
L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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da sx Laura Pezzino, moderatrice, Elisabetta Rasy - Perduto è questo mare (Rizzoli), Michele Ruol - Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia (TerraRossa), Nadia Terranova - Quello che so di te (Guanda), Paolo Nori - Chiudo la porta e urlo (Mondadori), Andrea Bajani - L’anniversario (Feltrinelli). |
Lo Strega Tour presente in numerose città italiane, lo scorso 11 giugno ha raggiunto Saint-Vincent (Valle d’Aosta) - i cinque finalisti hanno presentato le loro opere letterarie dialogando con Laura Pezzino, giornalista, scrittrice e direttrice della fiera Book Pride di Milano.
Lo Strega Tour è promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, Strega Alberti Benevento e BPER Banca.
Il vincitore sarà annunciato giovedì 3 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, la cerimonia sarà trasmessa in diretta televisiva da Rai Tre.
Il romanzo pone al centro le dinamiche familiari, spesso segnate da conflitti, manipolazioni, mancanza di comunicazione e forme di abuso. Famiglie senza amore e di un amore senza futuro, dove i soggetti si ritrovano spesso da soli contro tutto e tutti. Un libro lucido, freddo, scarno e tuttavia sotto ogni aspetto di una forza eccezionale. Di pagina in pagina una sottile inquietudine si impadronisce del lettore: merito di un autore capace di scavare con grande abilità nelle paure di molte famiglie di oggi.
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Un sorprendente ritratto dell’animo femminile, condensato in pagine intime e spiazzanti. Le “vicissitudini della vita", le difficoltà, le traversie e le sfide della bisnonna Venera rinchiusa per un breve periodo in un ospedale psichiatrico. Un libro intenso e struggente, che ha la capacità di dare voce a chi non ce l’ha e di raccontare il mondo segreto e solitario delle donne spesso chiuse fra le mura di casa e destinate solo a obbedire nella solitudine. Al centro delle ricerche anche le cartelle cliniche dei vecchi manicomi. Un libro da respiro ampio che getta luce sulle trame che legano le vite delle persone.
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I dialoghi brillanti insieme alla ricchezza di registri, caratterizzano questo romanzo che trabocca di storie intrecciate sotto il segno del “mare di Napoli”, a sua volta personaggio centrale che trasmette segnali e travolge le esistenze. Una storia esemplare di due amici diversi eppure profondamente legati: il padre di Rasy e lo scrittore Raffaele La Capria. Un grande romanzo contemporaneo che include anche tutte le sfaccettature del difficile rapporto tra padre e figlia, situazioni che l’autrice collega a grandi pensatori come Kafka ed Enea; una riflessione sulla storia e sulla condizione umana e un invito a riflettere su l'esperienza di transizione e di ricerca di un nuovo inizio. |
Un libro che fonde mirabilmente le vite di grandi pensatori con la letteratura dialettale di Raffaello Baldini. Oltre a raccontare la vita del poeta e scrittore di Santarcangelo di Romagna questo romanzo vuole essere anche punto di riferimento per riflettere sulla vita e sulla ricerca di un senso esistenziale. Il romanzo corre veloce e ci porta nel mezzo della storia, a vivere, lottare e riflettere insieme ai protagonisti. Un ritratto fuori dagli schemi. Un libro di storia personale e collettiva, scritto con devozione e cura, quasi un’opera d’altri tempi, che si legge d’un fiato.
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Michele Ruol - Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia (TerraRossa) Un romanzo che riesce a mantenersi lieve ma offre piacevoli sorprese attraverso l’enumerazione e descrizione di singoli oggetti. Gli oggetti diventano "ponte" tra ciò che è stato e ciò che non sarà più, soprattutto, come in questo caso, in situazioni di lutto. E riconosceremo in questa storia quella di ogni famiglia che ha il coraggio di deviare la rotta del destino. Non solo un romanzo di formazione ma anche una fiaba a tinte forti, di cui possiede l’inesorabile fatalità dei personaggi, degli oggetti e degli eventi.
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Un’indagine stimolante per riflettere su noi stessi. Faggin scrive il “grande romanzo del mondo interiore” portando in porto un lavoro insieme di documentazione e profetico. La spiritualità si distingue da una teoria scientifica perché pretende di incarnare una verità eterna mentre la scienza è consapevole della propria fallibilità, del proprio essere soggetta a continue modifiche. Parole oggi più he mai attuali, che rendono questo libro una preziosa arma di autodifesa intellettuale. Federico Faggin, un brillante divulgatore innamorato della scienza, da alle stampe questa raccolta di riflessioni invitandoci a meditare sui grandi temi del vivere. La scienza e la spiritualità, la coscienza e il tempo e soprattutto il mutevole tempo interiore dell’io, sono i temi del nuovo saggio di Federico Faggin, l'inventore del microprocessore, la cui profonda competenza scientifica si innerva di un’appassionata sensibilità verso la spiritualità. Uno sconfinato mare, una dimensione fondamentale della psiche e della vita che lo scienziato-umanista ci invita ad attraversare con animo sempre attento.
FEDERICO FAGGIN risiede negli Stati Uniti dal 1968. Fu capo progetto e progettista del microprocessore Intel 4004 e responsabile dello sviluppo dei microprocessori Intel 8008 Intel 4040 e Intel 8080 e delle relative architetture. Fu anche lo sviluppatore della tecnologia MOSS con gate di silicio che permise la fabbricazione dei primi microprocessori e delle memorie EPROM e RAM dinamiche e sensori CCD. Nel 1974 fondò e diresse la ditta Zilog, la prima azienda dedicata esclusivamente ai microprocessori, presso cui dette vita al famoso microprocessore Z80, tuttora in produzione. Nel 1986 Faggin co-fondò e diresse la Synaptics azienda che sviluppò i primi touchpad e touch screen. Ha ricevuto importanti riconoscimenti per la tecnologia e l’innovazione: nel 2010 dal Presidente Obama e nel 2019 dal Presidente Mattarella. Nel 2011 ha fondato la Federico and Elvia Faggin Foundation, un’organizzazione no profit dedicata alla studio scientifico della coscienza, con cui sponsorizza programmi di ricerca teorica e sperimentale presso università e istituti di ricerca statunitensi e italiani. www.fagginfoundation.org
Federico Faggin
OLTREL'INFINITO Dove scienza e spiritualità si uniscono
Edizioni Mondadori pagine 301
Bruna Osimo
UNA DONNA SOLA AL COMANDO
MARISA BELLISARIO, IL GRANDE SOGNO
Giacovelli Editore pagine 177
Una biografia sincera, che rappresenta un’occasione straordinaria per osservare da vicino la vita di una donna temeraria, decisa e ferma nelle proprie azioni e decisioni, così sedotta dal lavoro da trasformare le sue intuizioni in capolavori aziendali futuristici. Un tentativo onesto di rivisitare gli avvenimenti mostrandone i successi ma anche i lati nascosti o controversi sul coraggio di una donna manager che volle e seppe resistere in un ambiente lavorativo dominato da stereotipi e pregiudizi. Il libro è godibile e fa riflettere sul fatto che l'uguaglianza di genere nelle aziende è tuttora un problema complesso e diffuso, con diverse sfaccettature che vanno oltre il semplice divario retributivo. “Marisa Bellisario ha insegnato che perseguire i propri sogni è un atto di coraggio, promuovere un ambiente di lavoro sano, che mette al centro le persone non è impossibile, ma anzi è il fattore che supporta il delicato processo che permette ad un’idea di diventare realtà”.
BRUNA OSIMO ha lavorato in Italel, testimone diretta dell’avventura vissuta dall’azienda negli anni Ottanta dove ha anche collaborato all’attuazione di un programma di formazione del personale interno per la riconversione all’elettronica di prodotto e di processo, nello scenario di transizione al digitale che inizia in quegli anni delle telecomunicazioni e in Italia. Ha vissuto a Mosca, dove a metà degli anni Novanta è responsabile della start up di un centro di formazione per tecnici di telecomunicazione (Mositatel Training Center), una joint venture non profit tra Itatel e l’Università di Telecomunicazioni e informatica di Mosca (MTUSI). È libera professionista, e da dieci anni collabora con una società di Milano nell’outplacement, forte anche dall’esperienza di Orientamento attitudinale maturata nella collaborazione con l’Università Bocconi a partire dal 2003. Appassionata di arte e musica, è laureata in filosofia.
Alberta Biressi, esperta praticante ed insegnante di Yoga al suo esordio letterario, ci racconta una storia drammatica di una vita profondamente ferita che ha saputo rifiorire, scoprendo la dimensione dell’incontro e dell’affratellamento. Ci racconta una storia ambientata nell’area pasolinianamente nota dell’Idroscalo di Ostia, una storia di degrado, ma anche di ritrovata umanità. E ci parla del protagonista del racconto (Cesare), che, superate vicende di grande sofferenza, è approdato ad una concreta forma di saggezza personale, in cui si coniugano il messaggio dell’Attimo fuggente di Peter Weir e quello di Uno psicologo nel lager di Viktor E. Frankl:
saper riempire di senso, di valore e di bellezza il presente che ci è donato e saper resistere all’odio ed alla violenza, trovando dentro di sé la forza di camminare nell’amore.
Con Alberta, delicata scrittrice di rara sensibilità, autrice di un libro prezioso che meriterebbe di entrare nelle aule delle nostre scuole, è nata la conversazione che segue.
Cosa ti ha spinto maggiormente a narrarcela? La stima verso il suo protagonista? La speranza che possa risultare di aiuto e di
Alberta Biressi |
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insegnamento a qualcuno? Oppure?
La prima cosa che mi ha colpito di Cesare è stata la voce, chiara, determinata, intonata nel cantare durante la messa all’Idroscalo. E’ così che l’ho notato. Poi mi hanno incuriosito le cose che diceva di sé. Raccontava di essere stato un delinquente, una persona spregevole e, dato che ho sempre avuto una particolare attrazione per le persone dal vissuto difficile, gli ho chiesto se aveva voglia di dirmi qualcosa di più. Conosciuta poi la sua storia, ho sentito quasi come “ un dovere” scriverne.
I maltrattamenti sui deboli, come lo sono i bambini, gli anziani e gli animali, mi toccano sempre molto e credo che questo sia il principale motivo per cui ho scritto di lui.
Cesare ha più volte ricordato, durante i nostri incontri, l’importanza della presenza di frate Mario, conosciuto in riformatorio. So che ancora oggi, ogni tanto, lo sente. Lui gli ha insegnato a essere prima di tutto amico di se stesso, a prendere in mano la sua vita, a diventare più consapevole e responsabile. Gli ha dato fiducia e gli è stato vicino nei momenti più bui, aiutandolo nel lungo percorso di riconoscimento ed elaborazione del male subito e la via liberatoria del perdono. Oggi Cesare parla con grande rispetto e gratitudine della sua compagna e della famiglia di lei che lo ha accolto con semplicità e senza pregiudizi; la presenza dei nipotini lo rende felice e lo motiva.
“Ogni persona che entra nella nostra vita è unica … Due anime non si incontrano mai per caso.”
Insomma, se non è il “caso” a farci incontrare determinate persone … allora, cosa?
Io so che quando sono attratta, incuriosita da una persona che non conosco, ho bisogno di lasciare che l’incontro accada, quindi mi rendo disponibile, restando aperta a cogliere una qualsiasi forma di dialogo (uno sguardo, un sorriso, un gesto, una parola);
a volte sono io a stimolarlo, altre volte c’è bisogno dell’intermediazione di qualcosa, per esempio un libro, il cane che ci accompagna, che diventa il pretesto per “rompere il ghiaccio”. Ci sono stati degli incontri, anche solo della durata di un viaggio in treno, in autobus o nelle sala d’attesa di un qualsiasi posto, che mi porto dentro con gioia e gratitudine per la loro immediatezza e gratuità. Estranei, mai più rivisti, di cui non conosco neanche il nome, con i quali, anche solo per poco tempo, si crea una certa confidenza e intimità.
Idroscalo di Ostia |
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Sento che questi momenti danno maggiore vita alla mia giornata.
Che cosa sia di preciso non so, ma so che non è mai un caso e che tutto questo ha un senso.
Non so dare una risposta sicura;
io non ho mai chiesto a Cesare che significato abbiano avuto per lui i nostri incontri, ma dalla semplicità e disponibilità con cui sono avvenuti, credo che ci sia stata reciproca stima e simpatia e che entrambi abbiamo scoperto qualcosa di noi stessi dal nostro esserci conosciuti.
QUALCHE CENNO AUTOBIOGRAFICO
Mi chiamo Alberta Biressi, sono nata a Bergamo il 20 marzo 1958. Ho trascorso la mia infanzia e adolescenza in una casa isolata ai confini del bosconelle vicinanze della città; nella nostra casa non c’era la TV, ma neanche il riscaldamento, l’acqua potabile e d’inverno si andava a scuola con la slitta, in compenso si leggeva e così ho trascorso molto del mio tempo tra i libri; è nato così l’ amore per la scrittura che è sempre stato il mio canale privilegiato di comunicazione. Taciturna, solitaria, ho trovato il modo di esprimermi scrivendo. Mi sono trasferita a Roma ventisette anni fa per amore, o almeno così credevo che fosse, ma in questa città mi sento sempre “ una turista per caso”. Abito a Ostia in una casa di fronte al mare. Da quarantasette anni insegno yoga, questa è la mia professione. Attualmente mi occupo soprattutto di Formazione; dirigo una mia scuola e collaboro con altre. |
ALBERTA BIRESSI
NESSUNO NASCE IMPARATO
Homeless Book (www.homelessbook.it)
Febbraio 2025
La poesia ha da sempre avuto un ruolo importante nel raccontare la storia sociale di un popolo. Scrivere poesie è un modo difficile e severo, come quello dello scienziato, dell’economista o dello storico di comprendere e spiegare il mondo
Premessa
La poesia in generale è un vasto e complesso campo di studio. Attraverso letture e ricerche di diverso impegno storico- artistico, morale e civile e annotazioni scritte durante i mei viaggi compiuti nei primi anni novanta ho focalizzato la mia analisi sui punti chiave e degli eventi storici che hanno caratterizzato la nascita e l’evoluzione della poesia in Africa, Asia, Sud America e Nord America, quattro dei sette continenti della Terra insieme all’Europa, all’Oceania e all’Antartide. Raccontare la storia della poesia in modo conciso e con lo stile giornalistico è un’impresa complessa. Raccontarla con chiarezza e passione e senza annoiare è ancora più difficile.
La poesia in Africa, che per molti secoli fu un continente silenzioso, ha ricominciato a parlare; ma il suo dramma consiste nel non avere voce, cioè lingua propria. Il colonialismo europeo ha molti torti nei riguardi del continente africano: per imporre l’imperialismo economico e sfruttare le risorse della terra, ha spogliato gli indigeni di tutti i loro beni e soprattutto della loro cultura, imponendo lingue, costumi e governi europei. Oggi la situazione sta mutando: è l’Africa che entra in Europa, fa sentire la sua voce e vuol far conoscere la sua civiltà, che per un secolo si è nascosta nelle foreste, fra i riti delle tribù, nelle favole e nei canti ripetuti oralmente, nelle musiche trasmesse dai tam- tam. Dopo la distruzione compiuta dai coloni francesi della preziosa biblioteca araba di Abdel Kader, nel 1847, l’unica grande biblioteca nazionale africana fu il popolo stesso che salvò il patrimonio culturale arabo attraverso la tradizione orale.
Nel tempo del colonialismo, l’Europa aveva costruito un’immagine falsa dell’uomo di colore, deformando l’interpretazione sudamericana dei riti religiosi e di costumi storici in miti che giustificavano l’iniziativa di cosiddetta civilizzazione. Cosicché in Europa gli africani servivano solo come ballerini o suonatori di jazz, pugili, o portieri d’albergo, e soprattutto come truppe da guerra; in patria erano braccia per i lavori più estenuanti. Nel ‘700 cominciò una lentissima e saltuaria opera di revisione (specialmente per opera di Montesquieu), insieme con il processo di decolonizzazione. Il progresso della scienza, lo sviluppo dell'antropologia e dell’etnologia, l’affermazione democratica del II dopoguerra, le ideologie politiche che seguirono, hanno favorito l’opera di liberazione dell’Africa. La nuova generazione di poeti esce generalmente da famiglie borghesi che hanno potuto mandare i figli a istruirsi a Berlino, Londra, Parigi e Roma, e quindi sono ritornati in Africa con conoscenze, competenze e una lingua non africane ma decisi a servirsene per affermare i loro diritti. I poeti africani tentano di liberarsi da questa sudditanza forzando il mezzo linguistico ad accogliere gli elementi dei loro dialetti indigeni e cantando il mondo originario della loro natura autentica, del loro amore e del loro soffrire e di tutte le passioni prepotenti ignote all’ormai stanca Europa La poesia africana ha eliminato ogni traccia di folklore e ha esaltato il senso della libertà, la ricchezza delle passioni, la grandiosità della natura di una terra non ancora guastata dalla tecnica, il giusto rapporto dell’uomo con la natura, ha cantato il senso religioso, la storia del popolo e la sua tradizione di favole. L’avvenire della cultura africana sta nel recupero e nella conservazione intatta del proprio patrimonio passato di tradizioni, canti, riti e di vita collettiva e al tempo stesso nel suo superamento verso strade completamente nuove. Merita una citazione Guy Tirolien poeta della Guadalupa, una delle voci più accorate e autentiche della più della nuova letteratura africana. La giovane Africa esprime nei canti del suo poeta la volontà di essere se stessa e di salvare il suo amore per la natura e il suo patrimonio di tradizioni.
La poesia asiatica ha tradizioni antichissime, millenarie e profonde radici religiose. Dalla Palestina all’India, alla Cina, la poesia religiosa, epica e popolare, presenta documenti remoti di rara maturità culturale. Meritano una citazione, i nomi dei Libri dei Salmi (Ebrei), del Mahabarata e del Ramayana (India), dell’Avesta (Persia) e il Libro dei Fiori (Cina). Le forme espressive sono mutate nel tempo, ma il misticismo è sempre rimasto alla base del canto dei poeti, specialmente orientali. Il Confucianesimo, il Taoismo, il Buddismo, hanno dato di volta in volta alla poesia contenuti di pensiero che variano di popolo in popolo, ma che hanno in comune il denominatore religioso.
Nel secolo XIX, la cultura asiatica dall’Armenia, all’India, alla Cina ha subito le influenze delle culture occidentali, chi dell’America, chi dell’Inghilterra.
Dal secolo scorso, si cercano nuove strade alla poesia: in quasi ogni Paese sta realizzandosi una riforma culturale autonoma che cerca di collegare il presente al passato, recuperando ciò che di autentico e originale aveva la poesia antica, ma sfrondandola di quell’apparato di complesse regole metriche e linguistiche che rendevano la cultura accessibile solo alle classi dominanti. È rimasta tuttavia nella poesia orientale una ricchezza di sentimenti, una delicatezza di toni, un senso sublime dell’amore e del dolore umano che collega senza fratture la poesia di oggi a quella del passato. Della saggezza asiatica meritano una citazione: Mencio (filosofo - Cina 372-389 a. C.), Ardaschir I (Persia III Secolo); Nichiren (monaco buddista giapponese).
La letteratura statunitense rispecchia i contrasti e i fermenti di una società giovane e composita e riassume e interpreta la storia avventurosa e contradditoria di un Paese che è nato, si è consolidato ed è balzato alla guida del mondo in un giro rapidissimo di anni. La poesia statunitense, nata di recente, per evidenti motivi storici, è cresciuta col complesso d’inferiorità rispetto alla madre europea di cui aveva ereditato la lingua e le tradizioni, finche, grazie alla vitalità della sua natura e alle spinte formatesi nel suo interno, ha spezzato i vincoli di sudditanza e ha proceduto con piena autonomia. Il gusto dell’avventura e l’ottimismo di una società in rapida crescita hanno dato vita a una letteratura epica che ha avuto nelle imprese dei pionieri il suo tema favorito. La società americana si è sviluppata su radici religiose, che poi si sono mescolate con la baldanza e la completa disponibilità dei cercatori di terre e d’oro, con le frustrazioni degli emigrati cariche di una disperata volontà di affermazione a qualsiasi costo e di rivalsa sugli altri, in un crogiuolo d’idee e di contradizioni che non si è ancora sedimentato e chiarito. Tutto ciò si riconosce e si trova nella poesia americana. Questa è nata dopo la narrativa - una narrativa di frontiera in cui sono confuse storia e leggenda e che ha creato le ottimistiche fantasiose avventure, allegre e iperboliche, di David Crokett e Pecos Bill - e al suo inizio si ridusse a canti popolari o a deboli imitazioni della lirica europea. Il primo poeta che diede forme originali allo spirito pionieristico è Walt Whitman. E’ questi è sempre un verseggiatore spesso prolisso ed enfatico, che tuttavia rappresenta la nuova America, fiera delle sue origini, certa del suo futuro. E’ il poeta dell’ottimismo che si contrappone alla delusione e alla protesta dei poeti d’oggi poiché la società in cui cantava Whitman non aveva ancora preso coscienza delle sue contraddizioni: i problemi più scottanti erano ancora latenti e col passare dei decenni sono emersi con l’inasprirsi delle disuguaglianze – più amare in una società opulenta – con il risveglio del gruppo nero che ha spaccato in due anche il mondo bianco, e infine con la complessità delle angosce dalle quali l’uomo di cultura americano si è improvvisamente reso conto di essere dominato. Il ritmo febbrile della vita occupata quasi esclusivamente da problemi di lavoro, di benessere, di successo e di potenza, il problema delle città sempre più gigantesche e soffocanti, la solitudine dell’uomo, crescente di pari passo con il crescere delle dimensioni sociali; il senso di colpa di una società forte e ricca verso i deboli e poveri; l’insufficienza di prospettive del modo di vivere americano, sono le cause che hanno portato alla formazione accanto al gruppo perfettamente integrato della grande finanza, del potere politico, del divismo, dell’affarismo, del tecnicismo portato al massimo, dell’industrializzazione gigantesca, e della sovrapproduzione, anche di fenomeni di distacco, che si configurano nel vagabondo, prima, e poi nel beat, nell’hippy e altro. Nella poesia americana tutto ciò è presente e alimenta sia la protesta sia il lamento.
La poesia afroamericana si presenta dapprima con i work songs: canti anonimi di lavoro che con il loro ritmo regolare e martellante accompagnavano i movimenti delle persone costrette al lavoro forzato e senza libertà nella loro uguale fatica; e ci furono i plantation songs, canti delle piantagioni, i railroad songs, che nascevano tra i lavoratori delle ferrovie, gli steam beat songs, dei battelli fluviali i chain gang songs, dei lavori forzati. Poi quando la comunità nera incontrò la parola di Cristo, è in essa trovò un appoggio e speranza, nacque quella forma affascinante e unica, mista di musica e di preghiera, di misticismo e sensualità, di religione e di protesta accorata, che è lo spiritual.
La letteratura sudamericana ha fortemente risentito degli eventi storici che hanno interessato il continente. Colonizzate dagli spagnoli e dai portoghesi, le popolazioni indigene sono state spogliate non solo del potere politico ed economico e della loro libertà, ma della loro religione, del sistema giuridico, delle arti, delle tecniche agricole e industriali, del costume in senso pieno. Civiltà nobili e prestigiose come quella Maya, Quiché, Azteca, Quechua, e Inca, sono state distrutte. Le lingue native sono state soppiantate dalle lingue dei colonizzatori e ne restano solo esigue testimonianze, salvate grazie alla vastità del territorio che ha impedito la totale penetrazione degli invasori.
L’influenza spagnola ha quindi dominato e domina tuttora ogni espressione artistica, in questo continente. Nella prima metà del XIX, l’esempio dell’indipendenza degli Stati Uniti, della rivoluzione francese e il tramonto dell’impero spagnolo favorirono le esigenze di libertà dei paesi sudamericani. Questi, dal 1800 al 1821, conquistarono la loro indipendenza politica dalla Spagna e dal Portogallo, ma non si sottrassero alla loro influenza culturale: tuttora la cultura del Sudamerica è chiamata ispanoamericana e risulta dalla fusione di elementi europei con le profonde radici indigene sopravvissute e ricuperate.
I poeti sentirono tuttavia la necessità di riscoprire la propria terra nel suo paesaggio elementare, nelle sue tradizioni antiche e nel bisogno presente di riprendersi la propria libertà e i costumi autentici della razza. Cosicché, fin dal suo nascere, la poesia, anzi tutta la letteratura sudamericana è da considerarsi “ impegnata”, perché legata alla rinascita nazionale e alla trasformazione politica e sociale del Paese. Nel secolo scorso la situazione storica politica del Sudamerica si è ulteriormente complicata: le ideologie europee vi hanno trovato un terreno di lotta: le idee socialiste si sono diffuse, favorite da forti squilibri economico sociali; le avventure dittatoriali sono state incoraggiate dall’instabilità politica. I poeti riuniscono in unico discorso le ragioni diverse delle battaglie, economiche, culturali, contro i padroni esterni e interni, vecchi e nuovi. Merita una citazione, il fenomeno letterario che fiorì negli anni sessanta tra le baracche del Brasile: Quarto de Despejo è il diario struggente di Carolina Maria de Jesus, che ha rivelato al mondo il tesoro di sensibilità e d’ingegno che, nonostante la degradazione della fame, riuscì a esprimersi attraverso le parole di una raccoglitrice di stracci. Il successo del libro ebbe un grande merito: liberò Carolina e i suoi figli dalle favelas. La seconda opera della coraggiosa scrittrice brasiliana cadde nel silenzio e l’autrice rientrò nel mondo dei favelados. Il problema delle favelas nel Brasile è tuttora attuale e complesso. Nonostante alcuni progressi nella pacificazione e nell'urbanizzazione, le favelas rimangono aree di grave povertà, marginalizzazione sociale.
Conclusioni
La poesia può dare voce a chi non ha voce, a chi è spesso escluso dai racconti storici ufficiali, permettendo di conoscere e comprendere meglio le dinamiche sociali più nascoste ma la curiosità dei consumatori di libri è spesso effimera e i libri di poesia che appartengono a un genere elitista, tendono a essere letti meno rispetto ad altri generi letterari.
“Occorre leggere la poesia come se essa fosse la cosa più importante del mondo perché essa è stata tale per chi l’ha scritta” affermava Giosuè Carducci,
Da sempre l’essere umano si è interrogato sul significato della vita e sulla creazione, senza riuscire a dare una risposta definitiva. Nel corso della storia, in tanti si sono affidati a credenze religiose e spirituali, che hanno offerto conforto, ma talvolta alimentato anche paura e incertezze. Le religioni hanno spesso posto l’accento sul mistero della morte e dell’aldilà, senza fornire spiegazioni definitive. Con questo saggio,
l’autore intende esplorare i grandi misteri dell’Universo, indagare il male, la sofferenza, la felicità, cercando di comprendere meglio ciò che è sempre stato avvolto nel mistero. E’ un personale tentativo di far luce su questioni fondamentali, andando oltre le tradizioni, per avvicinarsi alla verità in modo più consapevole e sereno.
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Col fratello del Presidente il senatore Ted |
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È uscito nelle librerie e online il volume “Ecco chi ha ucciso John Kennedy” di Diego Verdegiglio, curato da Andrea Proietti Lupi, per l’editore Carlo Mancosu di Roma. L’opera è una riedizione aggiornata di quanto Verdegiglio e Mancosu pubblicarono nel 1998. Dopo decenni di dubbi, polemiche e ricerche controverse, questo libro è l’opera italiana più completa e aggiornata su quella tragedia. Da essa emerge con chiarezza l’identità del vero assassino, svelando una conclusione del tutto sorprendente. Basandosi sulle varie investigazioni ufficiali e su ricercatori accreditati, sia in Italia che all’Estero,
Con la sorella del Presidente Jean Kennedy Smith |
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Verdegiglio (che vide sfilare il Presidente a Napoli il 2 luglio 1963) ripercorre, fin dalle prime ore del dramma, tutte le indagini pubbliche e private, nonché le numerose “rivelazioni” succedutesi in questi sessantadue anni, avvalendosi anche della collaborazione di noti patologi legali, criminologi e periti balistici.
A conferma dei dati emersi dalle ricerche, l’Autore ha effettuato personalmente delle prove di tiro col fucile italiano Carcano 91/38 utilizzato da Lee Oswald e vari sopralluoghi a Dallas, a Washington, a Boston e a New Orleans, analizzando e confutando anche le teorie di Jim Garrison, Mark Lane, Oliver Stone, Giovanni Minoli e Gianni Bisiach. L’opera ci guida attraverso i meandri di una storia tragica e appassionante al tempo stesso e costituisce la risposta più convincente e veritiera a tutte le domande che ci siamo posti in questi decenni sul “delitto del Novecento”. Il recentissimo ordine di desecretazione degli ultimi documenti sul “delitto Kennedy” da parte del presidente americano Donald Trump ha creato ulteriore attesa per conoscere i dati definitivi di una storia che nel 1963 sconvolse il mondo. Per chi legga i risultati di questa ricerca di Verdegiglio scevro da pregiudizi e da errate valutazioni, sarà possibile apprezzarne la validità storica e la serietà documentaria. Le tesi anticonformiste dell’Autore susciteranno sicuramente un acceso dibattito e un grande interesse negli studiosi e negli appassionati di Storia del Novecento. Il volume è già stato presentato con successo al Teatro Comunale di Sant’Oreste (Roma) e alla Libreria Borri della stazione Termini. Sono intervenuti come esperti il professor Leonardo Grimaldi, medico legale dell’Università Cattolica di Roma, lo psichiatra
Presentazione del libro |
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criminologo clinico Prof. Vincenzo Mastronardi, della Sapienza, e l’esperto balistico Dott. Giorgio Matarazzo.
Il libro è la versione in inglese, pubblicata nel 2025 su Amazon, di un'antologia, a cura di Roberto Donati, che comprende i principali scritti delle c.d. fasi (rispettivamente liberale, autoritaria e totalitaria) del Fascismo, a partire dalla fondazione, nel 1921, del PNF (Partito Nazionale Fascista), fino al voto di sfiducia, da parte del Gran Consiglio del Fascismo, nei confronti di Mussolini, nel Luglio del 1943. I testi inclusi in questa antologia sono il "Programma del Partito Nazionale Fascista", "La carta del lavoro", "Il diario della volontà", La dottrina del Fascismo", "La carta della scuola" e infine "Il primo e il secondo libro del Fascista". I testi sono stati inclusi nella loro versione integrale, con pochi o nessun commento da parte del curatore dell'antologia, con il preciso intento di lasciare al lettore degli spunti di riflessione per una sua interpretazione il più possibile autonoma. La traduzione in inglese dell'antologia è stata affidata ad Antonio Menna.
Su Amazon
https://www.amazon.it/ANTHOLOGY-HISTORICAL-ITALIAN-FASCIST-1921-1943/dp/B0DY1NXP13
https://www.youtube.com/live/E8jl8HhicMg
È dell’autore, scrittore e compositore musicale Domenico Guida, il libro “Le Istantanee di un’Atmonauta” Raccolta di pause e poesie, di cui si parla al momento.
Edito nel 2024 da Progetto Cultura e segnalato nel web su ben 20 siti di vendita libri, tra i quali: libreria Rizzoli, Libraccio, Unilibro, Luccasapiens e tanti altri; una visibilità che prosegue inoltre, attraverso interviste radio. Le presentazioni dal vivo animate a seguire, da concerti, ne arricchiscono la percepibilità e la percettibilità visto che si tratta di poesie e testi di canzoni, composti ed interpretati dall’autore: una multiesposizione che rende merito alla dinamica contaminazione nelle svariate espressioni artistiche dell’autore che collega il libro al suo ultimo progetto: Retorika, un Concept-album con allegata una Graphic-Novel nella rappresentazione di ATMO, Alter-Ego di Domenico Guida; un itinerario grafico tra parole, immagini e suoni.
Attraverso istantanee elaborate e Qr Code, il Guida ci conduce verso un viaggio insolito, mai banale, alla riscoperta di vibranti note dell’anima tra giochi di-versi, quale abile manovratore di assonanze, similitudini, allitterazioni, significative cesure e giochi di parole tra sentieri liberi e sciolti, attraversati dal vento, “inventandosi coraggiosamente le ali per fermare un istante, per esserci, nel suo “qui e ora”. Tre le sezioni del libro: Istantanee, Dagherrotipia, Multiesposizione; Sessantatré poesie; Qr Code di Videoclip musicali, canzoni ed elaborate istantanee compongono ordinatamente un fantasioso cocktail artistico dai più svariati colori, dagli evocati profumi (agrumi, caffè, salsedine) e gradevoli sapori di questo libro che si fa toccare, sfogliare per farci volare tra le sue pagine sollevati da un soffio improvviso di vento nel mentre che spazio e tempo… si con-fondono.
Libro di Domenico Guida
Le Istantanee di un Atmonauta
Raccolta di Pause e Poesie
Edizioni Progetto Cultura 2024
pp.126 – Euro 14
Diciamoci la verità: spesso le presentazioni di libri sono eventi preparati e gestiti con molta cura e trepidazione, ma poi frequentati soltanto da sparuti drappelli di affezionati parenti e vecchi amici del cuore.
Ma ci sono, come sempre, in questo strano mondo, regno dell’impermanenza e dell’imprevedibilità, anche splendide eccezioni.
Sabato scorso, alla presentazione del libro di Gabriella Gagliardi su Pico della Mirandola*, ci siamo ritrovati in una splendida sala romana arcigremita da persone interessate e colte (almeno un centinaio), bramose di sapere di più intorno a quel geniaccio raffinato ed elegante, sublime sognatore di mondi diversi affratellati tutti dalla luce filosofica, capace di scavalcare ogni fossato e abbattere reticolati e muraglie divisorie.
Belli e coinvolgenti gli interventi di analisi e commento del testo in questione, rivolti soprattutto a mettere in risalto l’attualità dei messaggi derivanti dal pensiero del nostro filosofo umanista:
Tanti anche gli interventi del pubblico, pertinenti e ponderati, a coronare un momento felice, ricco di filosofia vera, lontanissima dalle elucubrazioni parolaie che tanto il mirandolano detestava. Un momento anche di scambio e di coinvolgimento emotivo, ricco della filosofia amata e vissuta da Pico:
una riflessione aperta ed onesta sulla condizione umana, per affermarne l’ innata dignità e per esortare tutti noi a farci amanti della Concordia e laboriosi costruttori di Pace.
NOTE
*GABRIELLA GAGLIARDI
Giovanni Pico della Mirandola,
ARMANDO EDITORE, GENNAIO 2025
10,00€
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Eva Bordinazzo |
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F. Scott Fitzgerald |
Francis Scott Fitzgerard nato a Saint Paul (Minnesota) il 24 settembre 1896 e muore a Los Angeles il 21 dicembre 1940
Nasce ricco, fu indirettamente discendente dell'autore dell'Inno nazionale americano omonimo.
Non era uno studente modello; rimandato spesso in più materie tanto da lasciare gli studi si arruolò nell'esercito. Anche lì non brillò mai di luce propria; sembrava che il giovane non eccedesse in nulla.
Nel 1919 finalmente qualcosa che lo facesse uscire da una agognata normalità noiosa ma improduttiva. Usciva infatti " di qua dal Paradiso" romanzo scritto in forma quasi autobiografica dove veniva rappresentata la vita giovanile dei ragazzi in quel preciso periodo storico, giovani alla ricerca di leggerezza e disincanto.
Molte similitudini della propria vita vengono largamente descritte nel libro. Le scelte, gli amori, le abitudini, gli atteggiamenti.
Conobbe un anno prima la scrittrice e pittrice statunitense Zelda Sayre, che fu rappresentata nel libro con il nome di Rosalind; anima gemella, spregiudicata, di famiglia benestante con la vita sempre al limite dai comportamenti discutibili, con lui per oltre vent'anni si dettero a una vita pazza, fatta di esibizionismi e spavalderie. Alcuni biografi hanno asserito inoltre che alcuni passaggi dei libri di Fitzgerald fossero stati estrapolati da testi scritti da Zelda e appartenenti ai suoi diari.
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Zelda Fitzgerald |
Alcol, avventure ed eccessi rappresentavano una vita senza regole, giorni bruciati fra inutili pazzie e annebbiamenti mentali; Fitzerald non riusciva a sfondare in alcun modo.
Il suo romanzo "Il grande Gatsby" non ebbe all’epoca alcun tipo tipo di successo tanto che riuscì a vendere meno di tremila copie così andò anche per "Tenera è la notte" romanzo se vogliamo, ancora più ignorato.
La coppia si riempì così di debiti con chiunque, amici, editori, conoscenti vivendo una vita incosciente e improduttiva da ogni punto di vista. Zelda ormai fuori di testa, malata psichiatrica, entrò in manicomio dove prese definitivamente sopravvento la sua schizofrenia mai chiaramente diagnosticata e curata prima. Morì bruciata in un incendio scoppiato dentro il manicomio. Poco prima Zelda aveva concluso il suo romanzo "Lasciami l'ultimo valzer" forse parzialmente autobiografico. Si parla infatti nel libro, di una coppia che vive ai limiti della sregolatezza e dove il marito soffoca in qualche modo la vena artistica della moglie.
Fitzgerald cadde nella più totale desolazione, non riuscì mai ad ingranare.
Nientemeno alla fine degli anni '40 quando gli editori fecero il resoconto sul dovuto all'autore, annotarono sul documento di fatturazione: vendita copie 40 per un totale di 13,13 dollari.
Uno scrittore dal grande ingegno ma con una bassa stima di se stesso e della vita mai presa sul serio. L’autore ebbe diversi scompensi cardiaci e morì d'infarto il 21 dicembre 1940 a soli 44 anni.
Rimase di lui un manoscritto a metà dal titolo "the last tycoon" poi pubblicato postumo con il titolo italiano di "gli ultimi fuochi".
Seppellito con la moglie. Nella lapide fu scritta l'ultima frase del Grande Gatsby: "So we beat on, boats against the current, borne back ceaselessly into the past (così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato)
Neppure al suo funerale ci fu rispetto o commozione dove addirittura fu truccato malissimo dal becchino tanto da sembrare una statua di cera.
Molti i curiosi e i pettegoli intorno, pochissimi i presenti del panorama culturale. Doroty Parker sua amica scrittrice, intervenuta alla funzione, disse di lui guardandolo: Povero vecchio bastardo", nessuno si accorse che quella frase era estrapolata dal Grande Gatsby.
Una curiosità; l’unico vero amico di Fitzgerald, Nathaniel West, autore del "il giorno della locusta", morì fatalmente per la strada che lo doveva portare al funerale a causa di un incidente stradale.
Ernest Hemingway, inoltre lo dileggiò in seguito alla sua scomparsa attraverso le pagine della sua autobiografia in "Festa mobile" dicendo di quanto lo scrittore fosse sempre stato insicuro, buffone e incapace.
Si concluse a 44 anni la vita di uno scrittore dalle indubbie capacità ma come spesso accade, se non si crede in se stessi, non lo faranno neppure gli altri!
“Secretarum naturae rerum cupidus explorator”.
“Princeps Concordiae”.
Credo che queste due celebri definizioni di Pico della Mirandola riescano ad esprimere magnificamente l’intima essenza della sua personalità e del suo pensiero filosofico :
la prima ce lo presenta come bramoso e insaziabile esploratore dei più reconditi segreti del meraviglioso quanto misterioso mondo della Natura;
la seconda, invece, come raffinato e prodigioso intellettuale desideroso di scoprire e/o creare punti di convergenza fra i vari credo filosofici e religiosi, al fine di superare barriere e fossati e di aiutare l’umanità, odiosamente insanguinata da secolari incomprensioni e diffidenze, a recuperare l’arte del dialogo e il sentimento della fraternità.
Su questo coltissimo e geniale pensatore, noto soprattutto per la sua “Orazione sulla dignità dell’uomo”, è in uscita un libro prezioso, acuto ed illuminante*, a firma di Gabriella Gagliardi, collega e amica di lunga data.
Con quest’ultima, è nata la conversazione che segue.
Non sbagli affatto!
Di anni ne sono passati tanti tanti. Ma è proprio questo il bello! E’ quasi come un amante che torna da te, deluso dopo un matrimonio fallito, dicendoti che tu eri il suo vero amore.
Nel caso di Pico, non è propriamente come succede fra le persone in carne ed ossa, ma nella sostanza è la stessa cosa.
Ritrovare gli amori giovanili è bellissimo e ci si può innamorare ancora di più. Tutto avviene in modo inaspettato.
Nel mio caso, è andata così: quando ho sentito alla radio, tre o quattro anni fa, Vito Mancuso suggerire e anzi raccomandare di leggere la breve ma preziosa “Oratio de hominis dignitate”, ho detto: ehi! Ma io costui lo conosco! E, come racconto nella presentazione del libro, mi sono andata a riprendere le carte degli studi giovanili e l’ho ritrovato.
Avevo anticipato Mancuso!
Il “Mirandolino”, come l’ho soprannominato per la sua giovane età, è stato il mio nuovo amore!
Ho sempre avuto, d’altra parte, un debole per gli uomini più giovani di me, belli e intelligenti!
E così, è nato questo libretto. Un dono del destino!
L’obiettivo fondamentale è mandare un messaggio a tutti, ma principalmente ai giovani. Far parlare ai giovani da un altro giovane. Senza paternalismi. In una società disumanizzante e disumanizzata, mi sembra importante ricordare quello che dico e ripeto, che “la più grande battaglia, oggi, è rimanere umani”.
E si può tentare di farlo, secondo me, richiamandosi alla “Dignità” degli Umani e alla Libertà in quanto “Responsabilità”, come scriveva il nostro Mirandolino.
Aveva solo 23 anni, e la cosa bella è che si rivolgeva convintamente – e inascoltato, anzi contrastato – a uomini di potere molto più anziani di lui!
Proprio come avviene ai nostri giorni, in cui il dissenso dei giovani è, spesso, più sapiente dell’insensatezza di tanti altri.
Le accuse di eclettismo e sincretismo sono state da tempo archiviate dagli studiosi che contano: da Garin e Cassirer, innanzitutto, nonché da Cacciari e non solo.
Nel mio libro lo ribadisco ampiamente. Ma la tua domanda, stimolante come sempre, mi induce ad una considerazione estemporanea.
“Sincretismo” vuol dire, etimologicamente, mettere insieme, unire. Solo che Pico non unisce mai, anzi distingue. Egli vuol far vedere che, in ogni pensiero, c’è una scintilla di verità. E che, quindi, non bisogna trascurare nessuno.
E’ il suo “daimon” che lo spinge a ricercare per ogni dove.
Non una copia, quindi, del già-detto, ma una autentica curiositas e un doveroso rispetto per il ben-detto.
Sventagliare un panorama di verità è molto diverso dal mescolarle insieme e giustapporle, confondendole fra loro.
L’originalità, quindi, di Pico sta nel modo nuovo in cui ha evidenziato i temi del passato, e, soprattutto, nella maniera in cui li ha “trasposti”. Tutto il primo capitolo è dedicato proprio a questo argomento.
La tua sapiente domanda mi da’ il modo di integrare la mia precedente risposta.
Tu dici che “sarebbero dovute servire”. Sì, è così.
Quando dico che sono “trasposti” voglio dire che sono usati in funzione diversa. Una delle funzioni era quella a cui fai riferimento: la “Pace filosofica”, che stava particolarmente a cuore al Nostro.
E’ come se Pico ci dicesse:
“ Guardate quante belle cose hanno detto tutti questi pensatori. Perché non provare a prenderle tutte in seria considerazione (mettendo da parte secolari faziosità e ostilità preconcette), in modo da formare una concorde (benché polifonica) unità di pensiero?”
E’ il NOI che sostituisce l’IO. E questo mi sembra veramente notevole!
Esercizio utopistico-narcisistico o profezia? Io credo entrambe le cose. Nel senso che egli ha coltivato un ideale che poteva costituire, magari a sua insaputa, una sorta di profezia, come, in effetti, si è poi dimostrata, in largo anticipo di tempo.
Che poi fosse un ideale destinato al fallimento poco importa. E’ importante il suo crederci. E un pizzico di consapevole narcisismo direi che non guasta affatto!
Riscoprire il pensiero pichiano potrebbe aiutarci anche a ritrovare un modo più armonico e intelligente di relazionarci al mondo che ci circonda e che ci ha generati?
Il tema della Natura è, a mio avviso, il più importante.
Sia per il mondo greco che per Pico, la Natura è intesa come avente valore in sé stessa, e facente un tutt’uno con l’uomo. A partire dall’ avvento dell’era moderna fino ad oggi, questa visione cambia a scapito e danno della Natura stessa e dell’uomo. La prima viene intesa come diversa e separata da noi, percepita come qualcosa che riceve valore solo in funzione nostra, dei nostri interessi e necessità. Grave errore!
L’infrangersi del legame Uomo-Natura ci ha condotti alla dissacrazione oscena del cosmo in nome del profitto. La stupidità umana, in tal modo, si è votata allegramente alla distruzione: facendo ammalare la Natura, essendo noi parte di essa, finiamo noi stessi per ammalarci.
Per tutti questi motivi, per me rileggere Pico, oggi, è come trovare (o ritrovare) un tesoro nascosto. Sembra contenere questa lezione per noi. Ci dice:
Senza rifondazione dei valori non c’è salvezza!
E questo spiega anche, a mio avviso, il rinato interesse per l’Umanesimo in Europa e negli USA. Giacché, ogni volta che le società si trovano a vivere una lacerante crisi culturale, esistenziale e politica, si sente il bisogno di ritornare all’Uomo, per la nostra salvezza individuale e collettiva. E l’Umanesimo, oggi, è tornato ad essere attuale perché si è riaperto, in maniera particolarmente drammatica e in forma anche del tutto inedita, il problema della condizione umana.
*GABRIELLA GAGLIARDI
Giovanni Pico della Mirandola,
ARMANDO EDITORE, GENNAIO 2025
10,00€
L’opera è stata presentata con successo nella prima giornata della Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, Più libri più liberi 2024 presso La Nuvola di Roma.
NOTA BIOGRAFICA
Gabriella Gagliardi nasce a Salerno e vive da molti anni a Roma.
Laureatasi a Napoli in Filosofia morale, con il prof. Aldo Masullo con il massimo dei voti, ha insegnato nei licei e all’Università di Salerno come docente a contratto.
Ha pubblicato, per Armando Editore, Il gatto con gli stivali. Ricerca su fiaba e inconscio (2011), Psicologia del malato oncologico. Non muore il desiderio (ultima ristampa 2021), Coronavirus. La paura il coraggio l’impegno (2020).
Nel dicembre 2023, è uscita la sua prima raccolta di poesie (Distrazioni, Les Flaneurs Edizioni).
Ha vinto il premio letterario “Soprattutto Scrivere” di Incontra Donna con un racconto breve dal titolo Il mito di Dioniso bambino.
Attualmente svolge corsi di Filosofia agli adulti, per il Comune di Roma.
Francesco Pisani è un giovane scrittore dai molteplici interessi culturali. In maniera liberamente eclettica, si diverte a spaziare dalla letteratura al cinema, dalla musica (Mozart in particolare) alla filosofia, dalla storia delle religioni al grande pensiero teosofico.
I suoi racconti, pubblicati in alcune raccolte, sono impregnati di amore appassionato verso il Bello e verso il Buono, e mirano, in maniera delicatamente poetica, ad attirare l’attenzione del lettore verso il mondo, troppo spesso ignorato o dimenticato, di chi vive lontano dalle luci della ribalta, spesso isolato ed emarginato, a volte travolto e schiacciato da un sistema socio-economico cinico e disumanizzante. E il suo intento è caparbiamente quello, generosamente benefico, di far emergere in superficie vite nascoste nell’ombra, invitandoci alla scoperta di tabernacoli di umanità preziosa anche laddove potrebbe sembrare esserci soltanto il mero dominio della quotidiana lotta per la sopravvivenza.
Qui di seguito, riportiamo la gradevole conversazione nata con il bravo e promettente scrittore.
E’ evidente che la spinta principale a scrivere ti provenga dal desiderio di invitare tutti noi ad aprire gli occhi su tante situazioni esistenziali imbevute di sofferenza e iniquità.
Non temi, però, che tale tua scelta possa risultare fastidiosa e troppo “disturbante”, nonché venire accusata di eccessivo “buonismo”?
La tua domanda mi fa pensare a quando autori immensi del nostro patrimonio nazionale in campo cinematografico, quali Vittorio De Sica e Roberto Rossellini, venivano aspramente criticati perché
scelsero di mostrare le miserie della società italiana all'indomani del dopoguerra, che evidentemente una certa borghesia conservatrice non voleva che si mostrassero. Trovo che sia molto più "disturbante l'indifferenza e il cinismo di cui siamo sempre più assuefatti: d'altronde "il dolore degli altri è sempre dolore a metà", come cantava Fabrizio de Andrè.
In realtà il mio modesto tentativo è stato quello di seguire una linea che la Letteratura (e l'arte in generale) ha da sempre intrapreso, almeno a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, ossia quello di cercare di raccontare la realtà sociale del proprio tempo. Penso a Giovanni Verga in Italia, autore essenziale nella nostra letteratura, ma troppo spesso dimenticato; o ad Emile Zola in Francia, con la sue magistrali narrazioni della realtà operaia della Parigi di fine secolo, ma anche ad autori come Charles Dickens: tra i primi a dare voce ai bambini, agli orfani, ai poveri, alle persone più umili, nella sfavillante realtà dell'Inghilterra vittoriana.
Credo che tra i compiti più importanti della Letteratura ci sia anche quello di dare voce a chi voce, letteralmente, non ce l'ha o non l'ha mai avuta. L'arte non è solo evasione, intrattenimento o divertissement, ma anche fonte potenziale di crescita interiore e civile.
Non vi è nessuna mitizzazione di un tempo oramai tramontato, anche perché non è che quel mondo fosse idilliaco e perfetto, nonostante sia innegabile che determinate realtà contengano anche una certa poesia nel modo di vivere, di impostare la vita e nel rapportarsi con il mondo, che noi forse abbiamo perso o stiamo perdendo. Penso al film "L'albero degli zoccoli" di Ermanno Olmi. Confesso di amare molto il Cinema.
La povertà era una condizione comune del ceto popolare europeo, fino a mezzo secolo fa, ma per povertà intendo quello che intendeva Goffredo Parise quando scrisse "Il rimedio è la povertà", ossia il sapersi accontentare dell'essenziale rifuggendo il superfluo.
Oggi esiste la miseria, che credo sia di gran lunga peggiore rispetto alla povertà, dove continuiamo a sviluppare nuove tecnologie, prodotti usa e getta, dove si parla sempre più di competizione piuttosto che di collaborazione, dove, nello stesso tempo, le disuguaglianze tra ricchi e poveri tendono sempre più ad aumentare, e siamo sempre più infelici.
Forse dovremmo ripartire proprio da quello che scriveva Parise cinquant'anni fa, nel 1974: il tornare ad una povertà che ci apra gli occhi al valore dell'essere e non dell'apparire, e che ci aiuti a scendere dal piedistallo e a riscoprire che non è essere al di sopra degli altri a renderci migliori.
In che senso la morte non si curerebbe di loro? Forse perché sono già dei non-viventi?
Roberto Bazlen ha scritto una frase che mi ha sempre molto colpito: "un tempo si nasceva vivi e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti e alcuni riescono a diventare a poco a poco vivi".
Nella sua cripticità trovo che contenga una profonda verità, che si può ricollegare alla tua domanda. Credo che nel tempo presente il consumismo e l'uso esasperato della tecnologia stiano portando molte persone a vivere una esistenza sempre più automatica, impersonale, "inautentica", per citare Heidegger, un po' come se fossero già morte, almeno nell'anima.
Lo scenario attuale non è dei più rosei: basterebbe semplicemente accendere un notiziario per rendersene conto, ma trovo altresì fondamentale mantenere una certa speranza nei riguardi del futuro e del potenziale umano insito in ciascuno di noi.
Credo che, per ognuno, una possibile soluzione consista nel selezionare e seguire i valori migliori che la vita può offrirci. Imparare a scartare il superfluo, rifiutando la moneta falsa, gli innumerevoli vitelli d'oro che ci vengono quotidianamente offerti. Mantenere acceso lo stupore per la vita e piantare semi di bellezza che, con il tempo, potranno anche germogliare e produrre le mele delle Esperidi.
Potremmo dire che tutti questi personaggi hanno un loro minimo comun denominatore, quello di non voler rinunciare - come afferma una di loro - “a pensare a un mondo migliore, a un futuro dove non ci sia solo paura, incertezza e lotta per la sopravvivenza”?
Nel mio libro precedente "Il poeta dei quartieri popolari", avevo voluto descrivere le condizioni di quelli che vengono considerati gli "outsiders" per eccellenza, ossia i migranti, troppo spesso strumentalizzati, denigrati o ghettizzati dai diversi schieramenti politici. Nel mio libro ho tentato di dare voce a tutte quelle figure di cui quotidianamente si sente parlare nei notiziari, che incontriamo per strada, ma di cui ignoriamo il nome o la storia. In "Piccoli grandi eroi" ho provato a raccontare storie in cui ciascuno di noi, a modo suo, potesse riconoscersi, soprattutto personaggi accomunati da una componente etica e nella volontà di migliorare il mondo, ognuno con le proprie capacità.
Nella Bhagavad Gita è scritto:
<< La preghiera, a chiunque sia diretta, giunge a me >>.
Credo che in un atto così intimo e personale, quale la preghiera, non abbia davvero importanza l'uso dei nomi o le parole che vengono usate. Il pensiero del credente può essere rivolto a Gesù, a Brahma o a Buddha. Penso che l'aspetto più importante consista nella purezza dell'invocazione e nell'intensità, e trovo che sia davvero importante sottolineare l'elemento universale della spiritualità in un mondo ancora
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Ftancesco Pisani |
così tanto dilaniato dai conflitti etnici e religiosi.
E’ forse proprio questo il messaggio principale che intendevi offrirci?
E' un messaggio di speranza, ma anche di grande responsabilità. Ciascuno di noi può scegliere se contribuire a proteggere e migliorare il mondo che ci ospita, oppure decidere se continuare a distruggerlo attraverso l'indifferenza, l'odio e l'egoismo. Credo che il destino nostro e del mondo sia affidato alle nostre mani, o meglio ancora, alla nostra coscienza, anche perché, come scrisse Publilio Siro:
<< C'è ancora speranza di salvezza quando la coscienza rimprovera l'uomo >>.
Indubbiamente la visione teosofica dell'unità della vita e il concetto essenziale della Fratellanza universale senza distinzione di sesso, razza, casta e colore, esprimono un profondo insegnamento che ci ricorda che ogni essere umano ha uno scopo nella vita, una propria coscienza, un percorso da affrontare, che porterà però un giorno a ritrovarci nella destinazione comune verso cui siamo tutti diretti.
<< Lunga è la strada che conduce ai piedi dell'Uno >>, come ha scritto Kipling in Kim << ma quivi porta il viaggio di noi tutti >>.
Mi piace citare il racconto dell'astronauta Edgar D. Mitchell, pilota della missione spazio dell'Apollo 14, il quale disse che il nostro pianeta, dalla luna, gli appariva bianco e azzurro come un'astronave che viaggiava negli spazi del cielo. In una conferenza che fece dopo il suo ritorno sulla terra, affermò:
<< La popolazione del nostro pianeta è come l'equipaggio di una astronave che deve lavorare in armonia per far tesoro delle proprie risorse e operare in collaborazione se vuole che questa nave spaziale possa sopravvivere >>.
NOTE
*FRANCESCO PISANI
IL POETA DEI QUARTIERI POPOLARI,
NeP EDIZIONI, 2021
**FRANCESCO PISANI
PICCOLI GRANDI EROI
ASS. TERRE SOMMERSE, 2024
NOTA BIOGRAFICA:
Francesco Pisani, nato a Roma nel 1991, è uno scrittore, studioso, traduttore e fotografo italiano.
Svolge la professione di Amministratore Condominiale.
Da sempre appassionato di storia, letteratura e filosofia, ha studiato Scienze della Comunicazione presso l'università di Roma Tor Vergata.
Collabora stabilmente con la rivista di architettura "Abitare la Terra" fondata da Paolo Portoghesi.
Tra le sue pubblicazioni: Masàn l'importanza dello stupore (Il formichiere, 2016), La caduta (ilmiolibro, 2018), Resterà solo cenere (Youcanprint, 2020), Il poeta dei quartieri popolari (Nep Edizioni, 2021: Vincitore della X edizione del Premio nazionale di letteratura contemporanea, come migliore raccolta di racconti, assegnato nel 2022 in Campidoglio a Roma; Menzione speciale della giuria nella sezione narrativa breve della X Edizione del Premio Letterario Nazionale Teatro Aurelio per il racconto "Il Fornaio"), Piccoli grandi eroi (Terresommerse, 2024).
Le sue opere hanno avuto le prefazioni di Paolo Portoghesi, Sergio Caldarella, Giovanni Fontana, Roberto Antoniello.