L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Dal Sake giapponese ai Distillati cinesi l’Oriente vuol dire la sua

By Urano Cupisti June 12, 2019 5132

 
 la masterclass di sakè

Il Sake

Lo dico subito: non sono un intenditore di Sake ne bevitore. Solo curioso di conoscerlo, entrare in questo mondo particolare, capire gli aspetti più importanti, da dove proviene, la preparazione, le tipologie e i semplici motivi per bere sake.

Riso, acqua, spore Koji e lievito Kobo.

Questi gli ingredienti per ottenere il sake dopo un processo di doppia-fermentazione.

Qualcuno, in occidente, lo chiama “vino di riso” e i giapponesi se la ridono. Non è vino di riso ne liquore ne distillato: è sake o meglio Nihon-shu perché in Giappone dire sake significa “bevanda alcolica”.

Occasione per conoscere un po’ il Sake è stata la MasterClass al Vinexpo di Bordeaux: Koji, le secret des boissons japonaise. Cosa è il Koji?

È un fungo, un microrganismo, una muffa che, insieme ad un lievito detto Kobo, permette la doppia fermentazione per arrivare al sake sviluppando un tenore alcolico che va dai 13 ai 18 gradi.

Sembrerebbe tutto facile e semplice ma non è così.

Esiste una vastissima gamma di sake vuoi per le qualità di riso adoperato, i metodi di raffinazione, le acque usate (non sono tutte uguali) e non ultimo le manualità dell’uomo ancora oggi indispensabili per ottenere eccellente qualità.

STORIA

Un po’ come il vino. Si parla di 12.000 anni a.C. Se i primi “scrittori di vino” furono i Sumeri 4.000 anni a,C. per il Sake troviamo il primo documento scritto nel 300 a.C.: il Gishiwajiden.

Si dice, si mormora che il primo fermentato di riso sia stato prodotto in Cina. Non ditelo ai giapponesi, potrebbe scoppiare una terza guerra mondiale.

“Il Sake è giapponese, punto e basta”. Questo quanto esclamato dal Prof di Tokio che ha diretto la masterclass, un po’ stizzito alla domanda del sempre onnipresente informato sui fatti.

E giù numeri: 1.200 sakagura (aziende produttive) presenti in tutte le 47 prefetture (un mix di regioni/province)

RISO

La varietà utilizzata maggiormente è il sakamai che si coltiva in particolari aree del paese e richiede tecniche complesse. Negli ultimi tempi sono stati censiti ben 95 tipologie di riso sakamai.

 
 il Koji

ACQUA

Non tutte le acque sono uguali: minerali, meno minerali, calcaree, dure, di sorgente, di pozzo e via, via. Come nel vino i minerali influiscono sul sapore. L’acqua che riporta media durezza è l’ideale per la produzione.

KOJI-KIN, LA MUFFA

Il Koji converte l’amido del riso in zucchero e il lievito Kobo procede a trasformare lo zucchero in alcool. Doppia fermentazione o meglio “fermentazione multipla in parallelo”.

Non riporto tutti i processi per arrivare al prodotto finale perché tra slide a ripetizione, difficoltosa traduzione dall’inglese (il nippo-inglese è una lingua a parte), l’unico risultato è stato l’inizio di un fastidioso mal di testa. Meno male che un filmato semplice, descrittivo e ben fatto è venuto in mio soccorso con il gentile e sempre amabile, signorile commento in lingua francese di una hostess.

gli assaggi di sake e shochu

 

 

PERCHÉ BERE SAKE NOI OCCIDENTALI?

“Perché è figo, va di moda”. E lo è ancora maggiormente se lo chiami Nihonshu.

E se uno vuol essere al top non deve utilizzare il bicchiere di vetro ma, alla maniera degli gli anziani giapponesi, una sorta di scatolina di cedro chiamata “masu”.

Al termine della masterclass si è parlato ed assaggiato anche alcuni distillati giapponesi:

Shochu prodotti sempre con il koji , Satsuma (con aggiunta di patate) e Barley, pur sempre novità.

 
 contenitori interrati di baijiu

Di palo in frasca.

Del vino cinese, della sua qualità, diffusione, dati di produzione ne ho parlato in un recente articolo le vin chinoise.

Non dei distillati cinesi che negli ultimi anni hanno fatto progressi giganteschi.

A livello di superalcolici i cinesi bevono da sempre il Baijiu, detto anche Shaojiu , che è un'acquavite.

Il nome baijiu letteralmente significa "alcol bianco".

Nello specifico si tratta di un distillato che In genere ha una gradazione alcolica tra il 40% e il 60%.

Il baijiu viene distillato principalmente dal sorgo, dal riso glutinoso, a volte da frumento, orzo comune, miglio e talvolta con la lacrime di Giobbe (pianta tipica asiatica).

 
 le materie prime del Baijiu cinese

Producendo quantità enormi di vino i viticoltori cinesi si sono posti il problema dello smaltimento delle vinacce. Da lì il passo è stato breve.

Il fiorire di distillerie per produrre grappe con gli occhi a mandorla, equivalenti di armagnac e cognac il passo è stato veramente breve.

La Jiangsu Yanghe Distillery (Sujiu Group) oggi rappresenta una delle realtà più rilevanti del mondo dei distillati cinesi.

Centro operativo a Nanjing (Nanchino), 179 filiali in tutta la Cina, 30.000 dipendenti, 10 chilometri quadrati di superficie totale nelle tre aree produttive: Yanghe, Shuanggou e Lai’an. Classificatasi al terzo posto in Brand Finance Spirits 50 nel 2017.

La corsa alla concorrenza sui distillati è cominciata (da tempo): a quando il lancio sul mercato cinese del “Chinois Cognac Grande Champagne”? Il vitigno Ugni Blanc già l’allevano da diversi anni.

 

 

Urano Cupisti

Rate this item
(0 votes)
Last modified on Wednesday, 12 June 2019 00:23
© 2022 FlipNews All Rights Reserved