L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Free mind (191)

Lisa Biasci
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Avevo in programma un incontro con il Dr. Antonio Ballarin, è esperto in Fisica Quantistica – è esperto Visiting Professor alla University Canada West di Vancouver - per raccogliere anche le sue impressioni internazionali in merito ad un riconoscimento nel riconoscimento che gli è stato attribuito da un'autorevole organizzazione per i suoi studi campo dell'Intelligenza Artificiale – nomina un Senior Member della International Neural Network Society, USA -. Per una strana coincidenza, ci siamo trovati a riflettere insieme su alcune fasi della Storia d'Italia dell'immediato dopo la guerra ovvero degli ultimi periodi del secondo conflitto mondiale, nelle terre al confine con la Jugoslavia. Da tempo desiderosi di produrre degli approfondimenti storico-documentari sulla 'Strage di Vergarolla' del 18 Agosto 1946, ancora avvolta nelle nebbie di anomala vaghezza: ma, pur nella consapevolezza che esiste congrua documentazione che possa giovare a porre nella giusta evidenza quel pessimo, crudele, evento, trovo un muro di forti difficoltà e persino delle reticenze che non mi consenta di procedere nella direzione auspicata. E proprio il colloquio con il dottor Antonio Ballarin, mi forse forse contribuito in ciò. Per quelle strane coincidenze offerte dalla quotidianità, ho appreso dall'intervistato che poche ore prima aveva diramato, una pubblica Lettera indirizzata – attraverso i mezzi di informazione – al prossimo Presidente del Consiglio dei Ministri, la cui designazione potrebbe essere imminente, e intesa a richiamarne l'attenzione circa “Il rispetto dei diritti degli Esuli istriani, fiumani e dalmati”. Accantonati i miei intendimenti precedenti, che potrò riprendere in altro momento,

 

 

Egregio Signor Presidente.

Da italiani, sia per scelta sia per nascita, non possiamo che essere contenti per l'esercizio di registrazione con le elezioni dello scorso 25 settembre. Finalmente saremo guidati da un governo espressione del voto popolare e non da uno maturato da accordi di Palazzo, come accaduto negli ultimi anni. 
Abbiamo ascoltato con grande interesse, in questi giorni, le dichiarazioni degli esponenti della maggioranza appena eletta e che Lei, signor Presidente, avrà l'onore e l'onere di governo. Da tali esponenti in queste ore, è stato espresso in un concetto che ci sentiamo tanto di condividere totalmente: uno Stato è più credibile ed è tanto più considerato, quanto più onora e rispetta i Trattati internazionali che esso stesso ha sottoscritto.                                                                                                   

Noi crediamo che sia arrivato, alfine, il momento di rispettare quei Trattati che non sono stati ottemperati fino ad oggi, provocando, in tal modo, un grave danno al mondo dell'Esodo Giuliano-Dalmata. Ci riferiamo al Pace di Parigi del 1947 il quale, al punto 9 dell'allegato XIV, nei seguenti che: “I beni degli italiani nei Territori ceduti […] non potranno essere trattenuti o liquidati […], ma essere restituiti ai rispettivi proprietari”.                                                                  

Come sappiamo a tale Trattato, ampiamente disatteso, seguirono diversi accordi bilaterali tra Italia e Jugoslavia - accordi del 23/05/1949, 23/12/1950, 18/12/1954 - tutti poi tramutati in attuative, che in sintesi sancivano il pagamento dei debiti di guerra dell'Italia nei confronti della Jugoslavia utilizzando i beni degli Esuli a fronte dell'impegno dello Stato italiano di un successivo risarcimento per l'esproprio perpetrato.

Ebbene, gli Esuli istriani, fiumani e dalmati ed i loro discendenti, sono ancora in attesa di un “equo indennizzo”, avendo percepito solo una minima parte di quanto promesso.    

Si tratta di un indennizzo che, secondo i nostri calcoli, si aggira intorno ai 4,5 miliardi di euro.                

Una cifra che sembra enorme, ma che se confrontata con l'attuale pubblico debito (ad oggi pari a circa 2770 miliardi) rappresenta l'1,6 per mille.                                                                    

Quanto fin qui non è solo una questione di vile danaro popolo, si tratta, piuttosto, di un'espressione di civiltà attesa da lunghi decenni da un intero civiltà.                                                                    

Gli Esuli ed i loro discendenti si sono rifatti una vita in Patria, eppure resta l'insopportabile retrogusto amaro nella consapevolezza di essere stati ignobilmente usati per domande geopolitiche giocate sulla propria pelle.

 

La vita della nostra gente è stata tutta in salita per troppo tempo, anche dal punto di vista culturale. Sempre a doverre giustificare la propria identità, sentendosi dire che la sofferenza patita era il giusto scozzese per colpe di altri. Il giustificazionismo è un concetto terribile che porta allo stupro della ragione, definendo accettafatti l'eliminazione di un qualcosa o qualcuno - magari per mezzo di una foiba -, su cui far ricadere i mis di qualcun altro.                                                         

Per questi motivi auspichiamo anche l'emendamento della Legge 167/2017 che punisce la propaganda, l'istigazione e l'incitamento al razzismo e chiediamo l'inserimento di una menzione specifica al negazionismo e giustificazionismo per i crimini commessi in Istria, Fiume e Dalmazia in merito alla persecuzione anti-italiana avvenuta a guerra finita.                                                              

Così come auspichiamo che possa essere emendata la Legge 178/1951 che disciplina il conferimento delle onorificenze al Merito della Repubblica, senza la quale non è possibile la revoca del cavaliere assegnato al Maresciallo Tito, causa di dolore e sofferenza non solo per la nostra Gente, ma per migliaia di migliaia di persone che si opponevano alla dittatura comunista jugoslava.                                               

A tale proposito vogliamo ricordare il pronunciamento del 19 settembre 2019 in cui il Parlamento europeo - presieduto da David Sassoli - approvò a larghissima maggioranza (89%) la risoluzione: "Importanza della memoria europea per il futuro dell'Europa", che condanna tutti i totalitarismi del XX secolo, equiparando in tal modo il comunismo al nazismo.                                          

L'attuale maggioranza, così come maturata il 25 settembre, ha dimostrato nel tempo grande sensibilità ai temi qui sotto.                                                                                                                                 

Confidiamo nella sua futura opera.

                                                                                 Antonio Ballarino

(E sule di seconda generazione . Nato al Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma nel '59. Past-Presidente FederEsuli - Federazione delle Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati. Vicepresidente Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.Consigliere Associazioni Dalmati Italiani nel Mond - Fondatore MondoEsuli - Movimento per la memoria e la promozione di Istria, Quarnaro e Dalmazia .)

 

Certamente uno scritto di elevato spessore e di contenuti precisi e tali da poco margine alle interpretazioni: nella conquista, che – se la question si è trascinata fino ad oggi, restando irrisolta, al di là di ogni assicurazione potuta o voluta offrire da parte della Politica – basterebbe solo un minimo di buona volontà per porre fine a una vicenda che, decisamente, si è trascinata per troppo tempo. Un 'grazie' di cuore al Dr. Ballarin per l'attenzione che ha inteso rivolgermi, dandoci appuntamento per un prossimo incontro, questa volta nel segno della Scienza.

 

 

Il 3 giugno del 1960, a Chieti, nasceva Antonio Russo, emblematico esempio di quell'amore per l'informazione vera e libera  che ancora, a 22 anni dalla sua morte, sembra rappresentare quasi un'utopia. 

Nel mese di ottobre ogni anno fino al 2020 si è svolto il  Premio Italia Diritti Umani intitolato ad Antonio Russo , organizzato  dall'associazione Free Lance International Press (di cui lui fu vicepresidente), Amnesty International Italia e Cittanet. Antonio Russo fin in aperto contrasto con l'Ordine dei Giornalisti, cui mai si iscrisse in quanto non reputa da esso tutelati i lavoratori autonomi, i freelance che non funzionano da una sola testata o da una sola emittente ma si impegnano per offrire sul mercato un prodotto libero e fruibile senza essere mediato dagli interessi di singoli che impongono l'informazione dall'alto. L'informazione deve, infatti, fiorire e sorgere dal basso della vita tra gli uomini, reale, autentica.

 

Dalle parole di un’intervista rilasciata al sito di Rai Educational Mediamente, possiamo carpire quale fosse il suo atteggiamento verso l’informazione e verso il mestiere che, anima e corpo, lo spingeva a lottare:

“Le testimonianze dei miei reportage radiofonici sono state conservate nell’archivio della radio e anche trasferite via web. Questo è a mio avviso importante per due motivi. Il primo consiste nel fatto che bisogna comunque possedere una memoria storica. Questo è un dato che un po’ la tecnologia trascura. L’informazione valida è quella che abbia la possibilità di essere reperita storicamente. ‘Laudatur tempores acti’ diceva Dante, ‘si lodino i tempi passati’, in quanto ‘exempla’ di un’esperienza. Gli esempi storici si traducono nella capacità di analizzare il presente e prevedere il futuro con un fondamento abbastanza solido. In secondo luogo penso che la quotidianità dell’informazione attraverso la testimonianza diretta abbia un valore perché fa capire cosa realmente è in atto. C’è ancora parecchia confusione sull’informazione che stiamo portando avanti sul Kosovo. La possibilità di reperire i miei reportage e risentirli via web aiuta la gente ad avere un’immagine più precisa degli eventi in corso. Fondamentalmente noi dobbiamo ricordarci che l’informazione è un veicolo diretto all’utente, non è un soliloquio da parte del giornalista. Bisogna tenere sempre presente che chi è dall’altra parte deve poter comprendere una realtà in cui non è presente. Questo, penso, è il massimo sforzo che i giornalisti devono compiere”
 

Antonio Russo era un cronista freelance che, dalle prime esperienze in Algeria, Burundi, Rwanda, Colombia ed Ucraina, andò infine in Kosovo per l’emittente Radio Radicale per la quale lavorava dal 1995. Qui in Kosovo rimase fino al 31 maggio 1999dove, unico giornalista occidentale nella regione durante i bombardamenti Nato, documentò la pulizia etnica contro gli albanesi kosovari. 

 

Morì nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2000 in Georgia, a soli 40 anni. Il suo corpo fu ritrovato lungo una strada di campagna a 25 km da Tbilisi, con evidenti segni riconducibili a tecniche di tortura militari. Il materiale che portava con sé, videocassette, articoli e appunti, era scomparso, così come anche il luogo nel quale alloggiava a Tbilisi fu rinvenuto svaligiato (ma gli oggetti di valore non furono toccati). Un velo nero si estende tuttora a celare la verità sulle circostanze della sua morte. Dirà la madre durante i funerali svoltisi a Francavilla al Mare, sua città di origine: “La sola cosa che mi consola è che è stata una morte coerente con la sua vita.”
 

Lo ricordiamo come  martire dell'informazione libera e autentica , punta di diamante del giornalismo freelance e persona esemplare che, fino alla fine, ha dichiarato fermamente nella necessità di offrire agli utenti un'informazione, coerente e vissuta in prima persona perché  solo coloro che direttamente attraverso le esperienze possono poi raccontarle in maniera autentica e svelarle al pubblico senza artifici di sorta. 

 

per gentile concessione di TerrediChieti.net

 

 
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Marco Benanti

Qualche giorno fa Marco Benanti ha “festeggiato” l'archiviazione dell'ultima querela, l'ennesima nella sua lunga vita di giornalista “scomodo”, di “cane sciolto” dell'informazione catanese, una “passione” che inizia più di 30 anni fa, da giovane liceale, e che ancora oggi, a 52 anni, non dà segni di cedimento e anzi prosegue, nella veste di direttore di “Iene Sicule”, la testata on line da lui fondata nel 2011. A denunciare per diffamazione Benanti, in questo caso, era stata una esponente del Pd catanese, indispettita da un articolo dai tratti satirici, firmato da un collaboratore di “Iene”, lo scrittore e giornalista Marco Pitrella. “Ho avuto più di centoventi querele nel corso della mia attività giornalistica – ricostruisce Benanti – e sai quante ne ho perse? Zero. Nemmeno una condanna”.

120 querele, un “record” da guiness…

Querela più querela meno. Tutte finite nel nulla. L'80% di questi procedimenti, tra penali e civili, non è arrivato nemmeno alla fase processuale vera e propria. Pensa che in certi momenti ho dovuto “fronteggiare” contemporaneamente più di venti querele.

Un lavoro usurante, insomma

Pensa per un attimo cosa vuol dire ricevere una querela, dover affrontare le spese legali, le identificazioni, gli interrogatori, le giornate in tribunale, le discussioni in famiglia, l'ansia di un processo. Per non parlare dei problemi concreti che ti crea quando devi presentare una domanda per un concorso. Mi è capitato persino che non mi rinnovassero il contratto a termine, quando facevo l'operaio a Sigonella, perché i miei articoli non erano piaciuti all'azienda. Per non parlare poi delle richieste di risarcimento danni…

Cioè?

I più “scafati” non ti fanno pagare la querela ma ricorrono direttamente in sede civile per colpirti economicamente con richieste di risarcimento danni, spesso abnormi. Una volta, uno, mi chiese i danni sostenendo che un mio articolo gli aveva procurato addirittura stati depressivi. Naturalmente perse. Anche se in realtà, alla fine, a perderci siamo sempre noi giornalisti.

In che senso, vinci la causa ma perdi lo stesso?

Già, non è prevista nessuna “sanzione” per chi querela in modo temerario, e nessuna forma di risarcimento per chi viene ingiustamente denunciato, o se esiste io non me ne sono mai accorto. Ma c'è anche un problema di libertà di stampa e di espressione, perché chi querela, parlo soprattutto di Catania, lo fa quasi sempre a scopo intimidatorio.

Vuoi dire per mettere il bavaglio ai giornalisti?

Succede che il notabile la mattina si sveglia, legge il tuo articolo e se non gli piace quello che hai scritto chiama l'avvocato e ti tiene sotto procedimento per anni. Siamo ai livelli della Francia di prima del 1789. La cosa tragica è che gli avvocati osservano questo dato ma nessuno che dica mai che è uno “sconcio”. La sensibilità della magistratura, poi, sul tema delle agibilità dei giornalisti e della libertà di stampa e di espressione è scarsa.

Cosa si dovrebbe fare per arginare il fenomeno delle querele temerarie?

C'è evidentemente qualche vuoto normativo. Innanzitutto occorre introdurre un meccanismo automatico attraverso cui chi faquerele temerarie e perde deve pagare immediatamente una quota. Immediatamente. Oltre, naturalmente, al risarcimento delle spese legali.

Ma qual è il profilo tipo dei tuoi “querelatori”?

C'è un po' di tutto, soprattutto politici, di tutti gli schieramenti, e imprenditori.

Qualche nome?

A mente ricordo Enzo Bianco, Pino Firrarello, Antonio Fiumefreddo, Raffaele Lombardo. Pensa che Lombardo mi querelò mentre lavoravo in Lombardia, mi mandarono a call i carabinieri, mi identificarono. Ma poi non ne seppi più nulla. Una volta tornato a Catania, scoprì che la querela era stata archiviata. Ah dimenticavo, mi ha querelato anche Scuto, quello dei supermercati Despar…

Fare il giornalista a Catania non è semplice, a quanto pare…

Direi che è quasi “impossibile”, se non sei ricco, o se non sei coperto da un editore forte. Il giornalista a Catania è un mestiere per ricchi

 

per gentile concessione di https://www.dayitalianews.com

 

 

"Gentile Presidente Draghi, non immagina quante volte io, che ho scelto liberamente di vaccinarmi, mi sia pentita di averlo fatto.

Mi sono pentita ogni volta che ho visto un padre costretto a farlo per portare a casa il pane.

Ogni volta che ho visto uno studente rinunciare ad una lezione universitaria.

Ogni volta che ho scorto in lontananza una fila di cittadini davanti a una farmacia, in coda per acquistare 48 ore di diritti.

Mi sono pentita ogni volta che ho sentito qualcuno parlare di parassiti, sorci, disertori o blaterare di fucilazioni evocando Bava Beccaris.

Ogni volta che mi sono imbattuta in congreghe di semicolti che tra una risatina e l’altra dileggiavano chi aveva semplicemente compiuto una scelta diversa per la propria vita e sul proprio corpo.

Gentile Presidente Draghi, io della società che Lei e i Suoi sodali state laboriosamente costruendo non voglio far parte.

Non voglio far parte di una società composta da gente che si ritiene moralmente ed intellettualmente superiore per aver acconsentito a farsi somministrare un farmaco.

Non voglio far parte di una società in cui si gode smodatamente per l'emarginazione e l'esclusione di chi ha compiuto - legittimamente e liberamente - una scelta diversa.

Io non appartengo alla schiera di chi obbedisce per quieto vivere.

Non voglio far parte di una società in cui ci si compiace di aver meritato dei diritti, cedendo al ricatto.

Non voglio far parte di una società di individui che accusano, additano e auspicano ostracismi e punizioni per i loro simili.

Io non appartengo alla schiera di chi obbedisce per quieto vivere.

Io non voglio essere premiata con diritti che sono miei per nascita.

Io non voglio che mi concediate alcuna libertà giacché io sono nata libera.

E custodisco la mia libertà come il bene più prezioso.

Pertanto, liberamente Le dico si tenga pure la Sua terza dose, il Suo super green pass e la Sua bella società.

Verrà il tempo."

Dalila Di Dio

 
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C’era una volta la gente comune, gente di ogni giorno, dello stesso condominio, città, paese, fabbrica, ufficio. Amici su facebook o su qualsiasi social. Contatti decennali o semplici contatti superficiali. Gente che sapeva salutarsi, condividere, discutere senza imposizione alcuna. Rapporti civili anche là dove il contrasto di idee poteva farli discutere.

Persone unite da scelte sportive, da religioni, da impegni, da collaborazioni e da qualsiasi altra azione di vita comune. Poi arriva il destabilizzante, infame, vigliacco virus che inorridisce in primo tempo chiunque. Quella stessa gente osserva e trema; uniti dalla stessa paura: il contagio.

Morti, contaminati, immagini su tg che fanno paura, immagini senza risposte, solo filmati di bare, di ospedali pieni, di medici e infermieri distrutti. E mentre signor Covid aumenta di letalità e impesta chiunque la gente impaurita cerca risposte dietro a mascherine in un primo tempo introvabili. File lunghe ai supermercati, strade vuote, permessi per circolare visto il divieto di uscire senza validi motivi. Diventa difficile… famiglie che si vedono attraverso social come watsap o su altri canali. Paura di dare la mano, di abbracciarsi, di stare vicino.

Canti alle finestre in una sorta di unione che ci vede prigionieri di qualcosa di complicato da abbattere. Poi… si parla di vaccino, di qualcosa che ci rende dubbiosi visto la tempistica di approfondimenti e di test troppo poco precisi.

Il resto lo sappiamo. No vax, no pass, si vax, si pass e cresce una guerra intestina fra gente comune. La stessa gente che cantava alle finestre unita adesso si vomita addosso ogni sorta di infamia. Due schiere di persone che si dividono fra chi è a favore e chi a sfavore di un vaccino. Tolte le mascherine per le strade, proteste violente, urli e insulti verso chi la pensa differentemente dall’altro. Amici che non si parlano più, divisioni fra colleghi, rapporti scissi da controversie di pensiero, confusione, caos mentre il virus, riprende quota fregandosene altamente di ognuno. Intanto nel mondo non si parla più di razzismo, di violenza alle donne, di pedofilia e imbrogli di potere. Non si mette più in prima pagina la novità, la notizia del giorno, ma solo ed esclusivamente la lotta fra i fautori del vaccino e coloro che invece affondano questo. Notizie che incitano alla rabbia, all’odio, alla scelta diversa. Notizie che fanno più paura di qualsiasi altra cosa poiché sono quei cenni che nascono appositamente a creare scompiglio senza pensare (o forse si) che solo così nascono le rivoluzioni e le diatribe. La gente viene distolta da altre problematiche per le quali non si pone più domande mentre d’intorno si costruisce un mondo che ci ingurgiterà tutti.

Non dobbiamo avere paura del governo, dei regolamenti, delle leggi, ma dovremmo avere paura di noi, del nostro atteggiamento violento, della nostra rabbia, cattiveria, della nostra cecità. Abbuiamo quei telegiornali che incalzano verso una parte o l’altra: sono loro che pilotano le menti della gente, sono loro quella politica che ci vuole deboli e pecore. Chiediamoci perché si parla sempre meno della nostra situazione politica/economica mentre intanto salgono le tasse e le buste paga sono congelate da anni. Chiediamoci come mai non vi è più alcun scandalo riferito a un magistrato, onorevole, senatore. E le donne uccise, violate, maltrattate? E la fame nel mondo che ogni giorno uccide milioni di donne, uomini, bambini. I diritti umani e civili che fine hanno fatto? Chi li rispetta?

Il covid è un gravissimo virus ma è ancor più grave quando la gestione della notizia rende confusa la gente. Ci vogliono lobotomizzati, distratti, impauriti. Notizie fake che hanno confuso ancor più la gente ormai esasperata. Tutto è cambiato; noi stessi siamo stati resettati ormai automi di un sistema che dirige e manipola i nostri giorni e le nostre menti. La gente dimentica il rispetto, l’ascolto, l’aiuto ma ha ben imparato a combattere, a sputare sentenze e soprattutto si è dimenticata che siamo uomini e donne di uno stesso pianeta dove la fragilità, l’impotenza e la vulnerabilità sono molto simili. Il Covid continua imperterrito il suo cammino di strage e di comando mentre noi, invece di essere uniti lo aiutiamo allo sterminio di una civiltà che ormai di civile ha ben poco.

 

 
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La testimonianza di un compagno di lotte politiche e culturali.

La necessità di riscoprire un intellettuale e un militante purtroppo dimenticato.

Il 4 Gennaio 2012 moriva Carmelo R. Viola. Nato nel 1928 a Milazzo, dove la famiglia si era trasferita momentaneamente per esigenze lavorative del padre, era originario di Acireale, dove aveva vissuto buona parte della sua vita, con un’ampia parentesi rappresentata dal soggiorno in Libia, a Tripoli, come emigrato, dal 1941 al 1949, assieme alla famiglia, e trasferimenti, principalmente a Palermo, legati a problemi lavorativi propri. Purtroppo, dopo la morte, una coltre di silenzio è calata sulla sua figura e sulla sua opera, che, al di là delle diverse collocazioni, si è svolta sempre all’insegna dello spirito libertario, che costituisce, dunque, il trait d’union tra i diversi momenti.

Ebbi con lui un lungo rapporto di corrispondenza e di collaborazione, iniziato, probabilmente, nel 1986, stando ad una mia lettera, risalente a tale anno, che lui mi inviò in fotocopia, come testimonianza cronologica del nostro primo contatto, traendola dal suo nutrito archivio, ch’egli custodiva gelosamente in casa, ben ordinato. Ma io, a quella data, seguivo già da alcuni anni la rubrica di traduzioni italiane di poeti russi e sovietici, che Viola teneva su “La Ragione”, organo dell’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno”, e le note polemiche, molto pungenti e profonde nelle argomentazioni, che pubblicava su questa rivista, della quale fu per lungo tempo uno dei principali animatori. Carmelo R. Viola aveva imparato i primi rudimenti della lingua russa da un cultore triestino, durante il soggiorno a Tripoli, che aveva stimolato la sua vocazione naturale di poliglotta, visto che, oltre alla lingue locali (in particolare l’arabo), aveva imparato il tedesco e l’inglese (oltre al francese) in quanto impiegato, nonostante la giovane età, presso gli uffici delle amministrazioni straniere che si succedevano nell’occupazione del Paese. La dimensione poliglotta dominerà per tutta la vita il Nostro, che diventerà, fra l’altro, traduttore dal russo di alcune parti della monumentale Storia Universale dell’Accademia delle Scienze dell’Urss, edita da Nicola Teti di Milano e una Storia della Chiesa russa, con brani in veterorusso, che doveva uscire presso lo stesso editore. Tra le numerose lingue da lui approfondite nel corso degli anni ricordiamo, inoltre, lo spagnolo, il portoghese e l’esperanto.

Iniziò così uno scambio di opinioni e di materiale durato per parecchi anni (circa un ventennio) e interrotto qualche anno prima della sua morte perché io mi trovai costretto, per vari motivi, a circoscrivere il mio impegno alla critica letteraria e alla poesia, ridimensionando di molto i miei interventi, anche giornalistici, in materia strettamente politica ed ideologica. Ricordo con piacere ch’egli mi mandava enormi pacchi postali con la fotocopia dei suoi articoli di sociologia, che venivano ospitati da una miriade di riviste, e con i volumi progressivi dei suoi Quaderni del Centro Studi Biologia Sociale, che Viola stampava da sé con grande maestria e grande pazienza, digitandoli con uno dei primi computer in DOS, fotocopiando poi le varie pagine, riunendole in libretti ben fatti, con copertina colorata, sapientemente squadrati con una cesoia e spillati con la cucitrice. Purtroppo, le necessità della vita mi impedirono ad un certo punto di far onore a quei pacchi e all’impegno culturale che vi stava dietro con miei articoli di commento e recensioni.

Carmelo R. Viola è stato un personaggio poliedrico, d’impronta leonardesca, dominato, sin dall’infanzia e dall’adolescenza, da una forte carica conoscitiva, diretta verso tutti i campi dello scibile umano, superando la barriera artificiale tra sapere umanistico e sapere scientifico creata in Italia dal dominio culturale crociano, protrattosi per lungo tempo, con riflessi negativi fino ai nostri giorni. Quest’ansia conoscitiva lo ha portato, ancora giovinetto, ad accostarsi, nella Tripoli “liberata” dagli anglo-americani, agli ambienti antifascisti, a leggere i primi fogli da questi ultimi prodotti e diffusi in forma semiclandestina, come “Italia Libera”, che Viola acquista per strada, a collaborare al “Corriere di Tripoli”, quotidiano intorno al quale si raccoglie la nutrita comunità italiana, a diventare apprezzato polemista sulle colonne di questo giornale, nonché protagonista di un dibattito animato, da lui suscitato e determinato da una sua valutazione, ritenuta ingiusta, agli esami magistrali, preparati da esterno, che diventa occasione per una discussione intorno al carattere nozionistico o meno della formazione scolastica vigente, con l’intervento di autorevoli personalità del mondo culturale tripolino, fra cui Eusebio Eusebione, docente di matematica d’origine ebraica, sostenitore del Viola, in contraddittorio con autorevoli personaggi del sistema scolastico “ufficiale”, che sono costretti a regredire verso posizioni difensive di retroguardia. Il Nostro partecipa, inoltre, alle riunioni, anch’esse semiclandestine (e perciò talvolta interrotte dai “liberatori” anglo-americani con il conseguente arresto degli organizzatori), del “Fronte Unito”, d’ispirazione comunista.

Rientrato in Italia, nel 1949, Carmelo R. Viola assume un ruolo da protagonista nell’ambito della pubblicistica d’ispirazione anarchica, collaborando ad “Umanità Nova”, la prestigiosa rivista fondata da Errico Malatesta, a “L’Agitazione del Sud”, organo degli anarchici siciliani, ch’egli contribuisce pure a stampare e diffondere e di cui diviene per alcuni anni anche direttore responsabile, e a numerosi altri giornali dell’universo anarchico-libertario. Va sottolineata l’esperienza della rivista “Previsioni”, da lui fondata e diretta, dal 1956 al 1960, alla quale collaborano figure “eslegi” di intellettuali libertari, come Enzo Martucci, anarchico individualista, e Bruno Rizzi, studioso socialista che contribuisce alla definizione dei connotati del processo di burocratizzazione che investe l’Urss, in netto anticipo rispetto alle manifestazioni eclatanti del fenomeno che poi, diversi decenni dopo, hanno portato al crollo del regime comunista sovietico. Carmelo R. Viola ha acquisito una notevole verve polemica che gli consente di prevalere nei contraddittori instaurati con alti prelati, che pure vantano profondi studi teologici e che, tuttavia, sono costretti ad indietreggiare davanti alle argomentazioni stringenti del Nostro.

Negli anni Settanta del secolo scorso, Viola partecipa con competenza e passione alle battaglie per il riconoscimento giuridico del divorzio in Italia, pubblicando volumi che ottengono un certo successo, sebbene editi da case editrici alternative, per ciò emarginate dal mercato ufficiale: Referendum contro il divorzio. Premeditato vilipendio all’uomo (Edizioni La Fiaccola, Ragusa, 1973). Gode di una buona fama negli ambienti radicali, ai quali si accosta, tanto che suoi interventi vengono letti in importanti convegni, anche quand’egli è impossibilitato a partecipare personalmente. La forza delle sue argomentazioni suscita l’ira della destra neo-fascista, tanto che il Viola viene attaccato da alcuni fogli reazionari. Questi attacchi vengono vissuti dalla vittima come l’incitamento ad una sonora bastonatura da parte di eventuali militanti invasati. Le minacce di bastonature, da parte dell’estrema destra e di una finta estrema sinistra, in realtà al servizio di progetti reazionari, si ripetono negli anni, anche quando Carmelo R. Viola è entrato nella terza età. Alla questione dell’aborto egli dedica un altro volume di rilievo dal titolo illuminante: Aborto: perché deve decidere la donna (Pellegrini editore, Cosenza, 1977).

Nel 1979, in occasione della consegna a Civitavecchia del Premio internazionale “Centumcellae”, proclama ufficialmente la sua nuova teoria sociologica: la Biologia sociale. Il punto di partenza è rappresentato dal “famismo” di Gino Raya, studioso, anch’egli “eslege”, di Letteratura italiana, docente universitario di questa disciplina, che individua nella fame il “primum movens” dei comportamenti umani. Carmelo R. Viola va ben oltre. Individua quattro costanti dell’agire umano: l’autoconservazione; la rassicuranza affettiva; l’identificazione con gli ideali del “microcosmo” e del “macrocosmo” in cui ciascun individuo vive; una quarta costante, trasversale alle tre precedenti, l’auto-identificanza, ch’egli così definisce nel corposo volume La quarta dimensione bio-sociale ovvero cenni di fisiologia dell’identità (secondo la Biologia sociale) (Edizioni Cronache italiane, Salerno, 1996): “L’auto-identificanza […] è il momento finale di ogni rapporto (di affetto e di memoria) che consente al soggetto di ‘sentirsi io’. Io ‘mi sento me stesso’ osservando le cose che conosco, incontrando persone che mi amano, pensando a ideali per cui sono impegnato”.

La società capitalistica soffoca queste costanti che l’uomo, per seguire la propria natura, deve necessariamente soddisfare, mentre la società socialista, come la concepisce Viola, dà ad esse piena realizzazione. Il vero “umanesimo” è, dunque, per dirla con Concetto Marchesi, un “umanesimo comunista”. Viola ha una sua visione originale del socialismo e del comunismo, che si distingue dal marxismo, di cui rifiuta il materialismo dialettico e la lotta di classe come motore della storia e del progresso. La sua è una concezione che ha basi positivistiche, che si ricollegano, a mio avviso, forse indirettamente, a quelle del suo conterraneo Mario Rapisardi, poeta e docente universitario, che ritiene le leggi biologiche applicabili anche alla società e all’arte, e alla “Dialettica della natura” di Engels, che riconosce anch’essa leggi biologiche costanti (trasformazione della quantità in qualità; compenetrazione degli opposti; negazione della negazione) a fondamento di tutto il reale, ottenendo ampi riconoscimenti nell’ambito della filosofia e della scienza sovietica, attentamente, seppur criticamente, studiate in Italia solo da Ludovico Geymonat e dalla sua scuola. Alle spalle sta il positivismo di Auguste Comte, il quale sostiene che, nella società umana in evoluzione, allo stadio teologico e a quello metafisico segue quello positivo, per l’appunto, nel quale gli uomini non cercano più spiegazioni trascendentali ai vari fenomeni, bensì fondate sul “positum”, sui fatti concreti, da cui si desumono leggi generali. Lungo la scia di Comte, Nino Pino Balotta, scienziato e umanista siciliano d’origini anarchiche approdato ad una forma anch’essa positivista di marxismo, afferma che all’era della teologia segue quella della biologia, già in atto.

Un’interpretazione senz’altro innovativa e suggestiva quella di Carmelo R. Viola, che merita di essere approfondita. Purtroppo, nella società “post-moderna” si ripropone il “teismo” in forme rinnovate, basato, però, sempre sull’immagine di un uomo col capo rivolto verso il cielo alla ricerca di spiegazioni e di soluzioni trascendentali. Si tratta dell’ “angelologia” di cui parla Romano Luperini. Ci auguriamo che il Trattato generale di Biologia sociale, al quale Carmelo R. Viola ha lavorato intensamente per lunghi anni, possa vedere finalmente la luce e su di esso si apra un dibattito fecondo di sviluppi teorici.

Negli anni Ottanta e Novanta il Nostro studia criticamente il processo di degenerazione che investe l’Urss ed è tra i primi a comprendere che Gorbaciov non intende affatto rinnovare il comunismo, bensì abbatterlo. Pubblica al culmine di questa riflessione un volume tutto da rileggere: Perestrojka: ricostruzione o capitolazione? Lettera aperta a Mihail Gorbaciov, Cultura Nova Editrice, Rovigo, 1991. La sua visione antidogmatica gli consente di capire in anticipo i fenomeni storici nei loro sbocchi, che risultano, invece, imprevedibili per la massa degli studiosi, che muovono da pregiudizi ideologici di vario segno.

Carmelo R. Viola è stato anche scrittore di valore. Ha affidato le sue memorie di vita a diversi volumetti, usciti anch’essi nell’ambito dei Quaderni del Centro Studi Biologia sociale. Mi riferisco in particolare a Paradiso perduto (Aprile 2008), dedicato alla fase dell’infanzia e dell’adolescenza trascorsa presso i nonni materni, nella contrada Cosentini di Acireale, a La mia guerra (Agosto 1998), in cui lo scrittore racconta come gli effetti bellici si siano riflessi su di lui e sulla sua formazione, nella fase di vita trascorsa, anche qui, presso i nonni e poi nella casa dello zio Turuzzu e in Libia, dove la famiglia, come abbiamo già detto, è dovuta espatriare, e a Mio padre (Luglio 2007), in cui si sofferma sulla figura del proprio genitore e sulla sua esistenza travagliata. Nonostante la tendenza al realismo, non possiamo considerare queste opere “neorealiste”, sempreché si prenda come canone del “neorealismo” quello secondo cui le opere in esso rientranti tendono alla rappresentazione oggettiva della realtà, mettendo “tra parentesi” l’autore, in una sorta di nuovo “verismo”, caratterizzato, però, rispetto a quello verghiano, da una visione “progressiva”, non reazionaria, del mondo. Infatti, Carmelo R. Viola, in questi scritti, supera la divisione tradizionale tra i “generi”, spaziando dalla biografia (con le inevitabili ricadute autobiografiche) al saggio sociologico, sconfinando nella dimensione diaristica. Dietro tutto si nota la mano del “socio-biologo”, il quale vuole trovare conferma alle proprie teorie scientifiche, rivivendo la storia della propria famiglia, che riproduce le costanti biologiche del vissuto umano, dalla “autoconservazione” alla “rassicuranza affettiva”, alla identificazione con gli ideali del “microcosmo” e del “macrocosmo”, nei quali ogni individuo si trova a vivere e ad operare.

Al di là dell’analisi “bio-sociale”, l’opera di Carmelo R. Viola è godibile anche dal punto di vista letterario. Dalla narrazione emerge tutto un mondo (quello contadino), ormai scomparso, un “Eden perduto”, nel quale si muovono, sciolti nella natura, i nonni materni e il piccolo Carmelo, in una dimensione dominata da bisogni immediati ed elementari, da una “religiosità” spontanea, con evidenti radici pagane; un mondo (quello urbano) di piccoli artigiani (come il padre dello scrittore, ebanista, e lo zio Turuzzu, calzolaio) che dimostrano grande maestria nel lavoro, che si trasfonde in vere e proprie opere d’arte (i manufatti in legno, le scarpe), i quali, tuttavia, debbono industriarsi in mille modi per tirare avanti.

Si tratta di un universo umano strettamente legato alla dimensione della “territorialità”, al territorio in cui ognuno è nato e cresciuto, in linea di continuità con le generazioni precedenti, fino ai primordi della civiltà, e in cui ha riversato tutto se stesso, nettamente contrapposto a quello attuale, nel quale prevale l’ “extraterritorialità”, visto che ogni individuo è costretto a passare buona parte del proprio tempo in stazioni autobus e ferroviarie, metropolitane, aeroporti, in luoghi, cioè, completamente estranei, con i quali ha un rapporto del tutto episodico.

Carmelo R. Viola ha avuto la capacità di rappresentare il suo mondo in maniera semplice, con un linguaggio letterariamente limpido, ma, nel contempo, con profondità d’analisi, affidata al suo metodo critico, fondato sulla Biologia sociale.

Franco Ferrarotti, padre rifondatore della Sociologia nel secondo dopoguerra (dopo che il fascismo, se non l’aveva abolita, l’aveva fortemente ridimensionata), ha studiato gli effetti disumananti che derivano dal passaggio dalla civiltà del libro a quella dell’audiovisivo. La prima costringe il lettore al “corpo a corpo” col testo scritto, alla sua analisi serrata, in termini razionali. Nella seconda milioni di messaggi, trasmessi attraverso il computer, vanno a colpire direttamente la parte emotiva del cervello, per cui il singolo, in uno stato che Ferrarotti ha definito “a-razionale”, in una sorta di “sonnambulismo”, si muove come un individuo eterodiretto, senza alcuna capacità critica, né autocritica.

In quella che possiamo definire la “società digitalizzata iperconnessa”, in cui tutti sanno tutto e non capiscono niente (per ripetere, ancora una volta, le parole di Ferrarotti), è necessario riscoprire il pensiero e l’opera di Carmelo R. Viola, soprattutto (ma non solo) a beneficio delle giovani generazioni.

Antonio Catalfamo

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