L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Free mind (187)

Lisa Biasci
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Il mondo sta cambiando “per connettersi” e la Cina è un paese fondamentale in un mondo che cambia. La Cina non è solo un gigante dell’industria, ma è un paese in crisi, che ha un dibattito interno tra popolo e stato, in crisi. Tanti sono i cambiamenti che sta vivendo la Cina. 

E’ importante guardarla, osservarla, conoscerla per capire cosa sta accadendo nel mondo. 

La Cina dipende dai paesi del Golfo per il petrolio e dal Qatar per il gas naturale. La Cina poi ha rapporti stretti con gli Emirati Arabi Uniti e con Israele sia dal punto di vista tecnologico che commerciale.

La sua vicinanza alla Russia le permette comunque di avere rapporti privilegiati anche con gli Usa. Anzi, diciamo che il rapporto Europa, Cina, Usa e paesi del Golfo è sempre più consolidato. 

Parliamo anche di IMEC. Per questo. 

L’IMEC è una rotta ferroviaria e marittima transnazionale distribuita su due continenti, che gli Stati Uniti si aspettano dia energia allo sviluppo economico attraverso una migliore connettività e integrazione economica tra l’Asia, il Golfo Arabico e l’Europa.

Comprenderà due corridoi separati: il corridoio orientale che collega l’India al Golfo Persico e il corridoio settentrionale che collega il Golfo all’Europa.

Questo darà al mondo la connettività e lo sviluppo in una direzione sostenibile, anzi secondo gli esperti guiderà lo sviluppo sostenibile per il mondo intero.

La Casa Bianca ha affermato in una dichiarazione che dall’altra parte del corridoio,  prevedono di stimolare il commercio e la produzione e di rafforzare la sicurezza alimentare e le catene di approvvigionamento.

Se nella storia, abbiamo dunque parlato di via della seta, di via delle spezie dell’India attraverso la penisola arabica, oggi la nuova via è  IMEC che riguarderà energia, dati, connettività, risorse umane, rotte aeree.

Secondo un documento preparato dalla Commissione europea, il corridoio comprenderà un collegamento ferroviario, nonché un cavo elettrico, un gasdotto per l’idrogeno e un cavo dati ad alta velocità. Il documento della dichiarazione definisce inoltre il progetto “un ponte verde e digitale tra continenti e civiltà”.

L’IMEC, dunque, c’è e si muove ancora oggi nonostante la guerra Hamas-Israele. La guerra nella Striscia di Gaza è stata certamente un elemento di complicazione, ma si sta dimostrando più una deviazione tattica che uno sconvolgimento strategico. La crisi mediorientale ha in effetti complicato uno degli elementi cruciali per IMEC, la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, perché il collegamento che apre la connessione di India e Medio Oriente all’Europa dovrebbe proprio essere garantito dal passaggio terrestre tra il territorio saudita, quello giordano e quello israeliano, e da lì prendere il Mediterraneo verso l’Europa.

Il peso geopolitico sulla situazione appare evidente, e con Riad che evidenzia come quella normalizzazione con Israele sarà possibile solo dopo la soluzione “a due stati” con la Palestina, gli sviluppi nel breve periodo potrebbero diventare complicati.

 

 

Se c'è un atteggiamento che mi suscita profonda ripugnanza è assistere a riprese televisive in cui politici – dunque persone che vivono di profumatissimi stipendi pubblici – osano non rispondere alle domande loro poste; magari fingendo di essere occupati al telefonino o, peggio ancora, arrivando ad ignorare platealmente chi cerca delle risposte.

Qualche sciocchino potrebbe osservare che “domandare è lecito, rispondere è cortesia” ma... le cose non stanno proprio così. Non stanno esattamente così per il semplice fatto che il vecchio detto si può adattare ad un qualsiasi quisque de populo ma non a chi è mantenuto pro quota da chi fa domande anche in nome e per conto di chi vorrebbe ascoltare le risposte.

Riflettiamo un attimo! Poniamo caso che io e tu che leggi fossimo proprietari di un'attività come potrebbe essere un bar, una tavola calda o una rivendita di tabacchi. Ed ora poniamo caso che ci si trovi tutti a fine serata a contare l'incasso della giornata. Ora poniamo pure caso che la persona da noi assunta alle nostre dipendenze, interrogata sul dove siano finiti i soldi della giornata, osasse non risponderci inscenando una conversazione telefonica inesistente, mentre si dirige a bordo di un taxi per poi dileguarsi. Beh, gli estremi per una bella denuncia penale ci sarebbero tutti ma proprio tutti!

Ecco, fuor di metafora, l'atteggiamento strafottente ed impunito di certi politici è esattamente questo. Un palese richiamo al famosissimo “Io sono io e voi nun siete un ca...” di sordiana memoria... tristissimo modus operandi incistato proprio nelle corde e nel DNA di questa splendida Nazione ricca di contraddizioni di ogni sorta, una Nazione resa quel che è da masnade di cialtroni ingiacchettati protetti da sodali ermellinizzati, in barba ai dettami del Conte, quello di Montesquieu, curiosamente coevo dell'Alto dignitario pontificio, il vero Marchese Onofrio del Grillo sul quale Monicelli adattò il suo meschino personaggio sfacciato, arrogante, tronfio e irriverente che nei momenti difficili mandava un povero carbonaro a rischiare la pelle sul patibolo al posto suo...

 Papillon

Lo scorso 8 marzo Geopolitica, Rivista di Politica Internazionale, ha trovato forse la sua miglior cornice presso la prestigiosa sede del Circolo Ufficiali MM Caio Duilio di Roma, ospitando la presentazione del volume XII, N°2/2023 (Luglio-Dicembre) dedicato allo Sviluppo Costiero ed alle Zone Economiche Esclusive, curato dal Dott. Tiberio Graziani, chairman di Vision & Global Trends, e dal Dott. Gino Lanzara.

Lo scopo della trattazione, incentrato sull’approfondimento del rapporto tra le dimensioni terrestre e marittima, si è esteso alle zone economiche esclusive (ZEE), tema di particolare complessità e delicatezza, illustrato ed approfondito dall’Ammiraglio Fabio Caffio che ha dato così modo di comprendere appieno risvolti e sfumature relative alle dinamiche marittime nazionali.

Inevitabile prendere in considerazione la dimensione giurisprudenziale ed economica dell’ambito marittimo in quanto catalizzatore di investimenti nonché vettore di proiezione esterna poiché in grado di connettere il Paese con il sistema produttivo/logistico incarnato dalle supply chain internazionali necessarie all’implementazione del commercio internazionale.

Pur proiettati verso futuro e modernità, bisognerà confrontarsi, e presumibilmente si continuerà a lungo a farlo, con l’ampio complesso del potere marittimo alla base delle strategie nazionali. Il problema si inquadra nella trama delle considerazioni politiche, particolarmente estese e complesse laddove considerate nella loro più ampia accezione internazionale. Se il potere marittimo, entro cui trovano collocazione il potere navale e, in senso più lato, quello economico, imprenditoriale ed infrastrutturale, ispira proiezioni che tendono tanto più ad estendersi quanto più gli interessi perseguiti sono rilevanti, non possono comunque non essere tenuti presenti i disegni degli altri Paesi che, a loro volta, si inquadrano in propositi ed ambiti marittimi spesso collidenti. Il cd. “Mediterraneo Allargato” deve dunque confrontarsi con estensioni marittime concettualmente analoghe pur se con denominazioni ovviamente diverse.

In chiusura, il Capo del 3° Reparto dello SMM, CA Massimiliano Lauretti, nel riprendere le tematiche collegate alla dimensione subacquea, ha ulteriormente riproposto l’attuale valenza del potere marittimo e la sua rilevanza nel contesto generale, sottolineando il fondamentale operato della Marina Militare.   

Se il fine del volume è quello di tenere desta l’attenzione sulle tematiche marittime e navali, confrontando le diverse opinioni e posizioni utili all’emersione di una dialettica approfondita, si può dire che sia i relatori, sia una platea particolarmente attenta, non hanno mancato di rendere vividi e partecipati i contenuti affrontati.

 

Da Ares Osservatorio Difesa

BASTA TALENT

March 12, 2024

Non se ne può più, BASTA! Questi TALENT altro non rappresentano se non l'ennesimo volgarissimo tentativo di appiattimento culturale di stampo mondialista made in USA... anche se il format in verità è stato inventato dal britannico Simon Cowell, quello di X Factor UK, per intenderci! Un format in cui lo standard è una costante che non muta di una virgola. Sono uno la clonazione dell'altro; di Nazione in nazione il circo mediatico non presenta variazioni. Né sul piano tecnico né su quello operativo. Gli ambienti sono riprodotti in serie in una sorta di raccapricciante catena di montaggio coreografica dove perfino le telecamere sono piazzate esattamente negli stessi punti. Sia che ci si trovi negli studi televisivi inglesi, indiani, italiani sia che ci si trovi in quelli canadesi, brasiliani o norvegesi non fa distinzione: un palco dedicato ai candidati, un bancone che accoglie i cosiddetti giurati e gli spalti da cui masse di decerebrati prezzolati cadono in trance sotto l'influenza degli effetti luminosi e dei direttori di pathos, ovvero soggetti che a telecamere spente, prima dell'inizio delle trasmissioni, insegnano al pubblico a reagire a comando: se è il momento della lacrima, piangete; se è quello dello sgomento, adottate espressioni facciali adeguate e via discorrendo. Tutto è artefatto, di spontaneo non c'è nulla. I tempi sono dettati dagli sponsor, unici veri padroni della scena occulta! Tutto gira attorno al guadagno. Così funziona la televisione vera: mandare in onda un flusso pubblicitario continuo interrotto da segmenti di trasmissioni vomitevoli perché vomitevole è l'utenza che stravaccata su divani acquistati a rate giace inerme in uno stato ipnotico in cui i pensieri si azzerano del tutto e l'unico sussulto neuronale viene ridotto a considerazioni basiche.

Mi viene un groppo in gola a pensare che il prodotto primigenio, quello da cui tutto ha preso forma sia italiano!!! proprio così! Venne inventato di sana pianta dai fratelli Corrado e Riccardo Mantoni sul finire degli anni Sessanta. Il nome che diedero alla trasmissione fu LA CORRIDA (dilettanti allo sbaraglio). Il taglio era sostanzialmente quello della festa paesana e, per far divertire il pubblico, si andavano a stanare proprio i personaggi più caratteristici, buffi, stonati e cialtroni da contrapporre ad uno o due sì dotati di vero talento. Una fucina da cui ebbero modo di essere notati soggetti che col tempo riscossero grande successo sino a diventare famosi sulla base dell'apprezzamento diretto del pubblico coevo.

Quello cui assistiamo oggigiorno è un ibrido che nulla ha a che spartire con le origini paesane spontanee, gioviali e scanzonate di allora. Un ibrido pericolosissimo, che nasce con una maschera al di là della quale si muovono nell'ombra intenti poco chiari, tendenze mondialiste perniciose; una sorta di crogiolo per modelli culturali deviati, intrisi di significati subdoli devastanti le cui vittime sono i nostri giovani dalle menti già inficiate dal “tutto a portata di mano” e dal “tutto pronto” che non li pone nella condizione di inventare soluzioni perché tutto quello che serve – viene loro ossessivamente ripetuto – è on line. Ma on-line... c'è solo ciò che ESSI vogliono far loro trovare! E l'illusione si ripete...

 

 

La sera del 13 febbraio del 1945 Dresda era intatta. Via via che l’avanzata dell’Armata rossa metteva in fuga le popolazioni orientali del Reich, la capitale degli Elettori di Sassonia, la “Firenze del Nord”, vide raddoppiare i suoi 630.000 abitanti.

I profughi erano anziani, donne, bambini, malati, feriti, forse centomila prigionieri di guerra, per lo più francesi, che vivevano nelle fattorie, addetti ai lavori agricoli.

La guerra era alla fine, l’illusione di aver evitato la morte dal cielo li compensava dell’imminente invasione sovietica.

Ma a loro pensavano due specialisti: Arthur Harris “il macellaio” per gli inglesi, e Jimmy Doolitle per gli americani; al suo collega Carl A. Spaatz, la Wehrmacht aveva appena decretato la «piuma bianca», che nelle tradizioni militari inglesi significa viltà e disonestà, per il bombardamento di Berlino del 3 febbraio.

Doolitle se la conquistò con Dresda.

Due incursioni notturne preparavano gli inglesi, e una diurna gli americani: nell’insieme, una fornace mai vista, di esseri umani, palazzi, chiese, opere d’arte.

Per nascondere agli equipaggi che obiettivi dell’attacco erano solo civili, profughi e vecchie case di legno, gli raccontarono diverse bugie: Dresda era una città “fortificata”, centro di produzione di armamenti. Alle obiezioni di molti piloti contro la distruzione del centro, risposero che proprio questo ospitava, da alcuni giorni, il quartier generale della Wehrmacht.

In uno squarcio di sincerità del loro briefing, gli equipaggi del Gruppo 100 seppero il vero scopo: «Uccidere il più grande numero di profughi rifugiati nella città, per spargere il terrore dietro il fronte orientale tedesco».

A Dresda i soli obiettivi di qualche interesse militare, i ponti sull’Elba e l’aeroporto, non furono neppure attaccati. Uccidere i civili, uccidere i profughi, uccidere e incenerire esseri umani, ecco lo scopo dell’incursione.

Mai altrettanti esseri umani furono sterminati in un giorno solo. Mai per ragioni altrettanto futili. Mai in modo altrettanto feroce.

Mentre si è negato all’ultimo furiere della Wehrmacht il diritto di scolparsi con l’obbedienza agli ordini, per decenni i Marescialli della Raf si nascosero dietro il ministero, e il ministero dietro il Gabinetto e il Gabinetto dietro incogniti «altissimi responsabili», così salendo fino al primo ministro che, come ne fosse scottato, respingeva i fantasmi di Dresda sul ministero, e il ministero di nuovo sui militari.-

Con l’aiuto americano, la Raf uccise, in quattordici ore, da cento a duecento mila civili innocenti. 135.000, ha calcolato Irving; «ma potrebbero essere anche 275.000», secondo la Croce rossa internazionale di Ginevra.

Risultò impossibile un calcolo esatto per le decine di migliaia di vittime incenerite, e per la massa di profughi e stranieri non registrata.

La bomba atomica di Hiroshima uccise 71.000 persone subito, e molte migliaia più tardi.

-

All’esordio, le bombe da quattro e diecimila chili, con la loro immensa onda d’urto, dovevano frantumare i vetri delle finestre e far saltare i fragili tetti a punta dell’età di Dürer e Lutero.

Alle case scoperchiate, 650.000 bombe e spezzoni incendiari e i bidoni di fosforo avrebbero appiccato il fuoco; cascate di scintille, infiltrandosi tra le finestre e i tetti, si sarebbero mutate in torrenti di fiamme.

Con la sua coltre di bombe esplosive, la seconda ondata doveva trasformare l’incendio in rogo, annientare i soccorsi, riempire di gas venefici la città assassinata.

I bombardieri americani avrebbero inferto il colpo di grazia e i caccia bombardieri che li scortavano sarebbero scesi a mitragliare quel che ancora vivesse ai margini del macello.

Era il martedì grasso, e la città festeggiava, alla meglio, il Carnevale. L’Opera, sacra ai trionfi di Strauss, rappresentava il “Rosenkavalier”, nel Gran Circo Sarassani stava cominciando la parata finale, i bambini indossavano maschere e costumini colorati, coi quali addosso scesero a migliaia (da 25.000 a 50.000) nelle fosse comuni, o furono inceneriti nei cumuli all’aperto.

I treni nella stazione, gremiti di gente, erano così lunghi, che si perdevano nella campagna.

Alle 22:13, guidati dai bengala, 244 quadrimotori «Lancaster» si avventarono sulla preda.

Città aperta di fatto, Dresda non era difesa da cannoni o proiettori. La caccia notturna non poté alzarsi, perché nel vicino aeroporto le piste dovevano accogliere, quella notte, gli aerei che lasciavano le basi a oriente, e il comandante dell’aeroporto, interrotte le linee con Berlino, non osò dare, ai piloti dei Messerschmitt Me.110, già pronti nelle cabine, l’ordine che aspettavano, mentre Dresda, a sette miglia, moriva: «Dresda annientata, e noi fermi a guardare. Com’è possibile?», scrisse un pilota nel diario: «Povera Patria».

-Gl’incendi arroventavano l’aria che, alleggerendosi, provocava uragani di vento infuocato a duecento chilometri l’ora e mille gradi, suscitando altri incendi. Le esplosioni, la temperatura, la mancanza di ossigeno spinsero torme di dispersi nelle gelide acque dell’Elba, dei canali, dove trovarono i rivoli di fosforo che colavano dalle strade.

I 529 quadrimotori della seconda ondata giunsero su Dresda all’1:30, guidati dall’immenso braciere che si scorgeva da 150 chilometri.

Autostrade e accessi erano affollati di autocarri: soccorritori e pompieri correvano da Chemnitz, da Lipsia, da Berlino, a farsi sterminare nella fatica senza speranza.

Gli zelanti fecero quel che il macellaio si aspettava da loro, e annientarono colonne di soccorso, ambulanze, pompieri. I corpi fusi nelle strade, appiccicati all’asfalto.

Tutto ciò accadeva in una delle più nobili città costruite dalla civiltà umana.

Par forse materialista rimpiangere la stupenda Dresda, che fino a quel giorno aveva conservato il volto dorato che le aveva dipinto Bernardo Bellotto?

Lo scempio di Dresda opera d’arte è un delitto che il passare del tempo non farà perdonare. Non deve essere perdonato.-

Quando i bombardieri «Lancaster» della seconda ondata si posarono sui loro atterraggi, decollarono 1.350 «Fortezze volanti» e «Liberators»: 450 per dare il colpo finale a Dresda, gli altri per devastare Chemnitz e Magdeburgo.

Le fiamme si vedevano, ora, a 300 chilometri dall’obiettivo.

A mezzogiorno e un quarto, un nuovo uragano di bombe scese a casaccio dentro la nuvola nera che copriva le rovine di Dresda, e alle 12:23 i P.51 «Mustang» della scorta si precipitarono a mitragliare i veicoli che uscivano dalla città.

Fuggirono gli animali dallo zoo e dal circo annichilito, si udivano le scimmie strillare, si videro i cammelli impazziti aggirarsi tra signore morte in abito da sera e cadaverini vestiti da Pierrot.

Dresda bruciò sette giorni e sette notti.

Nella città antica, la ricerca dei cadaveri durò più di un mese.

Le fosse comuni non bastavano e immense pire furono erette al centro di quel ch’era stato il superbo Altmarkt, su travi e rotaie incrociate, dove migliaia di innocenti accatastati bruciarono per settimane al centro della loro città vigliaccamente assassinata.-

Infine venne l’Armata rossa a ereditare la rovina che gli alleati occidentali avevano allestito, e così le decine di migliaia di fedi matrimoniali e i preziosi trovati addosso ai morti, trovarono un padrone.

Trecento impiegati che lavoravano a identificare le vittime furono licenziati, al direttore Voigt ne lasciarono tre, con l’ordine di trasferirsi in un ufficio più piccolo, coi suoi 80.000 documenti e tessere annonarie.

I tentativi di identificare altre vittime dovettero arrestarsi.

In una baracca dell’Abteilung Toten, dove erano ammassate altre montagne di documenti trovati sui cadaveri, l’Armata rossa trovò più conveniente sistemare una sua unità di venti suini vivi, per i suoi comodi alimentari.

Le tessere furono bruciate, dissero, a causa del loro odore ripugnante.

Il 13 febbraio 1946, le campane che restavano a Dresda e nei dintorni si misero a suonare, e come un’ondata il suono si propagò, superò le linee di demarcazione, giunse di città in città, di campagna in campagna, fino al Reno.

La protesta dei vinti si esprimeva con l’ultima voce che a loro restava.

Dopo 50 anni (*79), la città assassinata, tutte le città assassinate con le centinaia di migliaia di innocenti che vi morirono arsi e straziati, aspettano ancora che, oltre le ipocrite cerimonie e l’accensione di candele, il vincitore di allora riconosca che fu un assassinio.

 

*Valentina Carnielli

  • tratto da “Una Nazione in coma” di Piero Buscaroli, Minerva Edizioni, 2013

 

La manleva vi è quasi sempre nei contratti fra case farmaceutiche e Stati.

Risponde lo Stato/Regione - con indennizzo -  in caso di danni irreversibili, sulla base di un riconosciuto nesso causale dinanzi alla Commissione Medica ospedaliera, oppure vincendo in un ricorso in tribunale se la richiesta di indennizzo viene bocciata inizialmente.

Cosa DIVERSA se invece si dimostrasse che i farmaci vaccini fossero stati guasti o imperfetti sin dall'inizio.

In tal caso - se vi fosse una accertata responsabilità colposa per negligenza o imperizia o imprudenza oppure addirittura dolosa - e perché essi fossero giudicati tali, non e' necessario che essi fossero stati (o siano) contaminati con sostanze estranee o con molti lotti difettosi.

Alla luce infatti di questa pregressa sentenza di Cassazione del 1985:

*

"(...)Cass. pen. n. 8936/1985

Perché un medicinale possa ritenersi imperfetto ai sensi dell'art. 443 c.p. non occorre che sia pericoloso o nocivo, ma è sufficiente che sia privo dei necessari elementi che lo compongono o che non abbia una giusta dosatura dei vari componenti medicamentosi così da risultare inefficace o che presenti una composizione diversa da quella dichiarata sull'astuccio o infine non risulti preparato secondo le rigorose prescrizioni scientifiche.

(Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8936 del 11 ottobre 1985)

https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-vi/capo-ii/art443.html

Alla luce della sentenza di Cassazione sopra ricordata (1985), se si riuscisse a dimostrare in Tribunale che il farmaco imposto e somministrato alla popolazione italiana durante la pandemia era ed e' stato inefficace (e lo sappiamo già perché il "contagio" qualunque cosa fosse, non veniva arrestato dalla vaccinazione) e che la normativa era anti Sars-CoV-2 (e infatti nei testi di legge cosi veniva scritto) quando invece il farmaco vaccino era anti-Covid19 (e dunque non concepito per arresto del contagio), allora in tal caso significherebbe che lo

STATO AVREBBE IMPOSTO A MILIONI DI ITALIANI e ITALIANE

 - con inganno e violenza privata ed estorsione e di abuso di credulità popolare -

Dei farmaci IMPERFETTI (perché inefficaci).

La qual cosa integrerebbe ipotesi di reato procedibili di ufficio.

Come:

* Delitti colposi contro la salute pubblica (art 452 c.p.)

* Somministrazione di farmaci guasti o imperfetti ( art 443 c.p.)

E altre ipotesi di reato ancora...

 

La libera manifestazione del pensiero nella sua accezione di diritto di cronaca e libertà di stampa si concretizza nel divulgare informazioni in relazione a fatti che rispondano ad un pubblico interesse.

Così per lungo periodo, in Italia, il diritto di stampa ha goduto di una certa immunità e, solo recentemente, la dottrina ha avviato un vero processo di erosione, già cominciato in altri ordinamenti, come quello nordamericano, nel lontano 1964, in cui per la prima volta veniva riconosciuta l’esistenza di un illecito civile per “false light in the public eye”.

Cosa significa presentare qualcuno sotto una falsa luce?

Ossia presentare qualcuno come se fosse già colpevole di ciò di cui viene accusato in un primo momento.

La regola dalla quale dipende la prevalenza del diritto di cronaca è la verità dei fatti narrati, la quale assume una duplice declinazione in relazione alla pubblicazione della notizia: infatti, da un lato, il giornalista è onerato del compito di fornire fatti obiettivamente veri o quantomeno tali rispetto alla fonte da cui la notizia è tratta; al contempo, però, l’autore dell’articolo deve valutare che “ogni accostamento di notizie vere può considerarsi lecito se esso non produce un ulteriore significato che le trascenda e abbia autonoma attitudine lesiva”.

Voglio parlarvi del caso emblematico e particolarmente significativo di un sacerdote cattolico, divenuto lo scorso anno vescovo, che ha vissuto proprio questa situazione.

Alcuni giornali on line avevano diffuso la notizia di un falso Cardinale, che in cambio di mazzette, prometteva posti di lavoro.

Era accusato di avere fatto parte di un’associazione a delinquere che a Boscoreale prometteva posti di lavoro in cambio di soldi.

Gennaro Vitiello, l’uomo – definito “falso prete” – finito sotto processo e poi assolto dal Tribunale di Torre Annunziata perché il fatto contestato non sussiste.

A Vitiello veniva contestato, in particolare, di essersi presentato come prelato del Vaticano, con la conoscenza diretta di alti rappresentanti delle istituzioni pubbliche, per procacciare clienti.

Da questo procedimento giudiziario, conclusosi il 16 aprile 2021 e nel quale erano coinvolti anche altri imputati, anche loro assolti, Vitiello ne è uscito completamente scagionato.

L’enorme effetto di “cassa di risonanza” delle informazioni pubblicate sul web, spesso a prescindere dalla loro effettiva veridicità, può risultare però alquanto pericoloso ogniqualvolta l’oggetto del messaggio diffuso abbia carattere denigratorio ed infamante nei confronti del suo destinatario.

Le tardive pubblicazioni, effettuate dall’Ansa, che riportavano l’assoluzione non mi sembrano sufficienti a riabilitare, il buon nome di questo povero prelato.

 

 

 

 

 

 

 

          Tiziana Raciti

Tiziana Raciti, la bravissima cantante della provincia di Siracusa è lieta di annunciare che su Traxsource è uscita la nuova versione del brano Melody, ovvero "Melody - Dino SuperDee Gemmano remix", scritto da Fabrizio Clementi, interpretato da Tiziana Raciti e arrangiato nuovamente da Dino SuperDee Gemmano. Melody è una una canzone di una tale intensità che aveva bisogno di essere remixata visto l' enorme successo che sta avendo. È una nuova versione in chiave decisamente Dance Edm Commercial, che il famoso Dj producer e speaker ha remixato aggiungendo un qualcosa di veramente importante e singolare, quindi vi invitiamo ad ascoltarla. Se a questo ci si aggiunge la bravura e particolarità della voce di Tiziana Raciti, il capolavoro è fatto. Grande soddisfazione quindi da parte dell' autore siciliano Fabrizio Clementi per la riuscita di questo progetto fortemente voluto, nel quale ha ulteriormente messo in mostra il suo talento artistico. In conclusione, si tratta di un pezzo musicale di grande impatto, che si prospetta un tormentone tutto da cantare e ballare per questo nuovo anno 2024. Il brano uscirà ufficialmente con tanto di videoclip su YouTube e su tutte le piattaforme digitali, il giorno 19 gennaio. Etichetta Soulgem Records, edizioni Magilla Spettacoli, qualità audio HD. Tiziana Raciti ha rilasciato le seguenti dichiarazioni " Sono molto contenta della uscita di questo tormentone, che sicuramente sarà un successo e già sta ottenendo favorevoli consensi da parte della critica".

 

 

 

Partiamo da questa domanda: i nostri figli che studiano e leggono, oggi, lo fanno come facevamo noi “boomer”? 

Direi proprio di no, la rivoluzione digitale è stata defragrante nella nostra società: sono cambiati i metodi di insegnamento, i professori, ed anche gli studenti. Metodi e modelli di studio. Tutto d’accapo.

La scuola stessa si è fatta asilo di tale novità. Francesco Provinciali, docente ed educatore, elenca così i cambiamenti cui ha aperto le porte: «Facilitazione dei corsi di studio e di programma, declassamento di storia e geografia, graduale abbandono dell’uso del corsivo e della scrittura manuale, enfasi sui test al posto del testo scritto, lenta espunzione della poesia, della musica e della storia dell’arte, linguaggi corti e sincopati, sigle e acronimi che prendono il posto della scrittura fluente e narrativa, oblio della memoria come metodo di allenamento della mente, scomparsa dei dettati, sostituiti da cartelloni, diagrammi con frecce di richiamo e collegamento a schema aperto». 

La rivoluzione digitale ha fatto nascere metodi che incentivano la soggettività dell’interpretazione, favoriscono la sua precarietà e rendono più arduo metabolizzarla: un successo per chi pensa che «uno vale uno», e che le convinzioni non sono altro che opinioni. 

I social sono una prova evidente di questa trasformazione del dibattito pubblico in  faziosità e incomunicabilità. Poche parole, spesso insulti, poco contenuto intellettuale. 

Difronte a questo quadro, i nostri ragazzi quando leggono un testo scritto come si pongono? Questo nuovo divario salta fuori con evidenza. Non è neanche più solo una questione di disuguaglianze sociali che pure contano, soprattutto al Sud, dove la dispersione scolastica ce n’è tanta. 

Sono studenti diversi da noi e futuri laureati che avranno caratteristiche diverse da noi perché leggono, studiano diversamente da come facevamo noi. E per “diversamente” intendiamo con l’uso delle tecnologie digitali. In ossequio allo spirito del tempo. 

Questi ragazzi che non sanno scrivere e comprendere un testo, nel senso che oggi si deve dare a questi verbi, saranno migliori o peggiori cittadini?  

Non è una domanda retorica. Magari il futuro sarà migliore. Ce lo auguriamo. 

Ma se invece pensiamo che no, non saranno più liberi e indipendenti, ma anzi più esposti al condizionamento dobbiamo intervenire sulla scuola. 

A partire da quella media, giunta forse al capolinea della sua storia iniziata sessant’anni fa. Perché se è vero che due ragazzi su cinque escono dalle medie con competenze da quinta elementare, a che servono quei tre anni?

 

 

 

 

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