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DOPO LA TRAGEDIA DI GEORGE FLOYD, SEMPRE PIU’ EVIDENTE LA NECESSITA’ DI RIFORMARE LE FORZE DI POLIZIA IN USA

By Roberto Fantini July 08, 2020 3550

        

                 "Non posso descrivere il tipo di dolore che provi quando vedi il tuo fratellone, quello a cui ti sei ispirato per tutta la vita intera morire, morire chiedendo della mamma. Si è rivolto ai poliziotti chiamandoli 'signore' - ha continuato Floyd - ha avuto un atteggiamento mite, non ha reagito. All'uomo che gli ha tolto la vita, che lo ha soffocato per otto minuti e 46 secondi lui ha continuato a rivolgersi chiamandolo 'signore' e a supplicarlo".

                                                                                   Philonise Floyd (fratello di George)

                   In merito al brutale omicidio di George Floyd a Minneapolis, nell’ormai lontano 25 maggio, è emerso con indiscutibile chiarezza che non si è trattato di una tragedia isolata, bensì di uno degli ultimi casi di una lunga serie di atti di violenza di stampo razzista ai danni, in particolar modo, dei neri statunitensi e delle persone di origini ispaniche. Basti pensare, infatti, solo per fare qualche esempio di cronaca, all’uccisione di Ahmaud Arbery, uscito a fare jogging, a quella di Breonna Taylor, che dormiva nel suo appartamento allorquando la polizia ha aperto il fuoco, a quella (nello scorso aprile) del ventisettenne di origini ispaniche Carlos Ingram Lopez, o a quella recentissima (18 giugno) della guardia giurata di origine salvadoregna Andres Guardado di 18 anni.

Negli Stati Uniti, la polizia commette violazioni dei diritti umani a un ritmo estremamente insistente, soprattutto nei confronti delle minoranze, in particolare contro i neri afro-americani. Gli elementi oggettivi a disposizione sono oltremodo impressionanti:

sia nel corso del 2018 che nel corso del 2019, circa 1.000 persone sono state uccise a seguito dell’utilizzo di armi da fuoco da parte degli agenti.

Secondo i dati disponibili, gli afroamericani risultano colpiti dall’uso di forza letale da parte della polizia in maniera sproporzionata: sebbene costituiscano solo il 13 per cento della popolazione, rappresentano il 23 per cento delle vittime di queste uccisioni.

Una ricerca condotta da Amnesty International sulle leggi applicate a livello statale (laddove queste esistono) riguardo all’uso della forza letale da parte degli agenti delle forze di sicurezza, ha rilevato che nessuna di queste rispettava il diritto e gli standard internazionali relative all’uso della forza letale, secondo cui questa dovrebbe essere considerata solo come risorsa estrema, di fronte a una minaccia imminente di morte o ferimento grave.

Inoltre, dal 26 maggio al 5 giugno, i ricercatori di Amnesty International hanno identificato 125 casi in 40 stati degli Usa e nel Distretto federale di Columbia in cui è stata usata forza illegale nei confronti di manifestanti pacifici, giornalisti e persone che si limitavano a osservare.

Il Crisis Evidence Lab di Amnesty International ha raccolto quasi 500 video e fotografie delle proteste attraverso le piattaforme dei social media. Questo materiale è stato verificato, geolocalizzato e analizzato da esperti in armi, in tattiche di polizia e nelle norme vigenti negli Usa e a livello internazionale sull’uso della forza.

In una nota ufficiale, Brian Castner, alto consulente di Amnesty International su armi e operazioni militari, ha dichiarato:

               “La nostra analisi è chiara: quando gli attivisti e i sostenitori del movimento Black lives matter sono scesi in strada per manifestare pacificamente, hanno per lo più incontrato una risposta di tipo militare e subito violenze da parte proprio di quella polizia di cui chiedevano la fine dell’attitudine razzista“,.

L’uso illegale della forza, comprendente pestaggi, uso improprio di gas lacrimogeni e spray al peperoncino, impiego inappropriato di proiettili di gomma e granate a spugna, chiama in causa le forze di polizia locali e statali, le agenzie federali e la Guardia nazionale.

Ha poi aggiunto Castner che

                     “Il tempo per applicare un cerotto sulle ferite e chiedere scusa per poche ‘mele marce’ è finito. Ora occorre una riforma profonda e sistemica delle forze di polizia che ponga termine all’uso eccessivo della forza e alle esecuzioni extragiudiziali dei neri negli Usa. Queste comunità non possono più vivere nel terrore di essere colpite proprio da coloro che hanno giurato di proteggerle. I responsabili dell’uso eccessivo della forza e delle uccisioni illegali devono essere chiamati a rispondere”.

   In alcuni casi, i ricercatori di Amnesty International hanno anche avuto modo di intervistare vittime e funzionari dei dipartimenti locali di polizia, che hanno confermato le condotte illegali degli agenti.

La mappa interattiva di Amnesty International ha evidenziato violazioni dei diritti umani da parte delle forze di polizia nell’80 per cento degli stati degli Usa.

Infatti, le forze di polizia si sono rese responsabili di violazioni dei diritti umani non solo nelle grandi città come Minneapolis, Philadelphia e Washington, ma anche in piccoli centri come Louisville in Kentucky, Murfreesboro in Tennessee, Sioux Falls in South Dakota e Albuquerque in New Mexico. A Fort Wayne, in Indiana, ad esempio, un giornalista ha perso un occhio a causa di una granata contenente gas lacrimogeno.

Dal punto di vista giuridico, l’uso eccessivo della forza nei confronti di manifestanti pacifici viola sia la Costituzione degli Usa che il diritto internazionale dei diritti umani.

Le forze di polizia, che hanno, a ogni livello, il dovere di rispettare, proteggere e favorire lo svolgimento di manifestazioni pacifiche, di fronte a episodi di violenza, invece di reagire esclusivamente nei confronti dei responsabili, hanno fatto uso di forza sproporzionata e indiscriminata contro intere proteste, senza operare alcuna distinzione tra chi stesse minacciando realmente la vita di altri (circostanza nella quale l’uso della forza sarebbe stato legittimo) e chi stesse manifestando del tutto pacificamente.

Comunque, in seguito al diffondersi e all’intensificarsi delle proteste, non sono mancati, fortunatamente, concreti segnali di carattere positivo:

-         alcuni dipartimenti di polizia locali e di stato hanno avviato riforme parziali, come la sospensione dell’uso di alcune munizioni per il controllo della folla, come i gas lacrimogeni;

-         a Minneapolis il Consiglio locale ha votato a maggioranza per lo smantellamento delle forze di polizia e il rafforzamento di istituzioni dedicate a proteggere in modo efficace la sicurezza pubblica.

Ciò nonostante, Amnesty International ritiene indispensabile e non più procrastinabile  una riforma concreta e duratura delle forze di polizia in tutti gli Usa, che dovrebbe comprendere:

  • la fine delle esecuzioni extragiudiziali  da parte delle forze di polizia e l’assunzione di responsabilità per le loro morti attraverso indagini indipendenti, approfondite e imparziali che assicurino tra l’altro riparazione per le vittime e i sopravvissuti;
  • la garanzia che le manifestazioni pacifiche possano svolgersi senza violenza da parte delle forze di polizia e senza che manifestanti, giornalisti o semplici osservatori siano presi di mira;
  • l’approvazione di leggi federali, tra cui il PEACE Act, e di norme statali che limitino l’uso della forza da parte della polizia alle circostanze in cui essa sia strettamente necessaria e proporzionata alla minaccia in atto;
  • l’abolizione della dottrina giuridica della cosiddetta “immunità speciale“, un’ esimente che presuppone il comportamento in buona fede di un agente di polizia garantendogli pertanto una speciale protezione giurisdizionale;
  • l’approvazione di una legge federale per la smilitarizzazione delle forze di polizia.

             In conclusione, si potrebbe constatare come, nelle scorse settimane, siano state davvero numerose le riflessioni e le concrete prese di posizione in merito alla vicenda di George Floyd e dei volti efferati del fenomeno razzista negli USA ancora perduranti a più di mezzo secolo dall’assassinio di Martin Luther King, il quale continuamente ci ricordava che

           Va oltre ogni immaginazione pensare quante vite potremmo trasformare se dovessimo cessare di uccidere.”

Molto efficace, fra le tante parole di dolore e di analisi intelligente che sono state pronunciate, quanto scritto dalla giovane filosofa Marie Moise.

                               “Il corpo di Floyd, nel momento in cui è percepito come nero è già pericoloso, già da disarmare, già aggredibile per diritto. E ogni gesto di autodifesa del Nero, non può che essere percepito come riprova della sua natura violenta e aggressiva, da cui «legittimamente» difendersi. Ogni suo appello alla vita è inascoltato per definizione – Floyd non respirava, ma il poliziotto non si è preoccupato nemmeno per un attimo che potesse davvero morire – perché dai tempi della schiavitù la vita – e la morte – del Nero dura solo fino a che non può essere rimpiazzata con la successiva. È in particolare il corpo del nero uomo che ricade in questo schema percettivo, quello di una maschilità bruta e bestiale, antitetica all’unica riconosciuta, ovvero quella che crea l’associazione immediata tra maschio bianco e essere umano e che fa del nero un non-maschio e quindi non-umano.”

(http://www.osservatoriorepressione.info/diritto-respirare-nel-nome-george-floyd/)

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Last modified on Wednesday, 08 July 2020 20:52
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