la procura aveva una stretta rete di relazioni con Buzzi e Carminati. E forse, Tredicine, abituato a fare il bello e il cattivo tempo, ha scavalcato anche l'accordo preso da Gasparri con UDC e DC, eliminando sua sponte un candidato della DC dalla lista del I Municipio. Siamo alla frutta? Perché se Gasparri si è ridotto a far gestire la macchina burocratica delle elezioni a Roma ad uno come Tredicine vorrebbe dire che nella Capitale comanderebbe Tredicine al posto del coordinatore di FI, Gasparri.

September 17, 2021
 
                                                                 Clicca sull'immagine
September 27, 2021

September 04, 2021

 Dire no ad un male serve a poco se non si combattono le cause che lo generano. La guerra, come la malattia, non è la causa ma l'effetto di un male profondo e diffuso: è la sommatoria delle singole disarmonie che ognuno alimenta con il suo personale egoismo. Si dice che la guerra germoglia sul terreno dell'ingiustizia, della disperazione, della miseria, ed è vero, ma non è solo questo. I popoli del benessere non hanno eliminato dalla loro realtà sociale la violenza ed il crimine. Se per assurdo ogni essere umano avrà domani da che vivere da nababbo un giorno dopo l'umanità sarebbe nella medesima situazione di oggi, perché è la coscienza degli uomini che è malata e se non si interviene sulla sfera morale dei cittadini attraverso programmi di formazione, gli uomini resteranno profondamente insaziabili e sempre capaci di commettere delitti. Un animale affamato uccide la sua preda per nutrirsi, perché da questo dipende la sua vita, ma una volta saziato non ha più motivo di essere aggressivo. Non è così, purtroppo, per gli esseri umani, a meno che non siano educati fin dall'infanzia alla giustizia e al rifiuto incondizionato della violenza. A parte sporadici pazzi criminali e venditori di armi, nessuno vuole la guerra. Il 99% dell'umanità non vuole la guerra. Nessun individuo saggio ed equilibrato può volere questo maschio, il peggiore in assoluto. Eppure la terra è disseminata di di del più forte. E' vero che quando un feroce dittatore non vuole sentire la voce della ragione è necessario impedirgli di nuocere per cercare di scongiurare mali peggiori, ma la soluzione non deve mai, in alcun modo, coinvolgere gli innocenti. E' altrettanto vero che anche in una ipotetica dimensione paradisiaca ci saranno sempre schegge impazzite: ma se le popolazioni appena educate ai principi del diritto e della vera democrazia, la scelta dei capi cadrebbe su individui capaci di operare per l'esclusivo bene loro popolo, non per le loro capacità strategiche, economiche o politiche. L'aspetto più pericoloso sta nel meccanismo innescato del benessere economico al quale le popolazioni abbienti non intendono rinunciare, anche a costo di improvvisarsi predatori a danno dei più deboli. La sola speranza per il genere umano di abolire la violenza, le ingiustizie e la guerra è di educare le popolazioni ai valori fondamentali della vita. Finché ogni Stato non s'impagnerà a curaro la formazione morale dei suoi cittadini, per dare specialmente alle nuove generazioni una mentalità di pace, di giustizia, di condivisione, di valorizzazione delle differenze culturali, di rispetto, di onestà non sarà possibile realizzare un mondo senza guerre. E' un illuso chi crede che la guerra possa essere abolita senza prima cambiare la coscienza degli uomini. di onestà non sarà possibile realizzare un mondo senza guerre. E' un illuso chi crede che la guerra possa essere abolita senza prima cambiare la coscienza degli uomini. di onestà non sarà possibile realizzare un mondo senza guerre. E' un illuso chi crede che la guerra possa essere abolita senza prima cambiare la coscienza degli uomini.  

 

La cultura della pace non si improvvisa. Non basta dire “pace,” “giustizia” se non si rende l’animo umano capace di incarnare questi principi. La pace è il risultato finale di un processo educativo ed evolutivo della sfera morale, civile e spirituale di un popolo alla quale si può pervenire solo attraverso programmi scolastici attuati con lo stesso impegno, anzi maggiore, con cui vengono insegnate le altre discipline scolastiche. Dal cuore umano nasce infatti ogni bene ed ogni male. L’amore dorme nella coscienza di ognuno in attesa di essere legge di vita. Ed oggi, dopo duemila anni di cristianesimo, ancora grava sull’Occidente e sull’intero genere umano l’onta di non essere riuscito ad abolire il male più antico e terribile della storia: la guerra, come strumento di risoluzione delle controversie umane. L’uccisione legalizzata di un uomo è un fallimento per l’intera civiltà umana. Purtroppo qualcuno crede che non sia possibile aspirare ad un mondo senza guerre; dove gli uomini perdono i freni inibitori e l’odore del sangue fa scatenare in essi l’istinto del massacro, della devastazione, dello stupro, del sadismo, dell’umiliazione dei vinti. Come può essere consentito in guerra ciò che in tempi di pace viene condannato dalla legge e dalla coscienza morale? Chi è capace di uccidere in guerra come può, tornando a casa, essere un buon padre di famiglia, un buon cittadino? Ma la guerra ci sarà finché ci sarà qualcuno gente disposta ad uccidere.La guerra è la macchia più nera che pesa, senza possibilità di appello, sulla coscienza dell’intero genere umano come una tremenda nemesi karmica i cui frutti sono: morte, dolore, pianto, disperazione, miseria, fame, involuzione, annientamento di ogni sogno, distruzione di ogni speranza: è la fine di tutto ciò che con sacrificio e fatica si è costruito.La guerra è la peggiore espressione del genere umano che in questo dimostra di essere tra tutte le creature la più irrazionale e crudele: abitua l’uomo a convivere con la tremenda legge del fine che giustifica i mezzi e obbliga uomini, fondamentalmente onesti, giusti e buoni, a trasformarsi in feroci assassini, a compiere l’atto più ingiusto e disumano che un uomo possa compiere verso un suo simile che è costretto, suo malgrado, ad uccidere per non essere ucciso. Il dolore di una madre a cui viene ucciso il figlio, di una sposa a cui viene assassinato il compagno o un figlio è inimmaginabile, come spaventose sono le conseguenze che ricadono sempre sui più deboli e che nessuna causa può mai giustificare.Come deve essere abolito il concetto di patria/nazione (da sempre motivo di lutti e sventure) per essere sostituito con il concetto di Patria Universale, senza per questo rinunciare alla propria cultura, alle proprie tradizioni, alla propria sovranità, così deve essere abolito il concetto di guerra dalla mente e soprattutto dalla coscienza degli individui, come possibilità di risoluzione dei contrasti tra  popoli, ma contestualmente ogni popolo deve essere educato alla pace, alla concordia, alla fraterna collaborazione, alla valorizzazione delle differenze culturali, politiche, sociali, religiose.

Occorre un nuovo sistema politico mondiale che rifiuti a priori ogni condivisione ai conflitti armati in grado di sancire un accordo imperituro tra le nazioni a non ricorrere in nessun caso all’uso delle armi. Un nuovo ordine internazionale in grado di istituire un esercito mondiale, composto da volontari, con il compito di prevenire e di spegnere ogni focolaio interno ed internazionale che possa trasformarsi in un conflitto armato tra le parti, ed ogni popolo deve contribuire, a seconda delle sue possibilità, al suo mantenimento. Per giungere a questo occorre pervenire all’istituzione di un Governo Mondiale che abbia il controllo delle forze armate e la capacità di unificare le stesse.L’egemonia mondiale di una sola potenza auspicata da Bertrand Russel può essere la soluzione del “meno peggio” ma ha come contropartita lo spettro che questa ceda alla tentazione di imporre il suo potere su tutti, a meno che non si trovi il modo di neutralizzare questo pericolo.Ma anche in questo caso la possibilità di una nuova guerra sarà alquanto aleatoria se contestualmente non ci sarà una forte volontà politica, da parte di ogni nazione, di EDUCARE, attraverso la scuola, le nuove generazioni all’idea che la pace, figlia della giustizia e della democrazia, è possibile, sempre e dovunque mediante la scienza della convivenza sociale e del processo integrato delle culture. Insomma, trovare una strategia adatta a scongiurare una guerra è solo una guerra rimandata, se non si interviene sulla coscienza degli uomini. Art. 11 della Costituzione recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli."

August 19, 2021


Seguo le vicende afghane da quasi trent'anni, dapprima come ricercatore e giornalista e poi, più da vicino come “practitioner” di varie organizzazioni internazionali attive in Asia centrale.
Se sono stato anch'io colto alla sprovvista dalla rapidità del crollo del regime di Kabul a Ferragosto, non ho mai avuto dubbi che questo sarebbe stato l'esito finale della sciagurata invasione lanciata dagli USA nel 2001. Ricordiamo alcuni punti fondamentali. Durante l'intervento sovietico in Afghanistan (1979-1989), gli USA hanno armato ed addestrato bande di fondamentalisti islamici provocando l'esplosione della “jihad” (e del traffico d'eroina) a livello mondiale. Dopo che il paese sprofondò nel caos in seguito all'abbandono sovietico, sempre gli USA approvarono la presa del potere da parte dei talebani. Quando, in maniera a tutt'oggi inspiegata in modo razionale, avvenne l'attacco dell'11 settembre, Washington decise d'invadere il paese senza uno straccio di prova che riconducesse i terroristi al regime dei Talebani.
Quella in cui gli europei sono stati coinvolti per vent'anni è stata dunque una guerra d'aggressione senza qualunque base legale. Tale guerra gli americani l'hanno condotta sulla pelle degli altri (l'Alleanza delle minoranze afghane del Nord) o seppellendo le posizioni nemiche di bombe, ogni volta falciando decine di innocenti.
Gli americani si sono quindi ingegnati a mettere al potere una serie di dipendenti delle loro multinazionali, completamente scollati dalla realtà del paese. In parallelo, con l'entusiastico sostegno dei vassalli europei, si è cercato di vivere in un paese di comunità agricole tradizionali il modello occidentale di stampo anglo-americano. In tal modo, gli occidentali hanno ripetuto l'errore sovietico, solo sostituendo il liberismo al marxismo. Peggio prima, la stragrande maggioranza degli afghani (non i dipendenti delle ONG mostrati dalle TV italiane) ha accolto con ripugnanza un modello di modernità che anche da noi semper di più si rivela come insieme marchio, basato su com'è sulla mercificazione di ogni valore , la competizione quale regola onnipresente, un femminismo puritano anglossassone che crea odio verso gli uomini, pornografia di massa come “liberazione”. Per non parlare degli eccessi “LGTB”, che suscitano orrore in tutte le società ad est della linea Varsavia-Istanbul.
Anche trascendendo dall'avversione delle masse per gli pseudo-valori occidentali, il tentativo di applicarli in Afghanistan nasceva morto nel momento in cui non si prevedevano sforzi per la costruzione di un'architettura statale ed economica efficace per il nuovo protettorato. I sovietici questo lo fecero ed in effetti il ​​regime da essi lasciato a Kabul ottenuto per reggersi da solo sette anni (1989-1996).
Sotto gli americani, nella corruzione regnante di governanti senza scrupoli al soldo dello straniero, le masse si sono riallineate ai rappresentati del vecchio ordine – che per inciso avevano anche bloccato un narcotraffico ridivenuto imperante durante l'occupazione.
Per anni Washington e le sue ignave ancelle europee (i soli a credere nella retorica dei diritti umani) hanno cercato di corrompere quanti più gente possibile per portare qualcuno dalla loro parte. Costoro li abbiamo visti accalcarsi dietro gli aerei all'aeroporto di Kabul. 
Per noi europei la cosa più indicata da fare di fronte a questo disastro sarebbe di trarne le debite conseguenze e scuotersi da un torpore che ci porterà solo nuove tragedie.
Vent'anni fa scrissi che l'Afghanistan, dopo essere stato la tomba del potere sovietico, annunciava l'inizio della fine dell'egemonia anglossassone sulla scena internazionale. Sottolineo anglosassone invitando chi legge a finirla con la retorica dell'“Occidente”, che è solo una sovrastruttura per il dominio anglo-americano sul resto dell'Europa. Le immagini che arrivano da Kabul servono a riflettere sul fatto che strutture come la NATO non contano più a creare sicurezza contro l'instabilità (basta guardare alla Libia) in cui l'Italia è oggi immersa. I paladini dell'“Occidente” smettano di stracciarsi le vesti per le mogli dei funzionari defenestrati di Kabul ed inizino invece a concentrarsi sulla situazione delle donne saudite, martoriate da un regime a cui il sistema a cui loro si vantano d' appartenere fornisce ogni genere di supporto. Traiamo dalla tragedia dell'Afghanistan le giuste lezioni, dobbiamo tornare padroni del nostro destino se vogliamo evitare nuovi disastri per il futuro, anche perché, data la nuova guerra fredda che USA e Gran Bretagna alimentano contro la Russia, saranno sempre più vicini a noi.

 

 

 

* Fabrizio Vielmini è  analista di Vision & Global Trends ( https://vision-gt.eu )

 

August 13, 2021
 
 Nazarbayev

È sempre difficile trovare un filo conduttore che congiunga l'intera esperienza politica di uno statista, specie se questa si dipana lungo un arco temporale nel corso del quale si sono succeduti eventi politici, economici e sociali di rilevanza storica e rivolgimenti geopolitici epocali.

 

 

Nell'azione politica di uno statista di lungo corso, poi, spesso prevalgono le istanze tattiche ed un pragmatismo tali che oscurano e svalorizzano gli obiettivi strategici enunciati, fino al punto di snaturarli. Come in altri ambiti, anche in quello politico è sempre presente, infatti, l'eventualità di quel processo che viene definito come l' eterogenesi dei fini . La consuetudine del e col potere, inoltre, induce sovente nel politico una sorta di ossessione, di smania di presenzialismo il cui risultato è quello di piegare, se non di sacrificare, il bene comune, l'interesse nazionale e perfino le internazionali relazioni al proprio egotismo. Nel caso del primo presidente della Repubblica del Kazakhstan,  Nursultan Nazarbayev , ciò non è avvenuto.E non è avvenuto non solo in ragione della sua tempra psicologica, delle sue doti caratteriali, delle competenze e delle variegate esperienze umane e politiche che ne hanno ad un tempo favorito, forgiato e consolidato il suo ruolo di “servitore del bene comune”, ma anche e soprattutto per una “visione globale” della politica internazionale e del destino del Kazakhstan in questa visione.

L'essere un  civil servant , direbbero gli inglesi, o un  grand commis d'État , i francesi, è la cifra che sembra contraddistinguere meglio di altre il percorso di Nazarbayev quale uomo pubblico. Il servizio per il bene comune è stato infatti l'imperativo cui Nazarbayev ha tenuto fede con senso di responsabilità e di equilibrio sia nella passata esperienza sovietica sia in quella inaugurata trent'anni fa con la proclamazione della Repubblica del Kazakhstan. Nazarbayev ha fatto tesoro della sua esperienza sovietica cogliendone gli aspetti positivi e stare attento a non ripercorrerne gli errori.Ma l'opportunità storica di costruire ex novo la repubblica e lo stato nazionale del Kazakhstan dopo il collasso sovietico hanno, in un certo qual modo, ha messo in evidenza le sue peculiarità di statista proattivo sulle questioni della pace e del raggiungimento dell'armonia internazionali.

“Pace ed armonia paiono essere, dunque, due tra i principali vettori della visione politica di N. Nazarbayev

Ci sono alcuni motivi razionali sui quali vale la pena riflettere per capire appieno quanto l'iniziativa internazionale del Kazakhstan, promossa da Nazarbayev fin dalla nascita del stato nazionale, sia stata, in alcune fasi, caratterizzato dalla volontà di nuovo processi di pace durevole e armonia a livello regionale ed internazionale.

Uno dei motivi principali è dato dalla posizione geografica del Kazakhstan. L'essere al centro della parte asiatica della massa continentale eurasiatica e ai confini di due giganti, quali sono indubbiamente la  Federazione russa  e la  Repubblica popolare di Cina, pongono infatti la sfida dell'autonomia e del perseguimento dell'interesse nazionale kazaki. Tale centralità geografica pone anche la necessità di trovare una posizione che soddisfa la propria vocazione geopolitica quale perno essenziale per il mantenimento della stabilità regionale. A distanza di trent'anni, possiamo dire che l'obiettivo è stato raggiunto: fortunatamente per la regione, ma anche per il Globo intero, la stabilità è, fino ai nostri giorni, mantenuta grazie alle politiche volte alla pace ed alla cooperazione internazionale perseguite dal primo presidente kazako.

L'altro motivo per cui sono state favorite politiche ed iniziative volte al raggiungimento dell'armonia in ambito domestico, e sul quale necessita riflettere per comprendere l'iter politico di Nazarbayev, è dato dalla grande sfida che il primo presidente della nuova repubblica ha dovuto affrontare: quella relativa alla frammentazione sociale, etnica e religiosa cui l'intero corpo della giovane Nazione poteva incorrere. Il Kazakhstan è un  Paese multietnico, permeato da culture varie e sensibilità religiose diverse; nell'epoca degli identitarismi ideologici e degli egoismi neonazionalisti o del cosiddetto scontro di civiltà – per dirla con le parole dello scienziato politico statunitense  Samuel P. Huntington – solo una oculata politica volta all'armonia ha potuto salvare questo paese dalla catastrofe, e con esso la stabilità dell'intera regione centroasiatica.

Le iniziative di Nazarbayev riguardo alla pace ed all'armonia non si limitano però al solo perimetro nazionale e/o regionale. Esse, infatti, vengono declinate ed implementate per circa un trentennio in ambito globale. Il progetto ATOM, riconosciuto a livello ONU, ad esempio, costituisce un concreto passo verso il disarmo mondiale, così come le iniziative volte alla costituzione della Unione eurasiatica regionale un passo verso non solo una una garanzia ma un elemento per il raggiungimento di una cooperazione armonia in campo economico e politico a livello mondiale. Anche le iniziative volte al Dialogo di Civiltà, dapprima volte ad assicurare una “pace” domestica tra le varie sensibilità religiose, si ampliano con i Forum dedicati alle questioni internazionali più scottanti (Iran, Siria, Caucaso, ecc.),

Oggi, il primo presidente della Repubblica del Kazakhstan ai suoi successori ed alle generazioni future una eredità politica – costellata di istituzioni e di .

 

*Tiberio Graziani è Presidente di Vision & Global Trends. Istituto internazionale per le analisi globali

July 06, 2021

Il  webinar  dedicato alla discussione sul Mediterraneo e sulle possibili direzioni da intraprendere per la costituzione di una Pax Mediterranea è stato organizzato e organizzato da Vision & Global Trends – International Institute of Global Analyses, in collaborazione con la Scuola degli Studi Internazionali dell'Università di Trento . Il Webinar è stato condotto dal Dott. Tiberio Graziani, Chairman di Vision & Global Trends e moderatore dell'incontro, il quale ha commentato acutamente le presentazioni dei relatori, esprimendo posizioni e considerazioni personali legato ai temi esposti.

Paolo Bargiacchi – professore ordinario di Diritto Internazionale all'Università degli Studi di Enna “Kore” e docente di Diritto internazionale ed Europeo della Sicurezza presso la Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia del Ministero dell'Interno – apre la discussione focalizzandosi sulle sfide del diritto internazionale nella costruzione della stabilità mediterranea. Seguendo un approccio prettamente giuridico, egli rimarca la presenza di alcune richieste europee, essenziali nella loro presa in considerazione per la costruzione di una Pax Mediterranea. In modo particolare, si sofferma sulla necessità da parte dell'Unione Europea di esaminare nuovamente alcuni valori fondamentali sui quali essa è fondata. Eccellente esempio per avvalorare tale tesi è la problematica immigratoria che permea le acque del Mediterraneo: vi è, negli ultimi tempi, un mutamento ed ampliamento della tutela dei valori fondamentali dell'uomo, con norme ad applicazione molto più estese (extra-territoriale) e fondate sulla “giurisdizione situazionale.” Tale mutamento porta necessariamente alla necessità di una ridiscussione del concetto di “protezione internazionale” e, di conseguenza, dei diritti stessi dell'uomo. Secondo il Prof. Paolo Bargiacchi, questa revisione si rivela essere una delle principali sfide che i governi europei affrontare nel prossimo futuro: una questione oltre che giuridica di ricalibro delle priorità, che azione basilare la ride dei valori principi dell'Unione Europea, adattandoli a contest situazionali contemporanei prima della stesura di nuove norme atte alla risoluzione di problematiche correnti come, per l'appunto,

L'incontro prosegue con un'accurata contestualizzazione geopolitica del Mediterraneo e del ruolo dell'Europa nel quadro della sicurezza mediterranea a cura dell'Ammiraglio Fabio Agostini – Comandante dell'operazione EUNAVFOR MED SOPHIA nel 2020 e attualmente Comandante dell'operazione EUNAVFOR MED IRINI. L'Ammiraglio sottolinea la centralità del Mediterraneo come crocevia economico e bacino di maggior interesse per la sicurezza e la stabilità nel più ampio scenario internazionale. Esso è un punto d'incontro tra Europa, Nordafrica e Asia occidentale, tre continenti con diversità politiche, economiche, culturali e religiose, che molto frequentemente diventano miccia di conflitto. Il Mediterraneo è un'area ambita anche da attori non regionali – come Cina, Russia, Turchia e Stati Uniti – con mire di espansionismo di influenza e perseguimento di interessi nazionali. La sua sicurezza, quindi, pare cruciale in quello che l'Ammira definisce il “Giardino di casa” del Fronte sud-europeo e della Nato. Da qui l'importanza dell'attivismo dell'Unione Europea attraverso operazioni, prima EUNAVFOR MED SOPHIA (2020) e ora EUNAVFOR MED IRINI (2021), atte al mantenimento della stabilità e della sicurezza nell'ampio Mediterraneo e, più forte, in territorio libico, essendo la Libia il fulcro delle problematiche dell'area mediterranea nell'ultimo conferimento. Pertanto, vi è uno sforzo europeo coeso e sinergico su diversi fronti – economico, militare, umanitario e diplomatico – utile sia nel garantire sicurezza, sia nello sviluppo di “finestre di opportunità”. Riguardante tali finestre di opportunità, un disaccordo tra il relatore e il moderatore emerge a proposito dell'amministrazione Biden. A differenza dell'Ammiraglio Fabio Agostini, ma anche del Prof. Pejman Abdolmohammadi, il Dott. Tiberio Graziani non l'amministrazione americana come un'opportunità di alleanza sfruttabile nuova che, nonostante il Mediterraneo rappresenti un elemento di relativa importanza per il presidente americano, egli sembrerebbe più concentrato sulla relazione del contezioso cinese e, molto probabilmente, anche russo.

In breve, stabilità e sicurezza rappresentano due obiettivi chiave per la creazione di una Pax Mediterranea. Vi è, tuttavia, un terzo elemento – la cultura – non di minor rilevanza. Una Pax Mediterranea, infatti, necessita di trovare un punto di equilibrio tra i popoli che abitano il Mediterraneo e i quali condividono diversi valori. Per far ciò, oltre che a riadattare i valori occidentali, una profonda conoscenza geostorica e geoculturale dell’altro diventa inderogabile.

A tal proposito, il contributo di Pejman Abdolmohammadi – professore di Storia e Politica del Medio Oriente presso la Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento e Ricercatore Associato dell’Istituto Italiano di Politica Estera (ISPI) – sull’Italia e la diplomazia culturale nel Mediterraneo diventa rilevante.

Per poter discutere nuovamente alcuni valori fondamentali dell’Unione Europea nel contesto contemporaneo cruciale è non rimanere intrappolati nei modelli teorici; interessante riflessione condivisa sia dal Prof. Nicola Melis, sia dal Dott. Tiberio Graziani. Concentrandosi sulla teoria della modernizzazione di Samuel P. Huntington, il Prof. Pejman Abdolmohammadi ribadisce la frequenza con la quale personalità governative e istituzionali rimangono soggiogate da modelli teorici che non consentono di ampliare le personali visioni e di migliorare la politica corrente.

Egli definisce la modernizzazione come un fenomeno multidimensionale, composto da una modernizzazione economica, politica e culturale. Allo stesso modo, anche il potere non è univoco, ma articolato in diverse fonti di potere: economico, militare e simbolico. Quest’ultimo aspetto viene spesso ignorato a causa dell’impossibilità della sua misurazione; tuttavia, essenziale nel contesto della diplomazia culturale. La diplomazia culturale viene definita come “bacini comuni e elementi di rispetto reciproco e riconoscenza;” cosa che, negli ultimi anni, in Europa è sostanzialmente diminuita. Secondo il Prof. Pejman Abdolmohammadi, la diplomazia culturale diventa elemento cruciale per la creazione di una Pax Mediterranea, in quanto lo studio e la comprensione di culture differenti consente di trovare punti d’accordo e amicizia con altri attori – nella fattispecie mediterranei -, instaurando un equilibrio tra diversi valori.

In tale ambito l’Italia, a parere del professore, potrebbe svolgere un ruolo principe nel riportare in auge la diplomazia culturale nell’area mediterranea grazie all’inesistenza di una narrativa di colonialismo legata al paese, a differenza di altre nazioni europee, la quale, assieme all’impronta positiva lasciata nel corso della storia, consente all’Italia di costruire legami di fiducia tra i diversi attori del Mediterraneo.

L’essenzialità della cultura per la creazione di una Pax Mediterranea e la diffidenza nei confronti di modelli teorici, viene reiterata anche da Nicola Melis – professore associato dell’Università di Cagliari, esperto di storia dell’Impero Ottomano e docente presso l’Università di Cagliari di Storia e Istituzioni dell’Africa mediterranea e del Vicino Oriente e di Storia e Istituzioni dell’Africa – con la sua presentazione intitolata: Conoscenza geopolitica e religiosa in prospettiva storica. Il Prof. Nicola Melis sottolinea come, a suo parere, la Pax Mediterranea dovrebbe fondarsi sullo spirito della Dichiarazione di Barcellona o Partenariato euromediterraneo (1995), permeata da una forte impronta culturale esplicitata dal “rafforzamento del dialogo politico e sulla sicurezza e la cooperazione economica, finanziaria, sociale e culturale” tra i diversi attori mediterranei. Tale impronta culturale, come enfatizzato anche dal Prof. Pejman Abdolmohammadi, viene spesso tradita dai paesi europei, i quali risultano essere eccessivamente legati ai modelli teorici. Evidenza di tale affermazione è l’immagine corrente del mondo musulmano. Riprendendo le teorie di Samuel P. Huntington, con un focus sulla teoria dello scontro delle civiltà, il Prof. Nicola Melis espone come il mondo musulmano sia oggi considerato come una comunità compatta con comunanze etico-culturali, politiche e geopolitiche. In realtà, esistono diversi mondi musulmani, così come diversi mondi arabi, caratterizzati sì da comunanze – esempio il fattore religioso – ma anche da altrettante diversità. Questa erronea immagine viene concepita alla fine del XIX secolo, durante l’epoca imperialista, quando vi è una ripresa geopolitica da parte dei popoli europei del modello darwiniano delle civiltà. Un modello che si traduce in gerarchie di civiltà e che vede l’Europa come portatrice di progresso e, pertanto, superiore rispetto alle altre civiltà. L’immagine della civiltà musulmana viene successivamente imposta e diffusa alle altre popolazioni mediterranee, riadattandosi a contesti geopolitici differenti e creando quindi modelli astorici. Ritorna prepotente perciò l’idea che si debba dubitare dei modelli teorici perché costruiti per specifici momenti storici e necessità geopolitiche che sono differenti da quelle contemporanee. È necessario, quindi, per poter costruire una Pax Mediterranea rivedere i valori occidentali, riscoprire la cultura dei popoli e creare nuove norme pertinenti con l’attuale scenario geopolitico.

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