L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

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Andrea Signini
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December 15, 2019

CONVERSAZIONE FILOSOFICA CON GABRIELLA GAGLIARDI: SUL DOLORE, LA MORTE, LA SPERANZA E LA GIOIA DI VIVERE

 

     

 
 Gabriella Gagliardi

Lo scoprirsi ammalati, improvvisamente traditi e abbandonati da quella cosa preziosissima (e spesso ignorata) che chiamiamo salute, ci getta, in modo del tutto imprevisto e incommensurabilmente doloroso, in una condizione in cui il senso di fragilità e di vulnerabilità arriva ad opprimerci l’anima e a toglierci il respiro. Tutto, all’improvviso, cambia colore, cambia sapore, cambia di valore e di significato. Nulla è e nulla potrà restare come prima. E, soprattutto, ci invade con prepotenza la consapevolezza che, mai e poi mai, riusciremo a ritornare, noi, come prima eravamo … ciò che prima eravamo.

             Ma, proprio quando un sentimento di vertigine paralizzante ci stringe la coscienza, qualcosa può accadere. Qualcosa può accendersi in noi. Un varco, uno spiraglio può aprirsi. Può cominciare a respirare, dentro di noi, un nuovo soffio vitale e rivitalizzante. Può cominciare a percepirsi, lentamente (o anche travolgentemente) un nuovo respiro del mondo e un nuovo sorriso del mondo. Un nuovo modo, anzi, di sorridere nel mondo e al mondo.

           Gabriella Gagliardi* ha vissuto e sta continuando a vivere un’esperienza difficile, un’esperienza che l’ha condotta a fare scoperte nuove e a riscoprire tesori antichi. E ce ne ha parlato in un piccolo ma densissimo libro**, in cui, pur partendo dal suo incontro con il dolore, riesce a regalarci echi di una saggezza lontana, capace di avvicinarci alla vita, di prenderci per mano per continuare, con nuova fiducia, nuovi cammini ricchi di infinite frontiere da oltrepassare e di nuovi territori da esplorare.

           Con lei, per cercare di comprendere meglio la complessità e la ricchezza dei percorsi interiori che sta affrontando, è nata la seguente conversazione.

-        Tu sostieni che il superamento di grandi difficoltà possa produrre una vera e propria trasfigurazione esistenziale.

In che senso, “superato l’ampio spettro di frastornanti sensazioni umane” (p.64), si finirebbe per approdare a “un mondo nuovo”?

La dolorosa consapevolezza della nostra fragile condizione di precarietà non potrebbe, assai più facilmente e prevedibilmente, farci apparire la terra e l’intero universo come un luogo tutt’altro che accogliente ed ospitale? In cui forse non varrebbe tanto la pena di vivere?

           Propendo per una visione di segno fortemente positivo e intendo dire che c’è un “Mondo Nuovo” dopo la malattia, perché si guarda al mondo con occhi diversi. Quando un bene si sta per perdere, lo si apprezza e considera molto di più. C’è più consapevolezza del valore della vita. Si assapora ogni momento di essa. La vita non si arrende. Ha una forza sovversiva. E ci induce a godere anche del semplice ma grandioso incanto del quotidiano. Altro che non vale la pena di vivere!

In un certo senso, il dolore insegna, come ci hanno già detto gli antichi, in particolare i tragici greci.

Eschilo fa dire ad Agamennone: “Zeus a saggezza avvia i mortali, valida legge avendo fissato, conoscenza attraverso dolore.” (Agamennone, vv176 e ss). Cito anche la Karen Blixen: “La cura per qualsiasi cosa è l’acqua salata: il sudore, le lacrime o il mare”.

La malattia, dunque, ha una sua etica. L’etica della malattia è portare un bene all’anima.

Circa la seconda parte della tua domanda sono d’accordo con te a proposito della fragilità della condizione umana, ma questa, più che un vizio, potrebbe diventare un valore. In verità, siamo tutti dei “Sisifo”, ma Sisifo è un uomo che si sa fragile e impara a volersi tale. Sisifo non è un eroe, non è Eracle. Sisifo è uomo perché quella pietra è destinata a ricadere e il suo cammino a riprendere senza sosta. Certo, non è felice la sua costrizione, ma c’è da considerare il percorso, il viaggio, gli incontri, la condivisione della fatica. Stessa strada, stessa salita, stessa fatica. Egli lo sa. Eppure sale. E risale. Perché è come una “canna pensante” (Pascal) e soprattutto perché “la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo: bisogna immaginare un Sisifo felice”. Così ci dice questa bellissima frase di Camus. Io la condivido, e vedo in questo mito la metafora dell’esistenza umana: la vita è fatica e la fatica è vita. Ma anche con la fatica si può amare la vita.

-        In che senso “la paura della morte” andrebbe distinta dalla “percezione della morte”?

               Sì, “la paura della morte” è altro dalla “percezione della morte”. Nel senso, come dice Epitteto, che una cosa sono le cose, un’altra l’opinione che noi ci creiamo di esse. Quindi, una cosa è la “cosa-paura”, altra cosa la sua percezione. La prima è una realtà oggettiva, e reale appunto, la seconda è una espressione soggettiva e personale, l’idea che noi ci formiamo in quanto sensazione individuale. Potremmo sartrianamente parlare di puro cinestetico, di puro sentire. In particolare, poi, nel caso del paziente oncologico, la morte non è più qualcosa di generico e vago, come per tutti i mortali, ma si presenta in costante agguato: è percepita come una sorta di vero e proprio “avviso di scadenza”, addirittura forse come un pre-sentimento. La si tocca quasi con mano. Anche per questo, poi, una volta superato il rischio della morte reale, si vive meglio e di più! L’esperienza dello scampato pericolo ci fa rivivere. Diventa la nostra resurrezione. Si cerca sempre un di più, di tempo, di qualità, di desiderio,* di attività.

Non muore il desiderio”, appunto!

-        Tu fai riferimento, con grande delicatezza e con un velo di toccante poesia, alla serena saggezza di tua madre che amava ripetere : “Quando il Signore mi chiama sono qua.”

E dichiari anche che conquistare una analoga condizione di serenità rappresenta per te l’aspirazione più grande.

Ora, però, credo che sia impossibile sganciare la saldezza interiore di una persona come tua madre dalla sua visione della vita intrinsecamente religiosa, imperniata su incrollabili certezze relative alla sopravvivenza dell’anima e all’esistenza di una dimensione trascendente. Per cui, mi chiedo e ti chiedo:

tu che non abbracci (e non intendi abbracciare) una simile visione della realtà, restando ancorata ad una concezione di carattere ateistico, come pensi di poter mai riuscire a condividere con tua madre lo stesso atteggiamento di fronte all’evento della morte?

                 Prima di rispondere, devo fare due precisazioni, una su mia madre e una su di me.

Non credo che mia madre traesse la sua forza solamente dalla fede. Lei aveva una sua “saldezza interiore” - uso le tue parole - insita nel suo carattere: una spontanea saggezza, una dolcezza, una serenità e una gentilezza d’animo innate, con cui aveva affrontato sempre ogni esperienza della sua vita: cinque figlie, una guerra, il lavoro, la casa. Quindi, il suo essere così non era solo frutto della sua fede (e, fra l’altro, non era certo una bigotta, ma amava la vita e il piacere della vita).

A riprova di quanto affermo, basterebbe notare quante persone, convintamente cattoliche e credenti, non siano poi così miti, ma, all’opposto, inquiete, pessimiste, chiuse e, sovente, anche egoiste.

Per quanto riguarda me, poi, io non mi sento di potermi definire perentoriamente atea. Sono forse agnostica, più che altro incredula, dubbiosa, ma ho, a modo mio, sviluppato, nel corso degli anni, una particolare forma di religiosità, tutta mia e personale.

Talvolta, ho pregato e, dal pregare, ho potuto trarre sollievo. Strano? Contraddittorio? Può darsi, ma è così.

E, quindi, vengo a rispondere alla tua domanda, che potrebbe sembrare quasi retorica, su come io pensi di riuscire, da non credente, a condividere con mia madre lo stesso atteggiamento di fronte alla morte, dicendo che … questa è la mia scommessa.

La mia speranza è di poter raggiungere la stessa serenità ereditando il suo modello fatto di impegno, altruismo, solidarietà e fiducia. Spero, cioè, che la mia cultura, assieme a questi valori che costituiscono il mio bagaglio etico, possano, alla fine, premiarmi!

-        Trovo molto bella l’esortazione di tua madre (“Vogliatevi bene!”) di fronte alla tragedia di una figlia morta: una sorta di pragmatica risposta di sapore leopardiano-schopenhaueriano all’ineffabilità e all’inaccettabilità del Male?

           Sì, è proprio così. L’esortazione “vogliatevi bene” era una sorta di pragmatica risposta alla ineffabilità del Male. Con quella frase, era quasi come se mia madre avesse voluto dire: affrettatevi ad amarvi, non indugiate, non perdete tempo, non restate inerti. Perché si muore, e si muore anche giovani. E, così dicendo, affermava, senza rendersene conto, una profonda verità: il dolore trova la sua unica cura nell’amore.

-        Da quello che hai scritto e dalle cose che mi stai dicendo adesso, emerge in maniera evidente il peso che la tua formazione filosofica ha esercitato sul tuo cammino interiore e sulle tue scelte di vita.

Ma quanto ti ha potuto aiutare l’esperienza della scrittura?

             Passione filosofica e scrittura sono state la mia linfa vitale. La seconda ha avuto un valore non solo liberatorio, ma anche ludico e sublimante. L’io creativo che risponde all’io biologico. La libertà alla necessità!

Così è nato questo piccolo libro, che non è affatto uno scritto sul malessere, ma, anzi, sulla vita e sulla sua bellezza. Un elogio di essa.

Ho cercato di esprimermi in forma gradevole, e, finora, ho ricevuto lusinghieri apprezzamenti.

             Una cosa a cui tengo molto è sottolineare che il ricavato delle vendite sarà devoluto alla Ricerca per la lotta contro il cancro. Per cui, mi auguro che, oltre al consenso della critica, ci potrà essere anche un generoso consenso di pubblico!

*Gabriella Gagliardi, nata a Salerno, laureata a Napoli in Filosofia Morale, vive da molti anni a Roma dove ha insegnato Filosofia, Pedagogia e Psicologia nell’indirizzo sperimentale pedagogico di un Istituto Magistrale.

 

 

**Gabriella Gagliardi

Psicologia del malato oncologico. Non muore il desiderio
Pag. 80

Euro 10

Armando Editore,

Roma 2019

N.B. Con la speranza di poter essere di aiuto a qualcuno, Gabriella Gagliardi sarà ben felice di ricevere commenti e opinioni di qualsiasi tipo:

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December 03, 2019

 

Siamo esseri narrativi, siamo fatti e modellati dalle storie. La scrittura ci modella dentro un immaginario. Quali sono le storie che ci abitano? E soprattutto: quali storie sono state cancellate dalla nostra storia e perché?

Risponde a queste domande la penna di Ginevra Bompiani e lo fa mossa dall’ansia tratteggiando tre figure ricorrenti: la distruzione, la punizione e la mistificazione. Tre ferite che hanno origini precise ma che non sono sempre esistite. Il fondamento di questi tre nuclei si rintraccia nelle religioni delle civiltà patriarcali indoeuropee.

Respiriamo distruzione nel nostro contemporaneo, una distruzione che parte dall'uomo e che lo coinvolge, in una vera corsa suicida. Distruggono Sodoma gli angeli sterminatori, con il diluvio solo Noè si salva, crolla Babele sotto i dettami del Dio sterminatore. La distruzione positiva crea spazio, reinventa il caso, come quando i bambini gridano “di nuovo” davanti a una novità che li entusiasma. La distruzione negativa è ripetizione, ritornello stanco di un tempo senza tempo.

La creazione biblica vede prima di tutto gli Elohim che creano due volte, “di nuovo”. Elohim è un Dio molteplice, composto di maschile e femminile, che riflette la sua natura nella creazione dell'umano che nasce maschio e femmina insieme. “Gli Elohim, creando l'uomo a loro immagine e somiglianza, lo lasciano libero. La memoria collettiva, confondendo le due origini, ha dimenticat la sua libertà”.

Peccato che la storia biblica abbia esaltato Jahvè a discapito degli Elohim. Jahvè pretende obbedienza e per ottenerla punisce.

“Il dio geloso, dotato di mani e voce, ha vinto, forse perchè l'uomo vuole sentirselo addosso, forse perchè gli permetteva di spiegare le sue pene, forse perchè gli conferiva il potere sulla donna, responsabile di tutti i suoi mali”.

La grande mistificazione si collega al titolo: l'”altra metà di Dio” è ciò che ci è stato nascosto, ovvero le civiltà che abitavano l'Europa prima dell'arrivo degli Dei patriarcali.

“Non vi è mistifcazioen più antica e durevole, più tenace e silenziosa di quella che qualche migliaio di anni fa ha sostituito il mondo pacifico ed egualitario delle società matrifocali con il patriarcato, facendo delle prime il grande rimosso della storia”.

Catal Huyuk (7400- 5400 aC) ci consegna una città evoluta senza mura difensive, persino senza porte di casa; a fondare il loro immagianario la Dea steatopigia.

Cosa ha favorito, dunque, questa rimozione, questo rimpiazzamento?

La religione e la scrittura (oltre alle armi dei conquistatori Kurgan).

“La scrittura serve a ricordare, ma anche a dimenticare”: a leggi non scritte obbedisce Antigone, a leggi scritte obbediscono i personaggi biblici e mitologici che arrivano persino a sacrificare i loro figli.

Con una scrittura evocativa e poetica, Ginevra Bompiani, ci sussurra una storia che sarebbe importante ritrovare e riscoprire nel nostro dna narrativo. Che sia una storia antica a fondare un futuro arcaico.

 

Ginevra Bompiani 
L' altra metà di Dio
Feltrinelli 2019

December 02, 2019

La Storia avanza spedita e noi qui, il suo fugace quarto d’ora, a dissipare occasioni di evoluzione umana e civile.

Per reggere l’urto della complessificazione delle migrazioni contemporanee, Tiziana Grassi * ha avvertito la necessità di approfondirne i molteplici aspetti in un’ottica corale. Perché interpretare i profondi mutamenti socio-culturali in atto attraverso la lente ampliante del confronto tra diverse discipline e punti di osservazione, è forse l’unica via per affrontare l’insostenibile egemonia delle attuali miopie su fenomeni epocali. Da osservare con il giusto e necessario respiro e con quella visione d’insieme e a più voci che ci dice che un’altra direzione è possibile.

Scegliendo da che parte stare, ha voluto raccontare quell’Italia invisibile e reale, viva e solidale, di donne e uomini che non hanno mai smesso di essere dalla parte delle persone e dei diritti umani, di pensare universalmente, di compartecipare, di accogliere. Capace di partecipare con fermezza silenziosa alle vicende umane, è l’Italia che non si rassegna al clima d’odio e anzi coltiva la socialità rendendola pratica quotidiana nella sobrietà di gesti semplici e proattivi che includono e uniscono. Quella che, nel senso comunitario di umanità e di giustizia rivolte al bene comune, riconosce i propri fondamentali, i valori grandi ed essenziali che restituiscono all’essere umano tutta la sua centralità.

Ha voluto raccontare quell’Italia aperta all’incontro dialogante che, nella pacifica e conviviale coesistenza delle differenti identità, abbraccia la crescente complessità dei processi migratori contemporanei costruendo ponti, legami e relazioni significanti in un quotidiano spesso destinato a non ‘fare notizia’. L’orizzonte ideale e la valenza connettiva di questa comunità civile che ogni giorno genera gesti importanti di altruismo, che cresce anche tra i giovani e ci fa sperare, pervade diffusamente e a maglie strette il nostro Paese.

In questo volume si fa dunque luce sulle ombre di infondati quanto corrosivi allarmi sociali che - in attesa di una proposta di governance europea organica e lungimirante - hanno voluto far passare l’immigrazione come uno dei problemi più gravi e urgenti del Paese [...]

 

 

 

* Tiziana Grassi

Tiziana Grassi è nata a Taranto, vive e

lavora a Roma.

Giornalista, laureata in Lettere Moderne,

studiosa di emigrazione-immigrazione e di sociologia della comunicazione, autrice di programmi televisivi di servizio per gli Italiani all’estero a Rai International, consulente di programmi di cultura e cronaca per Rai1 e  Rai2.

In tema di migrazioni e di multiculturalismo collabora con testate nazionali e internazionali. Ha svolto e svolge la propria attività professionale in ambito di didattica e ricerca in Master presso il Dipartimento di   comunicazione e Ricerca Sociale, Sapienza Università di Roma; l’Università Cattolica “A. Gemelli” di Roma; la Lumsa di Roma; le Università di Teramo, Bari-Taranto, Macerata.

Per la Società Dante Alighieri, ha collaborato alla programmazione scientifica della Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel Mondo promossa dal Ministero degli Affari Esteri (Fao, Roma 2008).

Tra i riconoscimenti per il giornalismo sociale: Premio internazionale “Globo Tricolore - Italian Women in the World all’eccellenza italiana nel Mondo” (2010); Premio internazionale “Nelson Mandela” per i diritti umani (2014); Premio internazionale “Giornalisti del Mediterraneo” (2015); Premio Internazionale “Italia Diritti Umani 2019” - Free Lance International Press (2019).

Dal 2015 è referente per la Comunicazione e la Stampa dell’INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto alle malattie della Povertà), centro di riferimento  nazionale per le problematiche di assistenza sanitaria verso le popolazioni migranti e la povertà. L’ente, afferente al Ministero della Salute, è un’eccellenza riconosciuta best practice dall’OMS, Agenzia dell’ONU.

Tra le sue pubblicazioni: Dicono di Roma - 50 interviste per il terzo millennio (Palombi, Roma 2000); Noi bambini e la tv prima e dopo l’11 settembre (Stango, Roma 2002); Dicono di Taranto - Semiotica del territorio - Lontananza. Appartenenza. Percorsi (Provincia di Taranto-Ink Line, Taranto 2004); con Mario Morcellini (a cura di), La guerra negli occhi dei bambini - Le immagini televisive dei conflitti tra critica e proposta (Rai-Eri-Pellegrini, Roma-Cosenza 2005); con Catia Monacelli e Giovanna Chiarilli (a cura di) l’opera multimediale in dvd Segni e sogni dell’emigrazione - L’Italia dall’emigrazione all’immigrazione (Eurilink, Roma 2009); anatomie degli Invisibili. Precari nel lavoro, precari nella vita (Nemapress, Alghero 2012); Taranto. Oltre la notte (Progedit, Bari 2013); eu-Calendario solidale L’Aquila+Taranto. Insieme oltre la notte (L’Aquila, 2013); Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, progetto e co/curatela (SER ItaliAteneo-Fondazione Migrantes, Roma 2014.

 

November 19, 2019

Questo lo scenario descritto ieri sera a Mussomeli durante la presentazione del libro “La mafia dei pascoli” da Giuseppe Antoci, sopravvissuto fortunosamente all’attentato avvenuto in territorio dei Nebrodi, la notte fra il 17 e il 18 maggio 2016: un affare da 5 miliardi di euro perpetrato ai danni della Comunità Europea con il tacito consenso delle Istituzioni regionali.

In un clima di intimidazioni e vessazioni che umiliava i contadini onesti impedendogli di partecipare ai bandi pubblici, pena la condanna per “Lesa Maestà”, si è creato quel fertile humus in grado di alimentare la fonte principale di sostentamento della mafia in Sicilia, l’Agricoltura.

Basti pensare che la latitanza di Messina Denaro si è mantenuta proprio “grazie” ai fondi europei per l’agricoltura.

A partecipare ai bandi in un territorio molto esteso, capace di includere anche più province, sempre e solo un’azienda, con incremento di 1- 1,50 euro al massimo per asta.

Ad ogni bando veniva costituita una nuova società sempre con infiltrazioni mafiose dove affitti che normalmente rendono 36- 36,40 euro compreso IVA ad ettaro riuscivano a lucrare anche 1.300 euro adottando lo stratagemma di applicare più misure con una sola particella.

Contratti medi da 5 a 9 anni per una stima di 7/8 milioni di euro ad affare.

Cercando anche di contenersi per “non dare all’occhio”!

I cognomi sempre gli stessi: Riina, Madonia, Ercolano, Santapaola, Gallino, Pesce, … colleghi fuori isola compresi, che, sempre “grazie” alla Legge dello Stato sugli appalti, POTEVANO partecipare ai bandi con certificato antimafia autocertificato, una procedura di evidentissima semplicità.

E così, con i fondi europei destinati ed erogati per l’agricoltura, si mantiene Cosa Nostra e si alimentano i mercati illeciti…e qualora qualche mafioso dovesse, per fortuite circostanze, trovarsi a scontare qualche debito di giustizia, ecco i figli sfrecciare in paese con le loro Jeep di lusso a rimarcare un potere che non si sconfigge.

Ma il bando civetta di Giuseppe Antoci, uscito proprio 5 giorni prima dell’approvazione del Protocollo, a stessa firma, che impone alle aziende la presentazione del certificato antimafia rilasciato dalla Prefettura, ha scoperchiato un calderone pericoloso e incandescente…perché, come riferisce, “in italiano puro”, il Giornalista Nuccio Anselmo, coautore del libro, con le sue spiccate doti di cronista: “La mafia si scatena quando vai a toccare la sacchetta”.

E da quel momento la reazione è stata spietata.

Intimidazioni in tipico stile mafioso sfociate poi la notte del 17 maggio in quel tentato attentato che è stato e continua ad essere motivo di dibattito non solo nazionale, (del caso Antoci ha parlato anche la più importante emittente televisiva cinese) peraltro anche controverso, viste le incongruenze e le divergenze fra gli organi preposti a Fare Giustizia.

Perché, di fatto, ancora Giustizia non è stata fatta…e, su quel teatrino fatto di mashere e “mascariamenti”, paradossi e recite a soggetto, ancora ci si chiede quale, fra le tre opzioni, proposte dall’Antimafia sia la più plausibile!

Perché in questa terra la mistificazione la fa da padrona e così chi fa agisce nell’ambito della legalità è un “cornuto” (così, almeno, veniva definito Antoci dai mafiosi nelle loro comunicazioni intercettate) e chi vive nell’ inganno e nel sopruso ci appare come paladino del bene.

E’ quello status quo che, ad un anziano signore, con in mano il bastone da pastore, fa rispondere alle domande provocatorie di un giornalista: “Ma signor mio siamo nella pace e ci dobbiamo mettere nelle guerra”?

“Il giuoco delle parti”… Pirandello docet!

Intanto le indagini sono state archiviate, senza assicurare alcun colpevole alla Giustizia, senza “risarcire” gli uomini della scorta né tantomeno Antoci che rivendica la perdita della propria libertà e che, alla sottesa domanda: “Ma cosa ne pensa della relazione conclusiva dell’Antimafia?”, secco, risponde: “Mi sarei aspettato che l’Antimafia si occupasse delle collusioni e delle connivenze, di tutti quei funzionari regionali che, nel visionare pratiche riportanti certi “cognomi illustri” quantomeno accennassero a un sospetto, piuttosto che mettersi a discutere su dei particolari che, a suo modo, inquinassero la scena del mancato crimine”!

E quello che, per l’efferatezza e il modus operandi è stato paragonato agli eventi stragisti del 92/93 , rimane comunque un caso irrisolto.

Il debito di giustizia non vale solo per i morti!

Non solo i morti sono eroi ma anche quanti hanno fatto e continuano a fare per una terra che, indubbiamente, non è solo Cosa Nostra.

E Cosa Nostra qualche volta perde, lo provano i 14 arresti scattati immediatamente dopo l’applicazione del Protocollo, un Protocollo di legalità adottato ad oggi in tutto il Paese.

November 17, 2019

 

Ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina. Ora, in verità, sono una maga e forse verrà un giorno in cui queste cose dovranno essere conosciute...” con queste parole la scrittrice Zimmer Bradley ci presenta Morgana, antagonista degli “eroi solari” Artù, Ginevra e Merlino.

È dall'albero genealogico di Morgana che le autrici fanno emergere dieci ritratti di donne. “Strane, difficili, non convenzionali e persino stronze... un seme che passa di mano in mano e arriva a chiunque, maschio o femmina, voglia vivere senza dover giustificare l'unicità della propria storia

Ci sono storie solari che ci trasmettono messaggi “puliti”, e ci sono eroine torbide, confuse, che sono controcorrente per il solo fatto di aver scelto e perseguito la via della propria unicità.

Il libro prende origine dal podcast https://storielibere.fm/morgana: è un progetto è importante e mai scontato: riscoprire il valore della biografia, quando la storia narrata e la vita si intrecciano per creare un valore intrinseco.

Vite distanti, nel tempo e nella realizzazione, come le prime due storie: quella di Caterina da Siena e quella di Moana Pozzi: due figure visionarie.

Visioni interiori sono quelle di Caterina da Siena che sfida i dettami dell'epoca che l'avrebbe inchiodata al ruolo di moglie sottomessa, e grazie alla castità, fa del suo corpo “il teatro costante del dialogo con Cristo” (p. 41). Caterina arriverà persino ad essere la consigliera del Papa, potrà viaggiare, altro atto per sé rivoluzionario.

Moana Pozzi, che apre il libro, fa del suo corpo una liturgia perfetta, si offre alla visione altrui, mantenendo protetta la sua vita privata fino alla fine: un'esteriorità costruita alla perfezione in un'interiorità fatta di ricerca e spiritualità.

Dal cinema alla religione, il progetto Morgana ingloba poi le sorelle Bronte, “pioniere sventurate” (p. 78), che hanno ribaltato la loro infanzia difficile attraverso la scrittura: le loro opere, presentate in principio sotto lo pseudonimo maschile dei fratelli Bell, faranno la storia della letteratura, ognuna con uno stile differente.

Segue la storia di Moira Orfei, regina brilante del tendone che nessuno riuscirà mai a domare.

Morgana ingloba poi figure meno note come Tonya Harding, la prima donna a fare un triplo axel sui pattini, ma per l'estetica e per i suoi costumi è stata sempre penalizzata. Ad essere da esempio è anche il suo coraggio di moglie soggetta a soprusi.

Shirley Temple, angelo biondo dell’America, dovrà confrontarsi con il tempo che scorre che, da bambina, la trasforma in donna. Quando le cineprese si spegneranno, sarà l'attivismo a contraddistingerla, come deputata e ambasciatrice.

Marina Abramović, artista unica, ha messo al centro il corpo, i suoi limiti, i suoi simbolismi. Si è spinta oltre, nella carne e nell'arte.

Dieci vite che aprono spiragli di rivoluzione, biografie che mettono al centro l'autenticità con se stessi.

Michela Murgia e Chiara Tagliaferri  
MORGANA: storie di ragazze che tua madre non approverebbe
Mondadori 2019

November 04, 2019

 Con la pubblicazione di Due secoli di fantasmi. Case infestate, tavoli giranti, apparizioni, spiritisti, magnetizzatori e medium, di Simona Cigliana*, le Edizioni Mediterranee ci permettono di riappropriarci di un’opera decisamente fuori dal comune, precedentemente apparsa una decina di anni fa per l’ Editore Fazi, e presto esaurita e divenuta pressoché introvabile. Il volume, che incontrò, all’epoca, un buon successo anche a livello di critica qualificata e attenta, nell’ambito dei maggiori quotidiani, settimanali e riviste, è stato felicemente ampliato e aggiornato e dotato di una nuova veste scientifica arricchita da una preziosa bibliografia.

Va subito precisato che titolo e soprattutto sottotitolo potrebbero risultare fuorvianti, dando l’impressione di trovarci di fronte ad una mera rassegna di curiosità paranormali, ovvero ad una sorta di passeggiata panoramica nel campo delle varie fenomenologie relative a quello che potremmo definire il “mondo dell’Occulto”. Ebbene, nulla di più sbagliato. Con il volume di Simona Cigliana, siamo di fronte ai risultati di una imponente ricerca condotta in vari settori del sapere, volta a presentarci, in maniera scrupolosamente documentata, “un lato della storia della cultura rimasto in ombra, su cui nessun manuale si sofferma”, e desiderosa di farci comprendere quanto la cultura occidentale, soprattutto del XIX secolo e della prima metà del XX secolo, sia stata impregnata di “spiritismo, occultismo ed esoterismo, con il loro corredo di spiritualità alternative”, e quanti e quali siano state le significative e assai proficue occasioni di interazione con tale multiforme sfera di interessi teorici e pratici.

L’opera si prefigge, innanzitutto, di dimostrare che il cosiddetto mondo dell’Occulto non dovrebbe essere relegato con sprezzante alterigia nello scantinato delle cose buffe, stravaganti e insulse prodotte dalle morbosità della fantasia umana, bensì considerato come un ingrediente tutt’altro che trascurabile della cultura contemporanea. E che di conseguenza, quindi, meriterebbe di essere studiato e indagato senza pregiudizi, e non trattato sbrigativamente come qualcosa di affine alla superstizione, al fanatismo, alla truffa, intendendolo e adoperandolo, anzi, come indispensabile strumento interpretativo.

Questo perché, qualora volessimo intestardirci a ritenere di poter prescindere dalle chiavi di lettura offerte dalla immensa letteratura magico-spiritistica, teosofico-antroposofica, esoterico-orientalistica fiorita nella cosiddetta età del Decadentismo, ben poco sarebbe possibile adeguatamente comprendere delle esplorazioni culturali, delle creazioni rivoluzionarie, nonché delle innovative scoperte scientifiche dei vari V. Kandinsky, E. Munch, P. Mondrian, A. Schonberg, W. B. Yeats, W. Crookes, C. Flammarion, H. Bergson, ecc …

E per poter fare tutto ciò, il mondo dell’Occulto, rappresentando una realtà sterminata e assai variegata, dai contorni alquanto sfuggenti e indeterminati, non certamente riducibile a qualche tavolino traballante, andrebbe considerato, a tutti gli effetti, degno di accurata indagine storico-culturale condotta con il necessario rigore critico.

Cosa questa che, per poter essere effettuata, liberati dai prevedibili pregiudizi e dalle logore etichette, richiederebbe pazienza, impegno e grandi quantità di tempo. Basti pensare, tanto per fare solo qualche riferimento di particolare rilievo, alla vastità e alla complessità di opere abissali come l’Iside Svelata o la Dottrina segreta di Helena Petrovna Blavatsky, alla monumentale pluritematica produzione steineriana, alla sconfinata ricerca di Ernesto Bozzano nell’ambito della fenomenologia del cosiddetto paranormale. Ma, accanto ai colossi menzionati, non andrebbero certo ignorate o trascurate le varie forme di filosofia esoterica e occultistica, nonché le varie sperimentazioni e indagini di natura spiritistica e metapsichica che hanno dato vita ad un vero e proprio oceano di riviste, libri, libroni e libretti avidamente divorati da molte fra le massime figure della cultura dell’epoca (soprattutto nell’ambito delle numerose avanguardie). Riviste, libri, libroni e libretti, quindi, che, indipendentemente dai loro (non pochi) pregi e dai loro (indubbi) limiti, avendo costituito un immenso e ribollente serbatoio di ispirazioni e sollecitazioni, non potrebbero dover essere ignorati, ma anzi andrebbero ritenuti indispensabili per riuscire davvero a penetrare all’interno delle coordinate etiche, psicologiche e speculative di tutti coloro che se ne sono avvalsi, spesso dando vita a sperimentazioni artistiche, a sincretismi, a ibridazioni e contaminazioni filosofico-scientifiche e filosofico-religiose, capaci di promuovere uno straordinario rinnovamento radicale dell’intero panorama culturale contemporaneo.

E così, la Cigliana ci guida (anzi ci trascina!) in un rutilante viaggio all’interno di angoli della nostra storia quasi del tutto ignorati o trascurati, dalle vicende delle sorelle Fox alla vita avventurosa di Franz Anton Mesmer, dalla figura eccezionale di Daniel Dunglas Home alle ricerche di William Crookes e alla sua enigmatica Katie King, da Conan Doyle ad Eusapia Palladino. Particolarmente densi e interessanti, poi, il capitolo dedicato alle tesi reincarnazionistiche di Giuseppe Mazzini e quello dedicato alla presenza della dimensione del soprasensibile all’interno della letteratura e delle arti figurative di fine Ottocento e di inizio Novecento.

In definitiva, il libro di Simona Cigliana non può che essere considerato, senza alcuna esitazione, un libro felicemente riuscito. Perché si tratta di un’opera che riesce ad assemblare con ariosa padronanza una mole vastissima di informazioni, sempre documentate in maniera puntigliosamente accurata, risultando sempre in grado di alimentare suggestive curiosità conoscitive. E perché riesce, inoltre, ad accalappiare l’attenzione e l’interesse sia di lettori mediamente preparati in ambito storico-culturale, pur se del tutto (o quasi) ignari nel campo dell’”occulto”, sia di lettori di solida preparazione nell’uno e nell’altro campo. Perché, infine, si tratta di un libro scritto con vena instancabilmente briosa e zampillante, con prosa nitida e controllata; di un libro ponderato e incisivo sotto il profilo intellettuale, avvincente, dalla prima all’ultima pagina, come una grande, imprevedibile, entusiasmante avventura.

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Simona Cigliana ha insegnato Letteratura Italiana, Critica Militante e Letterature Europee Comparate alla “Sapienza” di Roma e in altre Università italiane ed europee. È autrice, in Italia e all’estero, di numerosi studi scientifici su Luigi Capuana, Giovanni Verga, Luigi Pirandello, Massimo Bontempelli, Filippo Tommaso Marinetti e diversi autori otto-novecenteschi. Tra le sue pubblicazioni, relativamente all’ambito dei rapporti tra occultismo, spiritualismo e storia delle avanguardie, ricordiamo: Futurismo esoterico. Contributi per una storia dell’irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento (Napoli, Liguori, 2002); La seduta spiritica. Dove si racconta come e perché i fantasmi hanno invaso la modernità (Roma, Fazi, 2007); “Il fantasma senza spirito. Storie di apparizioni, spettri ed ectoplasmi da Mesmer a Baudrillard (passando per Marx)”in Ritorni spettrali. Storie e teorie della spettralità senza fantasmi (Bologna, Il Mulino, 2018).

Simona Cigliana

Due secoli di fantasmi. Case infestate, tavoli giranti, apparizioni, spiritisti, magnetizzatori e medium

    

Editore: Edizioni Mediterranee

Anno edizione: 2018

October 26, 2019

 

128 mila partenze nell’ultimo anno. Quasi 5,3 milioni di residenti all’estero

 

 

È stata presentata a Roma la XIV edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes. Con il contribuito di circa 70 studiosi italiani e non, la mobilità dall’Italia e nell’Italia è analizzata partendo dai dati quantitativi (socio-statistici). L’approfondimento di questa edizione è stato dedicato alla percezione delle comunità italiane nel mondo: “Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy”. Il Rapporto Italiani nel Mondo riflette cioè sulla percezione e sulla conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi rispetto al migrante italiano. Il fare memoria di sé diventa quindi occasione per meglio comprendere chi siamo oggi e chi vogliamo essere.

Quasi 5,3 milioni di residenti oltre confine (dati Aire 1.1.2019)

Su un totale di oltre 60 milioni di cittadini residenti in Italia a gennaio 2019, alla stessa data l’8,8% è residente all’estero. In termini assoluti, gli iscritti all’AIRE, aggiornati al 1° gennaio 2019, sono 5.288.281.

Dal 2006 al 2019 la mobilità italiana è aumentata del +70,2% passando, in valore assoluto, da poco più di 3,1 milioni di iscritti all’AIRE a quasi 5,3 milioni.

Quasi la metà degli italiani iscritti all’AIRE è originaria del Meridione d’Italia (48,9%, di cui il 32,0% Sud e il 16,9% Isole); il 35,5% proviene dal Nord (il 18,0% dal Nord-Ovest e il 17,5% dal Nord-Est) e il 15,6% dal Centro.

Oltre 2,8 milioni (54,3%) risiedono in Europa, oltre 2,1 milioni (40,2%) in America. Nello specifico, però, sono l’Unione Europea (41,6%) e l’America Centro-Meridionale (32,4%) le due aree continentali maggiormente interessate dalla presenza dei residenti italiani. Le comunità più consistenti si trovano, nell’ordine, in Argentina (quasi 843 mila), in Germania (poco più di 764 mila), in Svizzera (623 mila), in Brasile (447 mila), in Francia (422 mila), nel Regno Unito (327 mila) e negli Stati Uniti d’America (272 mila).

Oltre 128 mila iscritti all’AIRE per espatrio nell’ultimo anno: da 107 province e verso 195 destinazioni diverse nel mondo

Da gennaio a dicembre 2018 si sono iscritti all’AIRE 242.353 italiani di cui il 53,1% (pari a 128.583) per espatrio. L’attuale mobilità italiana continua a interessare prevalentemente i giovani (18-34 anni, 40,6%) e i giovani adulti (35-49 anni, 24,3%). Il 71,2 è in Europa e il 21,5% in America (il 14,2% in America Latina). Sono 195 le destinazioni di tutti i continenti. Il Regno Unito, con oltre 20 mila iscrizioni, risulta essere la prima meta prescelta nell’ultimo anno (+11,1% rispetto all’anno precedente). Al secondo posto, con 18.385 connazionali, vi è la Germania. A seguire la Francia (14.016), il Brasile (11.663), la Svizzera (10.265) e la Spagna (7.529).

Le partenze nell’ultimo anno hanno riguardato 107 province italiane. Con 22.803 partenze continua il solido “primato” della Lombardia, seguita dal Veneto (13.329), dalla Sicilia (12.127), dal Lazio (10.171) e dal Piemonte (9.702).

Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019, attraverso analisi sociologiche e linguistiche, aneddoti e storie fa riferimento al tempo in cui erano gli italiani ad essere discriminati, risvegliando “il ricordo di un passato ingiusto – spiega il testo - non per avere una rivalsa sui migranti di oggi che abitano strutturalmente i nostri territori o arrivano sulle nostre coste, ma per ravvivare la responsabilità di essere sempre dalla parte giusta come uomini e donne innanzitutto, nel rispetto di quel diritto alla vita (e, aggiungiamo, a una vita felice) che è intrinsecamente, profondamente, indubbiamente laico”. Si tratta dunque di “scegliere non solo da che parte stare, ma anche che tipo di persone vogliamo essere e in che tipo di società vogliamo vivere noi e far vivere i nostri figli, le nuove generazioni”. La Fondazione Migrantes auspica che questo studio possa “aiutare al rispetto della diversità e di chi, italiano o cittadino del mondo, si trova a vivere in un Paese diverso da quello in cui è nato”.

 

Le partenze degli italiani nell’ultimo anno: da dove

 

 

 

 

 

 Rapporto Italiani nel Mondo 2019  

Le partenze degli italiani nell’ultimo anno:
verso dove

 

October 12, 2019


Elogiare l'imperfezione significa porsi in un ottica di libertà, soprattutto se questo riguarda un ruolo primordiale come quello materno, dove troppo spesso consigli mascherati da regole tendono a sclerotizzare un ruolo fluido e liquido come quello della madre.

“Im-perfetto è il divenire, il perfetto è lo stare”, se il perfetto e statico , l'imperfetto è movimento e presuppone il non compiuto e un'apertura al respiro del cambiamento.

Oltre a partorire il figlio, la madre partorisce se stessa e si ricollega ad una conoscenza antica, globale nel corpo, ma personale nell’ esperienza e nelle sue declinazioni.

Una scintilla divina sboccia nella creazione di un “altro” da sé, e questa esperienza apre punti interrogativi scomodi che spesso cozzano contro le 3 N di “normale”, “ naturale”, “necessario” facendole diventare lettere minuscole e aperte a più interpretazioni derivate dall'esistenza e dai bisogni.

L'autrice, cofondatrice del progetto educativo dell'Asilo nel Bosco di Ostia antica, madre e maestra, alterna alle riflessioni sul tema alcune avventure personali divertenti e mai scontate, tese a dimostrare come sia necessario un recupero dell'intuizione, delle soluzioni originali, ma anche di un pizzico di ironia e di un ascolto profondo per riuscire a destreggiarsi tra le difficoltà quotidiane.

Cosa ci serve realmente? È la domanda da porsi spesso prima di accogliere una vita (e anche dopo): culle, passeggini, biberon… “ la nostra è una cultura del distacco e della ricerca dell’ autonomia precoce e (quindi) forzata”. Benvenga dunque questo ritorno al naturale processo della nascita e al ruolo così decisivo delle levatrici, delle ostetriche, capaci di far emergere la vita, dando fiducia all'innata capacità del corpo di adempiere a questo scopo.

Purtroppo impera il bisogno di giustificarsi davanti ai diktat della perfezione, quindi perchè non crearsi anche un decalogo per la donna imperfetta? E se le ultime pagine lasciano spazio alle lettrici, il capitolo precedente sciorina con ironia una serie di situazioni d'imperfezione che rendono il ruolo materno dinamico, fluido e originale, proprio come è la vita.

 

Giordana Ronci
Manifesto della mamma imperfetta
Edizioni Tlon 2017 

October 08, 2019

Il romanzo “Nessuna come lei” di Marco Balbina, edito dalla Nemapress diretta da Neria de Giovanni, affronta, con una vicenda articolata e ricca di personaggi, uno dei periodi più travagliati della storia italiana del novecento: gli anni settanta. Sebbene travagliati da una forte contrapposizione politico-ideologica, gli anni “dell’immaginazione al potere”, sfociati nell’età del terrorismo brigatista e della stragi neo-fasciste, sono stati, a parte qualche eccezione, soprattutto cinematografica, molto sbrigativamente accantonati, quasi che la scia di sangue che essi produssero costituisse una barriera insuperabile alla loro distaccata narrazione. Nel romanzo di Balbina, quegli anni, sono analizzati a partire dall’attualità, perché la storia di Tista Muleddu e di Paolina Arquer, protagonisti di una drammatica storia d’amore lunga più di quarant’anni, inizia in una Alghero contemporanea, per poi trasferirsi, con un flashback che occupa la parte centrale del racconto, nella Cagliari di Gigi Riva e nella Portotorres della SIR di Nino Rovelli, in una Sardegna in grande trasformazione economica e sociale, che può essere presa come paradigma della trasformazione in atto anche nel resto del paese. La tecnica analessica del raccontare a ritroso, consente, in particolare, all’autore, di mettere in relazione una epoca così rivoluzionaria e ricca di tensione trasformatrice, con quella attuale, caratterizzata da un incipiente disincanto e da un forte riflusso politico.

All’autore…..ha posto alcune domande:

-Balbina, quali ragioni l’hanno spinta a scrivere un romanzo sugli anni dell’immaginazione al potere? –

-In primis, per una esigenza personale: il bisogno di un bilancio, di una ricapitolazione della propria vicenda umana, ma anche della convinzione che niente è davvero personale, che anche il personale è politico, come si diceva un tempo. Vorrei precisare, comunque, che nel romanzo non c’è nessuna intenzione apologetica né tanto meno nostalgica: c’è solo il tentativo di analizzare un periodo fondamentale della nostra storia, e capire dove siamo arrivati oggi, anche perché, a mio avviso, dal punto di vista sociologico e letterario, la generazione degli anni settanta non è stata sufficientemente indagata

-La Sardegna narrata nel suo romanzo appare una regione in grande trasformazione sia economica che sociale –

-A partire dagli anni sessanta, la Sardegna è attraversata da un insieme di fattori progressivi, sia economici che sociali, che la trasformano nel profondo, che la veicolano verso la contemporaneità, forse per la prima volta nella sua storia. Sono gli anni del Piano di Rinascita, dell’industrializzazione basata sulla chimica, dell’ingresso dell’isola nel mercato turistico internazionale con la Costa Smeralda, del grande successo sportivo del Cagliari di Gigi Riva, che conquista lo scudetto e, da squadra di provincia di una terra emarginata, diventa la rappresentante del calcio italiano nella Coppa dei Campioni. Un evento che oggi può apparire quasi banale; ma che all’epoca ebbe uno straordinario impatto politico e sociale, se è vero che, persino il grande Emilio Lussu, paragonò quella strabiliante vittoria all’epopea della sua Brigata Sassari -

-In questo scenario dinamico i personaggi si muovono come protagonisti di storie che non rimandano più allo stereotipo della tipica narrazione sarda legata alle zone interne, ma si fanno portatori di esigenze e di bisogni universali, tipici della modernità –

 sentire anche in Sardegna, trasformando definitivamente lo stile di vita dei sardi, che da “esclusivista” divenne sempre più un “misturo”, come ebbe a dire, successivamente, il grande Sergio Atzeni. Da quel momento la Sardegna diventerà sempre più uno sfondo, e, in primo piano, saliranno i personaggi del nuovo corso storico, che vivranno storie del tutto simili a quelle vissute nel resto del paese e del mondo. Caduta la cerniera di isolamento, allentata la camicia di forza identitaria, i sardi diventano i Tista e le Paoline del mio romanzo. Qualcuno ha gridato al disastro per questa perdita dell’antica identità, io credo, al contrario, che abbia avuto elementi di grande positività –Credo che proprio a partire dagli anni settanta, preparati dal decisivo evento del “Sessantotto”, l’impatto di quella che Pasolini chiamò nei suoi Scritti Corsari “mutazione antropologica”, si fece

-Ci può descrivere meglio i personaggi del suo romanzo? –

-Tista è il personaggio principale, insieme a Paolina. Tista è un giovane perito chimico cagliaritano, appartenente al Movimento studentesco, romantico idealista convinto nella virtù terapeutica della rivoluzione, che appena diplomato, decide in andare a lavorare in fabbrica. All’epoca la fabbrica era vista, specie dai militanti di sinistra, come l’avamposto rivoluzionario, l’orlo di un vulcano pronto a esplodere e liberare la società dal giogo capitalista. Ovviamente, le cose non stavano così. Tista, suo malgrado, assiste al fallimento del petrolchimico di Rovelli, affogato in un mare di debiti, e anche delle sue idee rivoluzionarie, e decide di licenziarsi, di cambiare vita, diventando, negli anni seguenti, addirittura un affermato imprenditore, ed è così che lo incontriamo all’inizio del romanzo. Ma in realtà, anche nella sua “seconda vita”, non perderà mai la voglia di lottare contro i soprusi e le disuguaglianze sociali. Una lunga e travagliata storia d’amore lo legherà a Paolina Arquer, giovane e brillante femminista, rampolla di un’antica famiglia nobile cagliaritana, che attraverserà tutto il romanzo, con un finale drammatico che preferirei non rivelare. Paolina fa parte del Collettivo femminista di Via Donizetti 52, che è stato realmente il primo collettivo femminista cagliaritano e, uno dei primi, in Italia. Essa rappresenta l’espressione della possibile libertà della donna, che da quel momento, diventa un vero soggetto politico, organizzato in movimento e in collettivi, che lotta separatamente dall’uomo per la liberazione complessiva della società. Vi sono anche altre importanti figure nel romanzo, da Antonio Contini a Rino Polcani, da Sandro Portas a Greta, che danno il senso del cambiamento avvenuto e di una esistenza vissuta senza più le antiche intermediazioni familiari e sociali

 

-Ci sono tratti biografici nei personaggi del romanzo?-

-In parte. Mi sono diplomato Perito Chimico al “Michele Giua” di Cagliari a metà degli anni settanta, quindi ho vissuto in pieno il miraggio dell’industrializzazione, che aveva coinvolto tanti giovani come me nel sogno della chimica isolana. Il mio Istituto, inoltre, era ubicato anch’esso in Via Donizetti, qualche centinaio di metri dopo il Collettivo Femminista. Noi sapevano che lì dentro c‘erano donne “diverse” dalle altre e, perciò, sghignazzavamo alla loro vista, come potevano fare dei giovinastri immaturi, senza minimamente comprendere che quelle donne stavano scrivendo la storia del femminismo in Sardegna. Ho anche una storia calcistica che mi lega al Cagliari calcio: nell’anno dello scudetto vengo acquistato dalla società, e milito nel settore giovanile fino alla De Martino, le riserve della Serie A, quindi vivo dall’interno la grande epopea sportiva di quegli anni. Sicuramente, le mie esperienze personali, hanno influito nell’economia complessiva della storia, sebbene i personaggi siano frutto esclusivo della mia immaginazione –

-Ci può dire in due parole perché il suo libro dovrebbero essere letto, soprattutto dai giovani? –

-Credo che in questi anni sia mancato il giusto approccio storico alla società attuale. Siamo dominati quasi esclusivamente da necessità economiche, e stiamo tralasciando molte altre prospettive che aprirebbero squarci interessanti per comprendere il presente. Anche ai più giovani. Il romanzo, per la sua assoluta vocazione sociale – un romanzo che non descrivesse, oltre la trama, anche la società nella quale si muovono i personaggi, non sarebbe tale – può essere un utile strumento di riflessione, senz’altro di più facile lettura rispetto a un saggio specialistico o a una noiosa ricerca statistica -

September 04, 2019

Cinquanta filastrocche chieste dai grandi per i bambini che hanno accanto, o dentro

 

Bruno Tognolini, è un poliedrico scrittore per l'infanzia, dopo aver lavorato nel mondo del Teatro ( con Vacis, Paolini, Baliani), è autore di alcune puntate di programmi televisivi (come l' Albero Azzurro Melevisione). Nel 2007, ha ottenuto il premio Andersen come miglior scrittore italiano per ragazzi. 

 

Torna in libreria l'autore di “Rima Rimani”, di “Rime di rabbia” e di “Rime Raminghe”, torna con una raccolta che stavolta si accompagna alla parola "Rimedio".

Sono una medicina queste rime, sembrano un po' il miele che circonda lo sciroppo dal sapore cattivo, per aiutarci a tirarlo giù, senza storcere troppo il naso.

E grazie alla rima giocosa l'autore prende posizione contro i dis- che etichettano la diversità, per far comprendere ai bambini la separazione dei genitori, per aiutarli a mangiare, per accettare i “Sentimenti neri”.

Alcune rime sono impregnate di filosofia, come “La rima del domani”, o la “Rima della crescita profonda”, e ogni volta che le rileggi si accendono di nuovi scorci di significato; alcune rime si pongono su una divertente ottica didattica come le rime per insegnare il valore del riciclo di plastica, ferro, carta o cibo.

Un libro che sempre sottolinea la centralità e la complessità dell'infanzia, anche nella dimensione adulta, narrando di tutti i suoi attori: bambini, maestre, genitori, nonni... offrendo nuovi occhi e punti di vista, come nella “Rima del bambino trasparente”, o nella “Rima del diritto a non farcela”.

Ci sono musica, poesia, gioco, creatività nelle rime di Tognolini, e grazie a questi ingredienti riesce a dire cose difficili, a dare consigli indiretti, a indicare la via del rispetto e dell'unicità di ogni persona.

"Quasi tutte queste rime sono state scritte per qualcuno che le ha chieste" -commenta l'autore alla fine del libro - alcune richieste sono pervenute dai social, per salutare una bibliotecaria in pensione, da progetti abbandonati, da improvvise urgenze creative.

“La poesia vive proprio solo quando contiene altro da ciò che voleva dire. Le poesie possono essere medicamenti, o perlomeno lenimenti, lo son sempre state. Ma sempre solo in forme incerte, sibilline”.

Un libro da tenere, da regalare, da leggere ad alta voce, da rileggere, da ricercare e ritrovare dopo anni. Parole che educano, etimologicamente, ovvero “conducono fuori”, verso mondi da esplorare, verso altri punti di vista da cui osservare il presente.

Rime Rimedio - Bruno Tognolini
Cinquanta filastrocche chieste dai grandi per i bambini che hanno accanto, o dentro
Salani 2019

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