L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Publishing (186)

 

Andrea Signini
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May 25, 2017

Sabato 27 maggio alle 16h30 presso il Museo Diocesano di Torino, piazza San Giovanni n. 4, si svolgerà la presentazione del libro/guida “I passi e il silenzio. A piedi, sulle strade di Chiara d’Assisi”, di Monica Cardarelli e Francesco Gallo, edizioni Porziuncola.

 

jtukik“Caminante, no hay camino, se hace camino al andar” scriveva in una celebre poesia Antonio Machado e ne sanno qualcosa Monica Cardarelli e Francesco Gallo che hanno sperimentato il passo dopo passo del Cammino di Chiara che, lentamente ma tenacemente, ora giunge fino a Torino.

Il cammino si fa camminando, e non si tratta solo di un cammino fisico ma anche umano, esperienziale e spirituale. Il cammino ti porta sempre a uscire da te stesso e ad incontrare la natura, l’altro e l’Altro.

Nel caso del Cammino di Chiara è andata proprio così: tutto è nato da una prima esperienza di cammino in solitario di Monica, appassionata di scrittura e affascinata dalla figura di santa Chiara, che con la Legenda di Santa Chiara di Tommaso da Celano è andata alla ricerca dei luoghi in cui la Santa avrebbe vissuto prima di arrivare a San Damiano. Fin qui nulla di strano. La curiosità nasce invece quando, una volta rientrata da questo piccolo e breve itinerario ma estremamente intenso e significativo per lei, le è stato chiesto di scrivere una guida sul cammino appena fatto.

A una simile richiesta da parte dell’editore, sembrava le mancasse il terreno sotto i piedi, ma la sfida e il desiderio di scrivere e raccontare la sua esperienza di cammino e di Chiara sono stati più forti della paura. Il destino ha voluto che le sia venuto in soccorso Francesco Gallo, una guida ambientale escursionistica umbra, con due lauree di cui una in teologia e uno spiccato interesse per il cammino, alla ricerca di nuovi itinerari francescani da proporre.

Da questo inaspettato incontro è nata la collaborazione tra Monica e Francesco che si sono subito messi a lavorare a quattro mani e a quattro piedi.  

Il Cammino di Chiara, proposto con il libro, si snoda per circa 24 km intorno ad Assisi sulle strade che la giovane santa avrebbe percorso prima di giungere a San Damiano: dalla fuga dalla casa paterna alla Porziuncola; da lì al monastero benedettino di San Paolo delle Abbadesse, a Bastia Umbra; poi fino alla chiesetta di Sant’Angelo in Panzo, alle pendici del Monte Subasio, per giungere infine a San Damiano dove Chiara sceglierà di restarvi in clausura per più di 40 anni. A chi macina chilometri e colleziona credenziali questo cammino apparirà infinitesimale e senza interesse ma se proviamo a chiedere ai pellegrini che fino ad oggi hanno percorso il cammino proposto, ci rendiamo conto che non si tratta solo di cammino fisico, c’è dell’altro. Niente di che, piccole cose: sensazioni, emozioni, pensieri, piccoli cambiamenti forse impercettibili o forse ben chiari, conferme di decisioni prese o di scelte fatte….tutto da sperimentare.

Così, passo dopo passo, il Cammino di Chiara arriva anche a Torino, al Museo Diocesano per la precisione, sabato 27 maggio, alle 16h30.

Pellegrini e non, curiosi o appassionati di francescanesimo, femministe e famiglie, tutti possono avere l’opportunità di conoscere, dalla viva voce dei pellegrini/autori, questo cammino e saperne di più sulla figura di Chiara d’Assisi che è stata la prima donna nella storia della Chiesa a scrivere una Regola per le donne, oltre al Testamento, quattro Lettere ad Agnese di Praga, una lettera ad Ermenntrude di Bruges e la Benedizione.

Piccolo particolare in linea con la povertà evangelica per cui Chiara ha così tanto lottato; Monica e Francesco devolvono i diritti d’autore della vendita dei libri alle Sorelle Clarisse del Monastero di Cortona.

 

Ingresso libero. Per info: tel 339.6424357, mail: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.; ilcamminodichiara@yahoo.it; www.ilcamminodichiara.altervista.org

May 14, 2017

Mussolini e il caso Sacco- Vanzetti è senza alcun dubbio un libro prezioso, perché ci consente di acquisire una più ampia conoscenza della complessa vicenda dei due anarchici italiani stoltamente LOPquanto crudelmente trucidati, quasi un secolo fa, tramite una delle più disumane invenzioni della morte di Stato. Lorenzo Tibaldo, che già in più occasioni si è dedicato alla tragica e appassionante vicenda, alla luce della documentazione consultata presso l’Archivio Storico Diplomatico di Roma eavvalendosi anche di un ottimo saggio dello storico americano Philip V. Cannistraro, riesce a ricostruire con illuminante efficacia il quadro politico entro cui collocare la controversa questione storiografica relativa al comportamento e alle scelte di Benito Mussolini. Le sue strategie oscillanti e spesso contraddittorie vengono infatti rese decodificabili da uno attento studio della sua personalità, della sua formazione culturale e politica, del suo travagliato percorso biografico, delle sue mutevoli e contrastanti istanze ideologiche, delle altrettanto cangianti operazioni tattiche. In questo modo, diventa possibile rispondere, in modo non superficiale e sbrigativo, a questi (e altri) interrogativi:

Quali furono le ragioni per cui Mussolini intervenne a favore di Sacco e Vanzetti dal momento della sua salita al potere alla morte dei due anarchici?

Fu per le sue radici anarco-socialiste?

O per la pressione a salvarli in quanto italiani?

Oppure per l’opportunità politica e propagandistica del regime fascista?

Quanto fu forte, convinto e sincero il suo impegno?

E ancora: come si mosse rispetto all’“amico” americano?

Il lavoro è inoltre arricchito dalla riproduzione, in Appendice, di un interessantissimo opuscolo dal titolo Le ragioni d’una congiura, curato dal SACCO-VANZETTI DEFENSE COMMITTEE (conservato presso il “Fondo Cavallini”, Biblioteca Comunale “Fabrizio Trisi”, Lugo-RA), nonché dalla riproduzione di documenti finora inediti o assai poco noti, fra cui lettere e telegrammi a firma del dittatore e una toccante lettera di Luisa Vanzetti, sorella di Bartolomeo.

Indice testuale

Mussolini, il caso Sacco-Vanzetti e gli anarchici: il contesto americano 
di Philip V. Cannistraro

Il caso Sacco-Vanzetti e le inquietudini di Mussolini 
di Lorenzo Tibaldo

1.Mussolini e l’“amico” americano

2.Inizia il caso Sacco-Vanzetti

3.Il fascismo e l’opposizione antifascista in America

4.Mussolini e l’anarchia

5.Mussolini e il caso Sacco-Vanzetti

 

Appendice

Regia Ambasciata d’Italia

Ministero degli Affari Esteri. Relazione a S.E. il Ministro

Le ragioni di una congiura di Sacco e Vanzetti

Biografia degli autori

Philip V. Cannistraro,

storico americano, è stato docente di Studi italiani al Queens College e alla City University di New York, nonché massima autorità nel mondo accademico statunitense riguardo agli studi sul fascismo. Tra le sue molte pubblicazioni, ricordiamo La fabbrica del consenso (Laterza, 1975).

Lorenzo Tibaldo,

professore di lettere, filosofia e storia, e studioso del Novecento. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: La religione non è una fiaba (Kosmos, 1995), Leggere, scrivere e far di conto (Alzani, 1999), Una società giusta (Alzani, 2002), Democrazia e solidarietà (Centro Studi Piemontesi, 2003), Gli italiani (non) son tutti fatti così. Le speranze deluse nella storia d’Italia (Petite Plaisance, 2017), e per i tipi Claudiana: Sotto un cielo stellatoVita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (2008), Il viandante della libertà. Jacopo lombardini (1892-1945) (2011), La Rosa Bianca. Giovani contro Hitler (2014), Willy Jervis (1901-1944). Una vita per la libertà (2015).

Mussolini e il caso Sacco-Vanzetti

Philip V. Cannistraro, Lorenzo Tibaldo

Editore: Claudiana

www.claudiana.it

May 11, 2017

Da un tragico incidente tante altre storie si intrecciano tra loro e ne esce un romanzo carico di emozioni che porta il lettore a confrontarsi con la vita e la morte.

coverilgiardinoDaniela Ippoliti inizia il suo percorso letterario con un romanzo intenso e davvero profondo per le tematiche che affronta. “Il giardino di Mattia” edito da Bibliotheka Edizioni parte da un avvenimento doloroso: un giovane ragazzo muore in un incidente stradale e gli amici rimangono sconvolti. Purtroppo è un fatto che accade di frequente sulle strade e che coinvolge molti ragazzi. La scrittura dell’autrice però non si ferma all’aspetto tragico con la scomparsa del protagonista, ma cerca di trovare un senso che porti ad una sorta di positività che si rinnova in altre cose. Così in un giardino, luogo dell’impatto, prendono forma incontri e storie che parlano di speranza, di nuova luce. La vita e la morte vengono messe a confronto con uno stile semplice, adatto alle corde di chi vuole cercare di capire meglio cosa significa esistere in quel transito che è l’esperienza terrena. La Ippoliti ci conduce in un viaggio di costante riflessione, dove il pensiero diventa strumento indispensabile per scendere nelle fragilità umane prendendo consapevolezza di quanto sia complessa e misteriosa l’esistenza.

Daniela Ippoliti, che cosa rappresenta per lei la scrittura?

“La scrittura per me è il metodo più naturale ed istintivo per esprimere emozioni. Quando leggo mi immergo nella lettura e, soprattutto se ciò che leggo mi piace molto, non mi sento mai sola. Scrivere è ancora più rilassante, divertente e coinvolgente di leggere. Si può scoprire molto della personalità di un individuo in base a quello che scrive, anche solo fosse il verbale di una riunione di condominio!”

Come è nata l’idea del romanzo ‘Il giardino di Mattia’?

“L’idea è nata dopo un incidente in cui è rimasto coinvolto un giovane ragazzo con il suo scooter. Il tragico fatto è avvenuto vicino casa mia. Ogni giorno passavo accanto al giardinetto…e da lì è partito tutto”.

La vita e la morte, lei come le considera?

“Considero la vita come un viaggio per il quale ci hanno regalato il biglietto di andata e di ritorno. Quello che succederà durante il viaggio, chi saranno gli altri viaggiatori lo vedremo strada facendo e se è vero che molte delle cose che ci capiteranno dipenderà dalle nostre scelte, le tappe del tour non dipendono solo da noi. Alla fine del viaggio si torna a casa, quella da cui proveniamo, dove rincontreremo chi ci ha preceduto e potremo stare di nuovo insieme. Questa è la morte”.

Oriana Fallaci scrisse: “La vita è un arcobaleno inesauribile di colori, un concerto interminabile di rumori, un caos fantasmagorico di voci e di volti”. Perché ha scelto questa citazione?

“Ho scelto questa frase primo perché adoro la Fallaci, di cui ho letto praticamente tutto o quasi, e poi perché riassume in poche parole ciò che penso dell’esistenza, ossia che la storia di ciascuno di noi

Daniela Ippoliti
Daniela Ippoliti

è legata a quella di tanti altri ‘viaggiatori’.

Da un tragico evento parte l’intreccio narrativo che si apre ad una serie di storie. Come è riuscita a strutturare e a sviluppare la trama?

“Ho immaginato la trama del libro come fosse un grande disegno in cui al centro c’era la morte di Mattia e tutto intorno tanti altri individui la cui vita, in un modo o nell’altro, veniva influenzata dall’incidente del ragazzo”.

E’ stato facile trovare l’incipit per questa sua prima esperienza editoriale?

“Credo che chi scrive lo faccia per essere letto da qualcuno, a meno che non si scriva un diario personale, specialmente se si crede in quello che stiamo scrivendo. Per questo, una volta terminato il lavoro, e dopo aver ascoltato il parere di parenti ed amici che lo hanno letto, ho cercato una casa editrice che lo pubblicasse. E alla fine sono approdata a Bibliotheka Edizioni.

Perché un lettore dovrebbe acquistare il suo romanzo? Secondo lei, cosa lo rende interessante rispetto ai titoli che ci sono in libreria?

“Penso sia una lettura piacevole, scorrevole e che in modo semplice e diretto dice che l’aiuto che ci serve può arrivare da ogni direzione, anche la più impensabile.”

Qual è il primo romanzo che ricorda di aver letto?

“E’ stato ‘Piccole donne’ di Luisa May Alcott. Avevo 6 anni”.

L’autrice

Daniela Ippoliti è nata a Roma nel 1964, dove vive attualmente insieme a suo figlio. Laureata in medicina e chirurgia presso l'Università di Roma La Sapienza e specializzata in dermatologia, lavora da molti anni presso un famoso istituto dermatologico della capitale. “Il giardino di Mattia” è il suo primo romanzo.

 

Il giardino di Mattia

di Daniela Ippoliti, Bibliotheka Edizioni      

pagg. 160, 11 euro

Michela Zanarella

May 05, 2017

Mercoledi 03 maggio scorso si è svolta a Roma la presentazione del testo Anima Persa Anima ritrovata, periegesi all’interno dei giardini vaticani di Anna Bruno, edito dalla Palombi editori.. Sono intervenuti la dott.sa Maria Serlupi Crescenzi, responsabile della didattica ai Musei Vaticani e padre Guido Innocenzo Gargano, professore della Pontificia università Urbaniana e Pontificio Istituto Biblico.

Nel testo, l’autrice prende per mano il lettore trascinandolo in un percorso viatico, in un itinerum in mentis deum, all’interno di un giardino di tanti giardini, di gusto eclettico: i giardini vaticani appunto. E allora autrice e lettore si immergono amorevolmente amorevolmente nella storia e nella simbologia di questo verde e immaginifico luogo concluso vaticano, usando ogni fonte possibile: dalla letteratura, alla memoria dei sensi, dalla poesia ai versetti biblici e coranici, dall’ arte antica a quella contemporanea, invitando il lettore-visitatore-cercatore di profumi nonché pellegrino in una sorta di piccola“convivialità delle differenze”, per usare le parole tanto famose di don Tonino Bello.

“Un racconto come una visione in cui tutto scorre gustosamente davanti agli occhi in uno scenario di grande suggestione” racconta Mons. Luigi Renzo nella sua presentazione e continua “(…) ed è come essere presi per mano e condotti in ogni angolo, anche il più segreto, di questi giardini che, nell'immaginario collettivo, restano un sogno e un arcano di bellezza inarrivabile. Invece lei con la semplicità del racconto, ce li rende avvincenti facendoci penetrare in ogni anfratto, come in un gioco di realtà e di fantasia.” E a mano a mano il giardino le porge la vita.

Il percorso trifasico, di dantesca memoria, approfitta di un giardino eclettico e, superato il frammento di muro di Berlino, offerto a papa Giovanni Paolo II nel 1989, attraversa il boschetto all’inglese, simbolo del mistero e perciò della perdita dell’anima. “Ma la perdita non è vuoto, non è assenza” assicura la “novella Beatrice dantesca”, la perdita è rinascita. Ed è proprio nel boschetto che gli incontri si fanno tappe necessarie al passaggio dal materiale allo spirituale e in aiuto a lei e al suo lettore, accorrono imperatori e dèi di pietra, animali veri e scolpiti, piante, fiori, fontane e papi protagonisti di questi giardini delle meraviglie. Ma soprattutto, accorrono protagoniste le piante e con esse i giardinieri del papa, che compaiono ora come precettore, ora come poeta, ora come esperto della potatura o della fioritura liturgica, o ancora come ortolano.

Tra un giardino e l’altro le soglie si trasformano in passaggi definitivi per nuovi ambiti del proprio sé. “L’autrice, a cui non sfuggono vibrazioni e sfumature, l’autrice è tutt’intesa a cogliere i significati profondi, quelli in cui i popoli, nella loro infanzia, hanno tradotto il bisogno del divino attraverso simboli, metafore, favole, istituendo con essi la religione.” E il giardino si propone dunque come nutrimento dell’anima, dell’autrice quanto del suo lettore che, di volta in volta, accumulano e assimilano e a mano a mano che risalgono il giardino, essa scende fino al punto più profondo del proprio sé. E parallelamente i giardini dei papi si rivestono di colori e essenze, ecletticamente così come li avevano progettato i suoi ultimi ideatori: Pio XI (1922-1939), il papa dei Patti Lateranensi (11 febbraio 1929) e il suo architetto Giuseppe Momo. Ma in chiave contemporanea rivisitati dall’autrice, guida vaticana dal 2006 e da Luciano Cecchetti fino al 2014 responsabile e giardiniere lui stesso dei Giardini Vaticani e delle ville Pontificie. Come è giusto che sia, perché la creatività e la fantasia continuino il loro corso!

La seconda soglia è la soglia della salvezza, la ripresa dopo la perdita, e consente all’autrice e al suo lettore di entrare nel giardino alla francese i cui viali confluiscono fino alla copia della grotta di Lourde, punto focale del giardino. Qui il giardino risveglia l’anima alla gioia e alla vigoria, rivestendosi nell’immaginazione della stessa autrice (e del suo precettore), come fosse tela nuda di forme, linee e colori prima di entrare nella terza e lunga tappa del giardino all’italiana, dove l’autrice si intrattiene con gli stili che si susseguono, dal tardo rinascimentale a quello settecentesco, dai non più esistenti giardini di Paolo III Farnese (1468 – Roma 1549) e Clemente VIII (1592-1605) a quello di papa Borghese, Paolo V, con le sue imponenti fontane, via via fino al giardino del cimitero teutonico e a quello giapponese in fieri.

Il percorso infine discende dal cortile della Pigna e, passando per quello del Belvedere, si ferma a piazza S. Pietro. Qui l’autrice e il suo lettore trovano il loro punto aureo, per tornare tra la folla, dopo aver congedato quanti l’avevano accompagnata. Le due anime, dunque, quella sua e del suo lettore, sono pronte a tornare nel limite che la vita sempre propone e con esso il suo superamento.

 

Titolo: Anima Persa, Anima Ritrovata

Sottotitolo: periegesi all’interno dei giardini vaticani

Progetto: l’arte pittorico-simbolica del giardino

Autore: Anna Bruno, sito www.periegeta.it

March 18, 2017

Erika Maderna, laureata in Etruscologia e Archeologia Italica presso l'Università degli Studi di Pavia, scrive articoli, traduzioni e saggi di cultura e archeologia classica.

Ho conosciuto Erika Maderna attraverso uno dei suoi libri “Medichesse”, un libro che è andato a colmare una lacuna bibliografica: sono rari i testi che ripercorrono la medicina al femminile perché, tranne rare eccezioni, le guaritrici sono rimaste nell'ombra, essendo spesso donne del popolo, eredi di un sapere antico.

Medichesse è il terzo libro dell'autrice, preceduto da “Antichi segreti di bellezza” (Aldo Sara Editore, 2005); e da “Aromi sacri Fragranze profane: simboli, mitologie e passioni profumatorie nel mondo antico” (Aboca, 2009).

tuuiiSe il primo libro indaga la cosmesi antica, nel secondo il protagonista è il profumo: gli aromi sono strettamente legati sia all'esperienza religiosa che a quella profana, le essenze oscillano tra erotismo e magia, connettendo l'uomo alla sua parte più emotiva. Attraverso aneddoti, curiosità e mitologie l'autrice offre al pubblico un libro prezioso e di scorrevole lettura su un tema sempre intrigante.

Le protagoniste del quarto libro,Le mani degli Dèi” (Aboca, 2016) sono le piante officinali raccontate nel loro aspetto mitologico e simbolico.

Il melo delle Esperidi, la viola di Attis, l'anemone di Adone, l'erba Moly di Circe, il giglio di Era, il mirto di Afrodite, la menta di Mintha e molte altre creature vegetali sono qui raccontate con eleganza e

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 ERIKA MADERNA

passione, restituendo a queste piante ed alberi, conosciute per la loro valenza fitoterapica, una dimensione narrativa. Erbe connesse alla Grande Madre antica, erbe capaci di guarire ma anche di uccidere, mitologie vegetali che l'autrice offre al lettore anche attraverso gli articoli scritti e pubblicati per il Wall Street International.

 

“Medichesse” declina il verbo “curare” al femminile ripercorrendo la storia della medicina dalle civiltà matrifocali fino a Isabella Cortese. Secondo te quale è stata la difficoltà più grande che le medichesse antiche hanno dovuto affrontare per ricevere la giusta considerazione?

Elencare le difficoltà affrontate dalle donne nella pratica della medicina ci riporterebbe a un’aneddotica curiosa e ricca di esempi. Ci sono state donne costrette a vestire abiti maschili per poter praticare la professione; altre che hanno sfidato divieti pericolosissimi, e hanno rischiato il rogo pur di non tradire la propria missione; altre ancora che hanno scelto la protezione del monastero per potersi dedicare in sicurezza alla ricerca e alla cura. Può sembrare strano, ma le epoche più antiche hanno mostrato maggiore apertura e tolleranza verso le medichesse; dopo il Mille, la misoginia e la paura atavica della magia diabolica delle streghe determinarono la brusca rottura di un già fragile equilibrio, e l’esclusione delle donne dalla pratica professionale divenne una battaglia ideologica perseguita con crudele caparbietà dalla medicina ufficiale.

 

Secondo te, oggi, è stata ottenuta la giusta considerazione delle donne curatrici o pensi che la figura maschile del medico adombri ancora quella femminile?

Negli ultimi decenni le presenze femminili all’interno delle facoltà di Medicina sono aumentate esponenzialmente, anche se alcune specializzazioni rimangono, più di altre, resistenti al cambiamento. Credo che le donne, dopo aver compiuto un lungo e faticoso percorso con la determinazione che le caratterizza, si stiano riappropriando finalmente del pieno riconoscimento del loro ruolo professionale. Certo, ora non sono più medichesse, sono donne medico; hanno colmato quel gap che nella parte più antica della storia ha differenziato fortemente il sapere maschile da quello femminile. Eppure, forse ancora portano traccia dell’antica vocazione di sacerdotesse...

 

Maghe pharmakìdes erano Elena, Circe, Medea... le herbarie medievali condannate come streghe curavano anche attraverso l'aspetto “simbolico” e vibrazionale delle piante: cosa ha perso la medicina sradicando la magia dai medicamenti?

Il mito e le fonti antiche ci riportano esempi straordinari di erbe o farmaci mistici o spirituali, spesso legati alle conoscenze mediche delle donne e alla sfera della cura dei mali della psiche. Questi esempi descrivono la funzione della malattia nel suo aspetto allegorico, ridotta alla semplicità del simbolo, e allo stesso tempo la ricerca, nelle piante curative (dette anche “semplici”), della purezza di ciò che ora la scienza chiama principio attivo, ma che allora era considerato forza divina. Ancora oggi questo aspetto è esplorato con grande interesse dall’approccio psicosomatico della medicina, che in realtà ripercorre intuizioni che vengono da molto lontano.

 

Le piante e la sfera del sacro erano indissolubilmente legate: i primi santuari furono le foreste, templi vegetali a tutti gli effetti; pensi che questo rapporto con il sacro “vegetale” sia andato del tutto perduto? Quale momento storico, secondo te, ha segnato la fine della sacralità vegetale?

Il senso del sacro legato alla percezione della natura era più forte quando l’umanità non comprendeva le leggi dell’universo, le temeva e le rispettava per non incorrere nella punizione divina. Abbattere una pianta significava violare lo spirito che vi dimorava e il timore della vendetta tratteneva la mano dell’uomo. Molti popoli, inoltre, erano convinti che la stirpe umana discendesse dagli alberi, e li onoravano come antenati. Con l’avanzare della civiltà del logos e della scienza, la devozione si è trasformata in volontà di dominio, certezza di superiorità, logiche che oggi sembrano prevalere nel nostro “uso” spregiudicato delle risorse naturali.

 

Nei tuoi tre libri compaiono spesso ricette di cosmesi femminile. Quale rituale antico è maggiormente connesso alla cosmesi?

La cosmesi è parte viva dell’approccio femminile alla salute, e lo dimostra il fatto che le ricette di bellezza tramandate dalle donne alle donne compaiono in tutti i trattati medici antichi scritti da mani femminili. Non si tratta di indulgere in frivolezze e vanità, bensì del lascito di una filosofia del benessere che non considera medicina soltanto ciò che è utile a curare il morbo, ma amplia la visuale alla cura di sé, alle pratiche igieniche, alla ricerca della bellezza come strumento di soddisfazione. Ogni epoca ha avuto le sue mode cosmetiche. Nelle culture mediterranee antiche, e poi in quelle classiche, la profumazione del corpo costituiva sicuramente il rituale più importante, e a questo interesse dobbiamo l’elaborazione di una tecnologica avanzata della produzione degli unguenti aromatici. La valenza della profumazione rispondeva a molteplici necessità: in origine l’olio aromatico aveva una funzione deodorante, emolliente, ma anche protettiva dell’epidermide, e solo col tempo prevalse quella cosmetica. In epoca rinascimentale, il paradigma della bellezza si spostò verso un ideale estetico femminile di candore e purezza; il “far bianco” divenne la pietra filosofale dell’alchimia cosmetica, e si moltiplicarono le ricette utili a illuminare l’incarnato del volto, a sbiancare le mani e i denti, a schiarire i capelli.

 

In “Aromi sacri Fragranze profane” e in “Le mani degli Dei” le protagoniste sono le piante (e gli alberi): quale rapporto ti lega al regno vegetale?

Il profumo ha costituito la prima forma di comunicazione tra l’uomo e la divinità; un linguaggio etereo e ineffabile quanto il destinatario del messaggio. Il mondo vegetale nasconde simboli profondissimi e scoprirli significa raggiungere le radici più antiche della religiosità. Sono proprio questi aspetti simbolici ad avermi affascinata, tanto da spingermi a procedere per successivi approfondimenti. In un mito vegetale possiamo rintracciare livelli di lettura interessantissimi: non solo la leggerezza dell’invenzione narrativa, ma informazioni botaniche e intrecci impensati tra archetipi sacri, vis terapeutica della pianta, natura umana. E la natura ha sempre qualcosa da suggerirci, se sappiamo scavare fra i significati.

 

Quale personaggio della mitologia antica senti più vicino a te? Quale medichessa?

Mi affascinano tutte le grandi figure dell’immaginario, per la loro capacità di evocare gli archetipi più profondi: Circe, Medea, che hai già citato, e in generale le grandi maghe conoscitrici di farmaci, splendide e terribili al contempo, che sono state il prototipo e il fondamento iconico dell’herbaria e della strega. Tra le medichesse della storia, invece, non posso non nutrire una profonda ammirazione per la figura di Ildegarda di Bingen, che dedicò parte della sua attività intellettuale all’approfondimento di una filosofia medica di grande impatto filosofico. A Ildegarda interessa l’uomo nella sua complessità e completezza di corpo, psiche e spirito, e da questo approccio olistico si sviluppa la necessità di ricercare nell’armonia fra queste componenti la chiave per il benessere. Ma la grande novità della medicina ildegardiana è l’interesse per la salute femminile, che la santa ha indagato con profondità di riflessione: la donna deve onorare e conoscere la propria femminilità se vuole essere felice, e deve avere un rapporto soddisfacente con il proprio partner se vuole prevenire i disturbi tipici dell’apparato ginecologico. Un personaggio così sfaccettato è difficile da riassumere in pochi tratti, ma mi piace quella definizione di “Sibilla del Reno” che fa di questa grande santa visionaria un anello di congiunzione tra la pratica sciamanica delle sacerdotesse pagane, l’approccio empirico tipico della tradizione medica femminile e la nuova indagine filosofica sulla salute.

 

Su quale ricerca ti stai concentrando in questo momento?

Sono tornata a studiare la storia della medicina femminile, questa volta dedicando un approfondimento alla cosiddetta “medicina delle streghe”. Moltissime delle donne bruciate sui roghi dell’Inquisizione, dal medioevo fino alle soglie del Settecento, erano curatrici empiriche, che praticavano i loro saperi nelle campagne attingendo a una tradizione ricchissima di medicina magica che si è tramandata rimanendo per secoli quasi immutata per modalità e contenuti. E’ importante riportare all’attenzione questi risvolti distruttivi del nostro passato, cercando di illuminare la prospettiva delle vittime, su fatti che sono stati raccontati solo dai documenti dei carnefici; è un tributo necessario al sacrificio assurdo di donne che hanno subito torture e atroci sofferenze senza comprendere quale fosse la propria colpa.

 

Per approfondire:

http://flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=7242:medichesse-la-vocazione-femminile-alla-cura&Itemid=123)

http://www.flipnews.org/publishing/erika-maderna-le-mani-degli-dei-mitologie-e-simboli-delle-piante-officinali-nel-mito-greco.html

Erika Maderna presenterà il libro “Medichesse: la vocazione femminile alla cura” Domenica 26 marzo alle ore 17 presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, via della Lungara 19.

A seguire ci sarà lo spettacolo “Herbarie: le chiamavano streghe” a cura del progetto Anemofilia Teatro.

February 07, 2017

 

“Io mi addormento sulle rive di una donna: io mi addormento sulle rive di un abisso” (cit)

 

Torna in libreria Galeano con il suo ultimo libro, voluto per raccontare le donne: 150 figure femminili note e meno note che hanno lasciato un segno, dando nuova forma al senso comune, ribellandosi a pregiudizi, cambiando, in alcuni casi, il corso degli eventi.

Eduardo Galeano è morto il 13 aprile del 2015. Ma molti dei suoi libri non sono stati più ripubblicati. Una scrittura gentile ed incisiva, che unisce poesia, epigramma e narrazione e che arriva diretta all'emozione, lasciando come un sussurro, una carezza, che ti fa chiduere gli occhi per assaporarla meglio.

Da giovanissimo scrive una delle opere per le quali, ancor oggi, è ricordato: “Le vene aperte dell'America Latina”, dove ripercorre lo sfruttamento e la messa in schiavitù di uno dei continenti più ricchi di risorse minerali: 500 anni di colonizzazione che han portato l'America Latina alla situazione economica e politica attuale. L'opera non poteva circolare durante la dittatura militare cilena e argentina perché strumento di corruzione della gioventù.

Il libro “Donne” inizia con Sherazade, “dalla paura di morire nacque la maestria del narrare” (cit), passando per Tituba, la schiava nera erede di una tradizione di griot, Tituba dava voce a“racconti di fantasmi e leggeva il futuro nel bianco di un uovo” (cit); stiracchiando secoli la penna di Galeano tocca Calpurnia, moglie di Giulio Cesare che in sogno vide la morte dell'amato, per tornare ad oggi con Rigoberta Menchù, nobel per la pace e voce del popolo maya sterminato dal governo del Guatemala, e con le madri di Plaza de Mayo, “coro greco di un'antica tragedia” ritratte mentre fissano l'ambasciatore della dittatura argentina che prende l'ostia in una chiesa di Madrid, un esercito silenzioso che combatte con sguardi che non perdonano.

Donne che si sono fatte strada a fatica, distruggendo l'idea che “nasce la donna per produrre latte e lacrime” come la poetessa Alfonsina Storni “i suoi versi più popolari protestano contro il maschio carceriere” (cit), donne meno conosciute ma che hanno fatto tremare le impalcature patriarcali come Susan Anthony che nel 1873 viene condannata perché si era avvalsa del diritto di voto, o come Elisa e Marcela che si sposarono travestendosi da coppia uomo/donna nel 1901, costrette alla fuga per lo scandalo.

Non solo donne di carne descrive Galeano, ma anche Dee, come Tlazolteotl, la luna messicana, unica dea del pantheon maschilista azteco, dea luna che proteggeva le partorienti e i semi delle piante, dea colpevole della perdizione degli uomini, come Pandora. Corre zigzagando nella storia la penna di Galeano, tesa all'ascolto della voce femminile e ci regala l'immagine di Trotula, medichessa della scuola salernitana mentre porge ascolto, erbe e massaggi alle donne, in tempi in cui il coltello e la chirurgia erano la moda.

Tra le figuri femminili meno conosciute galeano tratteggia Juana Manso che nella metà dell'Ottocento fondò scuole laiche e miste, biblioteche popolari e inaugurò, con i suoi scritti e con la sua biografia il divorzio e l'ipocrisia coniugale o come Manuela Leòn che nel 1872 venne fucilata dopo aver sobillato i villaggi dell'Ecuador a non pagare tributi.

Galeano ci ricorda dove nasce la ricorrenza del 25 novembre, giornata contro la violenza alle donne: è il 1960 e 3 militanti contro la dittatura di Trujillo, le sorelle Malabar, nella Repubblica Dominicana furono gettate in un burrone dopo essere state picchiate.

La tradizione messicana insegna a seppellire i cordoni ombelicali delle figlie femmine sotto le ceneri della cucina, Galeano, con questo libro pieno di poetica verità, fa volare in alto quei cordoni, alti come aquiloni, finalmente liberi di essere vento.

 

EDUARDO GALEANO
DONNE
SPERLING 2017

January 23, 2017
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 I lavori presso la scuola "A. Amore"

« Il Premio Nobel della letteratura nel mondo » è il tema che i critici e gli scrittori dell’Associazione Internazionale dei Critici letterari hanno svolto nel loro convegno annuale che si è tenuto a Pozzallo, in provincia di Ragusa il 20 e 21 gennaio ultimo scorso.

Su invito ed organizzazione del prof. Corrado Monaca, Direttore Strategico per la cultura e il territorio, l’AICL è sbarcata per la seconda volta in Sicilia dopo il Convegno di Gela del 2001, in occasione del centenario della nascita di Salvatore Quasimodo.

Nel 2017 ricorrono i centociquanta anni dalla nascita del Premio Nobel Luigi Pirandello, del quale insieme al premio Nobel Grazia Deledda proprio nel 2016, appena trascorso, si sono celebrati gli ottanta

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 Alcuni dei delegati dell’Associazione Internazionale dei Critici letterari

anni dalla morte.

Per questo il Bureau Internazionale AICL, presieduto dalla professoressa Neria De Giovanni, ha invitato i delegati dell’Associazione a una riflessione sul valore dei Premi Nobel per la letteratura nei diversi Paesi del mondo.


Critici e scrittori provenienti da Spagna, Francia, Stati Uniti, Venezuela, Romania, Albania, Catalogna, oltre che da diverse città italiane; Roma, Taranto, Genova, Torino, si sono confrontati nella Scuola « A.Amore », presso l’Auditorium Paolo Monaca, appena inaugurato con la donazione da parte della famiglia Monaca di un busto di bronzo dell’artista Paolo Marazzi che con la sua arte unisce Baltico e Mediterraneo passando per Assisi.

Importante omaggio in apertura alla città che ospita il Convegno: la professoressa Grazia Dormiente ha intrattenuto gli ospiti relazionando sul carteggio inedito tra Giorgio La Pira e Salvatore Quasimodo.

Di indiscussa levatura gli interventi. Per la Francia, Andrè Ughetto ha parlato del Premio Nobel Federic Mistral e Jean Pierre Castellani di Albert Camus; per la Spagna Angel Basanta, Segretario Generale dell’AICL, ha relazionato su Camillo Josè Cela, mentre le catalane Josefa Contioch e Lulisa Julià hanno parlato della diffusione in Catalogna dei premi Nobel italiani Deledda, Pirandello e Quasimodo. Anche il romeno Horia Alupului ha omaggiatol’Italia con una sua relazione su Grazia Deledda in Romania, e Tudorel Radu ha offerto un parallelo tra il nostro Pirandello e il romeno Brancusi mentre Stefan Damian, vicepresidente dell’AICL, ha relazionato sui luoghi di Salvatore Quasimodo. L’albanese Arjan Kallco ha omaggiato anche la Sicilia, parlando di Quasimodo, mentre

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 Il museo della fondazione Giorgio La Pira a Pozzallo

Andrea Guiati, cattedratico statunitense, ha parlato dell’ultimo premio Nobel, Bob Dylan.

Nutrita la presenza italiana: Silvano Trevisani ha parlato di Quasimodo, mentre il Dante dei Premi Nobel è stato il tema svolto da Giovanna Ioli. Montale e Quasimodo sono stati all’attenzione di Rosa Elisa Giangoia, e Sabino Caronia ha parlato di Pirandello tra Sciasia e De Benedetti. Antonio Maria Masia ha incentrato il suo intervento su Dario Fo. Mentre Bruno Rombi ha parlato di Neruda in Sardegna in rapporto a Grazia Deledda, Franco Idone, invece, ha raccontato dei Nobel che salgono e quelli che scendono… Dal Venezuela Antonio Mendoza ha offerto un ritratto della polacca Wislawa Szybroska.

 

Il convegno è stato occasione anche per una visita dei luoghi di cultura del territorio: a Pozzallo, dopo l’incontro con il Sindaco, c’è stata la visita dei delegati al Museo di Giorgio La Pira  e alla mostra didattica “ Pozzallo nel vortice del tempo - Pozzallo dalla preistoria al XXI secolo” allestita presso l’Istituto Comprensivo “A. Amore” . A Ispica invece hanno incontrato il Sindaco e visitato i luoghi di ” Divorzio all’italiana”, di Pietro Germi e di Montalbano, il famoso commissario della penna di Andrea Camilleri. A Modica c’è stata la visita alla casa di Salvatore Quasimodo e al famoso Museo del 20170121 123231 resizedcioccolato.

A conclusione del Convegno, come d’uso per gli incontri Internazionali dell’Associazione, è stato consegnato il Premio Europeo Farfa di cultura e territorio, che quest’anno è andato a esponenti del territorio ibleo.

January 13, 2017

La sapienza iniziatica occidentale ha preso strade insolite: pensiamo ai tarocchi (sviluppatesi come gioco di carte nelle corti rinascimentali) o riflettiamo sul disegno della campana che da bambini disegnavamo per terra, linee così simili all'albero cabalistico delle Sephirot. Per non parlare dell'altalena, gioco che sembra riflettere la festa greca delle Aiorie (dal mito greco di Erigone e Icario).
Molti sono i significati esoterici nascosti all'interno del gioco dell'Oca.

“Il gioco dell'Oca è il gioco del pellegrino che si mette per via sognando il ritorno a casa, dove vivono il Padre e la Madre in beata unità: quella che si irradia nella molteplicità senza perdersi” (cit.). Ma partiamo dall'animale totemico che dà il nome al gioco.
È sul dorso di un'oca che Hansel e Gretel tornano a casa, sono le oche del Campidoglio a dare l'allarme per la sopraggiunta dei Galli invasori. L'oca ha una natura celeste e solare (in contrapposizione al cane, animale psicopompo), è un animale sacro per la tradizione nordica ( i Celti proibivano la caccia di uccelli nobili come l'oca e il cigno). Oca e cigno si equivalgono simbolicamente, per gli Egizi il cigno è “l'oca del Nilo”: 4 oche venivano lanciate ai 4 punti cardinali per salutare l'incoronazione del faraone, l'oca è il simbolo geroglifico dell'imperatore.
A Roma è l'uccello di Giunone (insieme al pavone), la moglie di Brahma,Sarasvati, avanza su questi due stessi uccelli recando fra le mani un fiore di loto.

Si lancia un dado: i giochi di dadi erano permessi solo durante i Saturnali nell'antica Roma, il dado, con i suoi 12 angoli, simboleggia l'ordine materiale del mondo che viene dinamizzato nel lancio nel quale ognuno “gioca i suoi dadi”.
La prima casella parte come Io e torna come Noi: la prima casella, infatti, è direzionata verso la meta finale. Il gioco si snoda su 63 o su 90 caselle, due numeri per nulla casuali: 63 è la moltiplicazione di 7 e 9 , 9 è il numero del compiuto, prodotto della perfezione trinitaria. “7 è il numero di un affinamento interiore sofferto e costante, vivificato dalla presenza di veder esaltata la propria umanità nella rivelazione divina” (cit).
“Sette per nove, carne e spirito, spazio profano e spazio sacro, tempo ed eterno” (cit).
Il viaggio sul dorso di un'oca passa attraverso caselle “feriali” e caselle iniziatiche, come il ponte, simbolo della vertigine del passaggio, del collegamento, e la locanda, simbolo del nutrimento fisico, ma anche luogo di scambio e di incontri, zona di confine nella quale è necessari avere fiducia per mettersi nelle mani di estranei che curino il tuo cibo e il tuo riposo. Il pozzo (casella 31) è una bocca spalancata sul cielo, è intimità, raccoglimento, ritorno al grembo e all'umidità della placenta; collegata al pozzo, ma con nota negativa, è la prigione (casella 52), simbolo della vergogna. La casella 42 è il labirinto, immagine ben espressa dalla mitologia di Minosse e il Minotauro, è labor intus, lavoro interiore; al n. 58, infine, troviamo la morte.
Il libro di Roberta Borsani, arricchito da citazioni letterarie antiche e moderne e da approfondimenti etnoantropologici, è unico nel suo genere, e ben inserito all'interno di una collana “Amore e psiche” dell'editore Moretti e Vitali che offre titoli di grande qualità e intraprendenza.

“Il gioco dell'Oca è una bella e complessa metafora per dire che scegliendo liberamente ciò che ci è stato dato da vivere noi possiamo farne un viaggio, un viaggio verso casa” (cit.)

Roberta Borsani
Sul dorso di un'oca:
il simbolismo inziatico del Grande Gioco
Moretti e Vitali editore

January 10, 2017

   Elio Meloni è educatore, maestro di scuola elementare, formatore e pedagogista. Ha lavorato e lavora per scuole, enti locali, agenzie educative e formative, aziende, università, dedicandosi anche alla scrittura di articoli e saggi. L’editrice Claudiana ha recentemente pubblicato un suo gradevolissimo libretto dedicato al tema della “cortesia”. Più che una apologia di questo valore sempre meno facilmente rintracciabile nel nostro incupito mondo, il suo è una sorta di manuale per chi volesse aprirsi all’esperienza della gentilezza in modo ampio ed efficace, al fine di trarne giovamento interiore e al fine di costruire relazioni umane più ricche e più belle.

La gentilezza, dice Meloni, migliora le relazioni e “come l’olio ne tiene puliti gli ingranaggi”. La gentilezza è simile alle vitamine “piccole sostanze che tengono in salute l’organismo”, anzi, è paragonabile ai fiori che intelligentemente vengono fatti crescere negli orti: non come utile cibo per essere mangiato, ma per donare bellezza all’insieme, per rendere meno gravoso il lavoro quotidiano, per ricordarci che anche nel lavoro più faticoso è possibile incontrare piacevolezza. Ricevendola e comunicandola …

Meloni, quindi, ci propone una sorta di terapia dell’anima. Ispirandosi a varie fonti, da Paolo al buddhismo, da Ignazio di Loyola a Baden Powell, da Thich Nhat Hanh ad Anselm Grun, ci spiega che la gentilezza ci aiuta “ad allargare il cuore” e a rendere “più leggera la perseveranza”, e che ci

     “Rende grati per ogni cosa, ed è il risultato della gratitudine. Facilita il gioco e la messa in gioco, ed è il frutto di un gioco ben fatto!”

   Il libro di Meloni è un libro saggio e salutare. Ben vengano libri come il suo, capaci di insufflarci dentro sana e serena gioiosità, capaci di ricordarci il valore del distacco e la bellezza di un altruismo non nato “dallo sforzo titanico di essere buoni”, ma “dall’osservazione della comune appartenenza a una storia e a un luogo: la Terra”!

 

Elio Meloni
Cortesia
Pratiche di gentilezza quotidiana

Claudiana
Torino, ottobre 2016
www.claudiana.it

December 10, 2016

L’autrice romana Maria Letizia Putti torna ad affascinare i lettori con un nuovo romanzo dal titolo curioso ‘Lo scrittore non ha fame’ edito da Graphofeel, dopo il notevole successo della biografia romanzata de ‘La signora dei baci. Luisa Spagnoli’. Il libro è frutto di un percorso di scrittura in costante evoluzione. Una scrittura in movimento, che lascia intuire la volontà di mettersi in gioco partendo dalla storia di un uomo qualunque, un bibliotecario pendolare con due grandi passioni: la scrittura e la musica. La sua quotidianità divisa tra lavoro, famiglia e amici, prende una direzione insolita, quando l’ispirazione prende il sopravvento e le parole si susseguono tra i fogli, fino a dare forma ad un romanzo. Arriva il confronto con un editore, la pubblicazione e l’inaspettato successo. E si sa che non sempre è facile gestire qualcosa che non si conosce fino in fondo. L’autrice ci porta ad intuire i dubbi, le paure, le gioie e le ambizioni di uno scrittore che scopre il sapore della fama, fino a perdere i riferimenti del proprio equilibrio. Verrà il momento di fare delle scelte. Un viaggio interiore ed esteriore tra le emozioni, che rivela luci ed ombre di una realtà non facile da comprendere. Incontriamo la scrittrice proprio per capire meglio che cosa l’ha portata a pubblicare questo libro.

Dalla biografia romanzata de “La signora dei baci. Luisa Spagnoli” al romanzo “Lo scrittore non ha fame”, cosa è cambiato nella sua scrittura?

“Ho scritto il romanzo dello scrittore prima di quello sulla Spagnoli, ma le scelte editoriali della Graphofeel hanno dato la priorità alla Spagnoli. Nessun cambiamento nello stile di scrittura: “La Signora” è redatto al passato in terza persona, mentre “Lo scrittore” è al presente raccontato da un io narrante, come un diario; nei numerosi dialoghi ho usato, come impone la verosimiglianza, un linguaggio familiare, in qualche caso anche gergale, fiorentino, romanesco, italo-americano.

L’allungarsi dei tempi per la pubblicazione dello “Scrittore” mi ha dato modo di rileggere e di apportare qualche ripensamento. Un testo non è mai “congelato”, ogni volta che rileggo quanto ho scritto sono portata a limare, rivedere, modificare…Mai contenta della mia scrittura devo forzarmi a mettere un punto fermo e scrivere FINE, altrimenti proseguirei all’infinito…”

Il titolo del nuovo libro è piuttosto curioso, perché lo scrittore non ha fame? Cosa significa?

“Suscitare curiosità su un romanzo che parla di uno scrittore era l’intento che ha portato a creare un titolo dall’apparenza bislacca, pronto per essere interpretato secondo diverse chiavi di lettura: lo scrittore non ha fame perché quando è concentrato nello scrivere perde la nozione del tempo e dimentica di mangiare. Ma può essere solo un gioco di parole tra fame, una condizione comune a tutti i mortali, e Fama, la gloria a cui aspira chi scrive. In realtà nel testo troviamo il protagonista amante delle tavolate e della buona cucina, anzi, negli episodi di maggior tensione emotiva, Andrea sottolinea a gran voce la necessità di soddisfare i brontolii dello stomaco”.

Il protagonista è un bibliotecario pendolare. Un uomo che si divide tra lavoro, famiglia e due passioni: la scrittura e la musica. Che cosa l’ha portata a definire la personalità di Andrea?

Le Rocce 1 
 Le rocce

“Mi piaceva l’idea di cimentarmi con una favola moderna: nella vita quotidiana ci si scontra con mille difficoltà, nel romanzo un individuo normale riesce con le sue sole forze e con doti innate di scrittore ad emergere. Mi è piaciuto per una volta capovolgere gli schemi tradizionali: se non si conosce qualcuno non si può tentare la scalata al successo, ormai è un assioma ben chiaro della quotidianità contemporanea. Quindi questa storia è quasi una rivincita delle capacità personali sulle consuetudini attuali: una serie fortunata di circostanze e talento da vendere fanno aumentare la notorietà del protagonista fino a obbligarlo, con sofferenza, a scegliere tra la musica e la scrittura, a scapito della prima”.

C’è un elemento fondamentale nella scrittura di Andrea: l’osservazione. Anche per lei è essenziale scrutare il mondo, la gente, gli elementi per poi dare forma alla sua creatività?

“Per quale scrittore non è fondamentale il proprio vissuto e il mondo che lo circonda? C’è sempre qualcosa di personale in quello che si scrive, anche impercettibile, anche infinitesimale ma c’è. Diffidate di chi sostiene che i propri scritti sono pura e totale invenzione!”.

Se dovesse scegliere uno scrittore del passato a chi assomiglierebbe Andrea?

“Penso a nessuno, perché Andrea è una mia invenzione, non una persona reale. Non so cosa abbia scritto, quale sia il suo stile, non ho letto nulla di suo, l’ho solo immaginato e descritto, fino a raccontarne i successi ma null’altro. L’ho creato geniale, di talento, gli ho fatto scrivere parecchi lavori, di cui conosco le trame, ma non lo stile o la profondità dei contenuti; è qui che entra in gioco la valenza surreale dell’aver fatto di uno scrittore il protagonista di un romanzo!”.

Scrivere comporta un confronto con i lettori e con la critica. Se va bene si arriva ad assaporare il successo. Lei che rapporto ha con i suoi lettori?

“Sono ancora troppo “giovane” come scrittrice (non in senso anagrafico, ovvio!) per avere il termometro di quali siano i miei lettori e per poterne descrivere il rapporto. Per quel poco che intuisco, mi sembra che ci siano apprezzamenti, ma non mi piace parlare di me stessa, mi sembra di autoincensarmi e non è nelle mie corde. Lasciamo fare al tempo…”.

Che cosa si aspetta da questo romanzo?

“Che i miei venticinque lettori, reminiscenza manzoniana, apprezzino il frutto del mio ingegno”.

 

Maria Letizia Putti è romana, “emigrata” nella Tuscia meridionale. Laureata in Archeologia e topografi­a medioevale, ha insegnato storia dell’arte e collaborato con la Rai come scrittrice di testi radiofonici. Da anni si occupa di conservazione del materiale librario antico e moderno presso una biblioteca scienti­fica statale. Autrice di articoli tecnici e appassionata cultrice di musica, ha esordito nella narrativa con Il passato remoto (2014, riedito nel 2016 come e-book). Per la Graphofeel ha scritto la biogra­fia romanzata La signora dei Baci. Luisa Spagnoli (2016).

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