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FRATELLI TUTTI: ANCORA UN FERMO NO ALLA PENA DI MORTE. MA SANT’ AGOSTINO NON ERA ABOLIZIONISTA!

By Roberto Fantini October 26, 2020 2986

Anche nell’Enciclica Fratelli tutti, papa Francesco persevera nel suo appassionato impegno di rifiuto radicale nei confronti della pena di morte, operazione indubbiamente meritevole di essere apprezzata e salutata con gioia da parte di tutti coloro che hanno a cuore la sorte dei diritti umani e, quindi, dell’intera umanità.*

Ciò che disturba non poco, però, in tale operazione, è il palese tentativo di rilettura del passato mirante a far apparire la Chiesa cattolica come sostanzialmente abolizionista fin dalle sue origini, cercando di far scomparire, con un’ abile mossa tattica (in puro stile gesuitico) secoli e secoli non soltanto di mero assenso nei confronti della pena di morte, ma, anzi, di pugnace teorizzazione teologica, nonché di convinta e sistematica applicazione pratica.

Basterebbe, a tale proposito, ricordare che, nell’Antico Testamento, la legge mosaica prevede non meno di 36 peccati gravi punibili tramite lapidazione, rogo, decapitazione, strangolamento, che il libro di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene venne messo all’Indice dei libri proibiti, e che lo Stato Pontificio, prima, e lo Stato del Vaticano, poi, hanno ritenuta la pena capitale pienamente legittima: nel primo, impiegata fino al papato di Pio IX (ultima esecuzione per ghigliottina nel luglio del 1870), mentre nel secondo è stata legale fino al 1969 e rimossa dalla Legge fondamentale solo nel 2001.

Ma, per quanto concerne il lontano passato, Francesco si limita a dirci che “Fin dai primi secoli della Chiesa, alcuni si mostrarono chiaramente contrari alla pena capitale” . E, “ad esempio” di ciò, cita le parole di Lattanzio, il quale ebbe a definire “un crimine” la pena di morte (al di là di qualsiasi distinguo) e quelle di Papa Nicola I, il quale esortò a liberare “dalla pena di morte non solo ciascuno degli innocenti, ma anche tutti i colpevoli”, aggiungendo poi un ampio stralcio di una lettera di S. Agostino al giudice cristiano Marcellino (lett.139), in cui si esorta a non fare ricorso alla pena capitale nel processo relativo ai crimini di sangue commessi da alcuni aderenti all’eresia donatista.**  

Tutto questo dopo aver evidenziato che papa Giovanni Paolo II aveva espresso “in maniera chiara e ferma” che la pena capitale doveva essere considerata “inadeguata sul piano morale” e “non più necessaria sul piano penale”.***

In questo modo, con un vero e proprio gioco di prestigio, la rivoluzionaria scelta abolizionista attuata da Francesco (concretizzatasi nella revisione dello stesso Catechismo) finisce per essere presentata come cosa in piena sintonia sia con le lontane radici storiche della Chiesa che con il suo coerente sviluppo nel tempo, non risultando più  un radicale quanto felice momento di rottura (quale essa incontestabilmente rappresenta), bensì soltanto il punto di approdo di un organico processo corale.

Ma la realtà è ben diversa! Secoli e secoli di sostegno teologico e di ricorso alla pena capitale (nonché alla tortura) non possono essere messi in soffitta da un paio di isolate citazioni di personaggi non certo di primissimo piano, né tantomeno da una lettera (innegabilmente bellissima) di un S. Agostino insolitamente mite e clemente, in cui, tra l’altro, non si condanna affatto la pena di morte in sé,   ma soltanto se ne sconsiglia l’impiego esclusivamente in merito ad un ben determinato caso giudiziario. Quello che risulta, pertanto, particolarmente intollerabile e che indigna fortemente è l’indecente operazione volta a far apparire Agostino d’Ippona (fierissimo sostenitore della pena di morte e vero e proprio pilastro e punto di riferimento filosofico-dottrinale per tutti coloro che, nel tempo, si sono schierati a favore di questa) come alfiere e pioniere della causa abolizionista.

Siamo, cioè, costretti a riconoscere che, anche con un papa per tanti aspetti ammirevole come Bergoglio, ci ritroviamo, ancora una volta, di fronte ad una prassi ricorrentemente adottata dalla Chiesa cattolica, costituita da una intenzionale manipolazione della storia, dal tentativo, cioè, di una riscrittura del passato in funzione dei propri “superiori interessi”, al fine di poter sempre apparire come la somma, perenne e fedelissima annunciatrice e portatrice del Bene e del Vero.

Comprensibile, certo, l’imbarazzo di questo papa straordinario nell’assumere una posizione tanto radicalmente in antitesi con quanto predicato e praticato dalla propria amata Chiesa, il cui magistero, “per sapientissima disposizione di Dio”, pretende di essere sempre considerato indissolubilmente connesso e congiunto con la sacra Scrittura e con la sacra Tradizione****. Ma la sua è e resterà una scelta innovatrice e rivoluzionaria (forse la più rivoluzionaria del suo pontificato) e come tale merita di essere intesa ed apprezzata. Per fare questo, però, in maniera onesta (e quindi pienamente credibile) è indispensabile che ci sia, innanzitutto da parte dello stesso papa, coraggiosa chiarezza sul piano della conoscenza storica.

D’altronde, proprio nell’Enciclica Fratelli tutti, Bergoglio, con una lunga autocitazione *****, ci insegna che

                                         «la verità è una compagna inseparabile della giustizia e della misericordia. Tutt’e tre unite, sono essenziali per costruire la pace e, d’altra parte, ciascuna di esse impedisce che le altre siano alterate. […] La verità non deve, di fatto, condurre alla vendetta, ma piuttosto alla riconciliazione e al perdono. Verità è raccontare alle famiglie distrutte dal dolore quello che è successo ai loro parenti scomparsi. Verità è confessare che cosa è successo ai minori reclutati dagli operatori di violenza. Verità è riconoscere il dolore delle donne vittime di violenza e di abusi. […] Ogni violenza commessa contro un essere umano è una ferita nella carne dell’umanità; ogni morte violenta ci “diminuisce” come persone. […] La violenza genera violenza, l’odio genera altro odio, e la morte altra morte. Dobbiamo spezzare questa catena che appare ineluttabile».

E verità impone che, prima di ogni altra cosa, si riconoscano, da parte ecclesiastica, i propri difetti, i propri limiti, le proprie colpe, le proprie contraddizioni: operazione questa certamente difficile e dolorosa, meritevolmente avviata sotto il pontificato di Giovanni Paolo II e ripresa più volte da Bergoglio, ma ancora troppo blanda e incompleta . E verità irrinunciabile dovrebbe essere, da parte di papa Francesco, in vista di un futuro di vera giustizia e vera misericordia, il riconoscere e confessare, senza censure, omissioni, minimizzazioni ed equilibrismi, le incommensurabili responsabilità nei confronti dei fiumi di sangue fatti scorrere dalla Chiesa di Roma per tanto tempo, in nome del cosiddetto mantenimento dell'ordine sociale e della preservazione dell'integrità dottrinale. Fiumi di sangue resi possibili da una Chiesa postcostantiniana, guidata dall’etica del compromesso e dominata dalla nefasta influenza del pensiero agostiniano. Da una Chiesa, cioè, rinnegatrice dei principi del Discorso della montagna, traditrice del suo dovere di farsi costruttrice di pace e sostegno dei diseredati. Da una Chiesa fattasi, invece, per innumerevoli volte, spietata persecutrice e sterminatrice di quanti, nel tempo, quegli altissimi principi e valori hanno tentato di ricordare, insegnare, difendere, diffondere e praticare.

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*https://www.flipnews.org/component/k2/e-la-chiesa-disse-no-alla-pena-di-morte.html

** Lettera Enciclica Fratelli tutti del Santo padre Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale265. http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html

***ibidem, 263.

****Dei Verbum, Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione promulgata dal Concilio Vaticano II, Capitolo II, 10.

*****Discorso nel grande incontro di preghiera per la riconciliazione nazionale, Villavicencio, Colombia, 8 settembre 2017.

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Last modified on Monday, 26 October 2020 15:32