L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Food & Wine (247)

 
 
 
 
Urano Cupisti
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 Champagne metodo solera

Un certo Monsieur Roland de Calonne, ex direttore generale della Maison Ruinart, ebbe a dire: ” Lo champagne è la cultura della distinzione”.

Ci sono voluti ben 28 (ventotto) viaggi nella champagne per capire il vero significato di questa esclamazione.  

Distinzione come nozione di raffinatezza e di una certa concezione della vita. Non banale privilegio né segno di snobbismo.

    Insieme a Charles Beaudoin-Latrompette

Lo champagne, con il tempo, “diventa il compagno naturale e ideale di una vita con un senso diverso, imbevuta di una dimensione poetica, creatrice, un’opera d’arte” (Samuel Cogliati)

Perché scegliamo lo champagne? Perché beviamo champagne? Perché degustiamo champagne? Perché celebriamo lo champagne? Domande banali? Non ne sono sicuro.

Da quando sono attratto da questo vino, nelle mie continue ricerche per dare risposte ai quesiti, ho sentito e letto molta retorica alimentata vuoi da interessi economici, vuoi per magica e irresistibile attrazione.

Leggende miste a storie, aneddoti legati a questo o quel personaggio nobile, che rendono alla fine questo vino, UNICO.

Il coinvolgimento dovuto alle domande poste è alla base delle mie continue ricerche. Qualcuno ha scritto: ”L’innamoramento si nutre di ideali”. L’amore però ha bisogno di realtà e mette criticamente in discussione la possibilità di giungere ad una definizione assoluta e definitiva. Ed io su e giù per colline e valli alla ricerca  delle risposte.

La Champagne non è più “regione”. La Legge del 2016 ne ha sancito ufficialmente la fine conglobandola nella Regione Grand Est. Complessivamente l’intero territorio è diviso in cinque dipartimenti: La Marna, l’Aube, l’Haute-Marne, l’Ardenne e lo Yonne. La parte vitivinicola, circa un terzo dell’intera estensione territoriale, è divisa in quattro grandi settori eterogenei: La Montagne de Reims, la Vallée de la Marne, la Côte des Blancs, l’Aube. A sua volta i quattro grandi settori annoverano ben 17 (diciassette) settori omogenei. E la conoscenza di quest’ultimi è già una risposta.

   Insieme a Maxime Mansard

Li conosco tutti? Li ho calpestati tutti? Credo proprio di no. Sono sulla buona strada.

    La Champagne

In quest’ultimo viaggio ho scoperto il Monts de Berru (370 ha), piccolo settore isolato ad est di Reims. Le vigne sono adagiate su un declivio gessoso che culmina a 150 metri di altitudine, perso nel mezzo della pianura cerealicola. Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay i vitigni presenti ed allevati.

Qui ho visitato Beaudouin-Latrompette, a Nogent-L’Abbesse.  Récoltant Coopérateur (RC), vignaiolo socio di una cooperativa cui ha conferito le uve e che ritira le bottiglie ad elaborazione conclusa. Prevede diversi interventi prima del dégorgemant. In tutto il territorio della champagne vitivinicola i RC sono circa 3.000.

Altra scoperta  quella parte della Vallée de la Marne, rive gauche (2.450 ettari). Ho scelto quella zona che corre lungo il fiumiciattolo Le Flogot (affluente di sinistra de La Marne), limitatamente alla frazione Cersuil del Comune Mareuil-le-Port.

Qui ho visitato la  Maison Mansard Gilles.  Storia di famiglia iniziata nel 1901. Oggi sono i fratelli Maxime e Vincent a condurrla, gestendo la proprietà composta da 24 ettari di vigne in questo piccolo anfiteatro intorno al paese. RM, Récoltant Manipulant, ovvero vignaioli coltivatori dei propri vigneti nonché elaboratori e commercianti del proprio vino. Nella Champagne sono circa 2.200 e rappresentano il 40% degli operatori champenoise.

Nel mio tour non potevano mancare le consuete visite agli “amici” di sempre, alcuni dei quali lo sono dal mio primo tour.

- Diogène Tissier, Maison a Chavot-Courcourt, nel settore vinicolo della Côte-Sud d’Épernay, là dove la piccola Église Saint-Martin, spesso fotografata come simbolo della Champagne, risulta  come “immersa nelle vigne” per la sua splendida posizione. NM, Négociant Manipulant ricordata anche come Maison de Négoce per l’opportunità di acquistare uve indispensabili per avviare il processo produttivo. Vincent, attuale proprietario insieme alla moglie Nathalie infatti raccolgono uve dal piccolo distretto della Côte de Sézanne. I négociant sono 262 e il 10% di loro controlla metà del mercato;

- Aspasie, Maison posta nella Vallée de l’Ardre, nel piccolo paesino di Brouillet scoperta alcuni anni fa a seguito della degustazione di una bottiglia particolare: Cépages d’Antan, elaborata a partire da tre vitigni a bacca bianca molto rari. Arbanne, Petit Meslier Pinot Blanc dette “uve fantasma” proprio per la loro rarità. Paul-Vincent Ariston (RM) ne rappresenta la quinta generazione ed amministra circa 15 ettari di vigneti;

- Delouvin-Nowack. Maison posta a Vandières nel distretto Vallée de La Marne, rive droite. Ben 10 generazioni tra conferitori e produttori di champagne nel primo anfiteatro posto sulla riva destra del grande fiume. Nei sette ettari intorno al villaggio domina il Pinot Meunier se pur si vinifica anche lo Chardonnay e Pinot Noir se pur ritenuti da Geoffrey, talentuoso conduttore della Maison, atipici per il terroir di

 I coniugi Tissier

provenienza. Con lui ho parlato a lungo del metodo Solera, meglio dire l’Art de la Réserve Perpétuelle. Fu il padre di Geoffrey, nel 1992, a decidere di riunire l’insieme dei suoi vini di riserva, solo Pinot Meunier, nella sua nuova cantina. Un affinamento costante arricchito anno dopo anno. Oggi 25.000 bottiglie di Meunier Perpétuel sono prodotti con l’aggiunta dell’ultimo millesimo.

Chiudo queste mie riflessioni dopo il ventottesimo tour nella Champagne con le parole di Roberto Bellini, (Champagne e Champagnes, Bibenda editore): ”Lo Champagne è autentica seduzione, è la purissima parte intellettuale del quotidiano dispensatore d’emozioni. È il simbolo mistico divenuto laico”. Chapeau!

 

Tour effettuato nel mese di Ottobre 2023

 

 

 

 

   Cantina Letrari

Tutti conosciamo la storia, a volte distorta, comunque in gran parte rispondente a verità, del Trentino vitivinicolo, di quella parte geografica corrispondente alla Provincia Autonoma di Trento.

Ricordo che tutto ebbe inizio da quella via Claudia Augusta voluta da Cesare Augusto (nel 15 a.C.) e terminata dall’imperatore Claudio (nel 46 d.C.) per “romanizzare” i popoli dell’attuale Trentino-Alto Adige, Tirolo austriaco, Alta Baviera e Svevia. Una “via” consolare tutt’oggi preservata in parte che penetra in vigneti e, turisticamente, rappresenta un percorso storico-vinicolo molto apprezzato. E le legioni romane, nei loro spostamenti, portarono usi

e costumi dell’Urbe, tra cui l’esperienza viticola allora conosciuta.

Tutto il resto è sotto i nostri occhi: la Piana Rotaliana a nord, la Vallagarina al centro-sud.   

Sebbene il Trentino produca tanti vini fermi  sia bianchi che rossi, oggi rivive momenti di gloria grazie ad un Signore che 150 anni fa  volle concretizzare un sogno: creare in Trentino un vino capace di confrontarsi con i migliori champagne francesi. E, visti i risultati, c’è riuscito. Quest’uomo si chiamava Giulio Ferrari.

Un pioniere: è lui che per primo intuisce la straordinaria vocazione della sua terra, lui che per primo diffonde lo Chardonnay in Italia fino ad allora confuso con il Pinot Bianco.

Iniziò a produrre poche selezionatissime bottiglie, con un culto ossessivo per la qualità.

    Dorigati

Oggi lo spumante trentino ha la sua denominazione chiamata Trento Doc, creata nel 1993 e registrata nel 2007. Metodo usato “la rifermentazione in bottiglia” ormai conosciuta e conclamata in Italia come Metodo Classico.

Nei primi giorni di settembre ho deciso di immergermi nella realtà spumantistica trentina visitando quattro aziende, ritenute dal sottoscritto, rappresentative di tutto il territorio.

AZIENDA DORIGANI: scelta perché posizionata all’estremo nord del territorio. La Piana Rotaliana, con Pinot Nero e Chardonnay muscolosi, veramente nordisti. Massima espressione l’etichetta METHIUS.

Le note aziendali: “Zona di origine: fascia collinare di Faedo e Pressano a 350 - 500 m di altitudine Vigneto: il sistema di allevamento è la tradizionale pergola trentina. Ma una potatura corta e povera ed un dirado dei grappoli dimezzano la produzione altrimenti abilitata Vitigno: 60 % Chardonnay, 40 % Pinot Nero Vinificazione: in bianco con fermentazione in barrique di parte dello Chardonnay Maturazione: preparazione della "cuvée" nella primavera successiva la vendemmia.Imbottigliamento e presa di spuma lenta alla temperatura di 11°C. In bottiglia matura circa cinque anni, con periodiche rimesse in sospensione dei lieviti. Si procede poi alla fase di "remuage" sulle "pupitres".Alla fine di tale ciclo si effettua la sboccatura con aggiunta di "liqueur d'expedition". Lo spumante così ottenuto matura per ulteriori 6 / 8 mesi prima di essere commercializzato”.

AZIENDA PEDROTTI: scelta per la sua posizione a Nord di Rovereto, nel Comune di Nomi e per la sua produzione Trento Doc di nicchia. Nove tipologie di spumanti a Metodo Classico presentate in tre linee dalla diversa complessità e struttura. GROTTA DELLO SPUMANTE BATTEZZATA DA LUIGI VERONELLI: “LA CATTEDRALE DELLO SPUMANTE”. Questa cantina è un ambiente roccioso naturale, contesto ideale per maturare gli spumanti ed esaltare ancor più il perlage di montagna.

Tra le numerose etichette ho scelto di riportare EXTRA BRUT RISERVA SPECIALE 1988 un prodotto raro, quasi unico, che deve la sue affascinanti caratteristiche non solo a se stesso e alla sua straordinaria longevità. Queste le note aziendali che riporto fedelmente: “ Alla sua eccezionalità hanno contribuito infatti protagonisti che ora ne fanno parte e dai quali non è possibile prescindere per capirlo e gustarlo. In primo luogo ci sono le uve, Chardonnay e Pinot Noir di eccellente qualità, provenienti da vigneti coltivati a metà montagna, con le caratteristiche di acidità e maturazione ideali per il Trentodoc. La grotta, che ha donato negli anni alle 17mila bottiglie prodotte nel 1988, e di cui ora rimane una piccolissima riserva, una temperatura costante di 13 gradi, un silenzio e un buio quasi irreali. Alla sua essenza hanno contribuito le mani di chi, con competenza e passione, ha movimentato dapprima ogni 6 mesi, e poi ogni 3 anni tutte le bottiglie, per riportare i lieviti in sospensione. E infine sopra tutti il tempo”.

   Enantio

AZIENDA LETRARI: scelta per la sua posizione nella piana Vallagarina e per la produzione che predilige dosaggi bassissimi.  Azienda che affonda le radici nella storia del vino trentino. coltivando le uve nelle zone più altamente vocate della valle. Riporto dalle note aziendali di presentazione: “Noi  elaboriamo con naturalezza, grazie ad un'esperienza maturata in oltre mezzo secolo di vendemmie. Papà Leonello è considerato un fondatore della spumantistica trentina, le sue prime bottiglie di risalgono infatti al 1961. Non è un vino della consuetudine: nasce dalla caparbietà e dall'autorevolezza del cantiniere abbinata alla sapienza del vignaiolo. Noi possiamo vantarle entrambe”.

Sulla base di queste affermazioni come non ricordare la Riserva del Fondatore. “E’ il vanto della nostra ‘maison’, una riserva che vuole essere decisamente esclusiva. Oro lucente, che alla vista onora subito la sua classe, con una gamma di fragranze di rara eleganza, note di nocciole mature a percepire l’essenza delle mele di montagna, pure della pesca, arachidi tostate e zenzero. Il sorso è cremoso, un mix di rotondo equilibrio tra sapori agrumati e l’incontenibile ampiezza della crema pasticcera, con il limone candito che mitiga e rilancia tutta la finale, interminabile complessità organolettiche”. AFFINAMENTO SUI LIEVITI 120 mesi. Vini base in barriques e conversione malolattica avvenuta.

    Pedrotti

AZIENDA ROENO:  perché la sua scelta. Ci troviamo sul confine con la Regione Veneto. L’azienda e la cantina si trovano oltre il confine (Veneto), mentre i vigneti “spumantistici” in Trentino, zona Trento. Terroir diverso e maturazioni posticipate. Leggo e faccio proprio: “La famiglia Fugatti rappresenta una somma di sentimenti che la memoria ha tramandato, oltre il legame del sangue. Un albero i cui tanti rami hanno indicato la strada da seguire, in cui rispetto e umiltà rappresentano i valori da non dimenticare. Più a Nord invece, raggiungono la provincia di Trento, rientrando quindi nel disciplinare del Trentino Doc”.

Interessanti i due aspetti: la scoperta di “certi” vini fermi unici (Enantio in particolare) e gli spumanti dalla veste interiore unica. E di questi spumanti ricordo DÈKATOS, metodo classico millesimato 2012, 100% chardonnay. Spumante di sostanza e ispirazione, trasformato in identità di territorio. Lunga permanenza sui lieviti (100 mesi) per connotare e cesellare uno stile unico. “Dekatos respira l’arte e il vento delle latitudini trentine, dove la vocazione per i grandi Metodi Classici ha permesso di scrivere pagine importanti all’interno della storia enologica italiana”.

Prendo a prestito quest’ultimo pensiero trasmessomi da Cristina Fugatti, titolare dell’azienda Roero, per chiudere questo mio viaggio in Trentino, terra di spumanti.

Ops, dimenticavo: delle quattro visite ben tre sono gestite da imprenditrici femminili (Pedrotti, Letrari, Roero). Forse il Trento Doc è diverso anche per questo?  Chapeau!!!

 

 

 

 

 

 

      Masterclass 2023

Una volta c’era il Vinexpo di Bordeaux a confrontarsi con il Vinitaly e ProWein se pur penalizzato dalle date di effettuazione. Mese di giugno, troppo lontano dal ProWein (fine marzo) e Vinitaly (fine aprile).

Oggi, unite le forze (Vinexpo Paris e Vinexpo Bordeaux) e anticipate le date di effettuazione alla prima quindicina di febbraio, giocando d’anticipo, la manifestazione francese naviga in acque da primati. Non solo.

                 Padiglione Union Grand Crus Bordeaux

La programmazione centrata su temi attuali tendenti a fornire risposte a tutto il mondo del vino e non limitarsi alle consuete discussioni e presentazioni legate al solo marketing ed “affari”.

Al centro del progetto 2024 le nuove sfide da affrontare.

Cambiamento climatico, le nuove richieste dei consumatori, i conflitti geopolitici, le questioni economiche e commerciali. Tanto per indicarne alcune.

L'intero settore del vino e degli alcolici deve necessariamente trovarsi pronto ad esplorare soluzioni innovative per contribuire alla sua necessaria evoluzione.

Ed ecco Wine Paris & Vinexpo Paris pronto a dibattere temi  come

  • Il piacere della scoperta ;
  • La crescita dell’evoluzione "no/low",ovvero il movimento no alcool e la proposta sì con moderazione;
  • Premiumizzazione, ovvero desiderio di più qualità, bere sempre meglio ;
  • La crescita degli alcolici ;
  • Cambiamento climatico ;
  • Questioni geopolitiche ;
  • Sostenibilità: dalla vigna alla bottiglia.

 

Wine Paris e Vinexpo Paris 2024 in cifre:

  • 948 espositori ;
  • 47 paesi produttori rappresentati ;
  • Aumento del 59% degli espositori internazionali (e +8% per gli espositori francesi). In particolare da parte dell’Italia, Portogallo e Spagna che insieme rappresentano il 67% degli espositori internazionali;
  • Sono attesi 40.000 visitatori professionali, di cui oltre il 35% internazionali;
  • 122 convegni e masterclass ;
  • 155 paesi visitatori ;
  • Sono presenti tutte le regioni vinicole francesi;
  • 35 categorie di alcolici, no/low, birra e sidro disponibili;
  • +46% di spazio in più per il settore Be Spirits;
  • Un OFF in città con 200 Ristoranti e Cocktail bar.

 

 

Scrissi l’anno scorso prima dell’edizione 2023: ” Wine Paris & Vinexpo Paris è una realtà ancora emergente e con questa organizzazione non avrà certo difficoltà a decollare, creando una concorrenza ad altre importanti  realtà come ProWein e Vinitaly”.

       Panoramica edizione 2023

Concluso l’evento ed analizzando i risultati ottenuti, quella che poteva sembrare una affermazione di comodo, una specie di profezia, si è dimostrata una realtà con alla base un processo empirico e logico, non chiaroveggenza.

Tra gli elementi a favore, oltre alla location di grande attrattiva come Parigi con tutti i servizi a disposizione, c’è un elemento fondamentale: Un’organizzazione straordinaria curata dalla società Vinexposium. Assistenza, comunicazione molto efficiente ed efficace, costante aggiornamento sui servizi a disposizione, proposte mirate alla miglior pianificazione delle attività e tanto altro.

WINE PARIS & VINEXPO PARIS 2024. Le nuove sfide da affrontare.

12-13-14 febbraio 2024 presso Paris Expo, Porte de Versailles. Parigi.  Chapeau!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

  La vigna cresce a Firenzuola

Vicchio, Appenninia Wine Festival, Teatro Giotto, l’atteso talk condotto da Massimo Cirri (Cartepillar Radio Due). La sala si riempie piano piano. Tutti presenti i produttori espositori. Pure anche chi non espone ma vuole essere presente alla “Prima”.

Accanto a me un posto libero. Si avvicina un giovane dai lineamenti orientali e mi chiede di sedere. “Buongiorno mi chiamo (non capisco il nome)”. Altrettanto mi presento. Non ho dubbi: è giapponese. Chiedo conferma. E in un italiano “passabile” inizia a parlare del perché si trova nel teatro Giotto.

- Ho iniziato a produrre vino da queste parti.

- Ma tu sei quel giapponese che abita a Puligno, tra Firenzuola e il passo di Monte Giogo, in quella casa di pietra “spazzata dal vento”?

                  Tatsuhico Ozaki a Vicchio (foto Il Filo)

- Sì, sono io.

TATSUHIKO OZAKI, quel “matto” che vuole produrre vino da vitigno giapponese, il Koshu, ad oltre 700 metri di altezza dove il vento domina e spazza via tutto, è seduto accanto a me.

Il talk non mi interessa più. Il racconto di Tatsuhiko, sì.

                                                  Pergola e Koshu in Giappone

Anche perché, in uno dei viaggi fatti in Giappone, ai piedi del Monte Fuji, nell’area viticola di Yamanashi, calpestai una vigna a pergola di Koshu, vitigno considerato a bacca bianca se pur, nella sua maturazione, assuma un colore rosato intenso. Assaggiai allora un vino “dolce”.

La coltivazione di Koshu in Giappone è millenaria. Recenti studi compiuti su ricerche basate sul DNA riconducono questo vitigno alla Vitis Vinifera.

Ed è proprio per questo che Tatsuhko vuole riportare l’autoctono nipponico alle sue origini. Allevarlo in un contesto pedoclimatico ( l’insieme di fattori che  integrandosi determinato la buona o la cattiva riuscita dell’impianto di un nuovo vigneto in una determinata e caratteristica zona del mondo simile a quella di provenienza)simile a Yamanashi.

“Complessivamente avrò in un prossimo futuro, un ettaro e mezzo di vigneto che dal prossimo anno alleverò metà a Pinot Nero e metà a “Koshu”. Per adesso ho messo 3 mila metri quadri di Pinot Nero, mentre gli altri li impianterò verso Aprile 2024”.

Facendo un rapido conteggio, impianto, crescita e successiva vinificazione, la prima bottiglia di uno e dell’altro, non prima del tardo 2027.

 grappolo di Koshu

Massimo Cirri interrompe il nostro dialogo pregando  TATSUHIKO OZAKI a salire sul palco e raccontare la sua avventura.

È finito il talk e Tatsuhiko è la star del mattino. Molti colleghi si avvicinano per chiedere l’intervista. Ma la mia, a bassa voce, ha tutto un altro significato.

L’appuntamento al 2027, a Puligno, tra Firenzuola e il Passo del Monte Giogo, in quella casa di pietra “spazzata dal vento”.

 

 

 

 

 

 

                Letrari

Tutti conosciamo la storia, a volte distorta, comunque in gran parte rispondente a verità, del Trentino vitivinicolo, di quella parte geografica corrispondente alla Provincia Autonoma di Trento.

Ricordo che tutto ebbe inizio da quella via Claudia Augusta voluta da Cesare Augusto (nel 15 a.C.) e terminata dall’imperatore Claudio (nel 46 d.C.) per “romanizzare” i popoli dell’attuale Trentino-Alto Adige, Tirolo austriaco, Alta Baviera e Svevia. Una “via” consolare tutt’oggi preservata in parte che penetra in vigneti e, turisticamente, rappresenta un percorso storico-vinicolo molto apprezzato. E le legioni romane, nei loro spostamenti, portarono usi e costumi dell’Urbe, tra cui l’esperienza viticola allora conosciuta.

Tutto il resto è sotto i nostri occhi: la Piana Rotaliana a nord, la Vallagarina al centro-sud.   

Sebbene il Trentino produca tanti vini fermi  sia bianchi che rossi, oggi rivive momenti di gloria grazie ad un Signore che 150 anni fa  volle concretizzare un sogno: creare in Trentino un vino capace di confrontarsi con i migliori champagne francesi. E, visti i risultati, c’è riuscito. Quest’uomo si chiamava Giulio Ferrari.

Un pioniere: è lui che per primo intuisce la straordinaria vocazione della sua terra, lui che per primo diffonde lo Chardonnay in Italia fino ad allora confuso con il Pinot Bianco.

Iniziò a produrre poche selezionatissime bottiglie, con un culto ossessivo per la qualità.

                        Dorigati

Oggi lo spumante trentino ha la sua denominazione chiamata Trento Doc, creata nel 1993 e registrata nel 2007. Metodo usato “la rifermentazione in bottiglia” ormai conosciuta e conclamata in Italia come Metodo Classico.

Nei primi giorni di settembre ho deciso di immergermi nella realtà spumantistica trentina visitando quattro aziende, ritenute dal sottoscritto, rappresentative di tutto il territorio.

AZIENDA DORIGANI: scelta perché posizionata all’estremo nord del territorio. La Piana Rotaliana, con Pinot Nero e Chardonnay muscolosi, veramente nordisti. Massima espressione l’etichetta METHIUS.

Le note aziendali: “Zona di origine: fascia collinare di Faedo e Pressano a 350 - 500 m di altitudine Vigneto: il sistema di allevamento è la tradizionale pergola trentina. Ma una potatura corta e povera ed un dirado dei grappoli dimezzano la produzione altrimenti abilitata Vitigno: 60 % Chardonnay, 40 % Pinot Nero Vinificazione: in bianco con fermentazione in barrique di parte dello Chardonnay Maturazione: preparazione della "cuvée" nella primavera successiva la vendemmia.Imbottigliamento e presa di spuma lenta alla temperatura di 11°C. In bottiglia matura circa cinque anni, con periodiche rimesse in sospensione dei lieviti. Si procede poi alla fase di "remuage" sulle "pupitres".Alla fine di tale ciclo si effettua la sboccatura con aggiunta di "liqueur d'expedition". Lo spumante così ottenuto matura per ulteriori 6 / 8 mesi prima di essere commercializzato”.

AZIENDA PEDROTTI: scelta per la sua posizione a Nord di Rovereto, nel Comune di Nomi e per la sua produzione Trento Doc di nicchia. Nove tipologie di spumanti a Metodo Classico presentate in tre linee dalla diversa complessità e struttura. GROTTA DELLO SPUMANTE BATTEZZATA DA LUIGI VERONELLI: “LA CATTEDRALE DELLO SPUMANTE”. Questa cantina è un ambiente roccioso naturale,

    Enantio

contesto ideale per maturare gli spumanti ed esaltare ancor più il perlage di montagna.

Tra le numerose etichette ho scelto di riportare EXTRA BRUT RISERVA SPECIALE 1988 un prodotto raro, quasi unico, che deve la sue affascinanti caratteristiche non solo a se stesso e alla sua straordinaria longevità. Queste le note aziendali che riporto fedelmente: “ Alla sua eccezionalità hanno contribuito infatti protagonisti che ora ne fanno parte e dai quali non è possibile prescindere per capirlo e gustarlo. In primo luogo ci sono le uve, Chardonnay e Pinot Noir di eccellente qualità, provenienti da vigneti coltivati a metà montagna, con le caratteristiche di acidità e maturazione ideali per il Trentodoc. La grotta, che ha donato negli anni alle 17mila bottiglie prodotte nel 1988, e di cui ora rimane una piccolissima riserva, una temperatura costante di 13 gradi, un silenzio e un buio quasi irreali. Alla sua essenza hanno contribuito le mani di chi, con competenza e passione, ha movimentato dapprima ogni 6 mesi, e poi ogni 3 anni tutte le bottiglie, per riportare i lieviti in sospensione. E infine sopra tutti il tempo”.

AZIENDA LETRARI: scelta per la sua posizione nella piana Vallagarina e per la produzione che predilige dosaggi bassissimi.  Azienda che affonda le radici nella storia del vino trentino. coltivando le uve nelle zone più altamente vocate della valle. Riporto dalle note aziendali di presentazione: “Noi  elaboriamo con naturalezza, grazie ad un'esperienza maturata in oltre mezzo secolo di vendemmie. Papà Leonello è considerato un fondatore della spumantistica trentina, le sue prime bottiglie di risalgono infatti al 1961. Non è un vino della consuetudine: nasce dalla caparbietà e dall'autorevolezza del cantiniere abbinata alla sapienza del vignaiolo. Noi possiamo vantarle entrambe”.

     Pedrotti

Sulla base di queste affermazioni come non ricordare la Riserva del Fondatore. “E’ il vanto della nostra ‘maison’, una riserva che vuole essere decisamente esclusiva. Oro lucente, che alla vista onora subito la sua classe, con una gamma di fragranze di rara eleganza, note di nocciole mature a percepire l’essenza delle mele di montagna, pure della pesca, arachidi tostate e zenzero. Il sorso è cremoso, un mix di rotondo equilibrio tra sapori agrumati e l’incontenibile ampiezza della crema pasticcera, con il limone candito che mitiga e rilancia tutta la finale, interminabile complessità organolettiche”. AFFINAMENTO SUI LIEVITI 120 mesi. Vini base in barriques e conversione malolattica avvenuta.

AZIENDA ROENO:  perché la sua scelta. Ci troviamo sul confine con la Regione Veneto. L’azienda e la cantina si trovano oltre il confine (Veneto), mentre i vigneti “spumantistici” in Trentino, zona Trento. Terroir diverso e maturazioni posticipate. Leggo e faccio proprio: “La famiglia Fugatti rappresenta una somma di sentimenti che la memoria ha tramandato, oltre il legame del sangue. Un albero i cui tanti rami hanno indicato la strada da seguire, in cui rispetto e umiltà rappresentano i valori da non dimenticare. Più a Nord invece, raggiungono la provincia di Trento, rientrando quindi nel disciplinare del Trentino Doc”.

Interessanti i due aspetti: la scoperta di “certi” vini fermi unici (Enantio in particolare) e gli spumanti dalla veste interiore unica. E di questi spumanti ricordo DÈKATOS, metodo classico millesimato 2012, 100% chardonnay. Spumante di sostanza e ispirazione, trasformato in identità di territorio. Lunga permanenza sui lieviti (100 mesi) per connotare e cesellare uno stile unico. “Dekatos respira l’arte e il vento delle latitudini trentine, dove la vocazione per i grandi Metodi Classici ha permesso di scrivere pagine importanti all’interno della storia enologica italiana”.

Prendo a prestito quest’ultimo pensiero trasmessomi da Cristina Fugatti, titolare dell’azienda Roero, per chiudere questo mio viaggio in Trentino, terra di spumanti.

Ops, dimenticavo: delle quattro visite ben tre sono gestite da imprenditrici femminili (Pedrotti, Letrari, Roero). Forse il Trento Doc è diverso anche per questo?  Chapeau!!!

Urano Cupisti

 

 

 

 

 

Il Bagna Cauda Day è l'evento più grande al mondo dedicato alla bagna cauda, che si terrà in oltre 150 locali in Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria, nonché in diverse parti del mondo come Cina, Giappone e New York. Questo evento, promosso per l'undicesimo anno dall'Associazione culturale Astigiani, si svolgerà in due fine settimane a novembre e dicembre. Una novità di quest'anno è l'adesione di Slow Food e l'Alleanza dei Cuochi che utilizzano prodotti locali per preparare questo piatto tradizionale. Inoltre, l'evento promuove la pace attraverso il dialogo e l'incontro tra diverse culture a tavola.

«La pace è dialogo, il dialogo avviene seduti intorno a un tavolo – ha detto Marco Prastaro, vescovo di Asti - La bagna cauda mette insieme ingredienti che insieme non stanno: la pace si fa anche nella possibilità di ciò che appare inconciliabile invece diventa possibile. L'incontrarsi a tavola genera qualcosa di positivo dove la pace è possibile».

«Abbiamo coinvolto un gruppo di giovani che serviranno ai tavoli e caratterizzeranno la serata a tema pace in un clima di convivialità» anticipa Beppe Amico, presidente Caritas Asti.

BAGNA BIKE

Torna anche il Bagna Bike, un’uscita in bicicletta per godersi il panorama del foliage autunnale, organizzato da EbikeOne, negozio di vendita, assistenza e noleggio di bici da strada ed e-bike aperto a Quarto Inferiore da Corrado Mancini.

Nelle due domeniche, 26 novembre e 3 dicembre, prima di sedersi a tavola a rinnovare il rito della Bagna Cauda, gli amanti delle due ruote potranno raccogliere l’invito a pedalare sulle colline del Ruché. Ebikeone mette a disposizione le sue ebike a noleggio.

Il costo del tour: 15 euro; noleggio ebike: 45 euro; menu bagna cauda: 28 euro.

Info e prenotazioni: 335 7573 794, This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

 

ATTENTI AL SEMAFORO

Il Bagna Cauda Day mantiene il prezzo del piatto a 28 euro in tutti i locali e offre diverse versioni della Bagna Cauda contrassegnate da un semaforo: "Come dio comanda" (rosso), "eretica" (giallo) o "atea senz’aglio" (verde). È disponibile anche il "Finale in gloria con tartufo," mentre il vino è venduto a 12 euro a bottiglia. L'evento è sostenuto da quattro importanti cantine vinicole astigiane e contribuisce a iniziative di solidarietà sociale e tutela ambientale, come la creazione del "Bosco degli Astigiani."

Il Bagna Cauda Day ha una mascotte chiamata "Acciù" in stoffa e promuove la ricerca nelle scuole sul tema dei cambiamenti nell'alimentazione tra le generazioni. Inoltre, viene assegnato il premio "Testa d’aj" a persone che hanno seguito percorsi controcorrente nella loro vita.

BAGNA CAUDA REEL, IL CONTEST INSTAGRAM CON CONSORZIO DELL’ASTI E ICCOM

Durante il Bagna Cauda Day, si svolge un contest su Instagram chiamato "Bagna Cauda Reel," in collaborazione con il Consorzio dell’Asti Docg e ICCOM. Invece di foto, si chiedono brevi video (reel) di massimo un minuto, realizzati con smartphone, che esprimano cosa rappresenta la bagna cauda per i partecipanti. Sono invitati a documentare i momenti prima, durante e dopo la bagna cauda con creatività e ironia. Saranno premiati i 12 reels più divertenti con un magnum di Asti Spumante, e ICCOM offrirà un anno di servizio Internet come premio per il reel con il maggior numero di visualizzazioni. I premi saranno inviati ai vincitori entro Natale.

I video saranno valutati da una giuria di esperti dell’Associazione Astigiani e del Consorzio dell’Asti.

BAGNA PAX

Il "Bagna Pax" è un evento speciale organizzato dalla Caritas di Asti in collaborazione con l'Associazione Astigiani per promuovere i valori della pace attraverso la condivisione di una cena basata sulla bagna cauda.

Questo evento si svolge in due serate, il 1° e il 2 dicembre, presso il cantinone del Foyer delle Famiglie di via Milliavacca ad Asti. Durante queste serate, la bagna cauda, chiamata "cibo della pace," è offerta in due versioni: la tradizionale "Come Dio comanda" e la senza aglio "atea", accompagnata da verdure e cardi: Un appuntamento assai speciale che prevede l’incontro in cucina tra una cuoca palestinese e una ebrea che prepareranno insieme la bagna cauda.

"METTETE CARDI NEI VOSTRI CANNONI".

Questo è lo slogan dell'iniziativa della Caritas e dell'Associazione Astigiani che include l'omaggio di bavaglioloni e verdure. Inoltre, l'organizzazione professionale agricola Cia di Asti contribuisce fornendo cardi e altre verdure per il menu.

L’evento mira a promuovere la pace attraverso la condivisione di un pasto e a sostenere azioni concrete di solidarietà sociale.

La ricetta della Bagna cauda

Ecco come si prepara la bagna cauda, secondo la ricetta tradizionale. La Delegazione di Asti dell’Accademia Italiana della Cucina, in data 7 febbraio 2005, ha registrato questa ricetta come quella “da ritenersi la più affidabile e tramandabile”. Depositata a Costigliole d’Asti con registrazione sottoscritta dal notaio Marzia Krieg, è stata scelta dalla commissione di studio che si è più volte riunita per assaggi e confronti.

 

Ingredienti per 12 persone: 12 teste di aglio, 6 bicchieri da vino di olio d’oliva extravergine e, se possibile, un bicchierino di olio di noci, 6 etti di acciughe rosse di Spagna.

 

  • Tagliare a fettine gli spicchi d’aglio precedentemente svestiti e privati del germoglio.
  • Porre l’aglio in un tegame di coccio, aggiungere un bicchiere d’olio e iniziare la cottura a fuoco bassissimo rimescolando con il cucchiaio di legno e avendo cura che non prenda colore.
  • Aggiungere poi le acciughe dissalate, diliscate, lavate nel vino rosso e asciugate, rimestandole delicatamente.
  • Coprire con il restante olio e portare l’intingolo a cottura a fuoco lento per una mezz’oretta, badando che la bagna non frigga.
  • Al termine della cottura si potrà aggiungere, se piace un sapore più morbido, un pezzetto di burro freschissimo.
  • Versare la bagna negli appositi “fujot”, fornellini di coccio, e accompagnarla con le seguenti verdure: cardi gobbi di Nizza, topinambur, cuori di cavolo bianco, indivia e scarola, peperoni freschi e sotto graspa, cipollotti crudi inquartati e immersi nel vino barbera, barbabietole rosse, patate lesse, cipolle al forno, zucca fritta, peperoni arrostini.
  • È tradizione raccogliere alla fine lo “spesso della bagna” strapazzandovi dentro l’uovo.

 

#bagnacaudaday

#bagnacaudaday2023

#siamotuttinellabagna

Facebook e Instagram: @bagnacaudaday

Per informazioni e prenotazioni:

www.bagnacaudaday.it

 

Partendo dal Mugello e dai suoi produttori con lo sguardo che va ben oltre questi confini. “Montagna minore per molti ma in realtà terra “preziosa” da riscoprire, riconquistare, da vivere pienamente”.

Proprio da quest’ultimo pensiero la mia riflessione.

Terra preziosa da riscoprire: Il Mugello, identificabile sostanzialmente con l'antico lago di origine marina che era sbarrato verso valle, attraversato in buona parte dal fiume Sieve, terra preziosa per la sua Storia che si perde nella notte dei tempi. Preziosa anche per le sue tradizioni legate al mondo contadino oggi da riscoprire;

Terra da riconquistare: valorizzare, sviluppare viste le sue potenzialità;

Terra da vivere pienamente: dal  Passo della Futa al Passo del Giogo di Scarperia al Passo della Colla di Casaglia al Passo del Muraglione.

“L’idea di ‘Appenninia Wine Festival’ – ha spiegato il Sindaco di Vicchio, Filippo Carlà Campa – è nata per celebrare quella che per molti è una montagna minore, ma che in realtà è una terra preziosa da riscoprire, riconquistare e vivere pienamente. Un luogo di radici lontane, di identità perdute, di partenze e di abbandoni, ma al tempo stesso una montagna dove per secoli si sono conservati il sapere, la cultura, la spiritualità. Da qualche tempo, per fortuna e grazie all’impegno di molte persone che credono in questo territorio così particolare, l’Appennino è anche terra di ritorni, di nuovi sogni, di vigne e vini. Un nuovo Appennino sta nascendo e noi vogliamo dargli voce”.

“Appenninia nasce per essere un meta-brand ovvero un progettare luoghi, territori e contesti, ha spiegato Gianluca Lisi, City Branding Consultant del Comune di Vicchio. Una realtà identitaria che nasce da un luogo specifico, in questo caso Vicchio, per valorizzare un territorio più ampio, l’Appennino, al quale Vicchio stesso appartiene. Vogliamo costruire qualcosa che sia utile per tutte le realtà appenniniche: perché soltanto uniti alle altre realtà possiamo pienamente valorizzare la nostra.”

                           Vicchio

In questi due interventi la sintesi di una iniziativa alla sua prima edizione che è voluta partire dai nuovi sogni, dalle vigne e dai vini.

Ed ecco quella che per il sottoscritto e non solo, è un’idea intelligente. Un’occasione per far conoscere, apprezzare la coltivazione delle vigne con l’introduzione di nuovi vitigni. Il tutto finalizzato ad una produzione di vini dai profumi intensi, di notevole struttura.

Appenninia: originalità, proposta, economia dei territori montani. Chapeau!

 

 

Un borgo abbandonato è tornato in vita grazie alla tenacia e alla passione di due capaci architetti.  

 

In Italia i borghi abbandonati sono oltre 6.000 e di questi pochissimi potranno essere salvati. Il Castello di Postignano è un forte esempio di resilienza e di come un’opera privata sia riuscita a realizzare un restauro impegnativo che si pensava fosse impossibile. Si trova in Umbria, abbarbicato sulle pendici del monte Puriggia e domina la valle del Vigi, vicino a Sellano.

La Storia

Il borgo fu fondato intorno all’anno mille ed ebbe il suo massimo splendore intorno al 1500 grazie al commercio della canapa e del ferro. Nel secolo scorso, ci fu una forte migrazione verso gli Stati Uniti fino al dopoguerra, in cui erano rimaste solamente pochissime famiglie. Nel 1966, il sindaco ne ordinò lo sgombero a causa di un cedimento di parte della collina e quindi fu definitivamente abbandonato.

Tra il 1992 -94, l’intero borgo venne acquistato dagli architetti Gennaro Matacena e Matteo Scaramella, che attraverso un’impegnativa ricerca dei rispettivi proprietari, stipularono circa 250 rogiti. Il borgo era in stato di abbandono ma gli architetti riuscirono a cogliere la magia di quel posto e si innamorarono del progetto di recupero del borgo.

Da un punto di vista architettonico, il borgo è un esempio di come può essere sfruttato il suolo in modo sostenibile e, in termini di impatto visivo, è perfettamente incastonato nel contesto naturalistico. Nato come “castrum” ovvero di postazione di controllo a cui è dovuto il nome di Castello, è composto da abitazioni costruite intorno alla torre di avvistamento e aveva un valore strategico, trovandosi al crocevia tra Spoleto, Norcia, Foligno e Assisi.

Gli spazi sono sfruttati al massimo e le case condividono le mura perimetrali, proprio come nei dipinti di Giotto.

Il progetto

Il borgo è un esempio di “Architettura senza architetti” - come venne definita dallo storico-architetto  Bernard Rudofsky - costruito dagli abitanti in maniera spontanea, con materiali e tecniche tradizionali. Il celebre architetto e fotografo Norman Carver pubblicò un libro sulle architetture spontanee dell’arco collinare italiano “Italian Hilltowns”, e definì il Castello di Postignano l’archetipo dei borghi italiani tanto da utilizzare la sua foto per la copertina del libro.

Il 14 ottobre 1997, appena vennero iniziati i lavori di restauro, ci fu un terremoto terribile che danneggiò pesantemente la parte centrale del borgo. La scossa sismica fece crollare un edificio nella parte centrale che, come un domino, fece cadere i fabbricati limitrofi. Questo terremoto portò alla luce un prezioso affresco del Quattrocento dietro all’altare della Chiesta della S.S. Annunziata che fino a quel momento era stato celato.

Dal terremoto alla ripresa dei lavori passarono 10 anni, sia per motivi burocratici sia perché ci si rese conto che occorreva reperire ingenti risorse economiche per riprogettare il restauro in base alle nuove esigenze antisismiche.

Per poter rendere le abitazioni sicure, è stato necessario un notevole lavoro di consolidamento strutturale con il rinforzo delle murature e delle fondamenta. Inoltre, si è provveduto ad impermeabilizzare ogni strada per evitare infiltrazioni d’acqua piovana. È stato ricostruito l’intero impianto fognario, ma anche quello elettrico, gli acquedotti ed è stata installata la fibra ottica.

In tutto il progetto c’è grande rigore filologico, per esempio, le pietre usate per la costruzione sono le stesse che erano crollate e sono state riutilizzate. Prima di iniziare i lavori sono state fotografate tutte le abitazioni e si è cercato di usare anche la memoria storica degli abitanti per poter ricostruire la vita in maniera autentica. Sono stati intervistati e si è cercato di recuperare lo spirito e l’essenza del modo di vivere nel borgo.

Si è cercato di recuperare molti elementi di dettaglio come, per esempio, lo zoccolino alto dipinto con colori pastello presente all’interno degli appartamenti.  Proprio perché erano case costruite singolarmente e in tempi diversi, le strutture sono irregolari e diverse una dalle altre. La difformità è stata mantenuta sia nelle colorazioni che nelle forme delle porte e degli infissi.

La nuova vita

Attualmente il borgo è completamente ristrutturato e, camminando tra i vicoli del borgo, si viene pervasi da un senso di serenità e di stupore: ogni dettaglio è curato e ogni pietra è tornata al suo posto.  Parte del borgo è destinato all’albergo diffuso mentre altre abitazioni ristrutturate sono state messe in vendita.

Gli appartamenti sono stati arredati con cura, creando degli ambienti accoglienti e autentici dove libri, quadri, tessuti artigianali danno un calore particolare.

Oltre ai circa 60 appartamenti ristrutturati, il borgo ha diversi luoghi per mostre e delle aree museo, una sala biliardo ed alcune botteghe artigianali. Ci sono spazi comuni per eventi e per concerti oltre ad un roseto da dove poter ammirare il paesaggio della valle.

In un relais deluxe, non poteva mancare la piscina con la spa e bagno turco, jacuzzi esterna, sala massaggi per potersi rilassare e usufruire di trattamenti benefici.

 

La Cucina

 

La gestione della ristorazione del borgo è curata dallo chef Vincenzo Guarino di Vico Equense che definisce la sua cucina “creativa mediterranea”. Le sue preparazioni sono sempre equilibrate, esteticamente accattivanti ed esaltano i prodotti locali. La sua esperienza lo ha portato a specializzarsi in cucina da alta hotellerie e ha acquisito abilità che gli consentono di gestire la proposta gastronomica dell’intero borgo. Tutto questo impegno richiede una rapidità di esecuzione, profonda conoscenza delle materie prime, capacità di adattamento e di relazionarsi con brigate piccole e grandi, con clienti dai gusti più disparati.

 

All’interno del borgo, si possono scegliere diverse location che garantiscono un ventaglio di proposte variegato. La tradizione e i prodotti umbri sono esaltati nel ristorante “La Casa Rosa”, la trattoria “La Terrazza” è un bistrot aperto dalla colazione alla cena, nella bottega- wine bar “Vino & Olio” si possono degustare ed acquistare prodotti locali.

Il fiore all’occhiello dello chef è la Tavola Rossa, un luogo speciale dove poter godere di vere esperienze gastronomiche. Di giorno, lo chef tiene delle lezioni di cucina per gli ospiti del borgo, mentre a cena la Tavola Rossa ospita non più di 12 persone che potranno cenare con lo chef, che spiega e termina i piatti a tavola creando un’atmosfera indimenticabile. La formula è innovativa e di grande appeal, si cena in una bellissima sala, con un unico tavolo incastonato tra mura antiche che flirtano con il meglio che la tecnologia possa offrire.

 

Il Castello di Postignano è un borgo vivo, inserito dal Ministero dei Beni Culturali nell’elenco dei monumenti di interesse storico-artistico e che in una nota ufficiale dell’UNESCO viene descritto il progetto come qualcosa che “interpreta con efficacia i valori dell’UNESCO afferenti alla salvaguardia del panorama e dell’ambiente”.

 

 

 

 

  

                     Analisi sensoriali

E pensare che l’ho vista nascere. Era l’anno 2011, Vinexpo di Bordeaux. Presentazione del plastico, dove doveva nascere e i tempi d’esecuzione.

Esproprio dei terreni, progettazione finale, prima pietra, costruzione ed infine l’inaugurazione nel 2016 (Cinque anni, tempi rispettati). IO C’ERO!!!

Nel 2022 ha accolto 391.000 visitatori di 93 nazionalità diverse. Il 2022 l’anno del ritorno post-Covid.

La Cité du Vin conferma il suo fascino e rimane una delle attrazioni imperdibili.

Dall’apertura ad oggi i visitatori hanno superato la cifra di 2.300.000 Chapeau!.

Ricordo che qualche “solone italiano” aveva sentenziato tre anni di vita.

Luogo dove esperienze commerciali e culturali sono combinate con laboratori di degustazione, mostre permanenti, auditorium ecc…

Il team della Fondazione per la Cultura e la Civiltà del Vino, Ente pubblico demandato alla gestione complessiva, pronto come sempre ad accogliere i visitatori ed indirizzarli alle sale da loro scelte.

E la Cité du Vin ha raggiunto, nel 2022, un nuovo traguardo ottenendo il Marchio  “Intrattenimento sostenibile: emozione responsabile”. Riconosciuto l’impegno atto ad un miglioramento continuo della Responsabilità  Sociale d’Impresa in riferimento alle strutture ricreative e culturali.

                Il Decanter

Marchio assegnato al livello Experience, il più alto livello dello standard definito dal Syndacat National des Expaces de Loisir, d’Attractions et Culturels (SNELAC).

Chi finanzia in concreto La Cité du Vin? 

La regione Nouvelle-Aquitaine, Bordeaux Métropole, la Fondazione e tanti “mecenati” e senza le “concrete” donazioni di quest’ultimi, forse il Decanter (così chiamata l’avvenieristica Cité du Vin, risulterebbe ridimenzionata ad attrazione locale.  

Esposizione del solo vino francese?

                      Una delle sale interne

La Cité du Vin onora i vigneti di tutto il mondo attraverso le loro dimensioni culturali, di civiltà, di patrimonio e universali.

L’invito alla visita è rivolto a tutti: principianti, amanti del vino, professionisti, famiglie, giovani, aziende; a chi vuol intraprendere un viaggio spettacolare intorno al mondo vinicolo, attraverso i secoli, in tutte le culture. Chapeau!

Cosa ci riserverà nei prossimi anni?

Sono a conoscenza di un progetto che, se riusciranno ad attuare, sconvolgerà tutto il sistema delle visite nell’ampio territorio del Bordeaux.

Voli low cost diretti su Bordeaux, da varie città italiane, ci sono. Organizzare dei Week-End è possibile!

 

 

 

    Tenuta Adamo - Lucca

Nel mio peregrinare per vigne e parlando con anziani viticoltori delle Colline Lucchesi mi è capitato spesso di chiacchierare intorno ad un vitigno “strano”, poco conosciuto e dall’origine ancora non ben chiara: il Moscato d’Amburgo.

Qualche riferimento con la città tedesca certamente ce l’ha. Pare che, dall’incrocio del Moscato d’Alessandria con la Schiava grossa, avvenuta nei dintorni di Amburgo sia da cercare la primogenitura. Chiamato anche Muskat Trollinger e/o Schwarzer Muskat (Moscato Nero).

Come il Moscato d’Alessandria sia finito così a Nord, oltre il 50^ parallelo, resta un mistero.

Tutti sappiamo che il Moscato ha origini che risalgono al bacino medio-orientale del Mediterraneo e furono i greci a portarlo in Italia.

Mi vien da pensare: “e se fossero stati i Romani nel periodo di massima espansione dell’Impero ad averlo portato fin nelle terre teutoniche sotto forma di semi e/o tralci?”

Una cosa è certa: dal matrimonio tra il bianco Moscato d’Alessandria, l’antico vino greco “muscum” e la rossa Schiava di origine austro-tedesca ha avuto origine il Moscato d’Amburgo. Magari in serra senza sfidare le basse temperature invernali!

La Storia che viene raccontata con insistenza lo rende originario dell’Inghilterra (dove è chiamato Black of Alessandria), diffusosi poi in Francia e più tardi nel resto d’Europa, in particolare nella zona nord della Grecia (Tessaglia) dove lo troviamo anche “fortificato”, dopo l’appassimento. Lo troviamo anche in California come vitigno pregiato.

Non solo: gli inglesi rivendicano la primogenitura e non fanno alcun riferimento alla città di Amburgo. Solo secoli dopo, in Francia e successivamente in Italia, questo vitigno è stato identificato con il nome originario: Moscato d’Amburgo.

Come sia finito nelle vigne delle Colline Lucchesi è tutt’ora un enigma.

   grappolo

Spesso è stato collegato ai pellegrini che percorrevano la via Francigena ma le date non coincidono. Si è vociferato che qualche produttore l’abbia scambiato per altro vitigno e piantato per caso.

   Barbatella di Moscato d'Amburgo

Una cosa è certa: nei vigneti lucchesi c’è la sua presenza a volte significativa che, tutto sommato, non dispiace. Perché?

  • Acini grossi dalla buccia di colore piuttosto scarico;
  • Grappolo spargolo, grosso, piramidale;
  • Vinificato in purezza e usato poi negli assemblaggi, possiede caratteristiche organolettiche ben precise: fruttato, aromatico, per niente amaro, tannico;
  • Resistente agli attacchi della peronospora in misura superiore alle altre specie.

Germogliamento: II° decade di aprile, Fioritura: I° decade di giugno, Maturazione: I° decade di settembre.

Dimenticavo: ottimo come uva da tavola. Chapeau!

 

 

 

 

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