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Gli anni dei manicomi del dolore e della solitudine
ADALGISA CONTI
Il diario di una donna reclusa:
Saggio sulla vita di Adalgisa Conti malata psichiatrica e rinchiusa in manicomio dal 1913 al 1978
Ho conosciuto personalmente la malata che venne internata all'Ospedale Psichiatrico di Arezzo nel 1914, all'età di ventisei anni, struttura nella quale lavorava come infermiera mia madre. Adalgisa Conti fu rinchiusa e ricoverata con violenza in manicomio, dove trascorse tutto il resto della sua vita. La diagnosi medica dell'epoca fu "delirio di persecuzione tendente al suicidio", ma in realtà i maltrattamenti, i tradimenti e la violenza psicologica di suo marito l'avevano resa semplicemente depressa, male che in quei tempi non era riconosciuto come malattia. libro nasce da alcune lettere che la stessa Adalgisa scriveva nello studio del suo psichiatra dove veniva accompagnato sempre da un'infermiera di turno per poi vivere il resto della sua vita in un lungo e doloroso mutismo.
Il dr Luciano Della Mea curò un volume con la storia della malata / degente all'Ospedale Psichiatrico Arezzo:
Manicomio 1914
"Gentilissimo sig.re Dottore, questa è la mia vita"
storia di Adalgisa Conti
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Adalgisa Conti nacque il 28 maggio 1887 e venne ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Arezzo il 17 novembre 1913 a soli 26 anni. Ella morirà a 95 anni nello stesso ospedale psichiatrico. Un'intera vita.
Il libro Manicomio 1914 “Gentilissimo dottore, questa è la mia vita” contiene la stessa autobiografia della Conti, una ricostruzione cronologica della degenza della malata dal 1913 al 1977 e cartelle cliniche della stessa Adalgisa Conti. Il libro contiene anche le testimonianze delle varie infermiere che l'hanno avuta in cura, fra le quali mia madre Alda Fabbrini entrata come infermiera professionale nel 1960 e andata in pensione nel 1992.
Adalgisa è entrata in manicomio due anni dopo essersi sposata, donna a detta di chi l'aveva conosciuta prima della degenza, (anche dal sindaco stesso del paese di Anghiari) molto estroversa, comunicativa intelligente ed estrosa. Fu ricoverata dallo stesso marito Probo Palombini (tipografo), la diagnosi fu: "personalità affetta da delirio di persecuzione con tendenza al suicidio".
All’interno dell’ospedale psichiatrico Adalgisa venne chiamata dal medico dell’epoca, il dottor Viviani, in parlatorio, ovviamente accompagnata da un’infermiera per scrivere la propria vita come forse terapia o semplicemente esperimento o intenzione di pubblicare un libro. Scriverà varie pagine e ne verrà fuori una donna sensibile, con una sessualità chiara, ma repressa che per pregiudizi culturali e ignoranza del proprio corpo, sacrificherà alle esigenze di un marito burbero e padrone. Scriverà diverse lettere; nell’ultima, indirizzata al proprio medico curante, racconterà della storia dei 26 anni trascorsi ad Anghiari, prima del ricovero ospedaliero, e dopo quello scritto, tacque per sempre e iniziò il suo viaggio manicomiale fino alla morte.
Un libro denuncia, un caso letterario dove la piaga diventa l’istituzione manicomiale che solo attraverso le terapie a volte non mirate verso alcuni malati, non tenevano conto di quei disturbi che non rasentavano minimamente la pazzia, ma solo problemi a carico di ansie e depressioni oggi curate per fortuna con altri sistemi. Uno strumento letterario, che denuncia ogni tipo di segregazione e violenza psicologica e sociale sulle donne. Un caso umano, una cultura sbagliata, una mentalità chiusa che condannò una donna che aveva solo la colpa di sentirsi in primis sbagliata o contorta per avere pensieri sessuali normali mai accettati.
Nell’introduzione del libro scritta dal giornalista Luciano Della Mea, si legge: «Questo non è il caso di Adalgisa Conti, è la storia di una donna prima della sua vita, raccontata da lei stessa, poi dalla sua “morte” nella regressione istituzionale: anzi si potrebbe dire c’è una storia, poi per 64 anni non c’è più niente se non un tempo vuoto, scandito da annotazioni sempre uguali, da aggettivi stereotipati, gli stessi che si ritrovano in tante cartelle cliniche di lungodegenti che non sono più storia».[1]
Dalla cartella clinica originale* di Adalgisa Conti:
Ha 26 anni, padre bevitore avvelenato per errore di un farmacista, madre vivente e sana.
Ha avuto 17 tra fratelli e sorelle, ma solo 7 viventi: lei è la secondogenita. Dei 5 fratelli e delle tre sorelle, nessuno è sofferente per malattie nervose. La madre ha avuto tre aborti: cinque sono morti piccini ma dopo paralisi. Ha avuto a dodici anni un’emorragia dalla bocca che fu interpretata come un mestruo vicariante e un’enterorragia rilevante. Carattere sensibile, impressionabile: è nipote della Conti Rosa nei Corsi già ricoverata. Ha cominciato ad amoreggiare a 16 anni ed ha sposato a 24 anni. E’ sempre stata gelosissima e molto affezionata verso il marito. Era affetta da anemia fin da giovanissima i mestrui erano irregolari ed appena accennati. Da circa tre mesi ha cominciato ad accusare dolori al capo, soffriva di insonnia, si è fatta melanconica, ha enunciato idee di persecuzione (non voleva uscire fuori perché tutti la deridevano e la guardavano male). Aveva accessi di pianto frequenti. Tre giorni fa, tornato il marito da caccia alla sera, trovò che già la suocera l’aveva fatta trasportare in casa propria avendo dato segni di alienazione mentale e di avere detto di tentare il suicidio ecc
* Dalla cartella clinica di Adalgisa Conti:ricostruzione a cura di Luciano Della Mea
All’interno della cartella clinica vi è una lettera scritta dalla stessa Conti al medico, lettera scritta all’inizio della degenza (1913)[2]
* Gentilissimo e carissimo dottore,
stamani avevo principiato a scrivere, ma poi presa da un momento di eccitazione nervosa, l’ho strappata. Oggi di bel nuovo, mi ha preso il capriccio di rimettermici.
Sono di carattere un po’ volubile e abbastanza sudicia, faccio come una banderuola messa in cima a un campanile o un faro che si volge verso il vento che tira. Lei tanto buono vorrà compatirmi e perdonarmi se vengo a disturbarlo e a domandargli se in un modo o nell’altro vuole accondiscendere e approvare quanto le chiedo. Se la mia vita dovesse trascorrere sempre fra pene e guai, preferisco benché ancor giovane morire che continuarla. Lei che tutto può, io a lei mi affido perché mi faccia andare a casa o a lavorare perché le assicuro che non mi sarebbe di alcun sacrificio. Le ripeto nuovamente che mi do pienamente nelle sue mani, mi uccida o mi renda felice. Sento attrazione per lei, per il Nenci, e per l’Aretoni come se fossi di vita spensierata. Una donna onesta veramente non dovrebbe fare come faccio io, che a dire il vero mi par d’essere prostituta o mantenuta che è la medesima cosa, senza indovinare da chi e a quale scopo…
Numerose sono le lettere che Adalgisa Conti scrisse al medico, lettere che denotano una continua coerenza di pensiero, ma dove il senso di colpa è sempre presente.
Il dottor Viviani, curante dell’epoca, scrive: «Ebbi ad esaminarla, ella ripeteva di essere convinta che non era una donna come le altre, che era maledetta, che era condannata alla dannazione, che doveva scontare grossi peccati, incapace di fare figli perché non ha mai avuto mestrui, che era insensibile durante il coito con il marito ma che praticava, contro la religione, manovre masturbatorie per avere soddisfazione sessuale, non essendo lei una donna normalmente costituita. Non si è ribellata all’idea di entrare in manicomio. Durante il viaggio però ha tentato di gettarsi sotto al treno e all’Albergo di buttarsi dalla finestra».[3] *
Nella cronologia degli anni passati al manicomio, vi è spesso la voce che sottolinea il desiderio di Adalgisa del perdono da parte del marito Probo. La parte del libro che è la cronologia degli anni comprensivi fra il 1913 al 1977, anno prima della chiusura dei manicomi, sottolinea poi i vari processi della malattia che mai cambiano o sviluppano. I giudizi medici anno per anno, la danno come: Conti laboriosa ma disordinata, Conti sudicia, elemento che ama ornarsi di ciondoli e di trine, Conti Adalgisa che si fa sui capelli meches con i propri escrementi, condizione invariata della malata, personalità inaffettiva, di natura incantata.
Dal 1958 si legge che ha imparato a essere più ordinata, gentile, socievole e che aiuta le altre malate, intontita, e sempre fissata che qualcuno le butti una polverina sulla testa. Adesso ama mettersi carte di caramelle fra i capelli e anellini fatti con fili colorati. Timidamente pronuncia piccoli passi di danza.
La parte finale del libro contiene le varie testimonianze delle infermiere che giustificano la Conti e che parlano di lei come le migliori conoscitrici dell’internata stessa. Le infermiere che hanno visto in lei la donna e non solo la malata, la reclusa, la creduta pazza solo perché in un periodo d’ignoranza e impreparazione anche medica verso la malattia mentale, si credeva di ogni problema psicologico una forma di alienazione da curare con il trattamento carcerario/ospedaliero e una farmacologia inadeguata.
Personalmente condivido quanto espresso da Luciano Della Mea nella sua prefazione e alle sue considerazioni mi piace aggiungere il mio ricordo di Adalgisa Conti quando andavo a fare visita a mia madre infermiera, ricordo Adalgisa Conti a sedere nelle panche del grande manicomio di Arezzo, Adalgisa magrissima con un grande grembiulone e con candidi capelli bianchi. Adalgisa che alla fine, molto anziana, dormiva dentro un lettino a cancelli perché fragile, anziana, e prossima alla morte, Adalgisa che poteva cadere, farsi male e restare inerme nei suoi lunghi silenzi.
Negli anni ’70 Franco Basaglia s’impegnò nella battaglia per la chiusura dei manicomi diventando testo di legge il 13 maggio del 1978 con la famosa legge 180 una legge dalle basi certamente legittime sui principi generali, ma anche teoricamente estremizzata e elargita ad ogni forma psichiatrica, anche nei casi di forti e irriducibili manie. Ciò creò molte associazioni pro e a sfavore di tale legge, questo perché , si dovevano prima creare strutture e organizzazioni tali da sopperire i bisogni che poi i malati hanno necessitato in seguito. TSO (Terapie Speciali Ospedaliere), centri di ricovero di cura ed altro. Spesso le famiglie con parenti di gravi patologie hanno dovuto sostenere, presso la propria abitazione, i parenti come meglio potevano. Ci sono stati gravi incidenti, situazioni scomode, vere e proprie difficoltà a carico di chi non aveva certamente le facoltà e le possibilità a sopperire e gestire certi gravi disagi. In seguito furono costruite quelle che vennero chiamate “case famiglia” dove i malati con patologie curabili con terapie farmacologiche, hanno con il tempo imparato una certa autogestione sotto una sorveglianza infermieristica. Con gli anni si sono creati all’interno di vari ospedali civili, reparti psichiatrici dove s’interviene (in genere con T.S.O.) sul degente con farmaci e incontri psichiatrici.
La malattia mentale un tempo era estesa anche a chi soffriva di gravi depressioni, demenze, persone abuliche, elementi apatici, a chi soffriva di manie, di autismo, molti i casi di sindrome di down, omosessuali ecc. Negli anni, dopo esperimenti sugli umani, fra i quali farmacologie errate, elettrochoc, camicie di forza, terapie invalidanti , coercizioni varie, siamo arrivati finalmente a comprendere molto di più su questo mondo di follia dove spesso l’essere umano è solamente un uomo da curare . La psichiatria ha notevolmente raggiunto una preparazione maggiore e un’attenzione importante ai fabbisogni del malato che è seguito fin dai primi disturbi e curato in modalità diverse da caso a caso. E’ fondamentale che all’interno di ogni famiglia vengano notati i vari atteggiamenti inusuali di figli, parenti e altri componenti e non sottovalutare mai le depressioni, le eccessive fobie e manie di chi abbiamo intorno. Non esiste vergogna e non deve esserci alcun tabù per chiedere aiuto, prima che i danni siano irreparabili e irreversibili. Adalgisa Conti sarebbe forse guarita dalla sua depressione e insicurezza se chi la prese in cura avesse cercato di guardare oltre . Adalgisa che entrata in manicomio a soli 26 anni, quando ancora aveva la voglia di dialogare, di raccontare della propria vita, di esprimersi e di confessarsi. Adalgisa che parlava del suo amore al medico, della propria sessualità che credeva anormale, dei suoi giorni trascorsi con il marito.
Adalgisa che dopo avere scritto lettere / confessioni al proprio psichiatra, credendo di essere ascoltata e forse compresa, si accorse forse che tutto era inutile, smise così di parlare per sempre ed entrò in quel mutismo che l'accompagnò fino alla morte all'età di 90 anni passati interamente tra le mura della follia.
* IL presente saggio fu inserito nell'occasione di un evento “disagio e letteratura e pubblicato in seguito da TPLM nell'antologia omonima nell'anno 2014
Marzia Carocci
[2] * Da una lettera scritta da Adalgisa Conti nello studio del dottore curante.
[3] * Appunti del dottor Viviani (psichiatra), sul comportamento della malata Adalgisa Conti
E 'da poche settimane in libreria l'ultimo lavoro di Gabriella Gagliardi, Coronavirus. La paura il coraggio l'impegno. Frammenti di emozioni e pensieri (Armando Editore), un libro, nonostante la sua tematica, dalle tinte delicate, suggestivamente emozionante e capace di suggerire riflessioni sottili. Un libro che, senza pretendere di spiegarci tutti i perché della tragedia in cui stiamo vivendo, si offre di guidarci, con passo cadenzato e lieve alimentato da saggezza antica, a scrutare il nostro mondo interiore denso di fragilità e paure, ma anche di tanta voglia di coraggiosa reazione e serietà di impegno.
Un libro che, mentre ci troviamo immersi in una campagna vaccinale ipnotizzante e sottoposti, ancora una volta, a durissime misure di libertà individuali e collettive, divisi e contrapposti tra coloro che invocano e apprezzano tali misure, considerandole necessarie e doverose per la tutela pubblica, e coloro che, invece, le intendono come le ulteriori mosse di un piano volto a seminare paura e povertà per un vantaggio esclusivo di una mega cupola mondiale, ci può aiutare a metterci con onestà e fiducia di fronte a noi stessi, favorendo uno sguardo più penetrante e consapevole sulle nostre dinamiche psicologiche e favorendo, altresì, una meditata capacità di fronteggiare le nostre ansie dinnanzi agli interrogativi presenti e futuri delle nostre vite.
Con Gabriella, collega di tempi lontani ed amica ritrovata, è nata la conversazione che segue.
* Hai dedicato il tuo libro agli anziani e ai giovani. Perché?
Forse perché sono quelli che più si sono trovati a vivere in una condizione di forte cambiamento, di grandi rinunce, di lacerante deprivazione socio-affettiva?
- La dedica è una cosa importante che sorge dal profondo.
Sì, mi sembrano loro i più esposti e, soprattutto gli anziani, i più inermi. Ma c'è, nella mia dedica, anche un motivo autobiografico.
Io ho avuto il privilegio di poter vivere accanto a mia madre la sua vecchiaia, provando una tenerezza infinita. Lei era talmente delicata e gentile che, se appena le rispondevo con un tono di voce leggermente più alto, lei diceva: “scusa!”. A me quello “scusa” mi risuona sempre, non senza un sentimento quasi di colpa o di dispiacere. A tutti raccomando quindi di non sminuire mai il proprio amore per i nostri vecchi.
Anche i giovani sembrano particolarmente esposti a mancanze e privazioni. Essi sono stati definiti la generazione "senza padri e senza maestri". Ma hanno però un vantaggio, una forza inalienabile: la vita! E quindi il futuro e il coraggio. Sono perciò i protagonisti della storia a venire.
Ne parlo in conclusione del libro.
Per questo motivo ho la speranza viva per loro. Ne ho conosciuti molti veramente degni, seri e valorosi.
E 'per questa ragione che ho dedicato a entrambi il mio lavoro.
Agli anziani per la loro silenziosa saggezza.
Ai giovani per la loro fragorosa potenza di azione.
* Nella fase conclusiva del tuo libro, ci esorti a non essere risucchiati né dall'ottimismo “degli sciocchi”, né dal pessimismo “degli stolti”, a non lasciarci, cioè, ingabbiare e paralizzare all'interno dell'antinomia del “tutto andrà bene ”e del“ tutto andrà sempre peggio ”.
Ora, a distanza di diversi mesi, con uno scenario angosciante di enorme impoverimento di larghe fasce di popolazione, con attività scolastiche, culturali, artistiche e sportive quasi totalmente azzerate e, soprattutto, con una immensa difficoltà ad intravedere concreta possibilità di vera ripresa e di prospettive lavorative per i nostri giovani, quanto, mi chiedo e ti chiedo, è e ancora sarà possibile mantenere desta una realistica fiducia nel prossimo futuro?
- Anch'io oggi vacillo un po '. I problemi sono tanti e di grossa entità, e certo non si può pretendere di risolverli dall'oggi al domani; in più, proprio mentre scrivo, ci troviamo nel mezzo di una difficile crisi politica. Sembra un paradosso: una crisi nella crisi! Una vera alienazione della ragione.
Tutt'intorno c'è silenzio. Gli intellettuali tacciono. Sento solo le voci del Papa e del Presidente Mattarella (a vuoto!) ...
Di fronte a questo scenario, io stessa resto perplessa e provo momenti di scoraggiamento ...
Ma, tuttavia, la vita scorre e ci richiama a sé con la sua forza. A me bastano poche cose per riprendermi dallo smarrimento.Le poche cose sono piccole cose: una giornata di sole, il volto di un bambino, un affetto, la lettura di un libro con la scoperta di nuove verità, e tante altre occasioni di gioia. Ed è per esse che mi soffermo sempre su una riflessione, anche nei momenti estremi. La riflessione è semplice: è un avvertimento di me a me stessa. E 'come se io mi dicessi: so bene che certi princìpi alcune persone non li capiranno mai e che, pertanto, la lotta fra Eros e Thanatos per l'affermazione del Bene non avrà mai fine. Come dico nel libro, non ho certezze al riguardo. Ma io non posso, solo per questo, cedere all'inerzia del nichilismo. Se perdo l'impegno, perdo la speranza. E, se perdo entrambi, perdo la vita.
Che significato avrebbe la vita senza un senso da dare ad essa! La lezione di Camus ne La Peste risulterebbe vana e neanche io (e non solo certi politici) l'avrei appresa, allora!
Quindi, la mia risposta è SI '... è ancora possibile. Deve esserlo.
E, se non sarà una fiducia del tutto salda e realistica, sarà almeno una calma e impegnata attesa rispetto al futuro e anche una speranza, un orizzonte utopico per aiutarci a camminare.
* Molto dense di filosofiche riflessioni sono le pagine centrali che tu hai dedicato al tema della paura, giudicata come "l'emozione più grande". Sfortunatamente, la paura continuiamo ad incontrarla quotidianamente per strada, negli occhi di chi cammina diffidente, barricato dentro una o più mascherine, magari anche in un parco semideserto o in riva al mare ... ma questa paura, considerando l'assillante martellamento praticato dalla grancassa mediatica 24 su 24, credo che assai difficilmente possa essere considerata casuale o “naturale” ...
Ricordi Antonio Albanese con il suo orrendo personaggio del Ministro della Paura?
“IO SONO IL MINISTRO DELLA PAURA, E, COME BEN SAPETE, SENZA LA PAURA NON SI VIVE! UNA SOCIETA 'SENZA PAURA E' COME UNA CASA SENZA FONDAMENTA: PER QUESTO IO CI SARO 'SEMPRE NEL MIO UFFICIO BIANCO, CON LA MIA SCRIVANIA BIANCA DI FRONTE AL MIO POSTER BIANCO ... AAH CHE PAURA! CI SARO 'SEMPRE CON I MIEI ATTREZZI DEL LAVORO, LA MIA PULSANTERIA, PULSANTE GIALLO, PULSANTE ARANCIONE, PULSANTE ROSSO RISPETTIVAMENTE POCA PAURA, ABBASTANZA PAURA, PAURISSIMA. "
Insomma, dietro alla paura dilagante, non credi sia possibile scorgere una vera e propria (efficientissima)" industria della paura "?
- Magari fosse!
Purtroppo la paura è reale e il pericolo anche: tutt'altro che fantasioso.
Paura di morire (da soli) e paura di ammalarsi (da soli). E Morte reale e malattia reale coincidono. Entrambe non mi sembrano fabbricate o prefabbricate.
Diversa, semmai, è la speculazione sulla paura. Sì, quella può esserci, come indicato simpaticamente dalle parole di Albanese. Ma questa, purtroppo, è sempre esistita. Basti pensare soltanto, per esempio, ai populisti di tutto il mondo, che soffiano sui timori della gente per interessi di altro tipo. Anche quelli sono “pandemici”.
Ma, allora, anche in questo caso, sia pur ammettendo tutto quello che tu sembri supporre, tanto più risulta valida la mia risposta precedente in merito all'impegno.
Tanto più si insidia il Bene, tanto più dobbiamo mobilitarci per esso. Tu, che da tempo ti occupi di difesa dei diritti umani, lo sai sicuramente meglio di tanti altri.
* Nel tuo libro, da ex docente di filosofia e, soprattutto, da eterna studentessa eternamente innamorata della filosofia, tendi a sottolineare l'importanza del fare filosofia, in particolare modo di fronte alle grandi domande e sfide che la vita ci presenta. Non pensi, però, che il fare non dovrebbe avere una finalità eminentemente di carattere quietivo o consolatorio, ma risultare, bensì (come i grandi maestri soprattutto dell'Ottocento ci hanno insegnato), fonte inesauribile e spregiudicata di coltivazione del dubbio, di esercizio del sospetto e di attività di smascheramento?
E non ti sembra che, salvo rare eccezioni, di tutto ciò, in questo doloroso periodo, ci sia stato ben poco?
Non ti sembra che ad occupare la scena siano altri soggetti (politica, scienza, tecnologia, ecc.) E che, nelle varie scelte sostenute ed attuate dai vari governi mondiali, si possa scorgere (soprattutto per come sono state drasticamente limitate le libertà di infanzia , adolescenza e senilità) un doloroso deficit di approccio filosofico, ma anche di sensibilità e competenze psicologiche e psicosomatiche?
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Gabriella Gagliardi |
- Alla filosofia si attribuiscono tanti diversi significati, ruoli e definizione. Io, ispirandomi ad Aristotele, per il quale essa nasce dal dolore e dalla meraviglia, la definisco: “Curiosità e dolore”.
Perché la filosofia è l'uomo, quindi gioia e dolore, felicità e pianto; è l'uomo pensante.
Il pensiero è l'uomo stesso, l'elemento divino dell'uomo, come diceva Pico della Mirandola.
In quanto pensiero, dunque, è tutto quello che tu dici. Contiene dubbio, prima di tutto, consolazione, smascheramento e, perché no, come conseguenza, forse anche sospetto. Ma con le dovute differenze e distinzioni, a seconda delle circostanze.
Oggi, davanti alle grandissime difficoltà, è, più che altro, aiuto: ci soccorre e ci consola, come la preghiera.
Dubbio e sospetto li attribuirei ad altre situazioni. E, comunque, fra dubbio e sospetto, farei una distinzione. Il primo ha una connotazione più razionale ed è ermeneutico. E 'senz'altro positivo. Il secondo contiene un elemento emotivo, in quanto comporta la paura dell'inganno, ed è sì lecito, ma una condizione che non venga trasformata in certezza, perché, in questo caso, diventerebbe il contrario del dubbio.
Il dubbio è sempre aperto. Il sospetto esige la verifica. Se le prove non possono essere certificate, può finire per affermare certezze marmoree quanto quelle ufficiali.
Vorrei aggiungere, fuor di allusioni e fraintendimenti, che io, comunque, nel mio libro, non affronto il tema delle politiche mondiali messe in atto per fronteggiare il virus, ma mi limito ad analizzare gli stati d'animo, le emozioni, i pensieri e le diverse reazioni dell'essere umano rispetto a tutto ciò che lo minaccia. E lo faccio per un particolare interesse verso la profondità del nostro io. In definitiva, è un saggio (non triste) sull'uomo di fronte alle prove della vita.
* Fra le cose più belle presenti nel tuo lavoro, credo meriti una particolare menzione la poesia di una bimba sul tema dell'Infinito, definito come "il nostro più fidato amico e la nostra più temuta paura". Perché questa tua scelta?
- Quando scrivo di cose serie, mi piace intervallare e alleggerire il discorso con qualche notazione di altro genere. Così è capitato con la poesia della bambina che ha introdotto una nota di freschezza nella trattazione. L'ho fatto anche nelle pagine successive, con un'altra storiella molto speciale che riguarda due gatti, Mao e Dybala, ed un loro soccorritore. La poesia me l'ha inviata Sara, una bambina che ama leggere e comunicare, con cui mi diletto a dialogare.
Ho notato come una bimba, proprio in un clima di clausura, ha sentito la spinta a parlare di infinito. Trovando quindi, una evasione da momenti difficili. Ho avuto la conferma che l'infanzia è creativa per antonomasia, e ho fatto un paio di considerazioni:
* anche nelle situazioni più difficili può nascere un momento di gioia;
* la cultura è importante sempre e tutte le età, anche per i piccoli, perfettamente in grado di sorprenderci.
Quindi, vorrei offrire al lettore per chiudere la nostra chiacchierata, in anteprima e per intero, questo piccolo componimento.
L'infinito si estende tra di noi;
l'infinito non è paragonabile;
esso percorre le nostre vite
ed i nostri pensieri;
Lui è il nostro più fidato amico
E la nostra più temuta paura.
Non lo ha mai capito nessuno.
E 'l'incognita più grande e oscura
E finché la morte vivrà
Mai nessuno lo capirà.
Gabriella Gagliardi
Coronavirus. La paura il coraggio l'impegno. Frammenti di emozioni e pensieri
Editore: Armando Editore
Gabriella Gagliardi, nata a Salerno, laureata a Napoli in Filosofia Morale, vive da molti anni a Roma dove ha insegnato Filosofia, Pedagogia e Psicologia nell'indirizzo sperimentale pedagogico di un Istituto Magistrale. Fra i suoi libri, ricordiamo: Psicologia del malato oncologico. Non muore il desiderio, Armando Editore, Roma 2019
(https://www.flipnews.org/component/k2/psicologia-del-malato-oncologico-non-muore-il-desiderio.html)
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Elias Canetti |
Va assolutamente letto questo ultimo libro di Roberto Fantini, un insegnante di filosofia che ci presenta con regolarità libri attualissimi, e che uno non si aspetta. Non se li aspetta, perché distratto dall'inessenziale, dal contingente, dal marginale che gli viene proposto dai media, dai discorsi correnti, dalla propria mente che saltella di qua e di là, dall'idea folle che esiste vada riempita da quello che ci dicono essere importante.
Di che cosa allora abbiamo bisogno di oggi, in quest'epoca di smarrimento globale, di attesa messianica di un rimedio che ci tiri fuori dalla situazione che stiamo vivendo? Abbiamo bisogno - questo è il messaggio immortale di Maria Montessori - di recuperare una dimensione spirituale che nel bambino è connaturata. È il bambino, come letteralmente disse la Montessori in un suo discorso in India nel 1939 " il Messia contadino, che smuove il suolo dell'anima dell'uomo, così che diventi pronto a ricevere i semi divini che vi potrà essere sparsi".
Che cosa vuole dire questo? Vuol dire, né più, né meno, che nulla di salvifico ci potrà mai arrivare dall'esterno. Abbiamo già tutto dentro di noi, ei bambini, se li sappiamo osservare, ce lo mostrano, fintantoché non hanno ancora perso la capacità di esprimerlo. L'idea che li dobbiamo modellare per renderli adatti alle esigenze della società in cui sianno a vivere - aveva intuito la grande pedagoga e non si sforzava di ripeterlo - è esiziale, perché ne uccide l'essenza interiore. Fantini cita il figlio della Montessori, Mario, che esprime con parole semplici e chiarissime il messaggio della madre:
" Il bambino, indipendentemente dal luogo in cui è nato, non lotta per possedere cose materiali, la sua lotta è tesa ad arrivare al possesso delle facoltà umane che deve acquisire per portare una manifestazione i semi di divinità che si trovano in ogni bambino che nasce e che tanto spesso vengono ostacolati o distrutti se le sue forze, invece di essere ostacolatoe, fossero aiutate, se le sue facoltà fossero attentamente sviluppate con l'avidità con cui la società umana cerca l'oro - come sarebbe diverso il nostro mondo! "
Questa visione del bambino di Maria Montessori, sottolinea giustamente Fantini, va ben al di là di un semplice metodo pedagogico. Ne è la base, ne è l'essenza, e in quanto tale chi pretende di applicarne il metodo la deve interiorizzare. Ma non meno la deve interiorizzare chi vuole uscire dal groviglio in cui ci siamo cacciati, noi “poveri egoisti”, cresciuti come scolari cui è stato insegnato a non aiutarsi l'un l'altro, che poi si ritrovano nel mondo
“Come granelli di sabbia nel deserto: ciascuno è isolato dall'altro, e tutti sono sterili; se si scatena un vento potente, questi pulviscoli umani, privi di una spiritualità che li vivifichi, verranno travolti e formeranno un turbine sterminatore "
scriveva Maria Montessori nel 1937, profetizzando la guerra imminente, ma anche la nostra condizione attuale nella pandemia - o vogliamo negarlo? E sempre nello stesso anno 1937:
“ Il vero pericolo dell'umanità è il vuoto delle anime: tutto il resto non ne è che una conseguenza”.
In questa frase è detto davvero tutto, e di nuovo viene indicato la strada: il recuperare la dimensione interiore gettata al vento, quando il bambino che eravamo è stato soppresso, per modellarlo ad uso di una società sterile.
Fantini ci informa poi che a 29 anni Maria Montessori aveva aderito alla Teosofia, un movimento spirituale poco conosciuto e molto inviso alla gerarchia cattolica. Di fatto l'insegnamento e la prassi della Montessori sono perfettamente in linea con i principi teosofici di fratellanza, che Fantini ricorda in più passaggi, desideroso di indicare una strada verso l'interiorità che reputa di grande apertura.
Questo è senz'altro uno dei contributi preziosi del libro, il recuperare, rivalutandola, una scuola di pensiero molto ai margini del discorso intellettuale e pedagogico corrente. Un altro pregio è l'indicare molte fonti di approfondimento, a partire naturalmente dalle opere originali di Maria Montessori, e includendo testi di vari autori, quasi tutti italiani, in un campionario peraltro enorme di contributi su questa pedagoga, addirittura più apprezzata all'estero che da noi.
Roberto Fantini, Maria Montessori . Teosofica maestra di Pace , Roma 2020, Efesto.
"Pandemia Seconda ondata Rabbia e Confusione la sfida di Pulcinella" è l'ultima fatica letteraria dell'Ambasciatore del sorriso Angelo Iannelli che attraverso la maschera, provoca, sberleffa, si arrabbia ma poi riesce a donare a tutti un sorriso e una speranza per un pronto ritorno alla normalità senza dimenticare i tanti morti. Nel primo secolo della sua vita la maschera di Pulcinella prendeva in giro il re e la sua corte, oggi il moderno Pulcinella, magistralmente interpretato dall'instancabile Angelo Iannelli, riesce nelle pagine di questo libro a farci riflettere su quanto è accaduto nel 2020 e quanto sta ancora accadendo, affrontando con caparbietà pulcinellesca la seconda ondata della Pandemia pungendo e denunciando con la sua ironia in 140 pagine Albatros edizioni.Parlando della sua esperienza durante l'epidemia, della rabbia del popolo, dell'emergenza sanitaria e di quella economica, della scuola, del lutto della cultura, degli invisibili, della corsa al vaccino ma pure della solidarietà, ricordando che Pulcinella unisce il mondo lo rialza e lo cura con il suo sorriso e come dice Pulcinella la Pandemia sapite chere '? Perepe! Perepe! perepe! Prefazione e del Procuratore Generale di Napoli Catello Maresca testimonianze dello scrittore e giornalista Marco Perillo, il musicista e cantautore Lino Vairetti e l'attore Antonio Ciccone postfazione della giornalista e scrittrice Lucia de Cristofaro.ricordando che Pulcinella unisce il mondo lo rialza e lo cura con il suo sorriso e come dice Pulcinella la Pandemia sapite chere '? Perepe! Perepe! perepe! Prefazione e del Procuratore Generale di Napoli Catello Maresca testimonianze dello scrittore e giornalista Marco Perillo, il musicista e cantautore Lino Vairetti e l'attore Antonio Ciccone postfazione della giornalista e scrittrice Lucia de Cristofaro. ricordando che Pulcinella unisce il mondo lo rialza e lo cura con il suo sorriso e come dice Pulcinella la Pandemia sapite chere '? Perepe! Perepe! perepe!Prefazione e del Procuratore Generale di Napoli Catello Maresca testimonianze dello scrittore e giornalista Marco Perillo, il musicista e cantautore Lino Vairetti e l'attore Antonio Ciccone postfazione della giornalista e scrittrice Lucia de Cristofaro.
Un libro assolutamente da leggere, che racconta un momento storico particolare sicuramente sarà oggetto di studio nelle scuole.
Soprattutto nei periodi cupi, come quello in cui ci sta capitando di vivere, può svolgere una funzione preziosa lo spostamento dell'obiettivo della nostra coscienza verso livelli più alti di quelli in cui siamo quotidianamente intrappolati, fagocitati dalle paure dilaganti, in modo da entrare in contatto con le meditazioni dei grandi spiriti dell'umanità, in merito alle grandi questioni della vita. Immergerci in un interiore colloquio con i pensieri migliori delle menti migliori può rappresentare, cioè, una sorta di salutare "igiene mentale" capace di spazzare via (almeno in parte) le dense ombre che riempiono la nostra visione delle cose e che avvelenano le nostre aspettative e speranze per il futuro.in un momento in cui ci sentiamo particolarmente in pericolo e sempre più isolati e concentrati sul nostro incerto destino personale, può risultare di grande utilità provare a prendere il largo e recarci a respirare aria sottile in alto mare, lasciandoci guidare e sospingere dalla luce che discende dalle anime di coloro che hanno saputo parlarci di Verità e di Amore in maniera straordinaria bella ed efficace. Ed è per questo motivo che, ai lettori ed amici di flipnews, mi accingo a proporre, anche come buon auspicio per il nuovo anno, alcune riflessioni e considerazioni in merito alla concezione filosofica di Aldo Capitini, raro maestro di nonviolenza, di nonmenzogna e di noncollaborazione, in merito alle problematiche religiose, problematiche solo apparentemente astratte e fumose,
Sacro di esclusione e sacro di apertura
“La religione non può essere accettazione, ripetizione, consacrazione del mondo com'è, ma riforma del mondo, azione dal profondo a sommuoverlo, a trasformarlo, a prepararlo (...) all'imminente realtà liberata. "
Aldo Capitini
Nella religiosità di Aldo Capitini, sempre liberamente e laicamente al di fuori da qualsivoglia etichetta, è possibile riscontrare un continuo e dinamico processo dialettico che lo sospinge contemporaneamente sia nella direzione della pars destruens sia in quella della pars construens, ovverossia, verso una critica dura e tagliente nei confronti delle religioni tradizionali (Chiesa cattolica in primis), da una parte, e verso la definizione e la promozione mistico-profetica di un modo alternativo di “vita religiosa”, dall'altra.
Il tipo di religione che viene sottoposto a severa critica e che viene rifiutato con vigore è espressione di quello che viene denominato "sacro di esclusione, di chiusura", da lui contrapposto al "sacro di apertura" 1).
Il primo è caratterizzato dal "venire dall'alto, con autorità e con assolutismo", dalla negazione della ricerca e dello "sviluppo nella fondazione dei valori", dal ritenere indispensabile l'accettazione acritica dei dogmi, dall'imporre di "credere come vere tante cose discutibili e tante leggende ", dal volere" la parrocchia totalitaria, con tutti uniti nello stesso credo, negli stessi sacramenti, nella stessa sudditanza al sacerdote, il quale mette paura con la visione dell'inferno, e getta fuori del castello chiuso, protetto dagli arcangeli, i peccatori nelle mani dei diavoli. "
Il secondo, invece, non ha bisogno di istituzioni sacerdotali, conferisce la massima rilevanza alla "voce della ragione nella coscienza", rappresenta "libera aggiunta del proprio animo di unità amore con tutti, sentendoli presenti ed immortali, anche se lontani e morti", "è rispetto delle opinioni di tutti" e rifiuta l'organizzazione "in parrocchie con la dannazione di chi non ha la stessa fede". 2)
“Ci salviamo tutti”: la menzogna dell'inferno
“Il principio fondamentale della religione aperta - afferma Capitini in modo apodittico, tornandoci e ritornandoci innumerevoli volte - è che ci salviamo tutti. Noi non possiamo vivere con il privilegio che ci salveremo noi se crederemo ai dogmi e se seguiremo i sacramenti, mentre gli altri andranno all'inferno. "3)
Il tema dell'inaccettabilità logica ed etica della dottrina cattolica dell'eternità delle pene, affrontato con grande veemenza e con instancabile caparbietà, potrebbe facilmente apparirci alquanto inattuale, quasi un vezzo illuministicheggiante di scarso interesse.Ma occorre, al contrario, tenere ben presente che sarà soltanto in epoca postconciliare che il mondo cattolico comincerà ad impegnarsi alacremente (pur senza mai eliminarlo dall'apparato dottrinale) nel mettere il più possibile in soffitta il concetto di dannazione eterna, con tutte le sue implicazioni, nella chiara consapevolezza di quanto in esso ci sia di estremamente imbarazzante e di palesemente “impopolare”.
Per avere conferma di ciò, ci si potrebbe anche limitare a consultare opere monumentali come, prima fra tutte, l'Enciclopedia Cattolica, portata a termine proprio nel corso degli anni cinquanta.
Per cui, non bisogna commettere l'errore di ritenere la battaglia di pensiero e la civiltà morale condotta da Capitini contro la dottrina delle pene infernali come qualcosa di secondario o, peggio, come espressione di un astioso and anacronistico anticlericalismo. Essa merita, altresì, di venir considerata come un tassello centrale della sua concezione filosofico-religiosa, perché dimostra quanto egli avesse lucidamente compreso quanto detta dottrina rappresenti l'elemento di massima separazione possibile non solo fra i defunti, bensì anche e soprattutto tra i viventi .Perché, oltre ad umiliare e corrompere sensibilità etica e attitudine all 'onestà intellettuale, essa finisce per inculcare una visione del destino del genere umano in cui non esiste e non potrà mai esistere alcuno spazio per la dimensione dell'Unità amore e dell' Uno-Tutti.
Quello che, innanzitutto, il Nostro si rifiuta di accettare, apparendogli “residuo di religione arcaica” è che “polizie e tribunali siano anche nelle mani di Dio”, senza alcuna speranza di che si possa produrre un effetto positivo:
"Dar colpi in eterno - scrive - a chi non può migliorare, mi sembra tale da inorridire al solo pensarlo e attribuirlo a Dio, perché non esiste una bestemmia più grossa. "
“Vi sembra un Dio padre - aggiunge - quello che dà il dolore non per purificare (quindi soltanto per un periodo di tempo), ma per punire, per sempre, in eterno, nella dannazione dell'inferno? "4)
E come non inorridire di fronte a quanto asserito da Tommaso d'Aquino in merito al tripudio che, a suo avviso, proverebbero i beati all 'atroce spettacolo delle sofferenze dei dannati? “ Vi sembra - incalza - un padre quello che faccia soffrire in eterno? Qual carnefice o torturatore, lo faccia anche per giustizia, è arrivato a questo? "
Simili credenze andrebbero intese come vere e proprie offese a Dio (un "Dio che fa paura senza amare" e "che può dare un dolore eterno non purificante i dannati") 5) e sarebbe necessario adoperarsi per renderne consapevoli i credenti sinceri.
Credere nell'inferno come giusta condizione per coloro che rifiutato l'amore di Dio concretizzatosi nel sacrificio del Calvario implica un legare "Dio stesso a un'impossibilità", significa legarlo al rifiuto del peccatore "fino al punto che Dio si abbassa a costruire un inferno per i ribelli, dove non scenderà mai prendendo un'iniziativa di liberazione, perché quelli lo hanno rifiutato ", non aprendo mai, così," una nuova epoca "per vedere se quelli riusciranno mai ad emendarsi. 7)
La concezione di "un Dio raffinatissimo punitore che dà una sofferenza massima e perpetua, senza che si possa pensare che, per la sua onnipotenza, riapra un ciclo di possibilità di pentimento e di purificazione del peccatore" comporta il non rendersi conto del fatto che quel "Il rifiuto" è essenzialmente un "dramma per l'individuo", ma non "una cosa definitiva che investe tutto l'individuo (perché l'individuo nell'intimo è persona unita a tutti)", il quale non merito mai di essere identificato totalmente con il suo peccato.
"Non condannarmi, aiutami", supplica l'uomo. "8) Tanto che arriverà a dire, con evidenti echi origeniani, che
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Aldo Capitini |
"Ognuno di noi pur peccatori, se fosse al posto di Dio, scenderebbe all'inferno e riaprirebbe un ciclo di storia ed altri cicli ancora, finché non ci fosse più un dannato." 9)
E non meno ripugnante risulta la concezione di un paradiso da cui i dannati saranno eternamente esclusi, un paradiso che perentoriamente viene giudicato come una "lega chiusa" dove si godrebbe una gioia perversa a cui parte dell'umanità mai potrebbe pervenire.
Al contrario, se “so che Dio salva tutti (cioè si dà pienamente come amore nella compresenza), - dice, cogliendo ed evidenziando magnificamente l'indissolubile corrispondenza fra piano teologico e piano antropologico - sarò lietamente preso dal far come Lui e amare riverentemente tutti .Non ci sarà più la distinzione tra eletti e dannati, ma, internamente a me, tra aprirmi a Dio-tutti-liberazione, e il chiudermi. "10)
DISCUTO LA RELIGIONE DI PIO XII
Certamente, l'opera capitiniana che più esplicitamente e sistematicamente sottopone la Chiesa cattolica ad un severissimo esame critico è Discuto la religione di Pio XII (1957), opera che risponde, “con semplicità e chiarezza” 11), ma senza alcun meschino risentimento, alla campagna di demonizzazione portata avanti dalle gerarchie vaticane nei suoi confronti, soprattutto in seguito alla messa all'indice di Religione aperta (1955).
Il 12 febbraio del '56, sulla prima pagina dell'Osservatore Romano, infatti, oltre al decreto di condanna, era apparso anche un editoriale dal titolo Disorientamento in cui, attentamente (quanto disonestamente) di entrare nel merito dei contenuti, si proponeva una goffa stroncatura dell'opera, inanellante una fitta serie di accuse sprezzanti e dileggianti.Il libro veniva giudicato come un confuso "vagabondaggio personale senza preoccupazioni e senza scrupoli nei riguardi della storia, della logica, delle esigenze classiche dell'etica e della religione", totalmente privo di "consistenza", in cui, senza alcuna capacità costruttiva, si stavano manomettendo "Dio, Gesù Cristo, la Chiesa, Evangelo, mondo antico e mondo moderno, operando una demolizione radicale". Inoltre, si accusava l' autore di pretese profetiche prive di "afflato veramente religioso", nonché di essere sostenitore di "una specie di teosofismo umanistico, anzi cosmico", in cui confluiti "ibridamente gli elementi più diversi", producendo soltanto un preoccupante disorientamento .Accusa, quest'ultima, che, al contrario delle altre (perfide quanto stolte), si potrebbe considerare involontariamente quanto ironicamente più che fondata, risultando l'opera (come anche l'intera riflessione filosofica capitiniana), profondamente imbevuta di contenuti e, soprattutto , di valori e principi autenticamente teosofici!
Nell'Introduzione di Discuto la religione di Pio XII, incontriamo subito il j'accuse ricorrentemente rivolto alla Chiesa Cattolica, a proposito del Concordato mussoliniano.
“Noi che stavamo contrastando il fascismo, - scrive - vedemmo in quel Patto un grande aiuto dato al tiranno Mussolini per poter preparare le sue guerre, forte dell'aiuto ecclesiastico e della docilità del popolo delle campagne”.
Alla Chiesa viene attribuita l'enorme responsabilità di non aver saputo / voluto opporre all'avanzata del fascismo una chiara opposizione basata sulla "non collaborazione", dimostrando così "imprevidenza" e "insensibilità" "a ciò che concerne la libertà e la giustizia" , nonché "infedeltà allo sviluppo dello spirito cristiano". L'aberrante scelta della Chiesa finì per guarire “per sempre - scrive - anche ogni angolo di simpatia sentimentale che poteva esserci in qualcuno di noi: le affascinanti campane sonavano per cerimonie dove si inneggiava al tiranno, a un regime che straziava la libertà, la giustizia, la morale e la vera religione ”. E tale evento finì anche, quindi, per promuovere “un ' intima persuasione religiosa inconciliabile definitivamente con la Chiesa romana ”. 12)
Queste, in sintesi, le principali accuse rivolte alla Chiesa romana:
* rifiuto del dialogo in nome di una "religione fondata sul dividere le persone tra di loro" 13) e su una logica autoritaria e settaria ispirata alla "chiusura", che finisce per creare "una folla di fanciulli apolitici (bloccati, dunque, nel loro mirabile sviluppo), assistiti da politici docili agli ecclesiastici ”14);
* aver tollerato-giustificato-favorito una struttura socio-economica e socio-politica fonte di contrapposizione fra ricchi e poveri:
i Papi “pensano a un Dio che sia non creatore, ma imitatore della natura. Vedono la differenza tra ricchi e poveri, e la proiettano nella volontà di Dio! "15);
* aver promosso divisione e conflitto (posto "Cristo contro Buddha"):
“Non si può dire - scrive - che la pace si ha soltanto raggiungendo la“ coesistenza nella Verità ”, se per Verità si intenda un insieme di dogmi, concernenti una particolare concezione di Dio e della Rivelazione affidata a una gerarchia ecclesiastica. Questo divide fieramente le genti. Bisogna non porre Cristo contro Buddha o contro Gandhi, ma cogliere lo “spirito” del Dio unità amore, atto aperto a tutti ”16);
* aver teorizzato la "guerra giusta" e non aver praticato, ma anzi osteggiato l'obiezione di coscienza:
"Nei paesi cattolici decine e decine di giovani languono nelle prigioni militari per aver dichiarato il diritto della coscienza di non cooperare alla guerra e alla sua Preparazione. Se si Pensa alla forza che avrebbe, nell'attuale Tensione Tra I Due Blocchi politico-militari, la Presenza di Una folla di obiettori di coscienza per neutralizzare le possibilita di guerra, APRIRE le coscienze all'unità della Realtà di tutti, si vede l 'arretratezza, e soprattutto la lontananza dal Vangelo, del pensiero del Vaticano anche a questo proposito ”17);
* essere “parrocchia chiusa”, aspirando a governare su tutti ea sottomettere tutto, non ammettendo nulla di altro:
"La Chiesa romana ha installato il suo pesante ecclesiasticismo con la preminenza dei quattro elementi (" identica fede, comunione dei medesimi sacramenti, partecipazione allo stesso sacrificio, operosa osservanza delle identiche leggi ", che sono: dogmi, sacramenti, messa, autorità), al posto di quello che poteva essere uno svolgimento dell'atto di aggiunta soprannaturale rivolto a tutti, senza porre condizioni. E così il meglio è stato perduto Per ricuperarlo bisogna che il centro aperto prenda il posto della parrocchia chiusa ”18);
* aver preteso di esercitare potere “circa la terra e il cielo”, in quanto casta investita dall'alto e, come tale, indiscutibile:
“Non è il potere di andare sulla croce, aperto a Gesù ea tutti, ma quello di condannare come facevano gli inquisitori. Questo è il capovolgimento rispetto a Cristo. Si vorrebbe che la religione restasse quella che costituisce i centri di dedizione e sacrificio sino all'eventuale morte, e ci si trova, invece, una cosa politica come un impero con funzionari che hanno un potere di dividere e condannare. Non la libera aggiunta, ma la consegna al braccio secolare per l'esecuzione perfino dell'omicidio ”19);
* aver condannato (e, dove possibile, perseguitato) gli ex sacerdoti 20), nonché di aver rifiutato e ostacolato il fenomeno dei preti operai 21);
* non aver saputo cogliere ed apprezzare alcun valore “nell'immensa tradizione religiosa dell'oriente” 22);
* mancanza di attenzione verso: "indipendenza dei popoli, libertà culturale, sociale" (vari concordati finalizzati giustizia soltanto alla tutela dei propri privilegi)
* aver messo da parte la religione di Gesù in favore di una religione su Gesù: “Gesù non chiedeva la fede in dogmi, non imponeva un lungo credo, non diffondeva un catechismo; egli annunciava il Regno, e suggeriva il mutamento morale interiore più adatto per accoglierlo ”24);
* mitologismo e istituzionalismo: “la Chiesa scelse, e sceglie tenacemente - scomunicando, bandendo, togliendo la parola e, possibilmente, il pane a quelli che dicono altrimenti, assicurando che andranno alle pene eterne - lo sviluppo secondo l'istituzione. Intese la vittoria sul paganesimo come un incameramento di tanto di pagano e di antiquato, connettendolo semplicemente in modo mitologico con Gesù. Angeli, arcangeli, gli esseri della Corte di Dio? L'arcangelo Gabriele (dichiarato dalla Chiesa romana protettore dei postelegrafonici) portò l'annuncio di Dio a Maria, così come Mercurio portava quelli di Giove. Non credete voi nell'arcangelo Gabriele? E nemmeno nell'arcangelo Michele (protettore della Pubblica Sicurezza)? Vi metterete nei pasticci."
* aver sostenuto e continuare a sostenere l'esistenza dell'inferno:
“La rivelazione e il magistero della Chiesa - dichiara Pio XII in un discorso del 5 febbraio 1955 - stabiliscono fermamente che, dopo il termine della vita terrena, coloro che sono gravati da colpa grave subiranno dal supremo Signore un giudizio e una esecuzione di pena, dalla quale non vi è alcuna liberazione e condono. Iddio potrebbe anche nell'al di là rimettere una simile pena: tutto dipende dalla sua volontà; ma Egli non l'ha mai accordata, né mai l'accorderà ... Il fatto della immutabilità e dell'eternità di quel giudizio di riprovazione e del suo adempimento è fuori di discussione ... ”26)
PER CONCLUDERE
A conclusione di questo tentativo di gettare uno sguardo panoramico sullo sviluppo della riflessione filosofico-religiosa capitiniana, ritengo opportuno, al fine di mettere in risalto alcuni elementi centrali della cosiddetta pars construens, riferirmi ad uno scritto contenuto in Aggiunta religiosa all'Opposizione (1958) , dal titolo Collaborazione religiosa 27), particolarmente prezioso perché in grado di farci meglio comprendere come stimolante ricerca (spesso polemica) condotta in ambito teorico avrebbe dovuto, secondo Capitini, proiettarsi fattivamente nel mondo sociale contemporaneo, promuovendo la trasformazione dell'elemento religioso da fattore di stagnazione, di separazione e di scontro un fattore di progressiva unione affratellante.
Pur riconoscendo la positività dei passi avanti realizzati sul piano della tolleranza religiosa, il filosofo li ritiene insufficienti e non in grado di rispondere con successo al crescente "presentarsi di situazioni urgenti che sollecitano la collaborazione".
“Non si tratta più - scrive, infatti - di convivere pacificamente, di rispettarsi e salutarsi amichevolmente, di fare alleanze in vista di momentanei fini comuni, ma di più. Cioè di dover alcuni punti di lavoro teorico e pratico, intimo e sociale, che pongano i vari religiosi in movimento, sia nel loro animo, sia nell'influire sulla situazione circostante. "Un lavoro capace di scuotere l '” immobilismo religioso ”, restituendo alla religione un ruolo guida e di avanguardia.
Un lavoro che avrebbe dovuto essere incentrato sui seguenti 4 punti, principi “vivi e organici” di una massimamente costruttiva “religione aperta”:
1) “Valore fondamentale dell'apertura a tutti gli esseri”, senza escludere nessuno dalla dimensione-amore, percependoli come “compresenti nel nostro intimo” e costituenti “la realtà di tutti”; indipendentemente dal proprio credo teologico, "tenere per fondamentale questa apertura all'esistenza, alla presenza, alla speranza, rivolta ad ogni singolo essere."
2) “Apertura alla liberazione dal male (peccato, dolore, morte)”, allargando l'apertura stessa alla “trasformazione e rinnovamento”, non soltanto a livello sociale, ma coinvolgendo “la nostra umanità biologica, e la realtà tutta, dove domina la potenza ”:“ La religione è annuncio, preparazione, servizio dell'impossibile. "
3) "Intendere la propria vita religiosa come formazione continua", perennemente bisognosa di promuovere sentimento di responsabilità, autentica "libertà per sé e per tutti" e disponibilità all'ascolto e al pentimento, nella pratica rispettosa e arricchente della "libera aggiunta".
4) “Lavorare intensamente nella società. Realtà e propria umanità con il metodo della nonviolenza, della noncollaborazione con il male e dell'amore per le persone ", creando, nello" spirito della realtà di tutti "strumenti di lotta in grado di combattere le grandi mostruosità del mondo contemporaneo:
imperialismo,
assolutismo statale,
capitalismo.
NOTA
1. A. Capitini, Religione aperta , Laterza, Bari 2011, p. 19.
2. Ibidem.
3. Ivi, p. 20.
4. Ivi, p. 55.
5. Ivi, p. 81.
6. Ivi, pagg. 55-6.
7. Ivi, pagg. 58-9.
8. Ivi, p. 60.
9. Ivi, p. 68.
10. Ivi, p. 77.
11. A. Capitini, Discuto la religione di Pio XII , Edizioni dell'Asino, Roma 2013, p. 18.
12. Ivi, pagg. 20-22.
13. Ivi, p. 23.
14. Ivi, p. 24.
15. Ivi, p. 44.
16. Ivi, p. 53.
17. Ivi, p.56.
18. Ivi, pagg. 64-5.
19. Ivi, p. 76.
20. Ivi, p. 77.
21. Ivi, p. 81.
22. Ivi, p. 84.
23. Ivi, p. 83.
24. Ivi, p. 99.
25. Ivi, pp. 132-3.
26. Ivi, p. 143.
27. A. Capitini, Aggiunta religiosa , Parenti editore, Firenze 1958, pp. 156-160.
In questi ultimi decenni, l’attenzione verso le filosofie e le religioni orientali è andato continuamente crescendo, con una particolare cura rivolta a quell’insieme composito e variopinto di teorie e di pratiche che va sotto il nome di “yoga”.
E, come sempre, anche in questa forma di innamoramento verso altre esperienze culturali, è possibile incontrare sia tanta egocentrica curiosità, sia tanto sincero e genuino interesse.
Cesare Maramici rappresenta, senza alcun dubbio, un chiaro esempio di come sia possibile procedere dall’uno all’altro livello, in modo decisamente felice.
Sì per me lo yoga è molto importante, è un' arte di vivere, rappresenta la nota di colore della mia giornata, quando ho un po' di spleen faccio yoga e riparto.
Comunque, tengo a precisare che lo yoga non è solo una pratica per il benessere o antistress. Lo yoga è il cammino spirituale che conduce il praticante al ricongiungimento del sé con il Sè cosmico, a percepire questa energia cosmica eterna, divina che compone l'universo, di cui tutti gli individui che esistono - inclusi gli essere umani - sono una estensione; Un percorso che porta all'eliminazione della sofferenza e al raggiungimento della beatitudine.
Mi considero un praticante ateo che fa yoga classico tutti i giorni da 25 anni, senza aspettarsi niente.
Non sono, cioè, alla pressante ricerca dell'illuminazione (quello stato in cui ti senti di far parte del Tutto) o altro. Secondo me, non esiste un percorso o una tecnica ben precisa per arrivarci. Talvolta accade, e accade sia se hai iniziato yoga il giorno prima oppure 30 anni prima, o la vita precedente.
Comunque, con lo yoga è possibile ottenere indubbi benefici dal punto di vista fisico e mentale, riuscendo a migliorare l' approccio con la realtà esterna, e riuscendo a prendere le distanze da questo mondo sempre più complicato col quale interagiamo.
Recentemente uno dei miei Maestri yoga di riferimento mi ha detto “Non devi provare a cambiare gli altri e il mondo, gli eventi della vita ai quali parteciperai devi viverli completamente distaccato e vivere la tua vita come semplice testimone. La tua vita scorrerà come un fiume e se ti lascerai andare la vedrai come una spiaggia che vede scorrere il fiume, la natura starà semplicemente realizzando ogni cosa. Tu accetterai semplicemente quello che accade.“
Come ti dicevo, ho iniziato a praticare yoga 25 anni fa. Per me rappresentava l'ultima spiaggia per risolvere un atroce mal di schiena. L'aspetto esoterico e spirituale non mi interessava affatto. Dopo un mese di pratica quotidiana il mal di schiena era passato, ed ho continuato senza aspettative.
Poi, col passare del tempo, succede che lo yoga ti prende, ti cattura, e tu cambi senza accorgertene: più mantieni le posizioni, più riesci a prendere le distanze, più cambia la tua personalità. Lo yoga è una sorta di psico-terapia junghiana.
Lo yoga, a differenza dello sport o altre attività fisiche come trekking, ecc., agisce nel tuo subconscio, e scioglie nodi ancestrali. Questo è l'aspetto dello yoga che ha spinto gli occidentali ad interessarsi di questa disciplina qualche decennio fa.
Oggi, purtroppo, gli interessi prevalenti degli occidentali per lo yoga sono altri: lo yoga è diventato "borghese" e alla moda, è diventato un oggetto di consumo come un altro. Lo yoga come si pratica oggi è veramente lontano dallo yoga praticato alle origini!
Non dimentichiamo poi, che lo yoga è anche un percorso spirituale e morale, in quanto propugna la nonviolenza, l'onestà, il non attaccamento, il rispetto per l’altro, ecc., producendo benessere e tranquillità, ma senza che ci si debba estraniare dal mondo.
Bisogna trovare, secondo il Maestro Antonio Nuzzo, “l’equilibrio tra immanenza e trascendenza”, visto che oggi è difficile isolarci nella nostra caverna.
- Immanenza significa svolgere il nostro ruolo attivo (docente, genitore, coniuge, ecc) in questa società in modo etico ed onesto.
- Trascendenza significa riuscire a trovare attimi di eternità sul tappetino, durante la pratica.
André Van Lisebeth, la persona che ha portato lo yoga in occidente, sul tappetino riusciva a trovare una serenità assoluta, ma era un instancabile fucina di idee e attività nella vita quotidiana.
Considerando che esistono già migliaia di trattati sullo yoga, scritti da grandi maestri, mi è sembrato del tutto inutile aggiungere un altro trattato o un catalogo di posizioni con i relativi vantaggi e svantaggi. Per cui ho preferito limitarmi a riportare la mia esperienza personale, sottolineando le riflessioni scaturite dall'incontro con questa nobile disciplina e con grandi personaggi con cui mi sono confrontato nel mio individuale percorso.
L'idea della forma di dialogo è nata proprio parlando con mia figlia di yoga quando ci siamo incontrati in Toscana un anno prima della pubblicazione del libro. Credo che sia una forma più semplice e sobria per far passare un messaggio.
Sì confermo,questa è certamente una delle motivazioni che spingono gli occidentali allo yoga, inteso come alternativa al vuoto spirituale della religione tradizionale: poi, però, lo yoga può diventare un percorso individuale. Devi trovare il maestro che c'è in te.
E devi anche stare attento a non ritrovarti prigioniero di una comunità o di un ashram.
Mi ha colpito molto una frase di una persona della comunità di Ananda che ha detto “Quando le energie negative che ti circondano nella vita quotidiana sono troppo forti e tu non sei in grado di affrontarle, è meglio che abbracci una comunità per ritemprarti e rafforzarti, per poi, in seguito, riaffrontare la vita”.
Però poi, spesso, la persona rimane nel conforto della comunità.
Non penso che tutti dovrebbero praticare yoga. Ma, ad una certa età, quando cominci a guardarti indietro, può essere uno strumento utilissimo per prepararti ad affrontare il dolore e la morte.
Lo yoga poliedrico che vediamo oggi in occidente è il prodotto della storia e della mondializzazione, che lo hanno modificato nel corso dei secoli, uno yoga molto lontano dalle sue origini indiane, che, passando per gli Stati Uniti è stato deprivato da tutti i riferimenti spirituali e religiosi.
L’ultima tappa di questa mondializzazione è stata l’istituzione della “Giornata mondiale dello yoga” nel 2015 dall’ONU sull’iniziativa del Premier indiano M. Modi.
Modi ha fatto dello yoga uno strumento di “Soft power”, proiettando l’immagine di un Paese in armonia con la natura, che contribuisce alla pace e al benessere degli abitanti del pianeta. Ma in effetti associa lo yoga ad una pratica religiosa ed utilizza lo yoga come un progetto per determinare l’egemonia degli indù in India.
Oggi, in Occidente, ci troviamo di fronte a realtà variegate che mettono in scena il folclore della saggezza orientale, unendo forme di ginnastica tonica, canti di mantra, massaggi, ecc. ed il rapporto tra Maestro e discepolo è stato sostituito dal rapporto Insegnante – allievo.
La globalizzazione dello yoga ha portato a vari eccessi: mercificazione eccessiva, proletarizzazione degli insegnanti, turismo di massa …
Oggi la pratica yoga unisce destinazioni soleggiate, hotel a cinque stelle e attività varie: escursionismo, iniziazione alla meditazione, cucina vegetariana, massaggi, ecc…
L'immagine del guru indiano si è quindi dissolta ed è stata sostituita dalla giovane donna tonica che si contorce indossando una tuta alla moda, sul bordo di una piscina.
C'è chi, purista come me, resta fedele agli ashram aperti negli anni '70 e trova difficile accettare questa follia che si è sviluppata intorno allo yoga.
Durante la formazione che ho ricevuto in vari ashram, sono stato formato all’umiltà, alla soppressione dell’ego, all’etica, al silenzio, al percorso individuale e all'azione disinteressata, e sono sempre più sorpreso di scoprire quando, dopo un breve anno di formazione, ci sono persone che cominciano ad atteggiarsi come un guru e a chiedere parcelle astronomiche. Questo rischia di provocare molta disillusione.
Inoltre, è odiosa questa attuale competizione tra insegnanti, sempre più numerosi e sempre più giovani (la maggior parte ha tra i 25 e i 40 anni)!
Scegliere fra tante proposte potrebbe non essere, tutto sommato, così difficile. Basterebbe applicare due semplici criteri (il primo dei quali indicato da Antonio Nuzzo uno dei pochi Maestri che si trovano a Roma):
- “Lo yoga oltre la forma”.
Il che significa che lo yoga non è il pilates o mero esercizio fisico, quello che conta è l'intenzione del perché si fa yoga: se siamo proiettati alla ricerca del Sé superiore siamo nello yoga, altrimenti siamo nel pilates. Fondamentale è esserne consapevoli.
- “Denaro e spiritualità sono inconciliabili”.
Il che significa che il praticante che frequenta lezioni a 35 euro in ambienti eleganti non è pronto per la rinuncia e il ‘ritiro dei sensi’ a cui lo yoga ci invita.
MA UN SIMILE RISULTATO NON POTREBBE ESSERE CONSEGUITO CON SUCCESSO ANCHE PRESCINDENDO TOTALMENTE DALLO YOGA, SIA SEGUENDO FEDELMENTE UNA QUALCHE RELIGIONE O, PIÙ SEMPLICEMENTE, SULLA BASE DI UNA LAICISSIMA VOLONTÀ DI IMPEGNO SOCIALE?
Tengo a precisare che lo yoga non è solo una filosofia, né una religione, è una scienza e un percorso spirituale, il suo successo è, d’altronde, parallelo alla messa in discussione della religione.
Uno dei sentieri importanti dello yoga è il karma yoga, l’azione disinteressata al servizio degli altri, il più alto grado dello yoga espresso dal canto VI della Bhagvad Gita.
La meditazione e lo yoga ci permettono di acquisire una forza e una libertà interiore sempre più grandi: le nostre angosce e paure saranno ammorbidite e la fiducia e la gioia di vivere sostituirà l'insicurezza, mentre l'altruismo appassionato andrà a sostituire l'individualismo cronico. Le persone equilibrate e felici sono anche naturalmente persone altruiste.
Per rispondere alla tua domanda, sì, certo, si può' benissimo intraprendere un impegno sociale prescindendo dallo yoga, ma spesso si finisce per usare l’attività di volontariato per trarne un beneficio personale, per aumentare la propria autostima, ridurre un sentimento di disagio, ecc …
Mentre un volontario che pratica yoga svolgerà con maggiore facilità un'attività totalmente disinteressata.
Praticando yoga, ci sarà possibile preservare una certa forza interiore, gentilezza, e pace interiore, mantenendo una certa distanza dall'esterno.
Più siamo lucidi circa il mondo, più accettiamo di vedere come realmente è, più è facile accettare che non possiamo fare fronte a tutte le sofferenze che incontriamo nella nostra vita.
Al di là delle differenze tra Oriente e Occidente, religione, spiritualità, ateismo e laicità, si dovrebbe cercare di riformulare una nuova etica per ottenere un mondo migliore alla quale, credo fortemente che lo yoga possa dare un contributo significativo.
*In uno dei suoi lavori, nati sempre da grande entusiasmo, ho finito anche per essere trascinato in qualità di coautore:
Esperienze di Meditazione. 54 praticanti si raccontano, Edizioni Efesto, Roma 2016.
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Cesare Maramici |
Nota bio-bibliografica
Cesare Maramici ha insegnato informatica dal 1984 al 2020 e ha ricoperto il ruolo di consulente (dal 2003 al 2012) nell'ambito del progetto internazionale
"Education for rural people" gestito da FAO ed UNESCO.
In questi ultimi anni ha svolto l’attività di facilitatore in corsi di yoga e quella di volontario con Amnesty International, il VIS ( Volontariato Internazionale per lo sviluppo) e la ONLUS Ostia per l'Africa. Attualmente è volontario della Croce Rossa Italiana.
Principali pubblicazioni:
2019 |
Libro: Lo yoga spiegato a mia figlia, Ed. Simple, |
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2016 |
Libro: Esperienze di meditazione. 54 praticanti si raccontano, Editore: Efesto, coautore Roberto Fantini |
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2016 |
E-book: I rischi della rete, Editore: Società Dante Aligheri |
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2015 |
Libro: Educazione Interculturale attraverso le nuove tecnologie, Editore:EAI |
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2014 |
Libro: La meditazione in azione, Edizioni Simple |
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Chi siamo? Cosa sono la natura e la società? Quale rivoluzione culturale ci può salvare? Cosa sono oggi l'autorealizzazione e la crescita personale? Come può ciascuno perseguirle in un modo più rapido ed efficace di un "Intensivo di Illuminazione"? In questo saggio di carattere filosofico e di psicologia umanistico esistenziale, troverete le risposte. Gli esistenzialisti si sono preoccupati del "sentimento esistenziale", della nausea e dell'angoscia, gli Esistenzisti invece considerano l'Esistenza come una possibile opera d'arte, secondo una nuova prospettiva Ontica che tenga conto della complessità della natura, della sua "imperfezione creatrice" e del nostro ruolo dentro tale armonia.Noi utilizziamo la ragione, la logica, la matematica e l'ontologia scientifica per conoscere, ma la natura non pensa, eppure è capace, nella sua armonia, di creare dei soggetti pensanti e autoconsapevoli. Noi cerchiamo di "spiegare" la natura secondo la nostra immaginazione e secondo l'ordine logico razionale, ma la natura crea secondo la sua armonia ontica e complessa. Perciò occorre pensare Onticamente, andando oltre la logica, per capire finalmente la complessità di noi stessi, della natura, della società e della cultura, per creare una nuova civiltà che ci conduca all'autorealizzazione individuale e collettiva sapendo prenderci cura della nostra Esistenza, della convivenza con le altre specie e della coesistenza pacifica e felice degli "Homo Sapiens".
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In questa sua ultima fatica Roberto Fantini analizza il dogma della chiesa cattolica relativo all’Inferno e mette in evidenza come il credere che un Dio, Padre creatore, il suo stesso Figlio, l’intera comunità dei Santi potessero eternamente vivere, immersi nella condizione di felicità assoluta, mentre i dannati verrebbero destinati a sofferenze eterne, abbia prodotto la più radicale svalutazione della compassione, abbia legittimato la società del privilegio, la società delle élites , il rifiuto dell’empatia, del sentimento di solidarietà. Si è creata una psicologia personale e collettiva indecente, un modo di pensare, di sentire, di essere impermeabilizzati alla sofferenza di chi “merita” di soffrire (del proprio prossimo, cioè, non più classificato come tale). In questi quasi duemila anni la corrente cristiana ha prodotto una morale che ha esaltato la virtù soprattutto (se non soltanto) come “mezzo” per “guadagnarsi” la salvezza e sfuggire all’inferno (moralità meschinamente fondata sulla paura e su calcoli utilitaristici) e che ha quindi prodotto la concezione di una umanità irrimediabilmente divisa tra il bene e il male. Che ha favorito proselitismo e opera missionaria intesa e praticata molto spesso in maniera invasiva, impositiva, coercitiva e umiliante. Favorendo anche l’uso delle maniere“forti” , considerate legittime, pur di strappare qualche anima al diavolo. Soprattutto ha conferito all’istituzione ecclesiastica un potere illimitato, assolutamente incomparabile con quello di qualsiasi altra istituzione politica, civile o religiosa. La Chiesa, infatti, dichiarandosi erede unica dell’unico Dio, si è proclamata unico intermediario tra uomo e Dio, nonché unico strumento terreno voluto da Dio per consentire la salvezza delle anime. Ha innalzato la propria autorità al di sopra di tutto, attribuendosi proprietà e privilegi unici e ritenendosi immune da ogni possibilità di essere giudicata. Si è creata un’umanità servile, sottomessa ad una casta sacerdotale,forse la più nefasta. A sostegno di questa tesi del terrore il riferimento a molti santi: Agostino, spietato teorico dell’eterno supplizio. Scrive il vescovo di Ippona: vi sarà soltanto”miseria eterna, la quale si chiama anche “seconda morte” perché non si può dire che viva l’anima separata dalla vita di Dio, né che viva il corpo condannato ai tormenti eterni”. Vi sarà, cioè, una seconda”morte” che si rivelerà infinitamente più penosa della prima”perché non potrà finire con la morte”. “Il loro verme non morrà e il loro fuoco non si estinguerà”….”Ma quella Geenna, chiamata anche “stagno di zolfo e di fuoco”, “sarà un fuoco corporeo e tormenterà i corpi dei dannati”.
Per il nostro autore la tesi della eternità delle pene infernali è una proiezione nell’aldilà di un modo di concepire la pena nei termini dell’imperdonabilità, dell’irreversibilità e della pura vendicatività. L”Inferno” viene descritto nel Dizionario di Teologia dogmatica per i laici: “ lo stato e il luogo dei dannati ossia quelli che, morti in peccato mortale, subiscono una pena eterna…..” e nell’Enciclopedia ecclesiastica del 1950 è “ il luogo e lo stato di punizione eterna inflitta da Dio infinitamente giusto all’anima e, dopo la risurrezione finale, anche al corpo di chi muore reo sia pure di un solo peccato mortale” .
Per il nostro la concezione cristiana dell’inferno, imponendo “all’intelligenza impenetrabili misteri”, non potrebbe che risultare razionalmente incomprensibile e inaccettabile. Ciononostante – ma senza che ci sia un adeguato passaggio logico- si afferma che sarebbe “una delle più certe”, come poter affermare la “certezza” di qualcosa di incomprensibile resta un mistero per Fantini. Anzi, è questa la più chiaramente espressa ed esibita ad opera della presunzione della teologia e della strategia ecclesiastica di controllo e di assoggettamento delle coscienze. Nessun’altra religione ha avuto modo di dedicare tanta attenzione alla definizione dottrinale e al suo sistematico ed imperativamente ossessivo insegnamento. L’esistenza dell’Inferno e dell’eternità delle “ pene che vi si soffrono”sono da ritenersi come “dogma di fede”.
Ancora ai giorni nostri un editoriale di Civiltà cattolica del 1999 precisa che l’Infermo esiste, che non è un luogo ma è uno “stato”, un modo di essere della persona perché privata di Dio, che è la “fonte di felicità di tutto l’essere umano” e che l’Inferno è eterno, non per il fatto che così voglia Dio, ma per il fatto della decisione che l’uomo prende coscientemente nella sua vita e che conferma in punto di morte. Dopo di questa l’essere umano non può pentirsi o tornare indietro. Nel catechismo sempre della chiesa cattolica viene quindi confermata l’esistenza dell’Inferno e della sua eternità. Da ciò ne deriva, per il nostro autore, che pur con tanti cambiamenti di carattere formale, volti ad accantonare secoli di deliri vergognosi, la sostanza dottrinale resti tutt’ora fondamentalmente immutata. Si tratta soltanto di un’abile operazione volta a rendere meno palesemente assurda e ridicola (e quindi meno attaccabile) l’immagine tradizionale. La rende solo formalmente meno indecente, ma ciò non ha comportato affatto una revisione di carattere dottrinale: il pensiero teologico e i documenti ufficiali post-conciliari (pur con una innovativa sobrietà) continuano a ribadire la natura eterna dell’Inferno e delle sue pene e ciò, sebbene gli ultimi papi abbiano tentato di rendere meno terrorizzante l’assunto: “Dio -scrive papa Bergoglio- non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”, “ Dio dinanzi alla gravità del peccato risponde con la pienezza del perdono”in quanto “la misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato”.
Di contrapposto al concetto della dannazione eterna o della salvezza eterna propagandata dalla chiesa per millenni quale strumento di terrore, Fantini fa riferimento ad Origene, tra i principali scrittori e teologi cristiani dei primi tre secoli, il quale propugnò la teoria dell”Apocatastasi”: in essa Dio prima di tutto è bontà (la quale si manifesta già nell’Incarnazione). L’opera redentrice del Cristo è stata compiuta per tutti; Cristo è morto volontariamente, compiendo un particolare sacrificio espiatorio per tutta l’umanità, per Origene la morte è una penitenza, e ogni penitenza è solo disciplinare, ha una motivazione altamente pedagogica e risanatrice, perciò nella restaurazione finale di tutte le cose, peccatori e santi saranno redenti allo stesso modo perché gli “spiriti immortali” non possono essere dannati eternamente. Anche il Diavolo si riconvertirà e saranno reintegrati con lui tutti i dannati, Dio sarà tutto in tutti.
Il nostro cita anche il pensiero di altri intellettuali e filosofi, Aldo Capitini in primis: “I tutti esistono, ci sono: e qui è Dio come fonte del loro essere, creatore, Unità che si estende a tutti in quanto apparsi alla vita”. Giovanni Franzoni: “a ogni singolo uomo, ridare il volo a questo uccello con le ali bagnate. All’uomo tocca tendere la mano al fratello maggiore caduto. All’uomo, a ogni uomo, tocca con l’amore resuscitare l’amore”. Luigi Lombardi Vallauri: l’Inferno è indiscutibilmente esistito e continua ad esistere, con effetti dolorosamente deleteri nelle menti (assai numerose) di coloro che lo hanno creduto e che continuano a crederlo “esistente”. Sia la concezione cattolica del peccato originale sia quella dell’Inferno meritano di essere definite “antigiuridiche”. “Antigiuridiche e anticostituzionali anche sotto il profilo della natura della pena”e ciò perché, rifiutando la cultura giuridica di Beccaria e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, l’uso della tortura e di “pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti e tormenti che non avranno mai termine” risulta del tutto impensabile destinarlo ad un’anima . Vito Mancuso: le posizioni sostenibili sono solo due: l’apocatastasi origeniana e l’annichilazione animica, la dissoluzione definitiva dell’entità personale; l’Inferno, in tal caso non sarebbe altro che “il simbolo vuoto di questo oscuro destino”.
Nell'opera di Fantini aleggia la fragranza della vita, fondamento della società, quasi un modo di pensare rivolto essenzialmente all’essere umano; in altre parole una filosofia basata sulla dignità della vita. Una rinascita dell’essere umano è impossibile se si dimentica questo tipo di pensiero. Ciò vuol dire non sfruttare mai, per nessun motivo, la vita, l’individualità o la felicità delle persone. L’obiettivo è quello di promuovere e preservare la vita, l’individualità e la felicità degli esseri umani, affinché gli uomini non vengano mai ridotti a meri strumenti per raggiungere altri scopi.
LA MENZOGNA DELL'INFERNO - Roberto Fantini
Contro la concezione dell'eternità
delle pene infernali
Edizioni Efeso - €16.00
"Molti aspetti nascosti della psiche femminile si svelano e si attivano con la maternità che può essere un momento di Rivelazione un'esperienza trascendentale se la accettiamo come tale Se riceviamo il sostegno necessario per affrontarla".
Laura Gutman, argentina, è psicoterapeuta junghiana specializzata in relazioni parentali. Ha fondato “Crianza”, istituzione che comprende la Scuola di Formazione Professionale di Crescita. Autrice di numerosi best-seller su nascita e puerperio, offre in questo libro importanti spunti di riflessione per chi si appresta a diventare madre.
Il parto, lungi dall'essere una separazione instaura invece una vera e propria fusione emozionale tra madre e bambino, una comunicazione basata su energie sottili e in contatto continuo con l'ombra.
La vera separazione si attua con la fine della fusione emozionale eavviene intorno ai 2 anni e mezzo del bambino, che coincide con l'inizio dello sviluppo del linguaggio verbale e con l'utilizzo della prima persona singolare.
Che cos'è l'ombra?
In psicoterapia è il terreno del' inconscio, si riferisce alle parti ignote della nostra coscienza. Robert Bly, nel “Il piccolo libro dell'ombra” paragona il nostro vissuto ad uno zaino che tendiamo a riempire i modo compulsivo con ogni tipo di esperienza, finché lo zaino si fa più pesante e diventa sempre più difficile e doloroso aprirlo e fare spazio.
Il neonato, per una madre, diventa un maestro, una guida perché non ha ancora la possibilità di relegare nell'ombra aspetti che l'adulto cosciente rifiuta.
"La maternità apre il cuore lo espone alla miseria, all'allegria, alle insicurezze, alle situazioni ancora da risolvere, da comprendere e ci consente di mostrarci fragili".
Dopo il parto, per due anni, la mamma non può considerarsi un individuo ma una diade, una mamma- bambino.
Si ritrova la madre con la sensazione di perdere i propri riferimenti, la propria razionalità, vivendo come se fosse uscita dal mondo: un'emozione che viene etichettata spesso come “depressione puerperale”, in realtà sta avvenendo un necessario e non rimandabile incontro con la propria ombra.
L'autrice alterna alle parti teoriche casi esplicativi con le quali entra in contatto nel suo lavoro di psicoterapeuta.
Il parto diventa una vera e propria “destrutturazione spirituale”, una rottura emozionale che permettere il passaggio alla realtà di due persone. Purtroppo c'è scarsa consapevolezza rispetto al parto e a questo “rompersi pienamente”:
le nascite vengono sempre di più indotte, le anestesie e la fretta di sbrigare la pratica lascia la donna lacerata e stordita come un vulcano che appena eruttato. Si ritrova con le sue macerie, e con i suoi lapilli ancora incandescenti.
Purtroppo aumentano i casi di violenza ostetrica, indicatori della poca sensibilità che la società di oggi ha attuato verso questo importante momento di passaggio: ricovero precoce, rasatura, clistere, flebo, ossitocina sintetica, episiotomia, anestesia epidurale, sono tutte situazioni che vengono vissute come prassi medica spesso non richiesta e che rendono questo momento meno naturale possibile.
Un'altra fase importante che merita di essere sostenuta è quella dell'allattamento che l'autrice definisce “incontro amoroso” che presuppone tempo dedicato e intimità, proprio come un atto sessuale.
"Il parto e l'allattamento sono le migliori opportunità affinché una donna si connetta con gli aspetti più naturali del suo essere essenziale"
Le difficoltà incontrate dalle madri nell'allattamento spesso hanno origine nella mancata comprensione che si tratta appunto di un atto d'amore e non solo di una somministrazione di cibo: per allattare è necessario avere introspezione e equilibrio, entrare nel mondo dell'ascolto profondo e dell'intuizione affinché il bambino non solo si nutra del latte ma anche del contatto permanente e corporeo con la madre.
Una figura interessante che sostiene la donna in questo momento di passaggio è la doula, termine proviene dal greco, che significa “schiava della donna” e indica le operatrici che accompagnano le puerpere in questa nuova identità.
Uno spunto interessante riguarda la capacità di comprensione dei neonati: l'autrice invita le persone a parlare con loro perché essi comprendono tutto, anche ciò che non si vede. Un , infatti, comprende il linguaggio verbale anche se non lo sa usare e reagiscono con violenza quando non vengono considerati esseri capaci di comprendere; quindi l'autrice invita i genitori a parlare loro, a spiegargli come sarà la giornata, chi si prenderà cura di loro e perché, spiegando cosa il genitore farà in questa assenza; è importante non negare mai quello che sentiamo, e comunicarglielo, fosse anche l'origine delle nostre preoccupazioni o delle nostre allegrie, il bambino che sa rimane distante dall'ansia. Parlare al neonato in prima persona, dunque, nel modo più diretto, dire la verità senza emettere giudizi: questi i consigli dell'autrice, perchè quando una persona parla partendo da se stessa e da quello che prova non crea conflitti ma genera comprensione, esprimersi risulta più semplice.
Che ruolo ha il padre?
"La funzione paterna è fondamentale in due precisi momenti: il primo tra la nascita e due anni coincide con il sostegno attribuito alla diade madre-bambino; il secondo, dopo i due anni, si riferisce alla separazione che corrisponde alla strutturazione del proprio io da parte del bambino insieme al distacco emozionale della mamma".
Il padre, dunque, oltre ad offrire un aiuto concreto, accompagna la madre al contatto con l'ombra, appoggiando attivamente l'introspezione; è auspicabile che la mamma riconosca e comunichi al bambino la funzione svolta dal padre. Anche le madri single hanno bisogno di trovare dei separatori emozionali che permettano loro di rompere la fusione; tale separazione può arrivare tramite un lavoro, un'attività artistica o sportiva, per loro sarà necessario creare una rete di aiuto e incontro con le altre madri.
I sintomi del bambino trasmettono informazioni sul cammino di introspezione della madre: la malattia porta luce e consapevolezza sugli aspetti che abbiamo rilegato nell'ombra, pertanto non va vista solo da un punto di vista fisico, ma è importante comprenderne il linguaggio.
L'autrice porta l'empio di malattie come i raffreddori o alterazioni della mucosità: respirare ci unisce alla vita e agli altri, questo tipo di sintomi sono indice di relazioni: quando non possiamo respirare vuol dire che stiamo respingendo la vicinanza degli altri e desideriamo solitudine; lo starnuto diventa di segnale di allontanarsi e bisogno di un contatto più profondo con se stessi. I bambini asmatici sentono forte l'esigenza di contatto fisico e della presenza della madre; l'allergia è il rifiuto e la difficoltà a riconoscere l'aggressività; le infezioni indicano una rabbia contro qualcosa o qualcuno;i problemi digestivi indicano scontenti emozionali legati a cosa voglio e come posso rifiutare qualcosa che non mi piace.
Un libro importante, per prepararsi con consapevolezza ad un momento di passaggio che trascende l'aspetto di luce e positività che siamoabituati a vedere e offre importanti occasioni di comprensione della propria trasformazione emotiva e fisica.
Maternità tra estasi e inquietudine - Laura Gutman
Terra nuova edizioni
Ci sono libri che hai bisogno di rileggere quando la poesia della vita sembra perdersi dietro una quotidianità ritmata da esigenze estranee alla propria fame di bellezza.
Ci sono libri che nutrono dimensioni sottili della accorgersi.
Le specie del sonno è uno di questi libri: con l'introduzione da Italo Calvino e chiuso dalla penna di Giorgio Agamben, è dedicato ad Anna Maria Ortese e a José Bergamin.
Il libro di Ginevra Bompiani parte dal mito, visto con gli occhi illuminati di chi riesce a calarlo nel presente per farne azione creativa.
Una mitologia che parte dalla lontananza per poi avvicinarsi e percorrerti dentro, che ti fa volteggiare tra le parole, capaci di dare voce al proprio sentire, al proprio pensare.
nella prima l'autrice tesse le storie della natura di esseri mitologici come gli ermafroditi, i Centauri, le Amazzoni, Eros e Psiche, Pan, e lo fa andando a scandagliare aspetti dell'animo umano alle quali il mito silenziosamente si rivolge.
Nella seconda parte il protagonista è Eracle e le sue fatiche, all'interno delle azioni dell'eroe emerge il senso della vita, del proprio cammino e della comprensione del mondo.
È una scrittura maestra, quella di Ginevra Bompiani, raffinata ed elegante, evocativa e mai scontata.
È un vero repertorio delle umane emozioni raccontate attraverso storie che accaddero un tempo che continuano ad accadere: un ventaglio di toni che vanno dalla malinconia alla stanchezza, dalla disperazione al pianto, dall'allegria alla spinta decisionale.
È un libro che cura e lo fa accarezzando con storie antiche vestite di poesia di poesia
“Niente è per l’uomo più difficile che guardare un albero senza amore, una campagna senza gelosia, un brandello di schiuma senza desiderio; niente gli è più alieno che l’assenza di lacerazione tra diverse specie di amore; voglie e nostalgie si contendono i suoi passi come mendicanti spagnoli appesi alle vesti; e se, con un gesto negligente, li scrolla da sé, ecco apparire all’orizzonte un nugolo di polvere (cavalieri? bufali? mulinelli?) che subito affretta il suo passo e lo trascina, innocente, verso una morte perversa”.
GINEVRA BOMPIANI
Le specie del sonno
Quodlibet
Emiliano Federico Caruso, giornalista, fotoreporter professionista e scrittore di viaggio, in 22 anni di questo mestiere ha collaborato anche con “Il Fatto Quotidiano” e altre testate nazionali. Attualmente scrive per “Antimafia Duemila”, “Kmetro0” e “Terre Incognite”, dove si occupa di reportage su luoghi insoliti, inchieste sulla criminalità organizzata, geopolitica, cronaca e religioni. Vicedirettore del periodico “L’Attualità”, considera Enzo Biagi e Tiziano Terzani i maestri a cui ispirarsi, e da sempre è un convinto difensore del giornalismo da strada fatto di scarpe consumate, taccuini, persone e luoghi vissuti dal vivo.
Partendo dai ricordi di un viaggio in treno sulla rotta Slavutych-Semykhody, al confine tra Ucraina e Bielorussia, in questo libro, arricchito da una prefazione di Giorgio Fornoni, l’autore attraversa alcuni dei suoi reportage pubblicati negli ultimi anni. Dalle sale dei reattori della centrale di Chernobyl fino alle manifestazioni dei Gilet Gialli a Parigi, dagli incontri con i pescatori pugliesi fino agli avamposti della Seconda guerra mondiale in remote isole del nord della Scozia, senza dimenticare la geopolitica dell’est Europa, le religioni, il traffico di droga, la criminalità organizzata e il terrorismo.
Anni di notizie, avventure e qualche rischio, sempre con una forte passione per il mestiere di giornalista e con la voglia di scendere in strada, per vedere le cose con i propri occhi e sentirle con il proprio cuore prima di scriverle.
Nato a Roma nel 1976, Emiliano Federico Caruso è cresciuto divorando i romanzi di Michael Ende, Jules Verne, Tolkien, Ray Bradbury e la narrativa horror/fantasy in generale.
Da sempre fortemente appassionato di H.P.Lovecraft, George Orwell ed Edgar Allan Poe, dopo 22 anni di carriera nel giornalismo ha iniziato a dedicarsi seriamente alle numerose bozze di racconti che, da anni, riposavano nel suo cassetto, pubblicando con Amazon Edizioni il racconto "Il sepolto di Ghar'Strag" e la raccolta "Tre racconti nel buio", che include le storie horror "La scomparsa di Alexander Taylor", "La madre eterna" e "Il parassita di pietra".
Nei suoi racconti, dove si avverte forte l'influenza di Lovecraft, Caruso ci accompagna tra le nebbie della Scozia, nella quale si è già recato più volte come reporter, per raccontarci storie di demoni, vichinghi, mutazioni, antiche tombe e culti proibiti.
Nel "Il sepolto di Ghar'Strag" un gruppo di vichinghi decide di recarsi in una misteriosa isola circondata da nebbie e tempeste per dare una degna sepoltura al loro thane. Guidati da una strana creatura, scopriranno ben presto che esistono destini peggiori della morte per un guerriero.
"La scomparsa di Alexander Taylor" narra di agente letterario che inizia a indagare sull'insolito ricovero in ospedale del suo vicino di casa, un celebre botanico ossessionato dalle particolari proprietà di alcune piante, e ben presto capirà fino a che punto si sia spinto il dottore nelle sue ricerche.
Ne "La madre eterna" due giovani amici che vivono in un vecchio palazzo della zona portuale di Granton si dedicano alle ricerche sulla storia di una famiglia che viveva nello stesso edificio quarant'anni prima. Scopriranno che qualcosa del passato doloroso di quella famiglia risale periodicamente dai sotterranei di Edimburgo.
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Stefano Mancuso è il direttore del laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell'Università degli Studi di Firenze e autore di saggi sull'intelligenza vegetale come L'incredibile viaggio delle piante (Laterza 2018), Plant revoluction (Giunti editore 2017), Botanica. Viaggio nell'universo vegetale (Aboca edizioni 2017), Verde brillante, sensibilità e intelligenza del mondo vegetale con Alessandra Viola (Giunti editore 2015), Biodiversi con Carlo Petrini ( Slow Food 2015), Uomini che amano le piante (Giunti editore 2014).
Il libro si si apre invitando il lettore a avere gli stessi occhi degli astronauti della missione Apollo 8 che nel 1968 scattarono la foto Earthrise: ci fornirono l'immagine di "un pianeta verde per la vegetazione bianco per le nuvole, blu per l'acqua".
In questo libro l'autore dà voce alle piante, che vengono viste come una nazione a tutti gli effetti, la cui bandiera è verde, bianca e blu, ed consta di una popolazione che è la più numerosa e diffusa sulla terra (basti pensare che sono gli alberi sono oltre 3000 miliardi), una nazione che comprende ogni singolo essere vegetale presente sul pianeta; una vera potenza planetaria, insomma, senza la quale non esisterebbe la vita.
L'articolo 1 stabilisce che "la terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene ad ogni essere vivente": in questo primo articolo l'autore si domanda che cosa realmente noi percepiamo come “normale” poiché viviamo la nostra quotidianità dentro una bolla che ci collega solo con i nostri simili, con gusti conformi ai nostri. L'uomo si sente il padrone del pianeta quando in realtà" la sua quantità di biomassa è pari a un decimillesimo dell'intera biomassa del pianeta".
Il secondo articolo ci mostra come la specie predatoria umana possa creare dei profondi squilibri nell'ecosistema; viene citato l'esempio dell'affare del colore rosso, una tinta utilizzata dagli Aztechi che derivava da una coccinella che viveva sulle pianta del fico d'india. Molto richiesta, questa produzione rimase monopolio della Spagna, finché spie britanniche non ne capirono il segreto. Per iniziare la produzione di cocciniglia in Australia, fu trapiantato anche il fico d'India e il risultato fu che gli insetti tanto desiderati morirono subito mentre i fichi d'india conquistarono il loro territorio australiano.
Per fermare l'avanzata del fico d'india l'uomo immette nell'ecosistema un lepidottero parassita dell'opuntia: questo parassita, però, comincia a minacciare interi ecosistemi durante il suo cammino andando ad attaccare i fichi d'india di San Salvador delle Bahamas, una delle principali fonti di vita e di cibo per le popolazioni del luogo.
L'articolo 3 della Nazione delle piante si basa sul principio della democrazia vegetale, caratterizzata da un aspetto decentralizzato e diffuso, che non riconosce alcun tipo di gerarchia. Le piante, lungi dall'essere inferiori, hanno attuato strategie di sopravvivenza (anche detta intelligenza) che ha permesso loro, seppur non dotati di un movimento effettivo, di sopravvivere. La loro particolarità si realizza nella distribuzione, a differenza dell'uomo che, invece, concentra le funzioni vitali in singoli organi. L'uomo replica questa organizzazione centralizzata e verticistica (propria del suo corpo) anche nella sua società: hanno strutture piramidali aziende, uffici, scuole, associazioni, eserciti, e questo tipo di organizzazione ha come unico, blando vantaggio la velocità, proprio perché, essendo una persona sola a decider le azioni da compiere questo permette una rapidità maggiore.
Una rapidità che, però, presuppone una burocrazia che ricalca di nuovo un' impostazione gerarchica. Qualsiasi organizzazione centralizzata e gerarchica è fragile. Le piante, invece, sono esseri modulari costituite, appunto, da singoli moduli che si ripetono infinite volte e formano strutture sempre più complesse ma che non hanno un centro fondamentale, quindi nessuna parte è fondamentale o più importante rispetto alle altre.
L'articolo 4 vede la Nazione delle piante rispettare i diritti di ogni essere vivente ma anche delle generazioni future.
Nel suo percorso la Terra subito 5 estinzioni di massa e altrettante estinzioni minori, prima di arrivare ad un Era definita “antropocene”, che vede come predominante l'azione tellurica dell'attività umana.
Peccato che un gruppo di ricerca nel 2014 ha stimato il tasso di l'estinzione della terra 1000 volte superiore rispetto a prima dell'apparizione dell'uomo: la distruttività umana influenza le altre specie viventi e nello stesso momento si condanna a morte da sola.
Le piante sono l'anello di congiunzione tra il sole e la terra (grazie ai cloroplasti) e sono state loro a rendere ospitale e possibile la vita sul nostro pianeta.
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Stefano Mancuso |
Le piante sono in grado di ridurre la quantità di CO2 nell'atmosfera permettendo agli altri esseri viventi di conquistare le terre emerse: è per questo che è importante bloccare ogni deforestazione e sarebbe auspicabile che le nostre città fossero coperte di piante ed alberi per permetterci un'aria respirabile e il diritto ad un'atmosfera pulita.
L'articolo successivo vieta di predare qualsiasi risorsa che non si possa ricostituire mentre il settimo articolo si schiera contro i confini e le barriere, e garantisce ad ogni essere vivente la possibilità di vivere e trasferirsi senza limitazioni.
L'ottavo articolo riconosce il mutuo appoggio fra le comunità naturali come strumento reale di progresso evoluzione: un'affermazione che va contro i principi darwiniani, mentre si dimostra più vicino all'idea anarchiche di Kropotkin sul mutuo appoggio come fattore di evoluzione. A partire dai rapporti simbiotici fra batteri per arrivare ai reciproci vantaggi delle fusioni tra fungo e alga, l'autore tesse un elogio della cooperazione, attraverso la quale la vita ha imparato ad ottenere risultati che non sarebbe stato possibile raggiungere in modo competitivo ed egoistico.
Un libro che si presenta come un “inchino” a queste anime silenziose e generose grazie alle quali siamo vivi, e continueremo ad esserlo. Solo da specie così evolute possiamo apprendere le lezioni di vita più importanti che la Costituzione delle piante ha descritto.
Stefano Mancuso
La Nazione delle piante
Laterza