L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Spirituality (85)


 
Franco Libero Manco
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          Gli organismi viventi (prescindendo dai minerali) si dividono in 5 regni: batteri, protisti, piante, animali e funghi. Non è possibile stabilire una demarcazione netta tra il regno animale, vegetale e minerale. Nella scienza non esiste il concetto di organismi più evoluti e meno evoluti, o meno dotati. Se l'uomo ha maggiore intelligenza e linguaggio più articolato i pipistrelli hanno gli ultrasuoni e i serpenti a sonagli possono vedere i raggi infrarossi ecc. Ma è difficile stabilire se sia più “evoluta” la formica o l’albero di fico. Vi sono anche organismi vegetali che hanno caratteri acquisiti per derivazione, come il fiore, il frutto, il seme ecc., mentre gli animali ne hanno altri, come il sistema nervoso, ecc..   

          La vita è ciò che, attraverso le funzioni biochimiche, consente ad ogni organismo di svilupparsi e di progredire nel piano dell’evoluzione. L’uomo considera erroneamente il valore della vita della sua specie sostanzialmente superiore alla vita degli altri esseri viventi. In realtà non c’è la vita dell’uomo, la vita dell’animale e la vita della pianta, ma la Vita come realtà univoca che tutto pervade e tutto vivifica, con un unico gene di partenza. “Chi non rispetta la vita non la merita”. Così diceva Leonardo da Vinci.

          La Vita è paragonabile all’acqua che riempie e si adatta a recipienti di ogni  tipo e forma: in ogni recipiente vi è la stessa sostanza il cui valore non è in funzione né della forma occupata né del quantitativo contenuto. Da questo si può dedurre che qualunque uccisione che pone fine all’esistenza di un essere danneggia non solo la vittima ma la Vita: è come se la Vita fosse una moltitudine immensa di candele accese nell’universo: ogni candela che si spegne oscura un pò l’universo. Vi può essere una differenza di grado non di sostanza, come diceva Giordano Bruno e non solo; il recipiente può contenere a seconda delle sue capacità; l’intelligenza come il sentire può essere più o meno sviluppato a seconda della specie ma la sostanza è identica.

          Allo stesso modo l’intelligenza dell’uomo non è diversa dell’intelligenza dell’animale o anche della pianta (ammesso che si possa parlare di intelligenza della pianta). L’intelligenza, o  capacità di ragionare, è espressione unica in qualunque essere si manifesti; allo stesso modo il sentimento umano non è diverso dal sentimento animale (o della pianta): è l’identica sostanza che si manifesta in tutti gli esseri viventi. Credo che la natura (o Dio) non ha creato l’intelligenza dell’uomo, quella dell’animale o quella della pianta, come non ha creato una sfera emozionale per l’uomo diversa dalla sfera emozionale dell’animale o della pianta. Credo che ogni specie abbia le sue peculiarità e che queste siano più o meno manifeste a seconda delle esigenze vitali di ogni specie e della loro specifica esigenza di progredire.

          Corpo, Mente, Intelligenza, Sentimento e Vita siano realtà tra loro INSEPARABILI e comuni ad ogni organismo vivente, anche se è difficile pensare che la pianta abbia necessità della componente emozionale, dal momento che l’indagine umana riesce appena (per ora) ad individuarla nel mondo animale. Ma io ritengo che se manca una sola di queste componenti non è possibile che si manifesti la Vita.

 Da alcuni mesi, il monaco buddhista vietnamita Thich Nhat Hanh ha concluso la sua avventura terrena. E ci ha lasciato davvero molte cose preziose.

A tanti, ha tanto insegnato. Fra i grandi suoi insegnamenti, spicca, sopra ogni altro, quello relativo al modo in cui dovremmo rapportarci alla vita, assumendo una prospettiva di massima consapevolezza relativa alla bellezza di quanto riceviamo attimo per attimo, ed alle infinite opportunità che essa generosamente ci regala.

Thich Nhat Hanh è stato, forse, il maestro che più di ogni altro ci ha aiutato, con ferma quanto acuta delicatezza, ad aprire gli occhi e la mente per comprendere quanto le nostre esistenze siano ricche di incalcolabili tesori che troppo spesso, noi, schiacciati dal peso del passato e assillati dai pensieri timorosi e desiderosi sul futuro,  finiamo per ignorare, per dimenticare, per sperperare.

La nostra vera casa – ha scritto – è il momento presente. Vivere nel momento presente è un miracolo. Miracolo non è camminare sull’acqua. Miracolo è camminare sul nostro verde pianeta nel momento presente, per poter apprezzare la pace e la bellezza che ci si offrono proprio ora. La pace è ovunque intorno a noi, nel mondo e nella natura, e dentro di noi, nei nostri corpi e nelle nostre anime. Se solo impariamo a entrare in contatto con questa pace, a toccarla, saremo guariti e trasformati.” (Toccare la pace, Ubaldini Editore, Roma 1994, p. 7)

In definitiva, il messaggio più grande e più bello che ci ha affidato credo sia quello relativo al sentimento di costante gratitudine che dovremmo imparare a nutrire lungo il percorso del nostro cammino quotidiano. Messaggio tutt’altro che facile, scaturito da una esistenza colma di grandi sofferenze e di dolorose tragedie:

Siamo passati – scrive – attraverso sofferenze interminabili, un tunnel infinito di dolore e oscurità” (ivi, p. 105)

Un messaggio che, evidentemente, di tutto ciò proprio si è saputo nutrire, per riuscire a parlare ai nostri cuori, con una forza straordinaria intrisa di lirismo, di Amore e di Gioia … Nonostante tutto …

La pratica della consapevolezza è, infatti, un “importante agente di trasformazione e di guarigione”, che può consentirci di smettere di essere vittime della distrazione,  interrompendo di cercare “la felicità in qualche altro posto, ignorando e distruggendo i preziosi elementi di felicità che sono già presenti dentro di noi e intorno a noi.” La consapevolezza ci permette di cessare di innaffiare i “semi di infelicità” presenti in noi, spingendoci ad  innaffiare, invece, con premurosa cura, “i semi della pace, della gioia e della felicità ”. (ivi, p. 27 )

Ciò al fine di scoprire (o riscoprire) che

 “Tutti noi, i bambini come gli adulti, siamo dei bei fiori”,

e che, per conservare la giusta freschezza, è necessario apprendere a saper fermare, per il nostro bene e per il bene di chi ci vive accanto, “le preoccupazioni, le ansie, l’agitazione e la tristezza, così da poter trovare pace e felicità e sorridere ancora.” (ivi, p. 15)

Un insegnamento che può essere forse racchiuso efficacemente nell’invito che ci ha voluto rivolgere a renderci capaci di dire “grazie” con sincerità e con vigore per la miracolosa bellezza della Vita. Perché

 “Non c’è bisogno di morire per entrare nel Regno dei Cieli. Anzi, dobbiamo essere completamente vivi.” (ivi, p. 13)

Se la ragione, infatti,  ci obbliga ad essere severi nei confronti della realtà in cui viviamo, sia per quel che concerne l’operato umano, sia per il vivere stesso nella sua dimensione più naturale, il cuore di chi ha imparato ad osservare non può non esercitare una continua, sentita “pratica del ringraziamento”.

Come un canto di gioia, come una preghiera commossa, come una poesia …

 Ringraziamento per mille e mille cose che si verificano o che non si verificano, per tante e tante cose che si sperimentano, che si ricevono in dono …

Quante sono? Quanti di noi se ne accorgono davvero? O almeno un po’? Impossibile accorgersi di tutto quello che meriterebbe un “grazie”, ma dovremmo sforzarci di capire, di percepire …

Insopportabile chi considera tutto “ovvio”, come se tutto fosse “normale” o, addirittura, “dovuto”.

In realtà, se osservassimo attentamente  questa strana e terribile nostra esistenza, dovremmo accorgerci facilmente che nulla è dato per certo, davvero nulla. Da qui, la meraviglia di cui parlava Aristotele e da cui, sempre, bisognerebbe partire per dire qualcosa di sensato sul vivere.

Non è ovvio il fatto che i nostri polmoni funzionino, si allarghino, si riempiano di aria, la spingano fuori, senza fatica, senza dolore, senza rumore, senza comando, che facciano tutto da soli, anche se noi pensiamo ad altro.

Non è ovvio che il sangue ci circoli nelle vene, vada su e giù, irrorando tutto il nostro organismo …

E non è certo ovvio il fatto che  siamo in grado di sperimentare tutto ciò, di comprenderlo anche in parte, di riflettere sul perché, sul come, sul significato, ecc …

E’ tutto immensamente meraviglioso.

E’ tutto immensamente incomprensibile, inspiegabile, incomprensibilmente immenso.

Che tutto questo sia (invece che non essere) dovrebbe farci meditare per una intera vita. Ogni ora ha le sue innumerevoli cose per cui rallegrarsi, per le quali fare un passo di danza, lanciare un inno alto nei cieli …

Bisognerebbe iniziare la giornata ringraziando.

Bisognerebbe coricarsi cantando lodi di ringraziamento.

Non a qualcuno. Alla vita generosa che ci ha donato il respiro e innumerevoli attimi in cui avremmo potuto fare cose importanti e belle. E conta poco se non le abbiamo compiute: la vita ci aveva messo nella condizione di poterle fare …

Assumere l’atteggiamento del ringraziamento addolcisce l’animo, ci rende più attenti, più capaci di comprendere il valore delle cose. Ci aiuta ad assumere un’attenzione quasi religiosa nei confronti della nostra sorte quotidiana, a farci diventare parsimoniosi nell’uso del tempo, a toglierci dalla mente i rimpianti e le lagnanze di ogni tipo.

Ma ringraziare non significa accogliere la vita totalmente e incondizionatamente per quello che è. Non significa accettazione acritica e immobile. Significa cercare di comprendere la natura e il giusto significato degli incommensurabili “talenti” che ogni attimo contiene. E saperli apprezzare al meglio. E saperli ben impiegare, facendoli fruttare in tutto il loro  straordinario insondabile e imprevedibile potenziale.

 

Nel periodo presente, durissimo e tristissimo, pieno di incognite sommamente inquietanti e angoscianti, riconsiderare con grande attenzione il  messaggio di questo grande mistico vietnamita potrà rappresentare, credo, una fonte preziosa di luce aurorale e di fiduciosa visione del domani.

 

“ “Il miracolo è camminare sulla Terra”. Questa frase è stata pronunciata dal maestro zen Lin Ci. Miracolo non è camminare sull’acqua, o nell’aria, ma camminare sulla Terra. La Terra è talmente bella. E anche noi siamo belli. Possiamo concederci di camminare in consapevolezza, toccando la Terra, la nostra madre meravigliosa, a ogni passo. Non c’è bisogno di augurare agli amici: “La pace sia con te”. La pace è già con loro. L’unica cosa che dobbiamo fare è aiutarli a coltivare l’abitudine di toccare la pace in ogni momento.” (ivi, p. 13)

 

 

fratel Jean-Pierre Schumacher

Se ne è andato anche Jean-Pierre, l'ultimo monaco di Tibhirine, sopravvissuto alla strage del '96. Ci aveva raccontato la convivenza con i musulmani in Algeria, la notte dell'assalto islamista, la sua vocazione.

 

 

La settimana scorsa è morto fratel Jean-Pierre Schumacher, l'ultimo sopravvissuto al massacro avvenuto nel 1996 dei trappisti del monastero di Tibhirine, in Algeria, rapiti e poi uccisi da militanti islamici: due mesi dopo - la notizia fece il giro del mondo - le loro teste furono fatte trovare a un crocevia, dei corpi non si seppe più nulla.

Quella tragica notte fratel JeanPierre scampò al sequestro perché era di servizio in portineria, in un edificio adiacente al monastero. Se n'è andato all'età di 97 anni nel monastero di Notre Dame de l'Atlas a Midelt, in Marocco, dove allora dopo la strage: l'unica presenza trappista rimasta da in Nordafrica. Dove lo incontrai. Pubblichiamo parte di quel dialogo.

I sette monaci uccisi sono stati beatificati nel 2018 a Orano, insieme ad altri dodici martiri d'Algeria.

Perché ha scelto di farsi monaco?

«Ho sentito in me una chiamata per questa vocazione. Pensavo che Dio stesso mi chiamava, per dare totalmente a lui la mia vita. Mi piaceva molto vivere in un monastero: una vita di silenzio, di lavoro, di preghiera. Una vita fraterna, di comunità. Un cammino di comunione verso il Signore. Convertirmi a una vita sempre più disponibile verso Dio, e lasciarmi trasformare da Gesù. Sono arrivato a Tibhirine il 19 settembre 1964».

Com’era la vita laggiù all’epoca?

«Ci aveva chiamati il cardinale Duval, per conservare il monastero che stava per essere chiuso. Era dopo l’indipendenza dell’Algeria, l’ambiente era totalmente musulmano, non c’era un solo cristiano nei dintorni. Eravamo in montagna, sull’Atlante, a 1000 metri di altitudine. Questo era il progetto che ci hanno proposto: fare l’esperienza di una piccola comunità povera. In passato possedeva una proprietà di 150 ettari, ma era stata ceduta quasi interamente allo Stato. Erano rimasti una dozzina di ettari, di cui solo cinque coltivabili, e con quello bisognava vivere.

Dovevamo farci accettare come monaci e come francesi in un ambiente totalmente musulmano. Potevamo ispirarci ai documenti del Concilio riguardanti le religioni non cristiane, per poter instaurare un nuovo stile di relazioni.

Non cercavamo di convertire, ma solo una convivialità con la gente per progredire così nella mutua conoscenza, nella stima reciproca, e infine aiutarsi ad andare insieme verso Dio, ognuno con la propria fede. Per essere noi dei cristiani migliori e aiutare loro a essere musulmani migliori»

Qual è la sua idea sull’islam?

«È molto difficile da dire, perché l’Islam è qualcosa di molto vario.

Quello che ci è piaciuto molto a Tibhirine è stata la vicinanza alla gente, e il rapporto con dei Sufi che abbiamo conosciuto nel 1979. Ci incontravamo due volte all’anno da noi al monastero, partecipavamo ad un gruppo di spiritualità che si chiamava “il legame”. Ci avevano chiesto di non parlare di teologia perché non si poteva progredire molto così, dato che le nostre fedi erano differenti. Ci hanno proposto fin dall’inizio di pregare insieme, in silenzio. Eravamo riuniti in una saletta, con tappeti tutt’attorno e un tavolino in mezzo. Stavamo seduti per mezz’ora in comunione con Dio,».

Li chiamavate «i nostri fratelli musulmani».

«Sì perché volevamo che tutti fossero fratelli. Padre De Foucauld voleva essere il fratello di tutti gli uomini, qualunque fosse la loro religione e la loro ideologia. Questa è una meta verso la quale tendiamo incontrandoci con gente totalmente diversa da noi. A Tibhirine si diceva “i fratelli della montagna” e “i fratelli della pianura”: i fratelli della montagna erano i combattenti, che volevano un altro governo; i fratelli della pianura erano i militari. Chiamavamo fratelli sia gli uni che gli altri perché non volevamo prendere posizione nella battaglia che combattevano. Volevamo che tutti fraternizzassero».

Ci racconta il rapimento?

«Era la notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, verso l’una. Io ero portinaio notturno, mi sono svegliato al rumore delle voci davanti al cancello e ho pensato: “Ecco sono qua, sono quelli della montagna, i combattenti. Vorranno senz’altro vedere il dottore e ricevere delle medicine, avranno qualcosa da chiederci”. Toccava a me aprire il cancello, ma erano già entrati, erano vicini.

Allora vado a vedere alla finestra, senza accendere la luce, e ne vedo uno che entra con il suo turbante e il suo fucile in spalla dalla piccola porta del muro di cinta che dava sulla strada. Normalmente non sarebbe potuto entrare, visto che il cancello lo chiudevo tutte le sere con un grosso lucchetto. Fratello Christian, il priore, era uscito e ho pensato che fosse stato lui a farli entrare. Un quarto d’ora dopo sento la piccola porta che si richiude, quindi ho pensato che se ne fossero andati. Poco dopo qualcuno venne a bussare alla mia porta a vetro: apro e vedo padre Amedée che mi ha raccontato subito quanto era successo, e cioè che i padri erano stati rapiti e che eravamo rimasti da soli. Aveva trovato tutte le luci accese, e Frère Luc era sparito. Cristian anche lui era sparito.

I cassetti erano aperti, la stanza sottosopra; c’erano carte dappertutto per terra, e i fili del telefono erano tagliati. È salito al primo piano per vedere se c’era ancora qualcuno che non fosse stato preso, ma lì vede la stessa scena: le cinque stanze vuote e i cinque frati scomparsi. Padre Amedée e io abbiamo subito capito che i rapitori erano i combattenti islamici».

Cosa sente nei confronti di queste persone?

«Non so, è difficile per me giudicare, perché non so chi è responsabile. Da anni si indaga per sapere del rapimento dei fratelli e dove sono stati portati, come sono stati uccisi, chi li ha uccisi...Ancora non si sa. Le persone che hanno portato via i padri possono essere state utilizzate da altri. È difficile dare un giudizio. Noi ci aspettavamo che da un giorno all’altro succedesse qualcosa, dal 1993 vivevamo in una situazione di pericolo. Poteva accadere qualsiasi cosa in qualsiasi momento, e c’era talmente tanta gente nelle nostre stesse condizioni in tutta l’Algeria... Sono morte migliaia di persone».

Perché siete rimasti?

«Non eravamo unanimi all’inizio. Penso che la ragione principale sia la ragione stessa della nostra vocazione. Siamo stati mandati in Algeria per stabilire un contatto con l’Islam, per vivere con la gente una vita di convivialità e progredire in uno spirito di mutua fraternità. E la nostra vocazione, la nostra missione non era terminata nonostante quella situazione di pericolo. Nostro Signore è il nostro maestro, quello che ci ha mandati qua, ed è a lui che obbediamo. Penso che per noi andarsene sarebbe stato come per un soldato al fronte disertare. C’era una sola ragione che ci poteva far partire: la gente che viveva attorno a noi. Se loro ci avessero detto: “Dovete andarvene, perché la vostra presenza rappresenta un pericolo per noi” saremmo partiti. Ma era tutto l’opposto: volevano che noi rimanessimo, la nostra presenza era una sicurezza per loro, che erano in pericolo come noi. Uno ci disse: ”Se partite che cosa ci succederà? Siamo come l’uccello sul ramo: se si taglia il ramo dove si poserà?”. È stato un impegno nei confronti dell’Algeria e della popolazione locale, una sorta di matrimonio. Non eravamo lì per essere martiri, non era il nostro obiettivo. Il nostro obiettivo era rimanere con la gente, anche se si sapeva benissimo che si poteva finire uccisi».

Carlo Carretto si chiedeva: «Perché la fede è così amara?».

«Bisogna guardare alla vita di Gesù: è lì che si trova la risposta. Gesù ha vissuto una morte molto crudele e la ragione per la quale ha dato la sua vita liberamente si vede il Giovedì santo, quando ha preso il pane e ha detto: “Questo è il mio corpo offerto per voi, questo è il mio sangue versato per voi”. Ha dato la sua vita affinché noi avessimo la vita, la vita di Dio. Non ha esitato. Sapeva che poteva andare incontro a momenti molto difficili, ma non ha indietreggiato. Aveva paura della morte e delle sofferenze che lo attendevano; ha enormemente sofferto durante l’agonia ma alla fine ha detto: “Sia fatta la Tua volontà”. Allora, perché la fede è così amara? È a causa del male che c’è nel mondo».

Cosa può dire ai giovani?

«Oggi tanti giovani sono molto generosi, ma sono attratti da ogni sorta di oggetti in fondo inutili. E rischiano di dimenticare l’essenziale. L’essenziale è far sbocciare quello che c’è di meglio in noi, come dice Guy Gilbert, un educatore degli emarginati: “C’è in ogni uomo, nel suo profondo, qualcosa di intatto, che non è mai stato rovinato”. E questa parte, che abbiamo tutti, ognuno deve cercare di svilupparla. Ma per riuscire a farla sbocciare non è solo, c’è lo Spirito Santo che parla al suo cuore, lo può incontrare nella preghiera e gli indica il cammino. Ma ci sono anche le buone compagnie, ci sono le associazioni, i movimenti di giovani. Voglio usare un’immagine che mi ha offerto un Sufi: “Quando la farfalla batte le ali – mi diceva - produce delle onde che si ripercuotono fino in capo al mondo”. Chi cerca il bene, chi cerca di far sbocciare il meglio di se stesso è come questa farfalla: produce delle onde che vanno in capo al mondo, la sua vita non è inutile, partecipa a far salire il livello del bene e dell’amore. Nessuno è inutile con il Signore, non c’è disoccupazione, sia quando si è piccoli sia quando si è anziani: il cantiere è immenso e tutti sono invitati a lavorarci».

L'amore vince su tutto?

«Qualsiasi siano le difficoltà, le sofferenze, il male che c'è nel mondo, è l'amore che avrà l'ultima parola. Questo è un atto di fede; siamo fatti per l'amore; l'amore vincerà il maschio. Non con la forza, con le armi, l'amore trionfa sul male perché è più forte. Ma non basta la persona umana: l'amore è una relazione con Colui che è la sorgente dell'amore. Gesù ha patito sofferenze indicibili sulla croce, per ore e ore, ma le ha vinte restando amore. È così che ha trionfato sul male, è rimasto amore fino alla fine»


Vivendo ancora nei rei retaggi primordiali di natura predatoria l’essere umano rivela la sua insensibilità non solo verso chi soffre per cause a lui estranee ma quando egli stesso è causa di ciò che non vorrebbe mai succedesse a se stesso. Nessuna ingiustizia, nessun furto, rapina, stupro, violenza, guerra, dittatura; nessun popolo in fuga dalla miseria  sarebbe possibile per un’umanità la cui coscienza di tutti fosse sensibile e partecipe della condizione dell’altro.
L’inerzia e la non curanza verso gli effetti prodotti delle nostre azioni, delle nostre scelte quotidiane questo è il vero dramma del genere umano.  L’indifferenza (figlia legittima dell’egoismo) è ciò che rende l’uomo capace di qualsiasi delitto, ma quando si manifesta da parte di coloro che detengono il potere economico, politico o tecnologico, allora gli effetti possono essere devastanti perché in grado di condizionare e manovrare le scelte politiche, culturali, scientifiche, religiose di ogni paese.
Le grandi lobby attraverso i media riescono a creare esigenze e tendenze  i cui profitti economici vanno solo a loro vantaggio ma spesso a danno dei sistemi, della salute umana e dell’economia familiare. Anche nella scienza e nella ricerca la verità viene distorta con il veto sui risultati quando questi sono in antitesi con le aspettative di chi ha pagato la l’indagine. 
La politica delle multinazionali improntata sul profitto e sul fatturato passa come un rullo compressore sulla vita di tutti. Se il potere economico condiziona l’evoluzione della cultura libera e democratica il compito di chi ha l’obbligo di tutelare il bene della popolazione dovrebbe essere di   impedire la concentrazione di grandi capitali nelle mani di pochi e fare in modo che parte di questi siano utilizzati a creare lavoro per la popolazione.
Ma le multinazionali sono fatte di uomini è se questi sono tendenzialmente avidi  e di natura predatoria è su questi che bisogna intervenire affinché  il loro operato non sia a danno della comunità ma a beneficio di tutti. Questo è un problema antico come l’uomo. L’animo umano, aperto e sensibile alle necessità del prossimo, alla sofferenza dei deboli, degli indigenti, non si improvvisa. E’ la cultura antropocentrica dominante che ha depauperato negli esseri umani l’etica, la morale, la spiritualità abituandoli alla logica del dominio, del forte sul debole, del fine che giustifica i mezzi.
Per umanizzare i meccanismi, i sistemi, occorre umanizzare gli uomini perché tutto dipende, da sempre, dalla coscienza umana che a sua volta condiziona il modo di pensare e quindi i sistemi economici, politici, culturali, scientifici, tecnologici ecc.. Ma come umanizzare gli uomini? Come renderli più giusti, responsabili e sensibili? La capacità di immedesimarsi nelle esigenze degli altri deve essere la legge morale che governa la vita dei popoli. Questo può avvenire solo attraverso una politica ed un sistema educativo da parte dello Stato, della scuola e della famiglia in modo da mettere al primo posto i valori fondamentali della vita, di giustizia, lealtà, onestà, trasparenza. E anche se questo è un progetto a lunga scadenza (ma non utopia), se mai si inizia un percorso mai si arriva alla meta.

 

Fra i tanti piccoli e grandi tesori della letteratura filosofico-religiosa di ogni tempo, credo che un posto di particolarissimo rilievo dovrebbe essere riservato al testo del Dharmapada (in lingua sanscrita) o Dhammapada (in lingua pali), presente all’interno di quell’ immenso contenitore che è il Canone Buddhista. Un testo che, nonostante le innumerevoli differenziazioni di correnti e di scuole prodottesi col fluire degli anni (già nel secondo secolo dopo la morte del Buddha si registravano ben 18 varietà dottrinali!), è pressoché universalmente ritenuto una sorta di vero e proprio distillato del pensiero filosofico e del messaggio etico-soteriologico buddhisti. E ciò, nonostante risulti oggettivamente impossibile ricostruire in maniera perfettamente fedele l’autentico pensiero di Gautama: nulla egli scrisse di suo pugno e, prima della stesura scritta delle sue parole, ebbero a trascorrere interi secoli di intensa tradizione orale.

All’interno delle numerose tematiche affrontate nel testo, mi limiterò a soffermarmi soltanto su alcune di esse, dall’ indubbia rilevanza:

  • la centralità del piano mentale non soltanto nell’interpretare e valutare la realtà, ma nella stessa costruzione di questa;
  • la rigorosa correlazione sussistente fra tutto ciò che in noi nasce e si riversa al di fuori di noi e quello che è il fluire della nostra coscienza e della nostra esistenza;
  • il primato di un’ etica “autonoma” (indipendente, cioè, da intercessioni salvifiche, “grazie” e miracoli soprannaturali, mediazioni sacerdotali, ecc.), fondata sulla conoscenza di sé e sulla razionale consapevolezza delle proprie responsabilità nei confronti di tutto ciò che vive.

Già in apertura del testo, ci imbattiamo in alcuni versetti che contengono sinteticamente tutti questi concetti:

1. Gli elementi della realtà hanno la mente come principio, hanno la mente come elemento essenziale e sono costituiti di mente.

Chi parli oppure operi con mente corrotta, lui segue la sventura come la ruota segue il piede (dell’animale che traina il veicolo).

Chi parli oppure operi con mente serena, lui segue la felicità come l’ombra che non si diparte.

(Capitolo primo, Yamaka vagga, Canone Buddhista, a cura di Pio Filippani Ronconi, UTET, Torino 1976)

La mente umana, secondo questa prospettiva, non è destinata ad essere mera spettatrice e osservatrice passiva di un mondo che sussiste in maniera del tutto svincolata rispetto ad essa, ma è chiamata (come ci diranno anche Protagora e Kant), a porsi come centro gravitazionale di una realtà che si modella perennemente in rapporto alle nostre scelte, al nostro essere e al nostro voler essere, e che, proprio da tali scelte, acquisisce senso e valore.

E, al contempo, neppure la realtà è qualcosa di statico. Non è, cioè, oggetto passivo del nostro conoscere e del nostro agire, ma, modellandosi sulla base del nostro pensiero, si relaziona a noi in maniera consequenzialmente coerente, presentandosi a noi certamente come nostra creatura, ma anche come severa forza creatrice dialetticamente incombente sul nostro cammino.

Sta a noi, quindi, decidere in che tipo di mondo vivere.

In un mondo, cioè, dove i nostri pensieri e le nostre azioni colmeranno, goccia dopo goccia, la giara della nostra coscienza e del nostro cammino con marasmi egocentrici impregnati di rivalità, ostilità, odio, desiderio di potenza e di vendetta, oppure in un mondo in cui regnino sovrane le virtù della maitri (amorevole benevolenza), della karuna (compassione), e della mudita (gioiosa letizia).

E a ciascuno di noi spetta la scelta di intraprendere o meno un sentiero di purificazione della propria mente, di progressivo distacco dalla dimensione desiderativa, di apertura del proprio cuore verso tutto ciò che soffre.

A ciascuno di noi spetta di scegliere come modellare il proprio destino: continuare a scivolare sul mondo, come l’uomo “che coglie i fiori” e che viene portato via dal flusso del divenire come un fiume straripante travolge un villaggio addormentato, o rapportarsi alla realtà come l’ape che sa raccogliere il succo dei fiori senza arrecare alcun danno. Come chi vive nella distrazione e nella ricerca mai appagata dei piaceri, o come chi, messi da parte ogni aspro giudizio e ogni risentimento nei confronti dei torti altrui, tutto si concentra sul significato e sulle conseguenze del proprio agire, simile a un fiore magnificamente colorato che diffonde il profumo delle sue virtù anche controvento (Capitolo IV, 47-54).

Come chi, volendo la propria felicità, non si fa scrupolo di colpire esseri che bramano anch’essi la felicità, e che, vivendo come in una bolla d’acqua, si immerge nella sola dimensione dell’avere, oppure come chi, rallegrandosi per la virtù del donare, riesce ad alzarsi in volo come uccello sfuggito alla rete (Capitolo XIII, 170-177).

Dalla lettura del testo (accessibile anche a coloro che non godono di particolare familiarità col mondo culturale dell’antica India), emerge in maniera evidente come l’intento della predicazione del Buddha sia stato, prima di tutto (come ha ben colto il Radhakrishnan), quello di conferire all’impegno etico e al problema della salvezza un posto di assoluta centralità, liberando il territorio della riflessione e della ricerca dalle “pedanti distinzioni delle astruse metafisiche”, “dall’ abitudine del questionare senza posa” e dal “raffinarsi della ragione nelle sottili dispute delle sette” (La filosofia indiana, Einaudi, Torino 1974, p. 360). Facendo in modo che la caoticità dominante in sede di dibattito teoretico non finisse più per adombrare ed inquinare l’ambito della coscienza etica. E ciò affidandosi non certamente al principio di autorità, bensì esortando sempre ad una personalissima assunzione di responsabilità e attingendo forza e sostanza non da formule sacerdotali e magici rituali, ma dall’esame lucido della realtà, dal rigore della logica e dalla acutezza delle conoscenze di natura psicologica.

Il cammino della salvezza, infatti, liberato da superstizioni e scetticismi, è qualcosa che riguarda unicamente il singolo individuo.

La dottrina proposta non si dovrà mai basare su dogmatismi inverificabili: il Buddha a tutti dice di “venire a vedere con i propri occhi”, ponendosi egli non come un Salvatore-Liberatore, ma come chi desidera insegnare il modo per potersi liberare con le proprie forze.

Quando Ananda, il discepolo più vicino al Buddha, gli domandò come comportarsi, in futuro, nell’organizzazione e nella gestione della comunità monastica, ricevette la seguente risposta, che, assai emblematicamente, racchiude lo spirito autentico della saggezza buddhista, efficacemente espressa in tutto il testo del Dharmapada:

“Siate voi stessi la luce che v’illumina;

siate voi stessi il vostro rifugio;

non ricorrete ad alcun rifugio esterno; attenetevi fermamente alla verità come a un rifugio;

non cercate rifugio in nessuno, all’infuori di voi stessi.” (ivi, p. 431)

SATHYA SAI BABA RISPONDE.

DOMANDA: "in questo cambiamento spirituale che sta accadendo, qual é il ruolo dell'Italia?"
SAI BABA:
"Se l
ʼ Italia non si é ancora fatta a pezzi, é per via delle benedizioni dei grandi santi.
Questa é la terra di Dio.
Questa é la terra dei santi.
Tutti loro non sono andati da nessuna parte. Sono tutti quì, vi proteggono, sono qui a dirvi la verità.
Ci Saranno momenti molto gloriosi Più avanti e Cio che sta per Accadere nel futuro e che potrete testimoniare Nella Vostra vita è di gran lunga al di là di Quanto SIA mai accaduto nella storia dell
' umanità.
Questo tempo meraviglioso è davanti a noi. Siate preparati.
Siate fiduciosi.
In tempi a venire, la Divinità in ciascuno sorgerà e molte persone in tutto il mondo predicheranno la verità che tutti sono Uno.
Coloro che non riusciranno a capire questa verità periranno, proprio come le piante muoiono quando le stagioni cambiano.
Coloro che seguono il percorso del dharma (cioè della giustizia) saranno protetti dal dharma.
Verrà un momento in cui in tutto il mondo ci sarà soltanto una religione:
la religione dell'amore.
Le persone saranno stufe della meschinità, dell'egoismo, dell'avidità e dell'odio e porranno fine a tutto ciò.
Si sveglieranno alle necessità del mondo e diventeranno altruiste, poiché il futuro non gli lascerà scelta.
In futuro, non ci sarà spazio, opportunità od occasione per gli egoisti, in quanto essi periranno come risultato delle loro stesse azioni, senza l'intervento di nessun altro.
Se non si adatteranno al futuro, andarsene, proprio come gli alberi periscono quando la stagione cambia, secondo la legge dell'evoluzione.
L
ʼ evoluzione è l'unica via. Il futuro è per il Divino, non per chi è semplicemente umano. Se non vi eleverete per diventare divini, non sarete adatti al futuro.
Le campane che suonano per annunciare questa nuova era sono al contempo campane d'allarme, perché vi ricordano quanto ancora deve essere fatto: sì, sono un promemoria. Perciò, questi sono tempi che offrono molte opportunità. Dovete cambiare in meglio.
Vi sto spaventando?
Non c'è nulla di cui aver paura.
Questi esami ci devono essere: alla fine dell'anno tutti devono supportare gli esami. Perché avere paura quando l'insegnante è con voi e sta insegnando?
Se ce la mettete tutta, imparerete la materia e passerete facilmente tutti gli esami.
Questi cambiamenti avverranno nei prossimi anni e molto rapidamente.
Dal 2020 al 2027 ci saranno dei cambiamenti rilevanti nel modo di pensare e nel modo di vivere della gente.
Ogni cosa andrà incontro a uno straordinario mutamento.
Ciò che potrebbe apparire come distruzione e annientamento è in realtà un processo di purificazione e ricostruzione.
Srishti, sthiti, laya (creazione, conservazione e distruzione) sono tutte parti dell'opera di Dio.
Dovete rimuovere le erbacce affinché possano crescere l'albero.
Il mondo deve subire un cambiamento improvviso di grande entità.
Questi sono i dolori che bisogna subire, i dolori del parto, per far nascere la Nuova Era.
Succederà. Nessuno può fermarlo, né può evitarlo, perché non c'e
ʼ scelta, fa parte del piano.
Se seguite il piano, sperimenterete la felicità; se resistete, sperimenterete la sofferenza.
Vedrete.
Generalmente, ogni volta che predico qualcosa la gente non comprende,
in quanto non l'ha mai visto prima e non sa cosa possa essere.
Tuttavia, gradualmente, anno dopo anno, veder il cambiamento.
Siate felici di essere testimonianze di un racconto Era. Non accade spesso.
Tutti saranno divini, traboccanti di energia divina, vibranti di amore divino.
Così diventerà il mondo intero.
Non ti preoccupare.

Il futuro dell'Italia é al sicuro, ma il futuro non é come ti aspetti che sia.
Il progresso non é al di fuori, ma é dentro.
Questa terra non sta per perire.
Coloro che non insieme questi allo spirito di questa terra, sì che periranno.
Coloro che sono dharmici e spirituali continueranno a prosperare.
Quando l
ʼ Età dell ʼ Oro albeggerà, alcune piante sopravviveranno, alcune piante periranno.
Alcune persone passeranno alla nuova era, alcune persone se ne andranno, poiché questa è l
ʼ ora più buia prima dell'alba.
C
ʼ e ʼ così tanta irrequietezza nel mondo, ma questo va solo a profondamente che l ʼalba sta per arrivare presto; così Io vado in giro a parlare del grande messaggio di amore e di servizio, che vi aiuterà a sbarazzarvi delle vecchie abitudini di egoismo e attaccamento e vi aiuterà ad evolvervi nella nuova era.
Quindi, sì, è necessario preoccuparsi per tutti gli altri, ma in primo luogo, guardate dentro e vedete in che misura vi siete evoluti."

Non condivido queste parole come seguace di Sai Baba ma so che ogni persona che ha toccato una certa qualità spirituale non può che riconoscere il valore evolutivo storico-sociale spirituale politico strategico creativo dell'Italia al cospetto del mondo così come non si può ignorare la problematica di tutti gli ebrei per i ritardi che stiamo vivendo per colpa di un popolo che non vuole riconoscere il Cristo.

Ci sono moltissimi passi in cui Rudolf Steiner già all'inizio del secolo parlava della funzione organica dei piccoli stati come dei piccoli organi senza i quali però la vita non è possibile; non si tratta più di un dominio territoriale numerico ma di una contingenza qualitativa di relazioni karmiche e spirituali con le verità soprasensibili di cui l'unica scienza capace di parlare in questo momento è la scienza dello spirito.

Credo che lo scopo dell'esistenza umana sia quello di arrivare  ad essere liberi da condizionamenti mentali, culturali, da tradizioni  sbagliate, da assurde superstizioni; liberi dall'egoismo, dal rancore,  della critica disfattista, dalla maldicenza, dall'invidia, dal carattere  impulsivo, dalle proprie stranezze e debolezze; insomma da tutto ciò che di  inopportuno sfugge ad al controllo razionale ed emotivo. Il fine è quello di  rendere l'individuo padrone del proprio destino, del proprio bene, della  propria felicità, consapevole che il nostro equilibrio e la nostra  serenità dipende dagli altri non si è veramente liberi e non si ha attuato  lo scopo dell'esistenza . Insomma, quanti più vincoli e catene ha il nostro essere tanto meno siamo completi, realizzati e felici.

 

           La libertà di se stessi non si ottiene dall'appagamento dei  propri impulsi ma dal dominio degli stessi. L'incapacità di dominare  un'offesa, un'accusa, un'ingiustizia, un torto subito, un desiderio  sfrenato, ingiusto e dannoso, indica che non si è padroni della propria  mente, del proprio cuore, delle proprie emozioni, del proprio corpo .

 

           Ma nulla è più plasmabile dell'animo umano. La qualità dei  pensieri da ciò che si mangia e dalla volontà di lasciarli permeare  dalla legge del cuore. Ragione e sentimento sono compenetrabili e la  volontà è il mezzo attraverso cui è possibile plasmare la sfera del  sentimento. Ed io rivendico la superiorità del sentimento sulla ragione.

 

Dunque, la natura umana è modificabile spostando la volontà verso la  dimensione del cuore. La ragione, staccata dal sentimento è sterile, produce  pensieri senz'anima, egoistici, predatori. Per questo, a mio avviso, è  fondamentale promuovere la cultura del sentimento come ciò che è mancato e  che ancora manca alla cultura umana; una cultura che concorda all'individuo  di realizzare integralmente se stesso e, di conseguenza, rendere migliore  questo mondo.

 

 

AFORISMI

All'origine di ogni conquista sta il dominio di se stessi 

Nel dubbio, prima di ogni azione, segui il cuore più che la mente 

Ogni giorno la vita ti rinnova la possibilità di essere migliore 

Supera le tue chiusure, le ostinazioni, le debolezze e cerca di non fare mai

lo stesso errore 

Il buon carattere apre tutte le porte 

Il solo modo per essere felice è quello di essere migliori 

I momenti difficili, le prove sono il mezzo per superare i propri limiti 

E' la prova che rivela la nostra vera natura 

Equilibrio e moderazione sono sempre sinonimo di forza 

Fuggi la lite, la provocazione, la volgarità, la violenza, 

anzi prodigati per ristabilire la pace e l'armonia 

Non è la vittoria sugli altri ciò che conta ma il trionfo su se stessi

I TRE PRINCIPALI OSTACOLI AL PROGRESSO CIVILE, MORALE E SPIRITUALE DELL'UOMO   

 

Tre sono i principali ostacoli al progresso che apre alla cultura del bene, dell'intelligenza critica positiva, dell'etica universale: i mezzi di informazione di massa al servizio delle grandi lobby agroalimentari / zootecniche / chimico / farmaceutiche, la medicina sintomatologica e l ' insensibilità umana originata dalla visione antropocentrica. Tutti e tre contribuiscono a frenare l'evoluzione integrale dell'uomo.

 

I mass media condizionano la mente della popolazione rendendo indispensabile ciò che è sempre stato superfluo, spingendo la gente a consumare prodotti propagandati come necessari e benèfici mentre sono un vantaggio solo delle grandi lobby e spesso causano danno alla salute delle persone e del pianeta. I mezzi di informazione che dovrebbero contribuire al vero progresso culturale, morale e spirituale della popolazione, sono improntati a dare al popolo quello che il popolo (condizionato) chiede, non quello di cui ha realmente bisogno, favorendo la società dell'apparenza, dell 'esteriorità, dell'immagine, del cattivo gusto, della volgarità. Propongono violenza, sesso, arrivismo, edonismo, senza curarsi del danno che procurano. Quanto più un popolo è ignorante, affamato e bisognoso di protezione tanto più è vulnerabile e facilmente manovrabile. La medicina sintomatologica considera la malattia un fatto ineluttabile; interviene sui sintomi; non cerca di rimuovere le cause e autorizza implicitamente a persistere nei cattivi stili di vita e negli errori alimentari assoggettandolo passivamente alla cure farmacologiche che spesso causano effetti iatrogeni (naturalmente senza disconoscere il grande contributo dalla medicina in tutti i casi di urgenza ed in fatto di chirurgia ). Un meccanismo che asseconda le aspettative del popolo inerte e bisognoso di avere buone notizie sulla propria cattiva condotta; un popolo che esige dal medico la pillola che consente di non rinunciare alle abitudini indotte dal sistema. Il medico tende a sottovalutare l'importanza dell'alimentazione mentre questa è in grado di condizionare non solo la salute del corpo ma della mente e della coscienza.

 

Il vero medico dovrebbe operare per prevenire più che curare, correggendo gli errori e gli stili di vita delle persone. La mancanza di sensibilità umana, che trae la sua origine nella cultura antropocentrica e autorizza l'essere umano a dispone di un suo vantaggio di ogni altra forma di vita; lo inclina alla logica della supremazia del forte sul debole, al fine che giustifica i mezzi, al deprezzamento del valore della vita e delle differenze in natura, e all'indifferenza verso la condizione dell'altro; questo preclude i valori di compassione e condivisione imprescindibili per una società umana giusta, civile e solidale.

 

Quel che succede nel mondo è la sommatoria del livello evolutivo dell'intelligenza e delle coscienze individuali. Se ciò che rende l'uomo capace di compiere il male, di usare violenza e commettere ingiustizie di qualsiasi natura, è la mancanza di compassione, l'incapacità di immedesimarsi nella vittima e di condividere le esigenze vitali; questo lo abitua all'accettazione passiva della guerra, alla morte per fame e malattie di milioni di persone ogni anno nel mondo, all'uccisione di miliardi di animali nei mattatoi, nei laboratori di vivisezione, nei boschi, nei mari… rallenta, ostacola il vero progresso integrale dell'uomo.

Si ha l'impressione che l'umanità sia giunta ad un bivio, ad un punto  cruciale della sua storia; la sensazione che tutto sia fragile, precario,  incerto, di essere come sul filo del rasoio in cui da un momento all'altro  tutto potrebbe precipitare. I delitti si manifestano in modo sempre più  numerosi e agghiaccianti. La povertà dilaga, la fame e le malattie  imperversano, l'economia vacilla, la natura cade sotto la scure degli  interessi economici, l'inquinamento ci impedisce di respirare, i media, al  servizio di una cultura decadente improntata sul profitto, sull'apparenza e  sulla volgarità, destabilizza le nuove generazioni e genera incertezza,  paura, edonismo, povertà morale, ignoranza, maleducazione, volgarità,  isolamento.

La crisi che si sta vivendo non è politica, sociale, economica, o culturale:  è crisi di ideali, di valori e mette sotto accusa la coscienza umana, la  mancanza di punti di riferimento, di giustizia sociale, di onestà  individuale, di apertura alla collaborazione, della responsabilità personale  verso la collettività; valori che non si improvvisano.

Non basta dire giustizia, diritti, per avere giustizia e diritti. Non basta  elencare ciò di cui ha bisogno l'essere umano per uscire dalla crisi, dal  pantano: se non c'è una forte volontà politica a livello nazionale e  mondiale, di un progetto capillare di educazione delle masse ai valori  fondamentali della vita, della pace, della giustizia sociale, all'onestà  saremo condannati a permanere in questo stato di cose, con prospettive poco  rassicuranti.

Tutto questo è l'effetto di un'umanità malata, smarrita, stordita,  perché ha trascurato la componente fondamentale della sua natura: la sua  dimensione etico / spirituale. Che è come aver dimenticato di mettere il  carburante nell'automobile per poi chiedersi perché non cammina.

Dare valore allo spirito significa dare ascolto alla propria coscienza; significa credere nel bene collettivo che passa attraverso la vera maturità  di se stessi: un cambio di stile di vita e di scelte personali; significa  credere nella dimensione a venire in cui il bene avrà il sopravvento sulla  disarmonia, sul materialismo e sull'interesse di parte; significa credere  nello spirito cosmico che tutto vivifica, che tutto pervade e spinge tutti  gli esseri verso la loro evoluzione; significa dar valore alle cose che non  passano con la vita; significa identificarsi e incarnare in se stessi  quell'ideale che vorremmo si realizzasse in questo mondo. Il resto è  demagogia.

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“Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova guidato da  coppieri che gliene versano quanti ne vuole fino ad ubriacarlo, accade  allora che se i governanti tentano di resistere alle sempre più esigenti  richieste dei sudditi sono definiti tiranni. Ed avviene puro che chi si  dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è considerato un uomo  senza carattere, un servo; che i padri impauriti finiscono per trattare i  figli come pari e non sono più onorati; che i maestri non osano più  rimproverare gli scolari, che se ne beffano; e infine che i giovani  pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi e questi,  per non sembrare troppo severi, danno loro ragione. In un siffatto clima di  libertà, e nel nome della medesima, finisce che non vi è riguardo né  rispetto per nessuno. Allora, in mezzo a tanta licenza, nasce e si sviluppa  una mala pianta: la dittatura ”. (PLATONE da La Repubblica, libro VIII)

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