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RISVEGLI CHE DOVREBBERO FARCI RIFLETTERE: QUAL E’ IL CONFINE FRA LA VITA E LA MORTE?

By Roberto Fantini September 14, 2016 14684

La vicenda risale a diversi mesi fa, ma soltanto da qualche giorno i mass media sono stati in grado di farla circolare: Rosalba Giusti, madre di sei figli, si è risvegliata, dopo quattro anni di coma profondo.
Dichiarano i figli che i medici erano stati molto fermi nell’affermare che “non c’erano speranze”.


La neurologa Patrizia Pollicino ammette, molto onestamente, che, in 25 anni di carriera, mai le era capitato un simile caso e che, se fosse stata interrogata un anno fa in merito alla possibilità di un simile evento, la sua risposta sarebbe stata di netto segno negativo.

Paolo Maria Rossini, direttore dell’Unità di Neurologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, in una intervista apparsa su La Stampa (7/09/2016), riconosce che cimentarsi nel cercare di spiegare simili eventi “è come camminare su un campo minato” e che, risvegli analoghi si sono verificati anche dopo 10 anni ed anche più.
Rosalba non ha soltanto ripreso coscienza e ricominciato a parlare, ma dimostra, giorno dopo giorno, di essere padrona delle sue facoltà mentali e anche (cosa che andrebbe meditata con cura) di aver registrato informazioni relativamente a quanto accadeva intorno a lei durante il periodo in cui sembrava priva di vita.
Impressionante quanto dichiarato dai figli a proposito dell’eventualità che la madre fosse dichiarata cerebralmente morta (cosa felicemente non verificatasi): “Non dimenticherò mai la faccia dell’operatore che, dietro le porte della rianimazione, ci chiedeva il consenso per la donazione degli organi.”

Di fronte a vicende come questa (meno rare, a dire il vero, di quanto spesso si pensi), un pizzico di saggezza dovrebbe imporre a tutti noi una sana dichiarazione di agnosia, ovvero di pubblica ammissione di sapere di non sapere, coerentemente coronata da umilissimo e sapientissimo silenzio. Nello stesso tempo, però, casi del genere dovrebbero essere fatti oggetto di attento esame non solo fra gli addetti ai lavori, ma anche fra tutti quanti nutrono una qualche forma di interesse nei confronti delle tematiche di bioetica relative al confine vita-morte. Primi fra tutti, quindi, politici, giuristi e uomini di Chiesa. Coloro, cioè, che hanno poi voce in capitolo nel deliberare in merito a come la comunità civile dovrebbe porsi e comportarsi di fronte al “fine vita”, in merito a quali siano i confini fra sfera pubblica e sfera privata, fra lecito e illecito, fra bene e male, ecc ...
Ma tutti quanti noi dovremmo sentirci chiamati a riflettere con grande cautela e con grande disponibilità anche a mettere in discussione ed eventualmente a rivedere le nostre categorie interpretative, nonché le nostre (molto pericolose) certezze.

Proviamo a chiederci, ad esempio, cosa sarebbe stato di Rosalba Giusti qualora l’elettroencefalogramma fosse risultato piatto e i familiari avessero concesso l’autorizzazione a procedere alla cosiddetta “donazione” degli organi che, in assenza di autorizzazione convintamente consapevole del soggetto “donatore”, sarebbe indubbiamente più corretto chiamare “predazione”. Il corpo vivo di una persona erroneamente/ipocritamente dichiarata morta sarebbe stato smembrato, e i suoi organi funzionanti (perché vivi) “donati”, qua e là, a pazienti in attesa di trapianto. Con il conseguente puntualissimo tripudio della cagnara mediatica sempre pronta ad esaltare la perizia delle équipes chirurgiche coinvolte, la “provvidenziale” tempestività e l’efficienza di tutto l’ingranaggio ospedaliero, nonché (soprattutto) la toccante “generosità” dei parenti “donatori” di un corpo caldo e respirante, assolutamente non di loro proprietà ...
E quanto possiamo essere sicuri della sostanziale differenza fra la condizione che viene definita di stato vegetativo e quella che da circa mezzo secolo definiamo di morte cerebrale? Anche casi di persone classificate come cerebralmente morte e poi inaspettatamente (!) ridestatesi dal coma non mancano davvero*. In simili casi, i difensori ad oltranza della medicina trapiantistica si difendono chiamando in causa errori di carattere diagnostico. Ma chi ci garantisce che tali errori non siano accaduti in chissà quanti altri casi e che possano continuare a ripetersi? Ed errori di questo tipo possono rappresentare una vera e propria “condanna a morte” per individui ancora in vita e forse recuperabili alla “normalità” ...

Il caso della signora Rosalba, ci dicono, è un caso molto raro. Ma la rarità del fenomeno non ci autorizza affatto a minimizzarne la portata. Il filosofo Karl Popper, uno dei massimi epistemologi del XX secolo, ci ha ampiamente dimostrato che, in ambito scientifico (per quanto concerne il rapporto fra elementi pro ed elementi contro una qualche tesi), vige (e dovrebbe sempre essere rispettato) il principio di “asimmetria logica”. Ovverosia, è sufficiente un oggettivo elemento contro per far crollare le nostre certezze, in maniera del tutto indipendente e indifferente dalla quantità degli elementi pro: basta cioè un cigno nero per mettere fuori uso l’asserzione “tutti i cigni sono bianchi” ...

E quindi? Quindi dovremmo sentirci obbligati a riconsiderare e a ridiscutere (o, meglio, a cominciare - finalmente – a discutere sul serio) concetti come “stato vegetativo” e “morte cerebrale”. In particolar modo, ricordando che quest’ultimo concetto non è scaturito da ricerche/ scoperte scientifiche di chissà quale portata rivoluzionaria, bensì unicamente dalla esplicita volontà della famosa Commissione di Harvard che, nell’agosto 1968, decise, in modo del tutto arbitrario, di cambiare nome a quanto, fino ad allora, veniva denominato “coma dépassé” (coma irreversibile) ... Allo scopo dichiarato di sollevare famiglie e ospedali dal problema di persone in gravissime condizioni mantenute in vita grazie ai sempre più moderni sistemi di rianimazione e di evitare “controversie nel reperimento di organi per i trapianti”, ovvero evitare che i medici trapiantisti potessero essere accusati di omicidio. In pratica, appiccicando un’etichetta massimamente accomodante ad una condizione-limite di cui pochissimo (quasi nulla) sapevamo e continuiamo a sapere.
Ma il dare nomi alle cose non ci dà la conoscenza delle stesse e darne di nuovi non consente di modificare magicamente la loro sostanza ... Maneggiare con disinvoltura etichette lessicali ben lucidate , infatti, non può certo togliere il carattere di inesplorato e forse inesplorabile mistero a determinate condizioni della nostra misteriosa esistenza.

Chiediamoci, perciò, e continuiamo a chiederci, senza soggiacere, per disattenzione e per conformismo, a quanto ci dicono coloro che pretendono di sapere:
- È scientificamente possibile ottenere certezze incontrovertibili in merito all’irreversibilità di una condizione comatosa?
- È scientificamente dimostrabile la totale cancellazione di qualsivoglia forma di coscienza nei pazienti immersi nelle varie condizioni comatose (indipendentemente da come vengano classificate)?
- Il “morto cerebrale” che ha il cuore battente è veramente morto?
- Fino a che punto possiamo essere certi che coloro che classifichiamo come “donatori” di organi non conservino una loro sensibilità, una loro coscienza che noi siamo incapaci di riscontrare?
- Chi potrà mai darci la certezza assoluta che non siano proprio le operazioni di espianto (che non certo a caso vengono accompagnate da accurata sedazione) a determinare la morte (non certamente “naturale”) dei soggetti “cerebralmente morti”?
- Fino a dove può arrivare il nostro umano potere di negare ad un paziente immerso in una condizione a noi ignota e per noi inesplorabile nella sua intima essenza il diritto di continuare a vivere, la possibilità (per quanto remota) di recuperare il suo posto fra noi?

*Si veda, per un’ampia documentazione, il sito www.antipredazione.org

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Last modified on Thursday, 15 September 2016 18:15
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