L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Otre il digitale, l’umano resiste. La visione di Monsignor Staglianò e l’impegno dell’ENIA nel nuovo Umanesimo.

By Antonella Piliego July 14, 2025 717

 

L'intervento di Monsignor Antonio Staglianò

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessioni sull’intervento di Mons. Antonio Staglianò al Primo Simposio Pontificio sull’intelligenza artificiale.

Nel cuore del pensiero sulla tecnica, si rivela l’umano: presenza che ama nella ferita, genera senza replicare e si compie nel dono.

 

Il 24 giugno 2025, nella storica cornice di Palazzo Maffei Marescotti, si è tenuto a Roma il Primo Simposio Pontificio sull’Intelligenza Artificiale, intitolato “Intelligenza artificiale nell’economia del nuovo Umanesimo: l’impatto sul mondo del lavoro, le implicazioni etiche e la governance”.

Promosso congiuntamente dalla Pontificia Accademia Teologica, dall’ENIA (Ente Nazionale Intelligenza Artificiale) e dalla rivista JPE (Journal of Pluralism in Economics), l’incontro ha raccolto le voci più autorevoli del panorama nazionale e internazionale, aprendo un varco verso la comprensione profonda del rapporto tra tecnologia e destino umano.

 

Monsignor Antonio Staglianò, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia, ha innalzato la sua voce come un soffio profetico, capace di incidere il pensiero con la lama sottile dell’essenziale.

Al centro della sua riflessione, l’umano si svela come fiamma viva che arde nel dono, lasciando che nel gesto consumato per amore affiori la verità della sua essenza.

«Il tempo si dona, si brucia, si consacra», ha affermato e, in queste parole, si è accesa una verità che sfugge al calcolo e si libera nel generare senso.

Il dono diviene così offerta senza ritorno, spazio sacro in cui l’umano si rivela, irriducibile e luminoso.

 

In dialogo con questa visione alta e luminosa, la prospettiva istituzionale offerta dai rappresentanti dell’ENIA, in particolare dal suo Presidente Valeria Lazzaroli e dall’Avv. Fabrizio Abbate, Presidente del Salotto Letterario dell’intelligenza artificiale, ha restituito un quadro chiaro delle responsabilità che il mondo contemporaneo deve assumere di fronte all’avanzata delle tecnologie cognitive.

Nel crocevia del confronto, si è aperto uno spazio simbolico dove la poesia del teologo incontra il rigore dell’analisi etica, e l’intuizione spirituale si intreccia con l’azione politica.

È qui che si disegna il volto di un’intelligenza integrale, capace di riconoscere la differenza tra il produrre e il generare, tra il simulacro e la sostanza, tra ciò che può essere replicato e ciò che, invece, si tramanda solo per amore.

 

Valeria Lazzaroli: consapevolezza e formazione.

Nel primo panel, Valeria Lazzaroli, Presidente dell’ENIA, ha offerto una riflessione intensa sull’identità umana nell’orizzonte dell’intelligenza artificiale, ponendo al centro l’interrogativo sul senso del tempo restituito dalla tecnologia.

Da questa consapevolezza è scaturito l’invito a un’educazione accessibile e diffusa sin dall’infanzia, capace di formare costruttori di algoritmi, anime pensanti che non si limitino a utilizzare, ma sappiano comprendere e orientare.

Il suo intervento ha delineato un cammino di emancipazione, fondato sullo studio e sulla trasparenza, come strumenti per abitare consapevolmente l’innovazione.

In questo scenario, l’ENIA si profila come presenza lucida e custode attenta di un’etica del futuro condiviso.

 

Fabrizio Abbate: sfida globale e pace.

Nel primo panel, l’Avv. Fabrizio Abbate ha offerto una visione di ampio respiro, rifiutando di ricondurre l’intelligenza artificiale al paradigma della cosiddetta “quinta rivoluzione industriale”.

La sua riflessione ha intercettato una soglia più profonda, non un’evoluzione tecnica, bensì un passaggio ontologico che interpella il senso stesso dell’umano.

Ha posto con chiarezza il dilemma epocale che ci attende: l’intelligenza artificiale sarà replica delle nostre derive distruttive o saprà allearsi con la nostra parte più profonda?

Distinguendo tra tecnologie controllabili e un’intelligenza artificiale che apprende e decide autonomamente, Abbate ha lanciato un monito contro un potere digitale senza etica.

Il pericolo, ha chiarito, non risiede nella natura dell’intelligenza artificiale, ma nelle finalità del suo impiego, specialmente se piegata agli interessi di pochi.

La pace, a suo avviso, non è utopia ma condizione imprescindibile e requisito strutturale, per una tecnologia che non smarrisca sé stessa.

 

Oltre il digitale, l’umano resiste: Riflessioni sull’intervento di Mons. Antonio Staglianò.

Il  Simposio è stato inaugurato da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Antonio Staglianò, con un intervento che si è elevato a parola ispirata, limpida come fonte antica, capace di evocare visioni e destare coscienze.

I suoi enunciati, incandescenti nel senso più alto e spirituale, non seguivano un percorso argomentativo convenzionale ma nascevano da un'intuizione interiore, creando un significato vibrante che risuonava nel cuore e nella mente.

 

La Brutezza e il Sacrificio: contemplando l'abisso dell'anima digitale.

Monsignor Staglianò ha introdotto la sua riflessione citando un verso del Sommo Poeta, Dante, che ha squarciato il velo della densa caligine contemporanea: «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».

Un monito atavico, pur dolorosamente acuto nella sua perenne attualità, si è innalzato quale denuncia ineludibile.

L'umanità, oggi, sembra trovarsi su un crinale sottile, irretita da una riproduzione che manca d'anima, da una simulazione così pervasiva da occultare la vita stessa.

Proprio al vertice di tale antinomia, si staglia la sfida dell'intelligenza artificiale: la sua intrinseca abilità di replicare la forma si accompagna all'irriducibile incapacità di infondere l'essenza, quale soffio vitale che definisce l’umano.

La brutezza, nel pensiero di Monsignor Staglianò, non appartiene semplicemente al dominio morale o a un'estetica degradata. Essa rivela una crisi ben più profonda, l’erosione del fondamento relazionale dell’umano e il dissolversi silenzioso di quell’alleanza primigenia che dà forma alla soggettività e la apre all’altro.

In questa perdita, non resta che il vuoto di un’identità separata, chiusa alla reciprocità e incapace di generare legami.

L’archetipo di Bruto, evocato come simbolo, acquista un significato rivelatore.

Il colpo inferto a Cesare non rappresenta soltanto un tradimento politico, ma la negazione stessa della filiazione, lo spegnersi di un’intimità costitutiva.

Nel lamento antico di «Tu quoque, Brute, fili mi» risuona l’eco di un’origine spezzata, il venir meno del vincolo che fonda l’umano nella sua più profonda vulnerabilità.

Tra le pieghe di questa lacerazione si apre l’enigma dell’intelligenza artificiale, il cui rigore formale e potenza computazionale restituiscono soltanto simulacri, incapaci di tessere relazioni.
L’efficienza dell’algoritmo, per quanto perfetta, resta estranea alla grammatica del dono, alla fragile trama dell’affidamento, all’intima verità del dolore condiviso.

La logica che regola la macchina procede per estrazione e calcolo, ignara dell’ombra che accompagna ogni vera prossimità.

La brutezza, così intesa, non si manifesta attraverso l’assenza di bellezza o armonia, bensì nel venir meno dell’alterità come chiamata. L’altro non è più invocazione, perché diventa riflesso, superficie, replica, per cui la relazione si svuota, la voce si spegne e l’essere si riduce a funzione.

Dinanzi a tale baratro, Monsignor Staglianò ha innalzato l’icona del Crocifisso, figura che travalica ogni appartenenza confessionale e si manifesta come emblema universale dell’amore vulnerabile, capace di donarsi fino alla consumazione.

In quel volto ferito e glorioso, ha indicato la via dell’umano che si salva nell’atto di offrire sé stesso.
Proprio il dono, nella sua forma più radicale, ha rappresentato il cuore incandescente del messaggio. Il tempo, unico bene autentico, si consuma nell’atto stesso della sua offerta, e attraverso questa perdita si svela la sua verità. Donarlo significa rinunciare al calcolo, abitare la presenza, scegliere la prossimità all’altro oltre ogni utilità.
Nel gesto senza ritorno si riconosce l’impronta dell’umano, in grado di amare senza misura né strategia.
Nel discorso di Monsignor Staglianò, affondo teologico e confessione lirica insieme, vibra la visione dell’uomo come fiamma viva, capace di eccedere, sprecare gloriosamente, generare senso nel puro atto del donare.
Condividendo il tempo, abbiamo ritrovato noi stessi. E nel respiro di quel tempo dilatato, fragile e ardente, si è aperta la possibilità di un’intelligenza più alta, intessuta di ascolto, cura e gratuità.

 

La posta in gioco ontologica: Homoousios o Homoiousios nell'era dell'intelligenza artificiale.

Nel momento conclusivo del Simposio, Monsignor Staglianò ha condotto il pensiero oltre ogni questione pratica o tecnica, fino a toccare il cuore dell’esistenza umana, là dove si decide il senso profondo dell’individuo.

Sullo sfondo dell’espansione dell’intelligenza artificiale, ha tracciato con chiarezza una linea decisiva tra il produrre della macchina e la vocazione dell’uomo a generare. E questa differenza, che potrebbe sembrare sottile, è in realtà la soglia su cui si determina il valore dell’essere.

Da questa profonda intuizione si è dipanata una cruciale distinzione teologica: homoousios o homoiousios? Cristo è della stessa sostanza del Padre (homoousios) o soltanto simile (homoiousios)?

La questione, esplosa nel Concilio di Nicea, oggi risuona con nuova urgenza: ciò che l’intelligenza artificiale simula non è mai l’umano reale, ma un quasi-umano, un homoiousios, che inganna l’occhio ma non ha sostanza. 

La posta in gioco, dunque, è ontologica: se l’umano cede alla fascinazione dell’imitazione, rinuncia alla propria origine, alla propria verità.

L'intelligenza artificiale, nel suo prodigioso operare, è maestra indiscussa nel produrre. Essa elabora dati con velocità inaudita, sintetizza informazioni, crea simulacri, testi, immagini e persino musiche con una perfezione formale che può ingannare i sensi.

La sua logica è quella dell'assemblaggio, della combinazione, del calcolo di probabilità e schemi, una creazione per composizione che manipola ciò che già esiste. La macchina è capace di fare, costruire, replicare, muovendosi tuttavia entro limiti segnati da parametri precostituiti e da un sapere derivato.

Il generare, al contrario, è un atto intrinsecamente umano, un gesto che affonda le radici in una dimensione ben più profonda, quasi divina.

Generare è far essere l'altro nell'amore, dargli vita non per somma di componenti, ma per eccedenza d'essere. È un atto che non si esaurisce nella logica dell'efficienza o del calcolo, implicando una relazione, una vulnerabilità, un dono di sé che va oltre il misurabile.

Qui la distinzione si rivela in ogni sua fibra: la generazione è un mistero che si dona, mentre la produzione algoritmica resta un’operazione funzionale, che imita la forma senza raggiungere la relazione autentica.

Nessun algoritmo, per quanto sofisticato o "creativo" possa apparire, potrà mai varcare questa soglia del generare.

La ragione illuministica, dominata da spazio e tempo, si è trovata dinanzi a un limite invalicabile dall'intelligenza artificiale, la quale, nel suo operare, si è beffata del tempo stesso, compiendo calcoli infiniti in un istante.

La vera sfida, quindi, è “ripensare il pensiero”, superare la logica binaria, per attingere alla realtà che si cela nel "tra" l'essere e il nulla.

Chi, allora, romperà le catene di questa nuova caverna digitale? Chi ci restituirà al volto autentico dell'altro? Questo ruolo spetta al teologo, non al dogmatico, ma al poeta del mistero, al contemplativo dell'Invisibile. Egli dimora nella relazione originaria, in cui il Figlio si genera eternamente dal Padre, un mistero che trascende il tempo e la comprensione.

La potenza generativa non alberga nell’algoritmo, ma nella poesia, in quel paradosso e ossimoro che sfuggono all’intelligenza artificiale.

L’essere umano si distingue per la sua origine abissale, infinita, radicata in un grembo che genera realtà, non simulacri. In questa vertigine del sacro, comprendiamo che l’uomo è stato plasmato nell’eco della generatio aeterna, il Figlio generato dal Padre, non creato.

I dogmi cristiani, come quello della Vergine Madre, custodiscono un simbolismo inesauribile che orienta verso una verità generativa, resistente alla deriva funzionale del consumo. Preservarli significa tenere vivo quel nucleo che nell’umano resta irriducibile, l'essenza della sua dignità e della sua inestinguibile capacità di sperare.

È questa umanità a costituire il fondamento di una possibile etica, che non resterà un codice imposto dai potenti per omologare la nostra libertà.

Sarà quell'etica che, gravida di bellezza e di mistero, manifesterà iconicamente la realtà di un essere umano che, persino dinanzi alla più perfetta delle simulazioni, continua a brillare inconfondibile nella sua nuda e gloriosa verità.

 

Un coro di voci per il futuro.

Nel fluire del Simposio, altre voci hanno intessuto un mosaico di intuizioni e prospettive, arricchendo il confronto con saperi differenti e convergenti. L’Accademico Pontificio Mauro Alvisi ha presieduto i lavori con equilibrio e visione, affiancato dall’economista Giovanni Barretta, che ha posto con acume il tema cruciale del rapporto tra lavoro, reddito e intelligenza artificiale, prospettando anche scenari per una possibile coesione sociale fondata su un reddito di base.

Il giornalista ed editore Santo Strati ha saputo orchestrare il dibattito con sapienza dialogica, favorendo l’emersione dei diversi piani del pensiero. Marco Palombi ha riflettuto sulle implicazioni politico-economiche, Paolo Poletti ha sollevato le questioni di sicurezza digitale, mentre Rita Mascolo e Filomena Maggino hanno offerto letture sociologiche e statistiche di alto profilo.

L’intervento della designer Alessandra Torrisi ha introdotto la bellezza come lente interpretativa del futuro, e Massimiliano Gattoni, CEO di NeurMind AGI, ha chiuso i lavori con una visione lucida e concreta delle applicazioni emergenti.

Infine, la presenza istituzionale dell’onorevole Alessandro Caramiello, Presidente del gruppo interparlamentare Sviluppo Sud, ha ricordato quanto la dimensione politica debba farsi garante di un futuro umano per tutti.

 

Postilla personale: l'ardore eterno.

Scrivo queste righe ancora pervasa dal canto che ho ascoltato. Non riesco a definirlo un discorso, né una conferenza.

È stato un’intuizione incarnata, una fulminea epifania che ha squarciato per un istante il velo delle cose. Ho sentito che l’uomo, se saprà custodire la propria capacità di amare, di donare, di attendere, continuerà a brillare, anche sotto il gelo metallico dei circuiti.

E porto con me una promessa sottile, come un filo d’oro nascosto nella trama del quotidiano: finché sapremo donarci tempo, quel tempo che si dissolve e ci unisce, nulla sarà perduto. Perché anche nell’era dell’algoritmo, l’umano potrà ancora fiorire, come un canto d’amore che non teme il silenzio.

Che l'umano non si estingua, non si spenga mai, finché saprà ardere per l'Altro, nel sacro e inestinguibile fuoco dell'Agape.

 

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Last modified on Thursday, 17 July 2025 19:27
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