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AUSCHWITZ, IL PAPA E DIO

By Roberto Fantini August 01, 2016 10569

Papa Francesco nella sua visita ad Auschwitz ha dimostrato, ancora una volta, di essere un papa speciale.
Si è coraggiosamente posto, infatti, l’interrogativo più scomodo e scabroso per chi vive nella fede, interrogativo che è anche il più doveroso per chi, alla propria fede, voglia garantire il crisma dell’onestà.
“Dov’è Dio - si è chiesto il pontefice - se nel mondo c’è il male, se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati? Dov’è Dio, quando persone innocenti muoiono a causa della violenza, del terrorismo, delle guerre? Dov’è Dio, quando malattie spietate rompono legami di vita e di affetto? O quando i bambini vengono sfruttati, umiliati, e anch’essi soffrono a causa di gravi patologie? Dov’è Dio, di fronte all’inquietudine dei dubbiosi e degli afflitti nell’anima?”

In una delle pagine più straordinarie della Notte di Elie Wiesel, nel corso di una impiccagione all’interno di un lager nazista, di fronte all’interminabile agonia di un povero fanciullo, dai prigionieri costretti ad assistere, si leva una voce che con insistenza si domanda dove sia il “Buon Dio”... E l’unica risposta che le viene offerta è la seguente:
“Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca ...” *
Parole raggelanti dai molteplici possibili significati, fra cui:
- In una umanità disumanizzata non c’è più tempo e non c’è più spazio per qualsiasi pensiero intorno a Dio.
- Dio è nostra vittima ingiuriata e sconfitta, una vittima che muore mille volte e in mille modi, per mano dell’uomo che tortura e macella i suoi fratelli.
- Eliminato il Dio trascendente, creatore e padre provvidenziale (da cui ci sentiamo traditi e abbandonati), l’unico Dio di cui è lecito ancora parlare è l’essere umano oggetto di oppressione e di tortura ... perché soltanto la vittima innocente può apparirci totalmente degna della nostra attenzione, delle nostre cure, della nostra mai sufficientemente espressa capacità di amare.
Francesco ci dice, però, che una simile domanda apparterrebbe a quelle per le quali non possono darsi “risposte umane”. Ma, nello stesso tempo, dice che l’unica cosa che possiamo fare è “guardare a Gesù” e che questa sarebbe la sua risposta:
“ ‘Dio è in loro’, soffre in loro, profondamente identificato con ciascuno. Egli è così unito ad essi, quasi da formare ‘un solo corpo’”.
Ma dire che Dio è in loro e che soffre con loro ci obbliga a mettere in soffitta millenni di speculazioni teologiche, ci obbliga a non parlare più di perfezione, di onnipotenza e di onniscienza e a liberarci pertanto dagli infiniti ingorghi logico-dialettici relativi a tali concetti. Ci obbliga a dire che l’unico dio che noi, oggi, sulla base della nostra sensibilità etica più matura, siamo disposti a concepire e a tollerare è il dio irreversibilmente sceso dall’Empireo e privato delle sue sfolgoranti nuvolaglie di angeli svolazzanti nei cieli ...

Possiamo, cioè, comprendere e “sentire” come “dio” soltanto un Essere che viva nella maniera più ampia ed autentica la capacità di abbracciare quelli che, con delicata affettuosità, Aldo Capitini denominava “ gl’infelici, i malati, i moribondi, gli stanchi, i deboli, gli sfiniti, i languenti, gli esauriti, i piagati, i paralizzati, i dimezzati, gli stolti, i pazzi, gli oppressi, gli sfruttati, i vinti, gli sconfitti, gli annullati” .**
Ma, allora, tutto questo avrebbe ancora qualcosa a che fare con la fede (che però il pontefice continua a raccomandare), con gli altari, con le dottrine confessionali, con qualche possibile gerarchia ecclesiastica?
Tutto ciò sembrerebbe avere a che vedere soltanto con la capacità dell’uomo di liberarsi dalle asfissianti architetture teologiche per lasciare spazio al sentimento sincero della compassione che ci induce a ritenere “divino” soltanto l’interesse puro e incondizionato verso la creatura sofferente, soltanto la capacità di aprire il nostro cuore e le nostre braccia al dolore del mondo. Oltre ogni separatività ... immersi in una fraternità senza confini ... Dopo millenni di conflitti feroci (non ancora dimenticati né tantomeno conclusi) in nome del proprio credo e del proprio dio (l’unico vero) ...
Ancora una volta, papa Francesco si trova di fronte ad un’impresa titanica, forse impossibile: cercare di conciliare il cattolicesimo della tradizione (con tutti i suoi dogmatismi astrusi, la sua sconfinata presunzione di eccezionalità e la sua prepotente arroganza clericale) con una sensibilità religiosamente aperta incentrata sui valori assoluti della pietas e della misericordia ...
Francesco, nel suo dire e nel suo fare, sembra voler sempre più dare peso a questa seconda istanza. Ma quanto a lungo dovrà/potrà trascinarsi il fardello della prima?
E potrebbe mai (ammesso che lo desideri davvero) riuscire a disfarsene?

*Elie Wiesel, La notte, Giuntina, Firenze 1986, pp.66-7.
**Norberto Bobbio, Introduzione a Aldo Capitini, Il potere di tutti, Guerra edizioni, Perugia 1999, p.19.

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Last modified on Monday, 01 August 2016 23:28
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