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Andrea Signini
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September 11, 2018

 
 Aldo Capitini

Una illuminante ricerca di Livia Romano.

 

 

                   Nell’ambito della ormai ricchissima bibliografia relativa ad Aldo Capitini, ritengo meriti un posto di particolare rilievo il bellissimo libro di Livia Romano La pedagogia di Aldo Capitini e la democrazia. Orizzonti di formazione per l’uomo nuovo (Franco Angeli, Milano 2014), illuminante ricerca che ruota intorno alla ferma convinzione che l’intera opera di Capitini sia sorretta da un forte progetto pedagogico e debba essere considerata, pertanto, una vera e propria “filosofia paidetica” (p.13) avente come obiettivo la costruzione di una democrazia capace di spingersi oltre i propri limiti, facendosi “omnicrazia”.

La natura della democrazia - infatti - essendo necessariamente dialogica, implica e impone il rispetto di sé e degli altri, e la democrazia, di conseguenza, per potersi realmente affermare, non dovrà essere semplicemente “insegnata”, bensì occorrerà educare ad essere democratici. La democrazia, infatti, non è cosa su cui potersi limitare a riflettere, bensì cosa da vivere.

Alla base di tutto il pensiero di Capitini   sarebbe possibile riscontrare la presenza di una vigorosa esigenza educativa che, prendendo le mosse da una coscienza appassionata della finitezza, intenda produrre un processo di “crescita eterna” mirante al raggiungimento dell’”omicrazia”, “attraverso la costruzione di una democrazia comunitaria che afferma la centralità di un soggetto relazionale e aperto”, apertura di credito verso chiunque, in quanto ritenuto sempre capace di operare radicali cambiamenti evolutivi (pp.14-15).

Ed educazione democratica, per il filosofo perugino, “ mosso com’è dalla preoccupazione di dare voce agli esclusi dalla storia, alle minoranze che si trovano in una condizione di svantaggio e di emarginazione” significa - sottolinea opportunamente la Romano - innanzitutto educazione alla differenza, “un’educazione che si propone di superare l’angoscia dell’alterità, l’idea che gli altri rappresentino una forza di aggressione di fronte a cui l’individuo si chiude in se stesso come un atomo, non riconoscendosi nella comunione con i tutti” (p.14).

Ma l’educazione democratica è anche vera pratica religiosa e la riforma religiosa rappresenta in Capitini la premessa ineludibile di una efficace riforma sociale e politica. (p.16)

Il mondo intero, infatti, viene sentito come laboratorio in cui il “persuaso” è chiamato a mettere alla prova, realizzandola praticamente, la propria religiosità, in una sorta di “misticismo militante”, in cui l’impegno pratico prevale su quello contemplativo, venendo così ad annullare il dualismo fede-politica.

Quello di Capitini sarebbe un vero “misticismo pratico”, frutto di un attento e meditato confronto fra tradizione mistica occidentale e grandi maestri spirituali orientali.

La democrazia profetizzata da Aldo Capitini è una democrazia planetaria rivolta all’”uomo nuovo”, protagonista di una civiltà cosmica, in un mondo senza confini fondato sull’amore. E ciò sarà reso possibile solo grazie ad una educazione alla democrazia incentrata sul valore della “compresenza” (p.19), intesa come apertura al “tu-tutti” e implicante una conversione del cuore in interiore homine (p.24), “come atto religioso che naturalmente conduce ad una realtà diversa e liberata”, nella prospettiva della creazione di una democrazia pienamente realizzata: l’ “omnicrazia”.

Aprirsi alla compresenza significa che l’io non è più solo, ma con altri, con i tutti, ivi inclusi (ed è senz’altro uno degli elementi più originali del pensiero capitiniano) i morti.

Apritevi e muterete la vostra vita, - scrive il filosofo della nonviolenza - accorgendovi che la compresenza c’è.” (Ed. ap. 1, cit. p.73)

Lo sguardo di Aldo Capitini è quello di un acuto (e scomodo) “maestro del sospetto”, con forti affinità soprattutto con Schopenhauer, per la cruda e onestissima consapevolezza dei limiti, del male e della sofferenza presenti nella natura. Ma la “disperanza” del filosofo tedesco si trasforma, in lui, in luminosa speranza, incentrata sul concetto di compresenza, ovvero nella convinzione di poter ritrovare Dio nell’intimo della coscienza e viverlo nell’incontro corale fra tutti gli esseri.

Riconoscimento della finitezza, quindi, senza rimanerne intrappolati. E coscienza del limite non disperata ma appassionata, facendo sì che la tensione religiosa si aggiunga positivamente sia all’appello leopardiano all’affratellamento solidale che alla nirvanica aspirazione schopenhaueriana (p.32), ricomponendo “nella compresenza la lacerazione tra realtà contingente e realtà trascendente” (p.33), e dando vita ad un movimento continuo e aperto tra finito e infinito. E ben fa la Romano ad evidenziare le non poche affinità, soprattutto per quanto attiene all’apertura verso il pensiero orientale, con Pietro Martinetti, altro grande pensatore del nostro primo Novecento ancora troppo poco conosciuto e studiato. (p.37)

Capitini, in quanto “mistico militante”, si fa quindi continuamente e insistentemente “filosofo della prassi” (p.94) in cui la relazione con Dio si configura come

incontro dinamico che avviene con un tu che è insieme Dio e tutti gli esseri, viventi e non viventi, che partecipano alla stessa comune realtà della compresenza”. (p.96)

Il suo Dio non è un Dio che si rivela, ma un dio che “si dà nella compresenza” e di cui sentiamo la massima vicinanza vivendo la realtà di tutti e l’apertura alla realtà liberata. Dio è infinita possibilità e apertura, “perciò è atto di unità amore con tutti, verso l’intimo, e aggiungente una realtà liberata.”

E il dio capitiniano è un dio deinfernizzato che “salva tutti”, che esclude categoricamente la possibilità di distinguere, separare e contrapporre eletti e dannati. Un dio che potrebbe essere inteso come la raffigurazione suprema della triade di:

libertà – gratuità – amore.

Il “mistico pratico,” - scrive Livia Romano - grazie all’incontro con il divino, sa di appartenere a un’altra dimensione, la realtà della compresenza”.

In Capitini è fermissima e irrinunciabile l’esigenza di affermare una dimensione religiosa liberata da ogni tendenza alla separazione, in modo tale da far coincidere educazione religiosa con educazione democratica. E ciò non in una prospettiva utopica che rinvii ad un domani che potrebbe rivelarsi un “mai”, bensì in quella di una tramutazione che comincia oggi. (p. 101)

Perché Capitini

vuole indicare all’essere umano la via per uscire fuori dalla storia, cioè dall’insieme di tradizioni, guerre, violenze, soprusi, ingiustizie, e creare le condizioni necessarie per fare posto ad un’altra storia, una storia i cui protagonisti non siano più gli eroi, i ricchi e i potenti, ma tutti, anche gli emarginati, gli umili, i folli, i derelitti, i poveri, i malati.” (p.157)

Il principale obiettivo è quindi una formazione “post-egoica” che sappia restituire l’uomo a se stesso.

L’utopia di Capitini - conclude efficacemente la Romano - non è un sogno irrealizzabile, è molto di più, è una profezia per il nostro tempo, che è possibile realizzare attraverso un’ educazione democratica che si concretizzi nel rapporto reciproco e fruttuoso tra religiosità autentica e politicità consapevole. La sua profezia è quindi un’utopia pedagogica. Che ha in sé una progettualità educativa che la apre alla sua futura realizzazione concreta. E’ possibile, credo, nel tempo della liquidità e della post-democrazia, rileggere la compresenza come un principio pedagogico che ha il compito di aprire nuovi orizzonti internazionali: infatti l’omnicrazia, riconducendo tutti all’unità-amore, eleva la coscienza individuale e collettiva, portandola al massimo orizzonte possibile. L’educazione alla post-democrazia dà così vita ad una nuova comprensione e alla necessità di una collaborazione internazionale che, come pensa Capitini, non può limitarsi ad una conoscenza superficiale degli altri e delle istituzioni internazionali, ma deve muovere anche l’animo a sentire l’unità con tutti.”

(p.217)

 

 

Livia Romano

La pedagogia di Aldo Capitini e la democrazia. Orizzonti di formazione per l'uomo nuovo

Franco Angeli, Milano 2014

September 03, 2018

“Ho scritto questo libro con lo scopo di presentare un sistema di insegnamenti e di pratiche dell'occulto che affondano le radici nel contesto della tradizione e della fede cristiana.”

Con questa premessa l'autore compie un vero e coraggioso atto letterario: trovare un collegamento tra occultismo e cristianesimo, considerati spesso incompatibili.

Per capire meglio l'impostazione del libro è di notevole aiuto la prefazione, nella quale si indaga la biografia dell'autore, il suo rapporto con il cristianesimo (il sodalizio con il reverendo Duncan), e dalla quale emerge un concetto di “magia” inteso come sviluppo dell'immaginazione creativa.

I capitoli seguono un percorso ben preciso che segue un cammino personale simbolico, affondando però le conoscenze in situazioni storiche, religiose o letterarie ben precise.

In chiusura ogni capitolo presenta delle meditazioni molto interessanti, che possono essere eseguite anche in pochi minuti, che sostengono la vitalità e la concentrazione.

I primi capitoli offrono un excursus storico che va dal regno alessandrino (Alessandro Magno con le sue conquiste apportò un sincretismo religioso e l'idea dell'unico Dio), al rapporto iniziale tra ebraismo e cristianesimo, passando per Gioacchino da Fiore e l'eresia francescana, i Templari, il ciclo arturiano e l'amor cortese, l'alchimia, la cabala, la Divina Commedia...

Un concentrato di conoscenze che a volte rende difficile la lettura, che deve avere il tempo per “sedimentarsi”.

Un libro per “cercatori”, per chi si pone in un percorso di auto-conoscenza che unisca studio, impegno e creatività, un libro che rispecchia l' impegno editoriale di Spazio Interiore, attento da sempre alle tematiche spirituali affrontate con studio e originalità di punti di vista.

 

 

Gareth Knight

Viaggio iniziatico nei mondi interiori:
un corso in magia cabalistica cristiana
Spazio interiore 2018

August 05, 2018

Il potere e la magia dei tarquini nella città eterna con il libro sulla monarchia dei Re di Roma di Sposito e la mostra della civiltà etrusca ai Musei Capitolini aperta fino a gennaio 2019: un periodo storico del governo di Roma poco studiato ma affascinante.

 

Il mondo etrusco, contaminato con quello romano, raccontato dal libro di Silvio Sposito : gli Ultimi Re di Roma (Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo), un finestra aperta sulla monarchia etrusca (616 a.c. fino al 509 a.c.) che governò la città eterna (edizioni Cangemi). Un popolo, i Tarquini, diluito con i romani, conquistatori, ma rispettosi della cultura altrui, fino a promuovere cittadino romano (Civis Romanus) lo straniero. E mentre noi alziamo muri gli avvenimenti ci insegnano di un’osmosi tra la cultura greca, romana ed etrusca presente oggi nei nostri luoghi come le tombe dipinte della necropoli dei Monterozzi a Tarquinia, i resti di Norchia, Roselle, Populonia, Vetulonia, del Foro Romano e del Palatino oppure negli affreschi della tomba di Francois di Vulci. Un tomo di 352 pagine presentato presso il Circolo del Ministero degli Affari Esteri a Roma, durante un luglio infuocato, così come lo è stata la conquista del potere dall’ultimo Re etrusco, Tarquinio il Superbio, tanto crudele quanto astuto. Il suo potere dura 40 anni, e prende il comando al Senato gettando il predecessore e suo suocero, Servio Tullio, dalle scale. La figlia, Tullia, in perfetta in sintonia con il marito Tarquinio Il Superbio, pone fine alla vita del padre, investendolo con un carro. Insomma non si facevano poi tanti problemi all’epoca, ma tutto sommato pensandoci bene, neanche oggi. Le pouvoir pour le pouvoir, tante è che anche l’imperatore Claudio (etruscologo ante litteram) viene avvelenato dalla moglie con un piatto di funghi e al suo alter ego, un ipotetico bibliotecario dell’Imperatore, viene affidata la narrazione del libro (ndr avendo a disposizione molti testi antichi del suo erudito padrone).

 

Il libro presentato nella Sala della Musica del Circolo, da autorevoli personaggi del mondo accademico artistico e culturale, come l’ex ambasciatore Umberto Vattani, classe 1938, noto per aver ricoperto diversi incarichi di governo, per le sue decisioni non sempre condivise ma uscito indenne dal mondo della politica. Forse l’amore per l’arte lo ha salvato è , infatti , un’ affezionato socio del circolo del Ministero Affari Esteri e promotore del libro sugli Ultimi Re di Roma di Silvio Sposito medico e scrittore originario di Tarquinia. Un testo stuzzicante, sugli eventi culturali e politici etruschi, dove la donna aveva gli stessi diritti dell’uomo mentre i sogni erano presi in seria considerazione per interpretare i fatti presenti e futuri, e avevano anche un potere onirico curativo e lenitivo (ndr l’oniromanzia – incubatio – praticata dal medico greco Ermocrate sull’isola Tiberina, sorta di antecedente classico della moderna psicoterapia). “ L’On. Vattani (profusore di energie per migliorare il Circolo) - racconta lo scrittore – ha veramente letto il mio libro, lo si capisce dalla padronanza che ha del testo. Un giudizio critico e lusinghiero – continua Sposito - mi è giunto dal prof. Paolo Carafa, archeologo della Sapienza di Roma. E’ un libro di facile lettura ma di vicende importanti. Lo scopo del testo non vuole essere un mero intento commerciale ma prevalentemente culturale e, spero, artistico. I fatti e gli episodi più salienti sono accompagnati da riproduzioni di celebri opere d’arte, sia antiche che moderne e contemporanee, ad essi ispirate”.

 

La dinastia degli Etruschi si chiude con una fatto tragico l’episodio della morte di Lucrezia, la bella e virtuosa matrona collatina, moglie del suo primo e unico marito, Spurius Lucretius Tricipitinus, prefetto dell’ urbe, violata dal tracotante e viziato Sextus, figlio del Re, ammaliato dalla bellezza pudica della donna. Lucretia non regge al disonore , si sente contaminata (ndr da una tintura maleodorante e indelebile), e alle conseguenza di una possibile gravidanza, si uccide…si trafigge il cuore, confessando, però, prima al marito e al padre il gravissimo misfatto. Inizia così una rivolta per vendicarla e per togliere il potere tirannico alla dinastia di Tarquinio il Superbio. La prepotenza del Principe come i fatti del Circeo dove ragazzi ricchi e viziati abusano di due ingenue giovani donne, ecco, questo succede quando la ricchezza e il potere non sono bene orientati.

Hanno introdotto l’evento anche la Prof. Luisa Chiumenti architetto e docente, coordinatrice di mostre a Valle Giulia e altre importanti città italiane, film e immagini di Roma con le musiche di Moricone. Viviana Vannucci storica dell’arte, giornalista, promotrice di rassegne organizzate a Castel Sant Angelo di Roma nascosta. Giuseppe Sartori, storico e archeologo. Adelaide Paolini insegnante e attrice in una serie di episodi ed eventi. “Silvio Sposito – chiosa la Chiumenti - mi colpi subito per come proponeva gli eventi ai soci del circolo, trasmettendo l’eredità della storia ,con le sue stratificazioni e comunicandola fuori dagli ambienti circoscritti. Portare la cultura fuori dai luoghi ristretti - continua l’architetto - mostrare una città in miglioramento, all’epoca furono fatti importanti opere, vedi, la cloaca massima, ed oggi con il consiglio nazionale degli architetti, l’obiettivo è di costruire ambienti felice e luoghi belli”

Per chi vuole toccare con mano il vicus cuscus, così chiamato dagli emigrati dell’Etruria in seguito all’ascesa dei re tarquini, vi segnaliamo l’esposizione archeologica inedita sulla civiltà etrusca aperta fino al 29 gennaio 2019 presso i Musei capitolini di Roma. In ottobre invece in una location autorevole, il Campidoglio, nuova introduzione del libro testè descritto.

 

 

July 18, 2018

Il Papa attuale ha riportato in primo piano la figura di Francesco d'Assisi, nome scelto per “ricordarsi dei poveri” come lui stesso ha sottolineato.

Ma la storia di Francesco ha subito stravolgimenti importanti che il libro ben documentato di Chiara Mercuri espone con una scrittura scorrevole.

La biografia ufficiale di Francesco è stata scritta da Bonaventura da Bagnoregio. Ufficiale per ordine del papa e dello stesso Bonaventura che, durante il capitolo generale, tenutosi a Parigi nel 1266, ordinò di distruggere tutte le precedenti biografie di Francesco, affinché non vi possano essere confusioni nell'interpretazione della volontà del Santo, questa la “scusa ufficiale” mal' intento programmatico era quello di nascondere le vere intenzioni di Francesco, la cui storia, dunque, è stata “negata”.

Perché questo accanimento contro gli scritti precedenti? Cosa contenevano quella biografie molto più veritiere di quella ufficiale perché scritte dai suoi contemporanei, fratelli che avevano condiviso con lui la vocazione iniziale?

Forse perché quegli stessi insegnamenti di Francesco non si conciliavano con una Chiesa che era a tutti gli effetti una Stato, arricchitasi tramite riscossioni di tributi, un Chiesa lontana dagli ideali pauperistici del Santo, per il quale tutto doveva basarsi sul lavoro manuale, senza accumulare ricchezze. Il movimento francescano è stato utile alla Chiesa che si è rifatta, tramite gli ordini mendicanti, un'immagine di istituzione vicina agli ultimi. È pur vero che Francesco ha sempre manifestato un'obbedienza alle istituzioni ecclesiastiche, ma forse era proprio l'esempio della sua vita a risultare “scomodo” alle gerarchie ecclesiastiche.

Il Francesco di Bonaventura è un asceta, un mistico, e nel ripercorrere la sua vita l'autore cancella la parte “umana” con lo scopo di rendere il santo qualcosa di difficilmente imitabile. Persino lo scritto più famoso di Francesco, il “Cantico delle creature” viene omesso dalla biografia.

Sparisce l'uso della lingua francese, lingua dell'affettività e dell'autenticità dell'uomo Francesco, che si ricollegava anche alla sua cultura cavalleresca, lettore e buon conoscitore delle saghe in lingua d'oil, sparisce il rapporto di Francesco con Chiara, la sua “prima pianticella”, spariscono le tensioni avvenute nell'ordine già mentre Francesco era in vita, sparisce la “grande tentazione”da lui avuta negli ultimi anni di vita, di ribellarsi.

L'immagine che Bonaventura vuole dare è quella di un santo da non imitare, senza cultura, con tratti quasi misogini, senza esitazioni.

Il santo che ebbe l'ardore di andare a parlare con il sultano durante la quinta crociata, aveva invece un'altra storia, che Sabatier riscopre nel 1997. Sono gli scritti di Frate Leone, confinato a Greccio, convento che ha ospitato i primi compagni di Francesco, allontanati proprio perché “scomodi”.

La corrente degli “spirituali”, ala del movimento francescano che voleva un ritorno al “Testamento” di Francesco e alle sue esplicite volontà (censurate nella biografie ufficiali) sono stati fatti tacere.

In pochi sanno che un secolo dopo la morte di Francesco 4 frati francescani saranno arsi vivi a Marsiglia per aver diffuso le idee di un altro francescano scomodo Gerardo da Borgo San Donnino, seguace di Gioacchino da Fiore il quale aveva annunciato un'epoca nuova, quella dello Spirito Santo. L'età dello Spirito ricomprende le età precedenti in un regno dove i conflitti sono pacificati, le guerre eliminate e l'uomo rigenerato dallo svelamento dei misteri, una teoria che poco piaceva alla Chiesa del tempo, caratterizzata da concubinato, simonia e ricchezza.

Il libro apre gli occhi sulla figura di Francesco, stimolando la curiosità di conoscere anche le altre correnti cristiane condannate e sterminate dalla chiesa, correnti che proponevano un ritorno alla povertà, e un rapporto con il Vangelo senza intermediari.

Chissà se Francesco sarebbe stato contento di vedere il suo nome all'apice delle cariche ecclesiastiche...

 

 

CHIARA MERCURI
FRANCESCO D'ASSISI: UNA STORIA NEGATA
Laterza 2018

July 08, 2018
 
 Margo Jefferson

Una serata, il 4 luglio giorno dell’indipendenza americana, dove ti aspetti al Maxxi di Roma, di ascoltare il racconto di un libro singolare sul’Africa autobiografico della scrittrice Margo Jefferson, caldo, intimo e sorprendente, ed invece ti ritrovi a mettere insieme i pezzi di un periodo della nostra storia da Obama a Trump dove il razzismo è tornat . Le vicende dolorose del passato sull’intolleranza non hanno insegnato abbastanza e senza consapevolezza siamo ricaduti in una nuova ondata di apartheid. “Sarà la crisi economica - spiega il Direttore di Repubblica Mario Calabresi - intervenuto all’incontro, o perché i sacrifici dei padri non servono più a portare benessere ai figli, e abbiamo paura dell’altro perchè ci ruba il lavoro”. Infondo Obama, non era visto perché nero come il ladro della Presidenza degli Stati Uniti all’uomo bianco?

 

Interviene alla prefazione del libro anche la ex Ministra Govanna Melandri , e ci racconta di un Italia, secondo una ricerca sociologica di Bruxelles, come primo paese razzista in Europa. Melandri è nata negli Stati Uniti, ha doppia cittadinanza, italiana e americana, ha partecipato alla campagna elettorale di Obama ed è proprio a Filadelfia, durante l’incontro con i democratici, nota uno strisciante razzismo all’interno di quel partito. “I neri d’America devono dimostrare di più di quello che valgono, la campagna elettorale di Obama era misuratissima, lui non poteva permettersi sbavatura nel parlare o nei gesti come fa oggi Trump” I neri per essere accettati devono dimostrare di più e Obama per i Democratici non poteva essere il loro Presidente poiché non era nato in America. Un Italia con vicinanze a impensabili organizzazioni, come ci racconta Calabresi quando incontra in Florida, anni fa, dei membri del cucuKlan, e li scopre amici dell’Italia perché simpatizzavano con un partito nostrano, La Lega, con cui trascorrevano le vacanze a sciare in montagne. Basta con le quote dedicate alle minoranze dicevano i signori del cucuklan, per vincere dobbiamo infiltrarci nel partito repubblicano.

 

Di cosa abbiamo oggi bisogno quindi per uscire da questo impasse? Si chiede la scrittrice Margo Jefferson. “creare alleanze ed organizzare tutto quello che può essere fatto, anche attraverso la scrittura. Oggi vengono lanciati degli attacchi contro le donne, vedi quello che è successo in America, ai bambini allontanati dai loro genitori i quali non torneranno più con le famiglie di origine. (Il danno è fatto come diceva una madre a cui avevano tolto la figlia al confine con gli Stati Uniti). Combattere insieme e in tutti i modi, contro questa cultura dell’intolleranza che presto arriverà anche in Italia. I modi da bullo di Trump i suoi show-televisivi, entusiasmano la gente, ma non sarebbero mai stati perdonati ad Obama, anzi sarebbe stato subito cacciato dalla Casa Bianca”. “Obama ha dovuto dimostrare – chiosa la Melandri - durante il suo mandato, di essere quel tipo di nero che non urla e non gesticola, un nero occidentale impeccabile, era costantemente sotto osservazione per vedere se usava toni elevati.” Insomma come dice John Waider, Obama non è un vero nero perché non parla come un nero.

 

E se il Presidente Trump posta su twitter che il primo Ministro canadese è weak=debole mentre il dittatore della Corea del Nord di 28 anni incontrato a Singapore responsabile di purghe e stragi nel suo paese, è cool=fico, un bravo ragazzo, intelligente come dice Trump che ha ereditato dal padre la guida della Corea, come se fosse normale ereditare un paese. Questo vuol dire che la democrazia liberale è fiacca, mentre le dittature sono a posto. Il Presidente di una delle nazioni più forti del mondo è libero di dire quello che vuole anche gli altri quindi si sentono liberi di spararle grosse. Se lo fa il Presidente Trump lo faccio pure io. Libero lui Libero anche io. Il linguaggio ha perso il valore dell’umanità quando il viceministro italiano scherza mentre si fa un selfie con le gondole e dice” non sono però le barche degli immigrati” mentre il presidente ungherese manda ai confini del suo paese i cani e caccia i siriani.

 

Poi se vai a chiedere ad alcune persone perché - racconta Calabresi – mi coprono di insulti sui social, come succede anche alla onorevole Boldrini, non ti sanno rispondere e mi dicono, non so perché l’ ho fatto, non ero io”.

 

Il razzismo è alle porte, chiediamoci se è mancata una visione, se abbiamo crato le condizioni per far crescere estremismo. La politica deve reinventarsi per evitare un escalation di intolleranza verso le minoranze, i deboli e il diverso. Le due mostre presenti in questi giorni al Maxxi fino al 4 novembre organizzate in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale “african metropolis. Una città immaginaria” e “Road to Justice” ed il libro “Come raccontare l’Africa” di Margo Jefferson, con i 40 artisti in mostra, raccontano la voglia di superare i muri e spostare lo sguardo sulle trasformazioni sociali e culturali in atto in Africa, di come riorganizzare gli spazi e utilizzare le memorie, la rabbia, il dolore senza farsi imprigionare ma e per riconciliarci e guardare al futuro di un Africa nuova con nuove interpretazioni e prospettive.

 

Maxxi orario di apertura mart-dom. dalle 11.00 alle 19.00 giov. 11.00-22.00 info 39 063201954

June 22, 2018

“Come facevano le altre, quelle che riuscivano ad essere felici con il loro lavoro?

Cosa dovevo fare più che investire tutta me stessa, ogni giorno, nella mia passione?

E come potevo trasformarla in un bonifico mensile sul mio conto?

Insomma cosa dovevo inventarmi per vivere la mia vita ed essere felice?”

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         La domanda è la strada che può portarti oltre, lessi in un libro di Jostein Gaarder, con queste 4 domande che aprono percorsi, l'autrice si porta “oltre”, 4 domande da far radicare dentro per far fiorire i propri talenti.

Filomena Pucci, è ideatrice del progetto “Appassionate”, che si snoda tra editoria, conferenze e workshop.

Dopo averci raccontato la sua storia l'autrice ci accompagna in un percorso di individuazione dei propri talenti, diviso in 9 tappe.

Si parte dal piacere, un piacere da scoprire prima e da strutturare poi, per uscire dalla zona di comfort fatta di doveri e, perché no, disillusioni.

“Siamo abituati a farci guidare dal dovere, educati a credere che la certezza della ricompensa stia nel sacrificio”.

Dal piacere al potere passando per il desiderio, potere che etimologicamente ci riporta al “potis esse”, poter essere: “potere significa poter essere se stessi”.

C'è differenza tra piacere e desiderio, sottolinea l'autrice, se il primo è innato, il secondo implica una scelta, e un ascolto profondo di sé, è necessaria una ri-educazione all'atto del desiderare, soffocato da anni di sottomissione al dovere (e questo soffocamento del desiderio di autoaffermazione, al femminile, è stato potenziato da una secolare lotta contro l'istinto primario all'aggressività, intesa come difesa del proprio spazio vitale, come sottolinea la psicanalista junghiana Marina Valcarenghi nel libro “L'aggressività femminile”).

Tra le pagine incontriamo storie di donne che si sono messe in gioco e sono riuscite a seguire la propria passione e in chiusura di capitolo degli esercizi per mettere a fuoco ed esercitare la propria determinazione.

Si percepisce che questo libro è frutto di fatica, di ricerca, di amore, si avverte l'autenticità delle parole scelte con cura; come lettori non possiamo che accogliere questo libro come un dono, per noi stessi, prima di tutto.

 

 

Filomena Pucci:
Quello che ti piace fare è ciò che sai fare meglio.
Come ogni donna può far fiorire (e fruttare) la propria passione
Fabbri 2018

June 21, 2018

Storia di una donna, di bambini, di Gnomi e di Folletti, Rina, nella sua attività di volontariato, con un approccio alla vita da “adulta”, dovrà modificare il suo punto di vista nei confronti della realtà che la circonda.

Grazie alle storie della piccola Gioia e ai comportamenti dell’iperattivo Gianni, si rifarà viva in lei, più forte che mai, la parte perduta di bambina che è ed è sempre stata.

L’autrice, con uno stile semplice e lineare, propone un racconto che assomiglia ad una fiaba, con caseggiati che diventano castelli, di Gnomi e Folletti che accompagnano nella vita di tutti i giorni bambini che riescono ad accorgersi di loro. Un astoria che, da semplice finzione, arriva a toccare i temi più complessi, portando il lettore a riflettere su tanti aspetti della vita quotidiana.

 

 

Maria Foffo è nata a Roma, dove vive tutt’ora. Laureata in Pedagogia, con i suoi figli presenti, ha insegnato lettere nella scuola statale Primaria poi nella Secondaria Superiore. Ora è in pensione. Dal 1992 è nel Terzo Settore (volontariato) dedicato ai bambini che soffrono in difesa dei loro diritti. Circa 45 anni fa ha pubblicato alcune poesie in due antologie di giovani poeti; al pubblico si presenta come “Aspirante scrittrice”.

June 13, 2018

 L’Atlante delle guerre è all’ottava edizione e si presenta come uno strumento indispensabile per chi vuole studiare il fenomeno della guerra. Ma Atlante delle guerre non è solo un libro ma anche un sito (partner di Pressenza) e molte altre cose. Ne parliamo con Emanuele Giordana, che affianca, come direttore editoriale del sito, il lavoro dell’Associazione 46° Parallelo fondata e diretta da Raffaele Crocco che del quotidiano online è il direttore responsabile.

 

Non solo un atlante, puoi fare un quadro della vostra proposta globale?

L’Atlante cartaceo e il sito web atlanteguerre.it sono due facce della medesima medaglia. l’Atlante è uno strumento di studio e consultazione. Il sito, a parte la sezione che consente di leggere le vecchie edizioni cartacee in versione telematica, è un luogo di approfondimenti che, in un certo senso, aggiornano ogni giorno l’edizione cartacea che esce una volta all’anno. Il mondo, anche quello delle guerre, corre veloce e dunque era necessario accompagnarlo con un sito web, un quotidiano che stesse al passo con l’evoluzione dei conflitti e delle situazioni di crisi che possono trasformarsi in una guerra. In redazione ci sono Alice Pistolesi, che cura i dossier settimanali del martedi, e con Andrea Tomasi, che produce anche la trasmissione “Caravan”, gli aggiornamenti quotidiani. Beatrice Taddei Saltini, una delle colonne con Raffaele Crocco dell’intero progetto, è la persona che cura la relazione tra il cartaceo e il web. Giorgia Stefani ha un ruolo di coordinamento generale (e fondamentale) e Daniele Bellesi, che ha curato l’intera impostazione grafica sia dell’Atlante sia del sito, è la persona che è riuscita a tradurre graficamente un percorso di aggiornamento sui conflitti. Infine ci sono una serie di collaboratori fissi, giovani e pieni di idee: Elia Gerola e  Lucia Frigo – che seguono la parte social – Edward Cucek, Claudia Poscia e Teresa Di Mauro che sono in giro per il mondo… Li cito tutti perché il sito è un lavoro collettivo e non solo un insieme di collaborazioni. Quanto all’Atlante cartaceo, le schede sono invece affidate ad esperti d’area che comunque ci danno un contributo anche durante l’anno. Non credo di sbagliare se dico che attorno a questo progetto lavorano oltre cinquanta persone.

 

Un atlante della guerra per studiosi ma che prende posizione sui conflitti, come è nata questa iniziativa e come si è sviluppata?

Vorrei rispondere in breve con la frase che ci connota di più e che è il nostro chi siamo: “Noi rivendichiamo il diritto ad essere partigiani, cioè di parte. Siamo e saremo sempre contro la guerra”. In due parole volevamo fare una scelta di rigore professionale – ossia essere imparziali nel riferire le notizie – ma conservando il diritto di non essere neutrali. Di restare sempre dalla parte delle vittime.

 

Un’inziativa che parte dal basso e non conta su grandi finanziamenti istituzionali. Come funziona l’Atlante? Che si può fare per appoggiarlo?

Si possono fare dei versamenti individuali dal sito ma anche partecipare offrendo una collaborazione volontaria. Con fatica riusciamo ad ottenere alcuni finanziamenti a progetto ma è ovvio che i denari non bastano mai se uno cerca di lavorare con qualità e, appena ne ha la possibilità, di allargare il numero di collaboratori. Anche un versamento di 10 euro però può aiutarci ad andare avanti.

 

La sensazione è che ci sia uno stretto legame tra il fatturato dell’industri bellica e le guerre in corso: secondo te è possibile rintracciare questo legame?

Ci stiamo provando anche se è un lavoro complesso e non solo di natura industriale. E’ anche una questione culturale perché tanti sono ancora convinti che le guerre siano necessarie. Lavoriamo anche per cambiare quest’ottica.

 

A occuparsi delle guerre da un punto di vista pacifista si riesce a scorgere il momento in cui le guerre cesseranno di far parte del fare dell’Umanità?

E’ una marcia in salita inevitabilmente con un obiettivo lontano ma non impossibile. La guerra è ancora un fatto diffuso ma, fortunatamente, fa sempre meno vittime. E il movimento pacifista, comunque lo si intenda, è molto  più vasto di quanto non si creda. Non vedrò un mondo senza guerre molto probabilmente, ma sono certo che ogni cucchiaino che provi a svuotare il mare servirà persino in un’impresa che sembra impossibile. E che per adesso magari si limita solo a frenare la forza delle onde…

 

Recenti studi delle neuroscienze hanno escluso la  “naturalità” della violenza nell’essere umano: possiamo dare, anche dati alla mano, un messaggio di speranza alle nuove generazioni?

Il mito del guerriero è duro a morire così come l’ineguaglianza di fronte ai diritti universali, il limite all’accesso ai beni primari, l’ineguale distribuzione della ricchezza. Ma io vedo svilupparsi molte tendenze positive che dipendono da una maggior diffusione dell’informazione, da nuovi strumenti che consentono di organizzare lotte e proteste contro patenti ingiustizie,  dal fatto che oggi è più facile andare a scuola e dunque è più facile sviluppare un senso critico perché studiare significa conoscere ed avere più strumenti per capire, giudicare, reagire. Anche la nuova coscienza ambientalista va nelle direzione di un rispetto sempre maggiore non solo dell’uomo ma del mondo animale e di quello vegetale. Esistono guerre per l’acqua, contro lo sfruttamento dissennato della terra, per un maggior controllo della filiera alimentare e per una maggior attenzione a come vivono gli animali di cui (ancora) ci nutriamo. Sono segnali e che, alla fine, hanno sempre a che vedere coi conflitti. Superare la guerra come strumento di negoziato, richiederà anni ma questi segnali fanno ben sperare. L’uomo può vivere in pace, accogliere, condividere e lasciare la clava in cantina? Penso di si. Direi che ho una sorte di certezza di fondo che stiamo andando in quella direzione. Vedo un mondo dove la guerra sarà solo un fatto museale per ricordarci che un tempo, anziché parlarci, ci uccidevamo. Utopia? Le utopie cambiano il mondo. E non bisogna mai smettere di sognare.

 Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza

May 26, 2018

 La figura di Anna è raccontata soltanto all'interno dei Vangeli apocrifi, nel Vangelo di Giacomo, la sua storia non compare nei testi canonici. Perché? Si chiede l'autrice e in questo libro prova a rispondere.

Il concepimento di Maria è un miracolo per Anna che è in età avanzata e da tempo desidera avere un figlio. Un Angelo le annuncia la maternità futura. A tre anni, Anna e Gioacchino, suo marito, tuttavia, lasciano la bambina al Tempio, e quando Maria diventerà donna è sempre l'Angelo a imporre ai vedovi di riunirsi, per scegliere a chi andrà in sposa. Dal bastone di Giuseppe si leva una colomba, segno che sarà lui lo sposo di Maria.

Da questo momento Anna e Gioacchino spariscono dalla scena per lasciare il posto ad altre narrazioni accettate.

Di Anna si tornerà a parlare solo durante la “caccia alle streghe” quando diverse leggende e riflessioni tornano a colmare le lacune sulla sua figura come faranno S. Brigida di Svezia, Maria de Agreda e Caterina Emmerick.

Il nome Anna è uno dei più diffusi nel mondo così come anche la sua devozione, dunque perché escluderla dai testi canonici?

È grazie alla figura di Anna e della sua trinità (Anna, Maria e Gesù bambino) che le popolazioni amerinde del Canada hanno abbracciato il culto cristiano, perché Anna aveva attributi simili a quelli di Nogami, la Nonna.

Lo studio di Nadia Lucchesi parte dalla controversa figura di Giacomo, autore del vangelo apocrifo. Il papa Benedetto XVI considera Giacomo il cugino di Gesù, ma per la tradizione ortodossa è il fratello del Cristo, figlio di un matrimonio precedente di Giuseppe. Eisemann porta avanti la tesi secondo la quale Giacomo il Giusto e i suoi seguaci erano in contrasto con Paolo e Pietro. “Giacomo è un personaggio scomodo: la visione del Cristianesimo che emerge dalla sua Lettera mette in primo piano l'importanza delle opere e della coerenza di vita nella realizzazione della fede, in una prospettiva di concretezza molto vicina al sentire e alle pratiche femminili della carità e della cura” (Cit.)

Anna ha un nome che rimanda alla dea celtica Ana, che significa “donna vecchia” ma anche ai culti di Anna Perenna, Annona, Angerona e Angitia, ma il nel suo nome riecheggia anche a Anat, Dea degli ugariti il cui nome antico era Iahu, la più antica divinità ebraica prima di Yaheweh.

Anna in sanscrito significa “nutrimento”, cibo. La veggente Caterina Emmerick sostenne che i genitori di Anna fossero Esseni, un gruppo di eremiti.

Da Ur parte il racconto di Abramo, gli ugariti veneravano Inanna/Ishtar, una delle Dee doppie, archetipo che viene affrontato da Viki Noble: la coppia Anna /Maria si pone dunque come speculare a molte dee doppie precedenti, tra cui ricordiamo, tra le più conosciute, Demetra e Kore.

Maria nasce l'8 di settembre alla settima ora. Otto è il numero di Maria, concepita l'8 dicembre, ma è anche il numero di Inanna e Ishtar, cui era associata la stella a 8 punte, che richiama il ciclo di 8 anni del piante Venere. 4 è la femminilità raddoppiata e l'8 apre all'infinito la spazialità del 4 (i punti cardinali, i 4 elementi..).

Perché dopo aver desiderato tanto la bambina Anna sceglie di affidarla spontaneamente a questo “collegio di vergini”? nelle religioni antiche le Dee preindoeuropee sono state tutte vittime di un Dio, mentre nella storia di Anna il divino torna nel mondo senza violenza, “rendendo sacri il concepimento, la nascita, la vita, la natura, il corpo” (Cit).

Maria scende i 15 gradini del Tempio, e anche 15 è un numero appartenente alle Dee antiche: la città di Ninive devota a Ishtar aveva 15 porte e 15 sacerdoti, 15 è il risultato del 7, numero umano più 8 numero divino; il rosario oggi si compone, infatti, di 15 Ave Maria.

Un testo essenziale per far luce sull'aspetto femminile insito nel Cristianesimo, aspetto che nonostante l'occultamento iniziale, è alla base del culto.

Ho scritto questo libro perché sono convinta sia necessario che ogni madre, carnale e spirituale, ritrovi il proprio valore e la consapevolezza che la sua integrità, la sua verginità, può essere trasmessa alle figlie, così che loro stesse conservino la relazione con le altre, ma soprattutto con gli altri”. (Cit.)

 

NADIA LUCCHESI:

ANNA. Una differente trinità

Luciana Tufani editrice

April 30, 2018

 

Erika Maderna, autrice di “Medichesse: la vocazione femminile alla cura” (edizioni Aboca) torna in libreria approfondendo un tema affascinante già iniziato nel libro sulla medicina delle donne: le guaritrici medievali e rinascimentali.

Il libro ripercorre l'origine della figura della strega, partendo dalla mitologia.

Santa o strega, un filo rosso lega queste due figure, un filo rosso che si innesta nella radice religiosa ma si dipana poi in direzioni opposte.

È Demetra la prima ad officiare riti che poi saranno appannaggio delle streghe, quando decide di donare l'immortalità a Demofonte ungendolo d'ambrosia, sussurrando incantesimi e purificando la sua parte mortale nel fuoco: unzione, soffio e parole magiche li ritroveremo anche nei verbali del Cinquecento. Ma la Dea delle streghe per eccellenza era Ecate, colei che assiste all'unione dell'anima col corpo durante il parto e all'ultimo respiro di vita, due momenti di passaggio presieduti da sempre dalla donna, sia essa ostetrica o accabadora.

Le attività femminili si intrecciano attorno alla Dea Iside: tessitura, ostetricia, conoscenza delle erbe e magia.

Circe e Medea gestiscono i “Farmakis” ma sono ricordate però solo come protostreghe.

Canidia, strega citata da Orazio nelle “Epodi” ha capelli simili a serpi, riecheggiano in lei gli attributi di Medusa, il poeta la descrive mentre officia al sacrificio di un infante mischiando erbe, uova di rospo, piume di civetta, ossa di cagna, tutti animali molto simbolici.

Apuleio descrive Panfile mentra si unge dell'unguento che la trasformerà in uccello per librarsi nel volo magico, altro elemento ricorrente nei processi alle streghe.  

“Herbae e cantus, carmina et venena” sono gli strumenti di chi opera la magia.

L'etimologia linguistica della strega, tuttavia, rimanda a caratteri di saggezza: witch in inglese deriva da wicca, saggia, mentre sorciere in francese rimanda a sortilega, colei che sa interpretare il destino. Saga in latino identificava la maga e l'indovina, mentre strix assume i caratteri nefasti dell'uccello rapace notturno.

Le donne sono sempre state curatrici, anche se la loro attività è stata spesso osteggiata, come ci ricorda Igino, quando narra l'episodio di Agnodice che celò la sua identità dietro abiti maschili, un'ostilità che si ritrova anche nel caso di Jacqueline Felicie de Almania nel 1322, processata perché sprovvista di licenza ma stimata da molti.

Nel Rinascimento, si ha l'inasprirsi delle condanne e delle torture, soprattutto nei confronti delle guaritrici, perché viene condannata la medicina popolare che si discostava dalla medicina ufficiale professata dai Dottori; molte donne, esperte nelle erbe, preferirono darsi la morte piuttosto che affrontare un ingiusto processo e torture indescrivibili.

L'ultima parte del libro si incentra sulle biografie di alcune guaritrici: ognuna di loro rivela particolari interessanti, come Gabrina, che stregò il poeta Ariosto, Benvegnuda Pincinella che univa preghiere cristiane a rituali con la ruta, Clara Botzi, levatrice che parlava con le piante...

A chiudere la trattazione alcune delle erbe che ricorrono nella medicina delle streghe come l'aconito, la cicuta, l'elleboro, la mandragora, ma anche piante meno pericolose come la camomilla, la malva, la menta, il finocchio.

Un libro che colma una lacuna bibliografica e che unisce l'immaginario antico a quello moderno, valorizzato anche dalle immagini di dipinti ed erbari antichi.

 

 

 

ERIKA MADERNA

“Per virtù d'erbe e d'incanti: la medicina delle streghe”

Aboca 2018

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