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XVII CENTENARIO DEL CONCILIO DI NICEA-BRICIOLE DI STORIA E DI LIBERA RIFLESSIONE CRITICA (OLTRE LA RETORICA E L’ APOLOGIA)

By Roberto Fantini May 21, 2025 89

 

Nel diciassettesimo capitolo della Bolla di indizione del Giubileo ordinario 2025, Spes non confundit (La speranza non delude), papa Bergoglio evidenzia che, proprio nell’anno in corso, si compiranno 1700 anni dalla celebrazione del Concilio Ecumenico di Nicea, momento di fondamentale importanza nella storia del cristianesimo, da lui definito “pietra miliare nella storia della Chiesa”, in quanto avrebbe avuto “il compito di preservare l’unità, seriamente minacciata dalla negazione della divinità di Gesù Cristo e della sua uguaglianza con il Padre”. 1)

Francesco, con particolare enfasi, sottolinea il fatto che l’espressione “Noi crediamo” adoperata dai Padri conciliari in apertura del Simbolo niceno (divenuto poi il nucleo fondante del Credo tuttora adottato) costituirebbe la “testimonianza che in quel “Noi” tutte le Chiese si ritrovavano in comunione” e che “tutti i cristiani professavano la medesima fede”.

Ora, però, nella versione latina del Simbolo niceno leggiamo semplicemente: “Credimus …”. Il “Noi” di cui parla Francesco (che non compare neppure nella traduzione italiana presente nell’Enchiridion Symbolorum del Denzinger), quindi, risulta essere una opinabile forzatura letteraria, utilizzata, non certo per superficialità, con il preciso obiettivo di sottolineare il carattere unitario dei cristiani di allora in funzione dell’unità tanto (ancora invano) invocata dei cristiani di oggi.

Dice il papa, infatti, che Nicea rappresenterebbe un invito  rivolto “a tutte le Chiese e Comunità ecclesiali a procedere nel cammino verso l’unità visibile”, e, a tutti “i cristiani a unirsi nella lode e nel ringraziamento alla Santissima Trinità e in particolare a Gesù Cristo, il Figlio di Dio, “della sostanza del Padre”, che ci ha rivelato tale mistero di amore”. 2)

Ora, però, ad una onesta osservazione degli eventi storici, le cose appaiono in termini alquanto differenti.

Il Concilio venne convocato, organizzato, finanziato e attentamente supervisionato da Costantino (pontifex maximus  della tradizionale religione romana), all’interno del palazzo imperiale di Nicea. Ad esso presero parte circa 300  Vescovi (si ignora il numero esatto), con schiacciante maggioranza di rappresentanti delle chiese orientali. Neppure Silvestro, il vescovo di Roma, fu presente, limitandosi ad inviare, in sua vece, due preti plenipotenziari.

Al fine di comprendere il senso di tale iniziativa intrapresa da parte di un imperatore pagano (che si farà battezzare soltanto in punto di morte) non particolarmente interessato a sofisticate disquisizioni teologiche, occorre fare riferimento al clima di grande eterogeneità e conflittualità che contraddistingue il mondo cristiano dell’epoca, caratterizzato dalle innumerevoli discussioni e divergenze relative sia ad aspetti di carattere dottrinale che disciplinare. In particolar modo, in una fase storica in cui esistevano numerose comunità di matrice cristiana, con orientamenti di pensiero spesso divergenti (in disaccordo anche sui testi da considerare “rivelati”), una violenta disputa teologica attraversava l’intera cristianità, soprattutto per quanto concerne la parte orientale dell’Impero: quella relativa alle peculiari problematicità del monoteismo cristiano, all’interno del quale si trovavano a convivere, con non piccole difficoltà, sia la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, sia quella in Dio Padre, creatore del mondo. In particolare, stava godendo di rilevante diffusione il pensiero teologico di Ario, onesto presbitero libico, il quale, in un’ottica di impronta gnostico-neoplatonica, coerentemente e rigorosamente monoteistica, si rifiutava di attribuire natura pienamente divina ed eterna alla persona del Figlio, ritenendolo creato, prima di tutti i tempi e prima di ogni altra creatura, dal Padre, l’unico Ente correttamente definibile come Dio.

La controversia tra i fautori del presbitero alessandrino Ario e i suoi avversari definiti di solito “cattolici” oppure “ortodossi”, riguardava il problema di determinare la relazione tra Dio Padre e il Figlio di Dio. A tale questione ci si interessava ormai da tempo: i teologi del III secolo oscillavano nelle loro risposte da un rigoroso monoteismo che imponeva di vedere in Cristo solo un “modo” (…) di manifestarsi di Dio, privo di una forma fissa, a una netta affermazione della diversità tra Padre e Figlio, con chiara accentuazione della gerarchia tra le persone della Trinità”. 3)

Le tesi di Ario, quindi, poi ampiamente anatemizzate e demonizzate dall’opposta fazione (la quale si troverà a determinare i contenuti dottrinali “ortodossi” del Credo cristiano) riconoscevano l’esistenza di “un solo Dio”, considerato senza inizio e quindi eterno, che, come tale, non poteva condividere la sua unicissima e immodificabile natura divina con altri enti. Il Figlio, pertanto, doveva essere considerato “creatura” del  Padre (l’unico vero Dio), utilizzata per la creazione del mondo e per agire in esso, creatura perennemente perfetta, ma pur sempre creatura “creata dal nulla”, sostanzialmente diversa e quindi gerarchicamente subordinata al Padre.

Nel più antico documento della controversia, la lettera ad Eusebio di Nicomedia, Ario scrive:

Veniamo perseguitati perché abbiamo detto: “Il Figlio ha principio, mentre Dio è senza principio”. Per questo siamo perseguitati, e perché abbiamo detto: “Deriva dal nulla”. Così abbiamo detto, in quanto non è né parte di Dio né deriva da un sostrato. Per questo siamo perseguitati.” 4)

Ario riteneva di ricavare le sue tesi dall’esame delle fonti evangeliche, soprattutto per quanto concerne le sofferenze e i dubbi relativi alla natura umana di Gesù e facendo leva su non pochi passi scritturali in cui si  mette in luce il rapporto subordinato rispetto a Dio:

Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo”, Mc 10, 17-18;  “… il Padre è più grande di me”, Gv 14,28; ecc.

Al contrario, Alessandro, vescovo di Alessandria (all’epoca, la sede vescovile più importante dopo quella di Roma), affermava che il Figlio deve essere ritenuto coeterno al Padre:

il Padre è sempre stato Padre: è Padre sempre avendo accanto a sé il Figlio, grazie al quale è chiamato Padre. Ed essendo sempre il Figlio accanto a lui, sempre il Padre è perfetto, non mancando di alcuna perfezione, né nel tempo né dopo un intervallo né dal nulla avendo generato il Figlio unigenito”. 5)

Dopo accese discussioni, prevalse la posizione sostenuta dal vescovo Atanasio (assistente di Alessandro e suo successore) che riuscì a far trionfare, avvalendosi di categorie concettuali e di terminologia di derivazione classica, la tesi della consustanzialità (mèros homooùsion) del Padre e del Figlio: “Dio vero da Dio vero; generato non creato (natum non factum); della stessa sostanza del Padre”.

Ad un sereno esame  libero da fideistici pregiudizi, le posizioni di Ario, a dir la verità, appaiono non prive di logica e filosoficamente ben costruite ed argomentate. Qualcuno potrebbe, infatti, comprendere e onestamente spiegare (al di là delle labirintiche dissertazioni teologiche inquinate da macroscopici antropomorfismi) perché il Figlio, se considerato coeterno e consustanziale al Padre, meriterebbe lo status ontologico di “Figlio”?  Ovvero, se entrambi partecipano della stessa sostanza divina eterna, perché andrebbero poi distinti e diversamente denominati e come potrebbero, soprattutto, non costituire, allora, due  divinità della stessa natura e di identica dignità concettuale (in palese contrasto con le più ovvie esigenze monoteistiche)?

Quanti cristiani – mi chiedo – sarebbero in grado di comprendere quanto ha recentemente affermato l’apposita Commissione Teologica Internazionale, davvero con cristallina sobrietà di linguaggio, relativamente alla capacità del Cristo di farsi rivelatore della

inaudita paternità intra-divina di Dio, fondamento della sua paternità ad extra”?

Ora, però, facendo a meno di ricorrere alla credenza in interventi di natura soprannaturale, come giustificare la sconfitta di Ario e dei suoi seguaci?

Indispensabile, a questo punto, tenere ben presente che:

  • Costantino è il vero regista di tutta l’operazione nicena.
  • Costantino, al di là della ingannevole e fuorviante santificazione di cui è stato fatto oggetto, è un criminale spietato, responsabile dell’assassinio di numerosi parenti (fa cui anche il figlio Crispo e la moglie Fausta).
  • Ciò che lo preoccupa non è certo stabilire chi, fra i vari padri contendenti, sia detentore di una cosa chiamata “verità”.
  • Dal suo punto di vista, le questioni dibattute risultano “meschine e di poco conto”, “chiacchiere di un ozio inutile”, una contesa, insomma, “ banale e di poca importanza”, addirittura “irrilevante”.
  • Costantino manifesta forte diffidenza verso le questioni teologiche dibattute, rimproverando duramente tutti i contendenti, accusati di atteggiamento volgare, degno di “menti infantili piuttosto che essere adeguato all’intelligenza di sacerdoti e uomini saggi”. 6)
  • Il suo obiettivo, perciò, è di riuscire a creare (imporre) un accordo in merito almeno alle cose essenziali, in modo da poter ottenere per sé, finalmente cessate le infuocate e turbolente diatribe, “giorni sereni e notti tranquille”. 7)
  • Ciò che lo preoccupa veramente, comunque, è la situazione pratica, di grande conflittualità e caoticità che non agevola affatto la coesione e la stabilità politica.
  • Costantino “vuole mettere ordine nell’impero e collega con chiarezza l’aspetto politico-militare a quello religioso: se si realizzasse “una comune concordia tra i servi di Dio”, ne trarrebbero giovamento anche “le esigenze della cosa pubblica” ”. 8)
  • Da abile stratega, è convinto che il raggiungimento di un solo credo e, soprattutto, di una sola Chiesa, sia funzionale (al pari della compiuta riorganizzazione dell’esercito) al conseguimento di un solido ordinamento unitario. La concordia a cui aspira dovrà fondarsi contemporaneamente su un esercito agguerrito ed efficiente e su una Chiesa compatta e militante: “Chi avesse onorato debitamente Dio, infatti, avrebbe servito al meglio anche lo Stato.” 9)
  • Il sostegno concesso al partito antiariano non scaturì certo da valutazioni di carattere teorico, ma dalla praticissima strategia di appoggiare la fazione che, ai propri occhi, appariva più probabilmente in grado di raggiungere un consenso maggiormente allargato all’interno delle chiese e delle masse dei fedeli (nell’ambito dell’assemblea conciliare, gli ariani erano soltanto una ventina, quindi una ben piccola minoranza).
  • L’adesione quasi unanime alla formula vincente risulterà oggettivamente condizionata dalle pressioni e dalle minacce esercitate dallo stesso imperatore: coloro che si opposero (Ario, due vescovi libici e un prete) furono infatti condannati all’esilio.
  • Che la scelta costantiniana fosse basata su calcoli strategici, e non su profonde e sentite ragioni di pensiero, è altresì possibile desumerlo dal fatto che, nel corso degli anni successivi, mutati i rapporti di forza, l’imperatore cambiò di orientamento, appoggiando la fazione filoariana, riabilitando lo stesso Ario (che però morì subito dopo), spedendo in esilio, al suo posto, Atanasio e, particolare non proprio trascurabile, facendosi battezzare in punto di morte dal vescovo ariano Eusebio di Nicomedia.
  • La tanto enfatizzata unità raggiunta a Nicea, oltre che coercitivamente pilotata (se non addirittura estorta), si rivelerà, di lì a breve, estremamente fragile: la controversia, infatti, andò allargandosi, coinvolgendo quasi tutte le chiese orientali, e richiedendo, in tal modo, ulteriori interventi dell’autorità imperiale di turno. Basti pensare che, verso la metà del secolo IV, le “sedi ecclesiastiche più importanti, come Alessandria, Antiochia, Costantinopoli, Cesarea di Palestina, Sirmio nei Balcani e nell’Italia Milano, ebbero vescovi filoariani.” 10)
  • Considerando che, all’inizio del quarto secolo, “Non esisteva ancora né un’ortodossia ufficiale né una dottrina generale della chiesa intorno alla questione trinitaria, bensì soltanto tradizioni e progetti teologici concorrenti”, la teologia elaborata da Ario, non avrebbe potuto neppure essere definita “eretica”, ovvero deviante da una non ancora esistente “retta fede”. 11)
  • Da Nicea non scaturì una Chiesa “una”, né tantomeno “santa e apostolica”. A partire da Nicea, in seguito alla politica portata avanti da Costantino, culminante in quella adottata da Teodosio e da Giustiniano, si andrà sempre più affermando, all’interno della Chiesa di Roma (in nome dell’unica verità, dell’unico Dio e dell’unica via di salvezza) un atteggiamento devastante di intolleranza verso ogni forma di diversità religiosa (pagani, ebrei, “eretici”), disposto a fare uso anche delle più estreme forme di violenza.
  • Tale teologica intolleranza fece sì, tra le varie cose, che innumerevoli “varianti della fede, un tempo sostenute da credenti sinceri, in buona fede e intelligenti, siano state abbandonate, distrutte e dimenticate, così come i testi che questi credenti creavano, leggevano e veneravano.” 12)

 

A fare luce sul contesto in cui si è andato definendo il Credo cristiano, in modo da prendere le distanze da facili trionfalismi apologetici e da manipolazioni ideologiche dei dati storici, potrebbe bastare, forse, la seguente analisi, decisamente  amara, proposta dall’ Enciclopedia Cattolica, alla voce Arianesimo:

 

Disgraziatamente per la Chiesa, i primi imperatori cristiani, cioè Costantino e Costanzo II, - bisogna notare che tutti e due non furono battezzati che sul letto di morte e da ariani, - vollero dogmatizzare cercando di sostituirsi al vescovo di Roma, capo della Chiesa e regolatore della sua unità, e divennero così il balocco di prelati intriganti o vendicativi.” (mia l’evidenziazione)

In conclusione, quando Bergoglio ci dice che

Il Concilio di Nicea ebbe il compito di preservare l’unità” del cosiddetto “Popolo di Dio e dell’annuncio fedele del Vangelo” 13),

ci offre una valutazione ben poco rispondente alla effettiva realtà storica.

Il mondo cristiano delle origini è costituito, infatti, da una coloratissima galassia di pratiche religiose e di credenze teologiche in competizione fra di loro, per cui: all’epoca di Nicea, non poté esserci nessun attacco all’ “unità”, per il semplice fatto che l’ “unità” ancora non esisteva.

La fazione che riuscì ad imporsi sulle altre, si preoccupò di riscrivere con grande cura “la storia della controversia, facendo vedere che dopotutto non c’era stato un grande conflitto e affermando che le proprie opinioni erano sempre state quelle della maggior parte dei cristiani, fin dai tempi di Gesù e dei suoi apostoli, e ribadendo che la propria interpretazione di fatto era stata sempre “ortodossa” (letteralmente: “di fede retta”) e che gli avversari, con i loro testi scritturali “diversi”, avevano rappresentato poche schegge impazzite dedite a ingannare la gente per spingerla all’eresia (…).

Ciò che il Cristianesimo guadagnò alla fine di questi conflitti antichi fu la convinzione di essere nel giusto e di esservi sempre stato. Ne guadagnò anche un credo, a tutt’oggi recitato dai cristiani, che affermava le credenze giuste in contrasto con quelle eretiche e sbagliate”, nonché una teologia trinitaria, un ben definito canone di Scritture (il cosiddetto Nuovo Testamento) e, cosa non certamente secondaria, “una gerarchia di capi ecclesiastici in grado di mantenere viva la chiesa  e sorvegliare l’aderenza alla fede e alla pratica corretta”. 14)

Ma, chiediamoci, quante forme di Cristianesimo, di ricerca spirituale e di autentica esperienza religiosa sono andate perdute, deformate o sistematicamente cancellate, ad opera della Chiesa trionfante? E come e quanto ne siamo stati tutti noi, credenti e non credenti, irrimediabilmente impoveriti?

Nel celebrare Nicea, la Chiesa cattolica  celebra innanzitutto sé stessa, come suprema e provvidenziale fonte di luce nel mondo, e l’unità che essa invoca (l’unica per lei desiderabile ed accettabile), è, come sempre, l’unità conseguibile al di sotto del suo manto maternamente protettivo.

Per coloro che guardano con sospetto e diffidenza alle celebrazioni fideistiche ed apologetiche, ripensare criticamente Nicea potrebbe rappresentare, invece, una preziosa opportunità per sollevare questioni e porre interrogativi, e, soprattutto, per meglio comprendere come, all’interno del variegatissimo cristianesimo delle origini, “soltanto un gruppo sia riuscito a imporsi come dominante nel campo della religione, stabilendo per i secoli successivi ciò che i cristiani avrebbero dovuto credere, frequentare e leggere come Sacra Scrittura.”  15)

Senza dimenticare che, qualora i conflitti si fossero risolti diversamente, “forse gli abitanti dell’Occidente (cioè noi) sarebbero rimasti politeisti fino a oggi e avrebbero continuato ad adorare gli antichi dèi della Grecia e di Roma; oppure l’Impero avrebbe potuto convertirsi a una forma diversa di Cristianesimo, e lo sviluppo della società e della cultura occidentale avrebbe preso strade che non possiamo neanche immaginare.” 16)

E senza dimenticare, soprattutto, che la Chiesa uscita vittoriosa dal Concilio di Nicea diventò presto la grande madre dei fedeli che, nei secoli, si dedicheranno al pio massacro di milioni di persone in nome della raggiunta unica “verità” e di un ben poco compreso “Dio di misericordia”…

 

NOTE

  1. Papa Francesco, Spes non confundit. Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025, San Paolo, Milano 2024, p.56.
  2. Ivi, p. 57.
  3. Ewa Wipszycka, Storia della Chiesa nella tarda antichità, Bruno Mondadori, Milano 2000, pp. 169-170.
  4. Gian Guido Vecchi e Giovanni Maria, La scommessa di Costantino. Come il Concilio di Nicea ha cambiato la storia, Milano 2025, p. 67.
  5. Ivi, p. 80.
  6. Ivi, p. 78.
  7. Karlheinz Deschner, Storia criminale del Cristianesimo, tomo I, Ariele, Milano 2000, pp. 223-4.
  8. Giovanni Filoramo, Daniele Menozzi (a cura di), Storia del cristianesimo. L’antichità, Editori Laterza, Bari 1997, p. 300.
  9. Norbert Brox, Storia della Chiesa, 1. Epoca antica, p. 154.
  10. Bart D. Ehrman, I Cristianesimi perduti, Carocci, Roma 2003, pp. 320-1.
  11. Papa Francesco, op. cit., p. 56.
  12. D. Ehrman, op. cit., p. 21.
  13. Ivi, p. 9.
  14. Ivi, p. 23.

 

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Last modified on Wednesday, 21 May 2025 10:54
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