L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Casa Russa a Roma celebrerà Iosif Brodskij

 

Giovedì 22 maggio alle ore 18:30, Casa Russa a Roma riunirà esperti e appassionati dell'opera di Iosif Brodskij in un salotto letterario-musicale, in occasione del compleanno di uno dei poeti più brillanti del XX secolo. Il 24 maggio Brodskij avrebbe compiuto 85 anni.

 

In programma dell’evento “Sono stato a Roma. Inondato di luce” un videomessaggio dalla Casa-museo “Una stanza e mezzo” di San Pietroburgo, l'intervento della traduttrice e docente dell'Università degli studi di Firenze Irina Dvizova, “Elegie romane” e altre poesie del periodo romano interpretate dall'attore e regista Marco Belocchi, dall'attore Pavel Zelinsky accompagnate dall’esposizione degli scatti del famoso fatografo russo Sergey Bermeniev. Le musiche di Bach, Vivaldi e Mozart, compositori preferiti del poeta, saranno eseguite dal soprano Maria Smirnova. I brani di Johann Sebastian Bach suonerà al pianoforte Pietro Delle Chiaie.

 

Iosif Brodskij è stato un poeta, drammaturgo, traduttore, insegnante, vincitore del premio Nobel. È nato nel 1940 a Leningrado in una famiglia di un fotografo militare. L'opera e la visione del mondo del poeta furono fortemente influenzate da Anna Achmatova, Anatoly Naiman, Vladimir Uflyand, Bulat Okudzhava e Sergei Dovlatov. Un ruolo speciale nella poesia di Brodskij ha avuto la lingua russa. Come disse la poetessa sovietica Bella Achmadulina: "Egli può, per così dire, produrre la lingua russa dentro di sé e ci riesce perfettamente... Diventa lui stesso una forza fertile. Come se fosse lui stesso un giardino e un giardiniere".

 

Brodskij amava l'Italia; veniva a Roma e Venezia ogni anno per oltre 20 anni. Venezia ricordava a Brodskij la sua città natale, San Pietroburgo. Ha dedicato sia a Roma che a Venezia molte poesie. Iosif Brodskij ha lasciato un immenso patrimonio che continua ad ispirare nuove generazioni di lettori e pensatori.

 

L'ingresso è libero, è obbligatoria la prenotazione al link: https://forms.gle/arw7jsNKKJvPkJc2A

 

Casa Russa a Roma – Piazza Benedetto Cairoli, 6

Si prega di esibire un documento di identità all’entrata

 

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Ufficio Stampa della Casa Russa a Roma

Piazza Benedetto Cairoli, 6 - 00186 Roma;

tel. +39 06 888 16 333

 

 

 

Русский дом в Риме отметит 85-летие со дня рождения

Иосифа Бродского

 

22 мая в 18:30 Русский дом в Риме объединит исследователей и поклонников творчества Иосифа Бродского в рамках литературно-музыкальной гостиной, приуроченной ко дню рождения одного из самых ярких, талантливых и самобытных поэтов XX века. 24 мая Бродскому исполнилось бы 85 лет.

 

В программе вечера: видео-экскурсия по Музею «Полторы комнаты» в Санкт-Петербурге, выступление переводчика и преподавателя Государственного университета Флоренции Ирины Двизовой, «Римские элегии» и другие произведения римского периода в исполнении актера и режиссера Марко Белокки, актера Павла Зелинского в сопровождении снимков известного российского фотографа Сергея Берменьева. Произведения любимых композиторов поэта - Баха, Вивальди и Моцарта исполнит сопрано Мария Смирнова. Музыку Иоганна Себастьяна Баха, cсыграет на фортепиано Пьетро Делле Кьяйе.

 

Иосиф Бродский — поэт, эссеист, драматург, переводчик, педагог, лауреат Нобелевской премии. Родился в 1940 году в Ленинграде в семье военного фотографа. Поэзия начала интересовать Иосифа уже в осознанном возрасте. 

 

Большое влияние на творчество и мировоззрение поэта оказали Анна Ахматова, Анатолий Найман, Владимир Уфлянд, Булат Окуджава, Сергей Довлатов. Отдельная роль в поэзии Бродского отводится русскому языку. Как позже говорила советская поэтесса Белла Ахмадулина: “Он как бы внутри себя может плодить русский язык и совершенно в этом преуспевает... Он сам становится плодородной силой. Как бы он сам сад и сам садовник”.

 

Бродский любил Италию, он приезжал в Рим и в Венецию ежегодно на протяжении более 20 лет. Венеция напоминала Бродскому родной Санкт-Петербург. Обоим итальянским городам он посвятил множество стихов. Иосиф Бродский оставил после себя огромное наследие, которое продолжает вдохновлять все новые поколения.

 

Вход свободный, необходима предварительная регистрация по ссылке: https://forms.gle/arw7jsNKKJvPkJc2A

 

Русский дом в Риме – Piazza Benedetto Cairoli, 6

Просьба предъявить на входе удостоверение личности

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Русский дом в Риме

Piazza Benedetto Cairoli, 6 - 00186 Рим;

тел. +39 06 888 16 333

 

 

Nel diciassettesimo capitolo della Bolla di indizione del Giubileo ordinario 2025, Spes non confundit (La speranza non delude), papa Bergoglio evidenzia che, proprio nell’anno in corso, si compiranno 1700 anni dalla celebrazione del Concilio Ecumenico di Nicea, momento di fondamentale importanza nella storia del cristianesimo, da lui definito “pietra miliare nella storia della Chiesa”, in quanto avrebbe avuto “il compito di preservare l’unità, seriamente minacciata dalla negazione della divinità di Gesù Cristo e della sua uguaglianza con il Padre”. 1)

Francesco, con particolare enfasi, sottolinea il fatto che l’espressione “Noi crediamo” adoperata dai Padri conciliari in apertura del Simbolo niceno (divenuto poi il nucleo fondante del Credo tuttora adottato) costituirebbe la “testimonianza che in quel “Noi” tutte le Chiese si ritrovavano in comunione” e che “tutti i cristiani professavano la medesima fede”.

Ora, però, nella versione latina del Simbolo niceno leggiamo semplicemente: “Credimus …”. Il “Noi” di cui parla Francesco (che non compare neppure nella traduzione italiana presente nell’Enchiridion Symbolorum del Denzinger), quindi, risulta essere una opinabile forzatura letteraria, utilizzata, non certo per superficialità, con il preciso obiettivo di sottolineare il carattere unitario dei cristiani di allora in funzione dell’unità tanto (ancora invano) invocata dei cristiani di oggi.

Dice il papa, infatti, che Nicea rappresenterebbe un invito  rivolto “a tutte le Chiese e Comunità ecclesiali a procedere nel cammino verso l’unità visibile”, e, a tutti “i cristiani a unirsi nella lode e nel ringraziamento alla Santissima Trinità e in particolare a Gesù Cristo, il Figlio di Dio, “della sostanza del Padre”, che ci ha rivelato tale mistero di amore”. 2)

Ora, però, ad una onesta osservazione degli eventi storici, le cose appaiono in termini alquanto differenti.

Il Concilio venne convocato, organizzato, finanziato e attentamente supervisionato da Costantino (pontifex maximus  della tradizionale religione romana), all’interno del palazzo imperiale di Nicea. Ad esso presero parte circa 300  Vescovi (si ignora il numero esatto), con schiacciante maggioranza di rappresentanti delle chiese orientali. Neppure Silvestro, il vescovo di Roma, fu presente, limitandosi ad inviare, in sua vece, due preti plenipotenziari.

Al fine di comprendere il senso di tale iniziativa intrapresa da parte di un imperatore pagano (che si farà battezzare soltanto in punto di morte) non particolarmente interessato a sofisticate disquisizioni teologiche, occorre fare riferimento al clima di grande eterogeneità e conflittualità che contraddistingue il mondo cristiano dell’epoca, caratterizzato dalle innumerevoli discussioni e divergenze relative sia ad aspetti di carattere dottrinale che disciplinare. In particolar modo, in una fase storica in cui esistevano numerose comunità di matrice cristiana, con orientamenti di pensiero spesso divergenti (in disaccordo anche sui testi da considerare “rivelati”), una violenta disputa teologica attraversava l’intera cristianità, soprattutto per quanto concerne la parte orientale dell’Impero: quella relativa alle peculiari problematicità del monoteismo cristiano, all’interno del quale si trovavano a convivere, con non piccole difficoltà, sia la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, sia quella in Dio Padre, creatore del mondo. In particolare, stava godendo di rilevante diffusione il pensiero teologico di Ario, onesto presbitero libico, il quale, in un’ottica di impronta gnostico-neoplatonica, coerentemente e rigorosamente monoteistica, si rifiutava di attribuire natura pienamente divina ed eterna alla persona del Figlio, ritenendolo creato, prima di tutti i tempi e prima di ogni altra creatura, dal Padre, l’unico Ente correttamente definibile come Dio.

La controversia tra i fautori del presbitero alessandrino Ario e i suoi avversari definiti di solito “cattolici” oppure “ortodossi”, riguardava il problema di determinare la relazione tra Dio Padre e il Figlio di Dio. A tale questione ci si interessava ormai da tempo: i teologi del III secolo oscillavano nelle loro risposte da un rigoroso monoteismo che imponeva di vedere in Cristo solo un “modo” (…) di manifestarsi di Dio, privo di una forma fissa, a una netta affermazione della diversità tra Padre e Figlio, con chiara accentuazione della gerarchia tra le persone della Trinità”. 3)

Le tesi di Ario, quindi, poi ampiamente anatemizzate e demonizzate dall’opposta fazione (la quale si troverà a determinare i contenuti dottrinali “ortodossi” del Credo cristiano) riconoscevano l’esistenza di “un solo Dio”, considerato senza inizio e quindi eterno, che, come tale, non poteva condividere la sua unicissima e immodificabile natura divina con altri enti. Il Figlio, pertanto, doveva essere considerato “creatura” del  Padre (l’unico vero Dio), utilizzata per la creazione del mondo e per agire in esso, creatura perennemente perfetta, ma pur sempre creatura “creata dal nulla”, sostanzialmente diversa e quindi gerarchicamente subordinata al Padre.

Nel più antico documento della controversia, la lettera ad Eusebio di Nicomedia, Ario scrive:

Veniamo perseguitati perché abbiamo detto: “Il Figlio ha principio, mentre Dio è senza principio”. Per questo siamo perseguitati, e perché abbiamo detto: “Deriva dal nulla”. Così abbiamo detto, in quanto non è né parte di Dio né deriva da un sostrato. Per questo siamo perseguitati.” 4)

Ario riteneva di ricavare le sue tesi dall’esame delle fonti evangeliche, soprattutto per quanto concerne le sofferenze e i dubbi relativi alla natura umana di Gesù e facendo leva su non pochi passi scritturali in cui si  mette in luce il rapporto subordinato rispetto a Dio:

Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo”, Mc 10, 17-18;  “… il Padre è più grande di me”, Gv 14,28; ecc.

Al contrario, Alessandro, vescovo di Alessandria (all’epoca, la sede vescovile più importante dopo quella di Roma), affermava che il Figlio deve essere ritenuto coeterno al Padre:

il Padre è sempre stato Padre: è Padre sempre avendo accanto a sé il Figlio, grazie al quale è chiamato Padre. Ed essendo sempre il Figlio accanto a lui, sempre il Padre è perfetto, non mancando di alcuna perfezione, né nel tempo né dopo un intervallo né dal nulla avendo generato il Figlio unigenito”. 5)

Dopo accese discussioni, prevalse la posizione sostenuta dal vescovo Atanasio (assistente di Alessandro e suo successore) che riuscì a far trionfare, avvalendosi di categorie concettuali e di terminologia di derivazione classica, la tesi della consustanzialità (mèros homooùsion) del Padre e del Figlio: “Dio vero da Dio vero; generato non creato (natum non factum); della stessa sostanza del Padre”.

Ad un sereno esame  libero da fideistici pregiudizi, le posizioni di Ario, a dir la verità, appaiono non prive di logica e filosoficamente ben costruite ed argomentate. Qualcuno potrebbe, infatti, comprendere e onestamente spiegare (al di là delle labirintiche dissertazioni teologiche inquinate da macroscopici antropomorfismi) perché il Figlio, se considerato coeterno e consustanziale al Padre, meriterebbe lo status ontologico di “Figlio”?  Ovvero, se entrambi partecipano della stessa sostanza divina eterna, perché andrebbero poi distinti e diversamente denominati e come potrebbero, soprattutto, non costituire, allora, due  divinità della stessa natura e di identica dignità concettuale (in palese contrasto con le più ovvie esigenze monoteistiche)?

Quanti cristiani – mi chiedo – sarebbero in grado di comprendere quanto ha recentemente affermato l’apposita Commissione Teologica Internazionale, davvero con cristallina sobrietà di linguaggio, relativamente alla capacità del Cristo di farsi rivelatore della

inaudita paternità intra-divina di Dio, fondamento della sua paternità ad extra”?

Ora, però, facendo a meno di ricorrere alla credenza in interventi di natura soprannaturale, come giustificare la sconfitta di Ario e dei suoi seguaci?

Indispensabile, a questo punto, tenere ben presente che:

  • Costantino è il vero regista di tutta l’operazione nicena.
  • Costantino, al di là della ingannevole e fuorviante santificazione di cui è stato fatto oggetto, è un criminale spietato, responsabile dell’assassinio di numerosi parenti (fa cui anche il figlio Crispo e la moglie Fausta).
  • Ciò che lo preoccupa non è certo stabilire chi, fra i vari padri contendenti, sia detentore di una cosa chiamata “verità”.
  • Dal suo punto di vista, le questioni dibattute risultano “meschine e di poco conto”, “chiacchiere di un ozio inutile”, una contesa, insomma, “ banale e di poca importanza”, addirittura “irrilevante”.
  • Costantino manifesta forte diffidenza verso le questioni teologiche dibattute, rimproverando duramente tutti i contendenti, accusati di atteggiamento volgare, degno di “menti infantili piuttosto che essere adeguato all’intelligenza di sacerdoti e uomini saggi”. 6)
  • Il suo obiettivo, perciò, è di riuscire a creare (imporre) un accordo in merito almeno alle cose essenziali, in modo da poter ottenere per sé, finalmente cessate le infuocate e turbolente diatribe, “giorni sereni e notti tranquille”. 7)
  • Ciò che lo preoccupa veramente, comunque, è la situazione pratica, di grande conflittualità e caoticità che non agevola affatto la coesione e la stabilità politica.
  • Costantino “vuole mettere ordine nell’impero e collega con chiarezza l’aspetto politico-militare a quello religioso: se si realizzasse “una comune concordia tra i servi di Dio”, ne trarrebbero giovamento anche “le esigenze della cosa pubblica” ”. 8)
  • Da abile stratega, è convinto che il raggiungimento di un solo credo e, soprattutto, di una sola Chiesa, sia funzionale (al pari della compiuta riorganizzazione dell’esercito) al conseguimento di un solido ordinamento unitario. La concordia a cui aspira dovrà fondarsi contemporaneamente su un esercito agguerrito ed efficiente e su una Chiesa compatta e militante: “Chi avesse onorato debitamente Dio, infatti, avrebbe servito al meglio anche lo Stato.” 9)
  • Il sostegno concesso al partito antiariano non scaturì certo da valutazioni di carattere teorico, ma dalla praticissima strategia di appoggiare la fazione che, ai propri occhi, appariva più probabilmente in grado di raggiungere un consenso maggiormente allargato all’interno delle chiese e delle masse dei fedeli (nell’ambito dell’assemblea conciliare, gli ariani erano soltanto una ventina, quindi una ben piccola minoranza).
  • L’adesione quasi unanime alla formula vincente risulterà oggettivamente condizionata dalle pressioni e dalle minacce esercitate dallo stesso imperatore: coloro che si opposero (Ario, due vescovi libici e un prete) furono infatti condannati all’esilio.
  • Che la scelta costantiniana fosse basata su calcoli strategici, e non su profonde e sentite ragioni di pensiero, è altresì possibile desumerlo dal fatto che, nel corso degli anni successivi, mutati i rapporti di forza, l’imperatore cambiò di orientamento, appoggiando la fazione filoariana, riabilitando lo stesso Ario (che però morì subito dopo), spedendo in esilio, al suo posto, Atanasio e, particolare non proprio trascurabile, facendosi battezzare in punto di morte dal vescovo ariano Eusebio di Nicomedia.
  • La tanto enfatizzata unità raggiunta a Nicea, oltre che coercitivamente pilotata (se non addirittura estorta), si rivelerà, di lì a breve, estremamente fragile: la controversia, infatti, andò allargandosi, coinvolgendo quasi tutte le chiese orientali, e richiedendo, in tal modo, ulteriori interventi dell’autorità imperiale di turno. Basti pensare che, verso la metà del secolo IV, le “sedi ecclesiastiche più importanti, come Alessandria, Antiochia, Costantinopoli, Cesarea di Palestina, Sirmio nei Balcani e nell’Italia Milano, ebbero vescovi filoariani.” 10)
  • Considerando che, all’inizio del quarto secolo, “Non esisteva ancora né un’ortodossia ufficiale né una dottrina generale della chiesa intorno alla questione trinitaria, bensì soltanto tradizioni e progetti teologici concorrenti”, la teologia elaborata da Ario, non avrebbe potuto neppure essere definita “eretica”, ovvero deviante da una non ancora esistente “retta fede”. 11)
  • Da Nicea non scaturì una Chiesa “una”, né tantomeno “santa e apostolica”. A partire da Nicea, in seguito alla politica portata avanti da Costantino, culminante in quella adottata da Teodosio e da Giustiniano, si andrà sempre più affermando, all’interno della Chiesa di Roma (in nome dell’unica verità, dell’unico Dio e dell’unica via di salvezza) un atteggiamento devastante di intolleranza verso ogni forma di diversità religiosa (pagani, ebrei, “eretici”), disposto a fare uso anche delle più estreme forme di violenza.
  • Tale teologica intolleranza fece sì, tra le varie cose, che innumerevoli “varianti della fede, un tempo sostenute da credenti sinceri, in buona fede e intelligenti, siano state abbandonate, distrutte e dimenticate, così come i testi che questi credenti creavano, leggevano e veneravano.” 12)

 

A fare luce sul contesto in cui si è andato definendo il Credo cristiano, in modo da prendere le distanze da facili trionfalismi apologetici e da manipolazioni ideologiche dei dati storici, potrebbe bastare, forse, la seguente analisi, decisamente  amara, proposta dall’ Enciclopedia Cattolica, alla voce Arianesimo:

 

Disgraziatamente per la Chiesa, i primi imperatori cristiani, cioè Costantino e Costanzo II, - bisogna notare che tutti e due non furono battezzati che sul letto di morte e da ariani, - vollero dogmatizzare cercando di sostituirsi al vescovo di Roma, capo della Chiesa e regolatore della sua unità, e divennero così il balocco di prelati intriganti o vendicativi.” (mia l’evidenziazione)

In conclusione, quando Bergoglio ci dice che

Il Concilio di Nicea ebbe il compito di preservare l’unità” del cosiddetto “Popolo di Dio e dell’annuncio fedele del Vangelo” 13),

ci offre una valutazione ben poco rispondente alla effettiva realtà storica.

Il mondo cristiano delle origini è costituito, infatti, da una coloratissima galassia di pratiche religiose e di credenze teologiche in competizione fra di loro, per cui: all’epoca di Nicea, non poté esserci nessun attacco all’ “unità”, per il semplice fatto che l’ “unità” ancora non esisteva.

La fazione che riuscì ad imporsi sulle altre, si preoccupò di riscrivere con grande cura “la storia della controversia, facendo vedere che dopotutto non c’era stato un grande conflitto e affermando che le proprie opinioni erano sempre state quelle della maggior parte dei cristiani, fin dai tempi di Gesù e dei suoi apostoli, e ribadendo che la propria interpretazione di fatto era stata sempre “ortodossa” (letteralmente: “di fede retta”) e che gli avversari, con i loro testi scritturali “diversi”, avevano rappresentato poche schegge impazzite dedite a ingannare la gente per spingerla all’eresia (…).

Ciò che il Cristianesimo guadagnò alla fine di questi conflitti antichi fu la convinzione di essere nel giusto e di esservi sempre stato. Ne guadagnò anche un credo, a tutt’oggi recitato dai cristiani, che affermava le credenze giuste in contrasto con quelle eretiche e sbagliate”, nonché una teologia trinitaria, un ben definito canone di Scritture (il cosiddetto Nuovo Testamento) e, cosa non certamente secondaria, “una gerarchia di capi ecclesiastici in grado di mantenere viva la chiesa  e sorvegliare l’aderenza alla fede e alla pratica corretta”. 14)

Ma, chiediamoci, quante forme di Cristianesimo, di ricerca spirituale e di autentica esperienza religiosa sono andate perdute, deformate o sistematicamente cancellate, ad opera della Chiesa trionfante? E come e quanto ne siamo stati tutti noi, credenti e non credenti, irrimediabilmente impoveriti?

Nel celebrare Nicea, la Chiesa cattolica  celebra innanzitutto sé stessa, come suprema e provvidenziale fonte di luce nel mondo, e l’unità che essa invoca (l’unica per lei desiderabile ed accettabile), è, come sempre, l’unità conseguibile al di sotto del suo manto maternamente protettivo.

Per coloro che guardano con sospetto e diffidenza alle celebrazioni fideistiche ed apologetiche, ripensare criticamente Nicea potrebbe rappresentare, invece, una preziosa opportunità per sollevare questioni e porre interrogativi, e, soprattutto, per meglio comprendere come, all’interno del variegatissimo cristianesimo delle origini, “soltanto un gruppo sia riuscito a imporsi come dominante nel campo della religione, stabilendo per i secoli successivi ciò che i cristiani avrebbero dovuto credere, frequentare e leggere come Sacra Scrittura.”  15)

Senza dimenticare che, qualora i conflitti si fossero risolti diversamente, “forse gli abitanti dell’Occidente (cioè noi) sarebbero rimasti politeisti fino a oggi e avrebbero continuato ad adorare gli antichi dèi della Grecia e di Roma; oppure l’Impero avrebbe potuto convertirsi a una forma diversa di Cristianesimo, e lo sviluppo della società e della cultura occidentale avrebbe preso strade che non possiamo neanche immaginare.” 16)

E senza dimenticare, soprattutto, che la Chiesa uscita vittoriosa dal Concilio di Nicea diventò presto la grande madre dei fedeli che, nei secoli, si dedicheranno al pio massacro di milioni di persone in nome della raggiunta unica “verità” e di un ben poco compreso “Dio di misericordia”…

 

NOTE

  1. Papa Francesco, Spes non confundit. Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025, San Paolo, Milano 2024, p.56.
  2. Ivi, p. 57.
  3. Ewa Wipszycka, Storia della Chiesa nella tarda antichità, Bruno Mondadori, Milano 2000, pp. 169-170.
  4. Gian Guido Vecchi e Giovanni Maria, La scommessa di Costantino. Come il Concilio di Nicea ha cambiato la storia, Milano 2025, p. 67.
  5. Ivi, p. 80.
  6. Ivi, p. 78.
  7. Karlheinz Deschner, Storia criminale del Cristianesimo, tomo I, Ariele, Milano 2000, pp. 223-4.
  8. Giovanni Filoramo, Daniele Menozzi (a cura di), Storia del cristianesimo. L’antichità, Editori Laterza, Bari 1997, p. 300.
  9. Norbert Brox, Storia della Chiesa, 1. Epoca antica, p. 154.
  10. Bart D. Ehrman, I Cristianesimi perduti, Carocci, Roma 2003, pp. 320-1.
  11. Papa Francesco, op. cit., p. 56.
  12. D. Ehrman, op. cit., p. 21.
  13. Ivi, p. 9.
  14. Ivi, p. 23.

 

Il cortometraggio “Sei sempre stata tu” della Regista Alessandra Sasha Carlesi è stato presentato il 4 maggio scorso al teatro Testaccio di Roma

 

Alessandra Sasha Carlesi è una regista dalle idee innovative, di origini toscane, di Prato, vive e lavora a Roma dall’età di  20 anni. Inizia  a recitare a teatro da giovanissima e dopo aver  frequentato numerose scuole, laboratori e compagnie teatrali, partecipa a numerose realizzazioni cinematografiche (corti e mediometraggi). Alessandra una volta trasferitasi nella capitale, si forma all’interno dell’ Accademia teatrale e nel suo percorso di studio, conosce vari aspetti del cinema. Dopo tanti anni di affiancamento, inizia a lavorare come aiuto regia, un lavoro molto tecnico e organizzativo e si rende conto che esiste tutto un mondo che probabilmente le  interessa di più. Con un amico  inizia a produrre i primi spettacoli teatrali e i primi lavori sul set. 

 “Sei sempre stata tu” è il suo nuovo cortometraggio scritto insieme al direttore della fotografia Simone Barletta  e  Ciro Buono, che nella pellicola  riveste anche il ruolo di protagonista. Girato sia a Roma presso la scuola di effetti speciali Fantastic Forge di Sergio Stivaletti che a Fiumicino, il cortometraggio affronta una tematica sociale importante, quale quella delle malattie mentali  e in particolare la “Maladaptive Daydreaming” o sindrome della fantasia compulsiva. Tale  patologia assimilata al “sogno ad occhi aperti”  è un artificio mentale che consente di sfuggire a dei ricordi che affliggono e che si intendono rimuovere. In realtà l’individuo vive costantemente una vita  che  diventa parallela e può portare a gravi conseguenze. La pellicola racconta la tragica storia d’amore tra Christian (un ragazzo che vive nell’ambito di una famiglia normale) che si innamora di Millie (una ragazza di strada, fragile e incompresa, vittima di una società che l’ha sempre emarginata). Christian decide di vivere la sua storia d’amore con lei in mezzo alla sua realtà, quindi la pellicola affronta anche le tematiche  dei senza tetto. Al momento di partorire, Millie muore in circostanze sfavorevoli, perché è costretta a farlo in strada. Christian per convincersi che la sua ragazza vive ancora, si costruisce una nuova realtà che lo porterà a vivere all’interno di un istituto psichiatrico. La bambina che Christian aveva abbandonato, la ritrova  anni dopo in circostanze fortuite e dal confronto con la figlia, riesce  ad uscire dalla  dura realtà per vivere la sua vera vita. L’incontro con la figlia Zoe riporta alla luce un passato doloroso, che offre a entrambi la possibilità di un riscatto. 

Alessandra Sasha Carlesi l’abbiamo incontrata per conoscerla più da vicino. “Sei sempre stata tu” affronta  un argomento di grande impatto sociale vero? 

Ho continuato su una strada tracciata, perché in passato già avevo affrontato tematiche simili. Sono sempre stata sensibile al discorso delle patologie della mente e  dei senzatetto. La società di oggi è complessa pertanto oggi molti soffrono di piccole o grandi patologie che spesso sono  sottovalutate. Nel caso in questione ho fatto delle ricerche e ho visto che esiste effettivamente questa malattia denominata “sindrome da fantasia compulsiva” che non è molto facile da riconoscere. Non è soltanto un sogno ad occhi aperti perché ha dei risvolti anche più pesanti. E non ci sono idee chiare in merito, perchè gli specialisti a mio parere, quando riscontrano queste gravi problematiche che affliggono la mente, l’unica cosa sanno consigliare è quella di  “bombardarti con psicofarmaci” che  possono farti anche peggio. 

Come sei riuscita a realizzare  questa tematica così importante? 

Questa estate ad un festival cinematografico io e il mio compagno Ciro Buono, abbiamo incontrato Simone Barletta, Direttore di fotografia e discutendo con loro è sorto questo nuovo progetto. Nello stesso festival  c’era anche il noto cantautore milanese Davide De Marinis (autore di tanti successi) con il quale ci siamo trovati subito in sintonia. C’è stata subito l’intesa di creare un progetto che coinvolgesse tutti noi, perché credo molto nelle sinergie. Ho chiesto a Davide se poteva ideare la colonna sonora con un suo brano musicale per la pellicola, così dopo essersi fatto trasportare dalle emozioni del racconto cinematografico e dall‘istinto, ha scritto una canzone  suggestiva dal titolo “che meraviglia”. Recentemente è uscito anche il videoclip ufficiale, che sta andando anche molto bene e di questo sono estremamente soddisfatta. 

Dove avete effettuato l’anteprima dello spettacolo? 

Lo abbiamo fatto al Teatro Testaccio il 4 di maggio scorso, dov’è stato presentato il cortometraggio e il videoclip. Davide De Marinis oltre a cantare il pezzo live, ha presentato i suoi celebri successi musicali quali “Troppo bella”, “Chiedi quello che vuoi” ecc.. E’ stata una bella serata dove si è sprigionata una grande energia positiva, perché si è passati  dalla drammaticità del cortometraggio al videoclip e così in un certo senso si è po’ stemperata l’atmosfera. 

Il trucco e parrucco del film è a cura di Blentina Tafaj. I costumi sono stati curati da Francesco Bureca. 

Grazie e in bocca  al lupo, Alessandra Sasha Carlesi.

 

 

 

 

 

Si è giocata la 37.a e penultima giornata del campionato di Serie che ha regalato tanti gol e spettacolo, con continui colpi di scena. Soprattutto nei minuti finali delle varie gare. In questa turno non ci sono stati verdetti definitivi, di deciderà tutto all’ultima giornata, per scudetto, corsa champions e salvezza. Sabato scorso il primo match si è concluso con la grande vittoria dell’Atalanta sul Genova (2-3), due squadre che hanno potuto giocare in tutta tranquillità prive di obiettivi di classifica. Mateo Retegui con la sua rete contro il Genoa sua ex squadra, ha raggiunto quota 25 reti in una sola stagione, superando niente meno che Pippo Inzaghi, icona mai dimenticata sotto le Mura di Bergamo. 

Nella lotta scudetto pareggi per Inter e Napoli. Cento minuti  di passione e tensione sull’asse dei due   campi   Tardini-San Siro,   ma a differenza  dell’Inter fermata sul 2-2 in casa  dalla  Lazio, il pareggio di 0 a 0 contro il Parma, ha un forte profumo di vittoria. La squadra di Conte dopo questo successo, resta avanti di un punto sull’avversario nerazzurro e giocherà l’ultimo match con il Cagliari già salvo matematicamente. I partenopei dovranno impegnarsi decisamente  di più per arrivare all’obiettivo e festeggiare il quarto scudetto. Il campionato in ogni caso si è dimostrato avvincente fino all’ultimo e a novanta minuti dalla fine, tutto è ancora in bilico e la differenza di un solo punto non può dare certezze. 

 Il Napoli non va oltre lo 0-0 in casa del Parma in una partita nervosa e tirata. Gli uomini di Conte non sono riusciti ad esercitare una particolare fluidità di manovra tale per mettere in condizione di segnare, Lukaku e McTominay.  I partenopei sono stati  anche sfortunati con i pali, di Anguissa e Politano, poi il portiere del Parma Suzuki è artefice di un grande intervento  sotto l’incrocio che riesce a deviare  sulla traversa la punizione di McTominay.  Anche il Parma riesce ad avere due importanti occasioni sulle conclusioni di Sohm, ma Meret  si dimostra vigile.  Nel recupero si assiste all’ennesimo colpo di scena: Neres se ne va  sulla destra dell’area e va giù dopo il contatto con Lovik. L’arbitro Doveri indica subito  il dischetto per il calcio di rigore, poi il Var annulla per un possibile fallo di Simeone su Circati nel recupero palla. Nel finale espulsi Conte e Chivu per intemperanze: pertanto non saranno in panchina all’ultima di campionato. 

L’Inter pareggia con la Lazio 2-2 in un match pieno di capovolgimenti di fronte.  Bisseck porta in vantaggio i nerazzurri nel recupero del primo tempo. Nella ripresa entra Pedro nella Lazio e fa 1-1. Dumfries di testa trova il nuovo vantaggio per l’Inter al 79’ ma al 90’ ancora Pedro segna il gol del 2-2 su calcio di rigore assegnato per un tocco di braccio di Bisseck. Lo spagnolo con il calcio di rigore, realizza l’ennesima doppietta (che ha fatto felice tutta Napoli) e si conferma un calciatore ancora molto valido. Al 94’ sponda di testa di Acerbi per Arnautovic che a un metro dalla porta, liscia completamente il tiro di sinistro. Al 98′ è annullato un gol per fuorigioco sempre all’austriaco. Espulsi entrambi i tecnici Baroni e Inzaghi.  

Nella lotta Champions vincono Juve e Roma: Juventus (2-0 all’Udinese) e la Roma (3-1 al Milan). Vince anche la Fiorentina che si impone 3-2 sul Bologna fresco vincitore della Coppa Italia e dunque, già qualificata per la prossima Europa League.

I bianconeri si confermano al quarto posto e restano avanti in classifica nei confronti di Lazio e Roma. A seguito di questi risultati, una delle poche certezze è che il Milan l’anno prossimo non parteciperà alle coppe europee. Per quanto riguarda la zona Europa, la Fiorentina scavalca il Milan e aggancia il Bologna al settimo posto (che oggi non vale niente in virtù della vittoria della Coppa Italia da parte dei rossoblu). La Lazio con il pari a Milano con l’Inter perde punti nei confronti di Juventus e Roma e resta a 3 punti di vantaggio dalla Fiorentina. 

 Nella lotta salvezza vittorie fondamentali per Empoli (Monza-Empoli 1-3) e Lecce (1-0 al Torino). Il Venezia è travolto a Cagliari 3 a 0 e probabilmente deve dire addio alle sue residue speranze di salvezza. L’unico verdetto che emerge da una serata con ben 9 partite in contemporanea è il Cagliari matematicamente salvo. Il Parma con il pareggio contro il Napoli ed il Verona con il suo 1-1  in casa col Como, sono vicine alla salvezza, mentre Lecce  ed Empoli sono appaiate al terz’ultimo posto. 

Si deciderà all’ultima giornata lo scudetto della Serie A 2024/25  nel doppio scontro Napoli-Cagliari e Como-Inter:  entrambi gli incontri si giocheranno venerdì 23 maggio alle ore 20.45. Se le due squadre dovessero finire a pari punti dopo l’ultima giornata, si contenderanno lo scudetto con uno spareggio in  campo neutrale (con ogni probabilità, l’Olimpico di Roma). 

Per quanto riguarda il resto della giornata, Bologna-Genoa e Milan-Monza, ossia le due partite senza interessi di classifica, verranno disputate sabato rispettivamente alle ore 18 e alle 20.45. Tutte le altre gare, che coinvolgono squadre in lotta per l’Europa e la salvezza, si svolgeranno tutte in contemporanea domenica sera alle 20.45 (Atalanta-Parma, Empoli-Verona, Lazio-Lecce, Torino-Roma, Udinese-Fiorentina e Venezia-Juventus).

 Questi i risultati della  37.a giornata di calcio di Serie A: 

GENOA-ATALANTA 2-3   CAGLIARI-VENEZIA 3-0    FIORENTINA-BOLOGNA 3-2

VERONA-COMO 1-1   INTER-LAZIO 2-2    JUVENTUS-UDINESE 2-0

LECCE-TORINO 1-0   MONZA-EMPOLI 1-3   PARMA-NAPOLI 0-0   ROMA-MILAN 3-1

 

La Juventus ha individuato in Osimhen  l’obiettivo principale per rinforzare l’attacco per la prossima stagione.  Servono almeno 100 milioni.  L’attaccante è di proprietà del Napoli  e da parte sua il nigeriano accetterebbe di buon grado il ritorno in Serie A. Non  risultano ancora offerte effettive al Napoli, ma il club bianconero è pronto, attraverso il procuratore del calciatore a mettere sul piatto della bilancia una proposta da 80 milioni.  

Il rapporto tra il tecnico Gasperini e l’Atalanta potrebbe non essere ancora finito.  Il lavoro del tecnico nel suo ciclo a Bergamo è sotto gli occhi di tutti: cinque qualificazioni in Champions in otto stagioni, impreziosite dalla conquista dell’Europa League e da un bilancio che ogni anno si avvale di laute cessioni. La dirigenza bergamasca ben consapevole degli enormi meriti raggiunti dal tecnico, avrebbe proposto il rinnovo di un ulteriore anno, quindi fino al 2027,

 

 

May 18, 2025

May 18, 2025

Sì, esistono anche le orchestre un po’ stonate. Con gente abituata al piccone e al martello, che si ritrova tra le mani una tromba o un clarinetto. Con compagni che vanno su sentieri più o meno interrotti, lungo argini di canali poco illuminati, alla ricerca di attimi di oblìo, lontani dal timore di un ultimo naufragio.

Orchestre stonate, dove si coltivano sogni sfilacciati e, semplicemente, ci si conforta dello starsi vicini, del condividere qualcosa che ti allarghi il respiro, qualcosa che riesca a coltivarti dentro il desiderio di un domani.

Poi, all’improvviso, ci si ritrova a percorrere lo stesso campo arato, a navigare sulle stesse acque che vanno, tumultuose o placide, verso il centro del cuore.

E, allora, ti ritrovi lì, sulla poltrona, col Bolero di Ravel che ti rimbalza dentro l’anima, con gli occhi umidi e le luci che malignamente si accendono.

E capisci, allora, che ti è stato fatto un dono immenso e imprevisto:

impregnato di lacrime e consolato da un sorriso …

 

 

L’ORCHESTRA STONATA ( EN FANFARE)

Lingua originale: francese

Paese di produzione: Francia

Anno: 2024

Regia: Emmanuel Courcol

 

 

 

 

1- Il concorso è articolato nelle seguenti sezioni:

A - Poesia in italiano a tema libero

B –Poesia a tema civile (violenza alle donne, guerra, ingiustizie ecc)

C - Racconto breve in italiano a tema libero

D – Articolo giornalistico a tema libero

E - Arti figurative (fotografia, pittura, disegno, grafica, architettura, scultura e altre arti plastiche)

Attenzione: La partecipazione al Premio è da ritenersi valida per i concorrenti che abbiano raggiunto la maggiore età al

momento dell'iscrizione o per i giovani (con l’autorizzazione di un genitore in caso di autore minorenne)

2 - I testi presentati al concorso non dovranno aver ottenuto un riconoscimento da podio (1°, 2°, 3° premio)

in un precedente concorso letterario, farà fede la data invio materiale.

3 - Per la sezione A e B Poesia libera e a tema civile (edita e inedita), si potrà partecipare con un massimo di 3

poesie, rigorosamente non superiori ai 40 versi ciascuna. Sono esclusi dal conteggio titolo e note autore. Pena

esclusione.

Per la sez C Racconto breve (edito e inedito), si potrà partecipare con 1 solo racconto che rientri nella

lunghezza massima di 6 cartelle (1800 battute spazi inclusi a cartella = tot. 10800 battute spazi compresi. Sono

esclusi dal conteggio titolo e note autore). Pena esclusione.

Per la sez D Articolo Giornalistico in italiano a tema libero (edito e inedito), si potrà partecipare con 1 solo

racconto che rientri nella lunghezza massima di 3 cartelle (1800 battute spazi inclusi a cartella = tot. 5400 battute

spazi compresi. Sono esclusi dal conteggio titolo e note autore). Pena esclusione

Per la sez E Arti figurative si possono mandare fino a tre fotografie. L‘immagine sarà da inviare in formato jpg

in alta qualità anche via wetransfer (dimensione di almeno 1772x2362 pixel (15x20 cm a 300 dpi). Indicare

tecnica usata e dimensioni opera. Gradita la presenza dell'opera durante la premiazione se risultata vincitrice,

meritevole o selezionata. Pena esclusione.

4 - Per la corretta partecipazione, è richiesto di inviare entro e non oltre il 20 giugno 2025 solo in forma digitale

(in formato Word) all’indirizzo internet This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. i propri testi anonimi, corredati

della scheda di partecipazione compilata in ogni sua parte e la ricevuta del pagamento effettuato. Pena

esclusione. È prevista un'antologia del premio dove verranno pubblicati i vincitori, i meritevoli e selezionati alla

pubblicazione.

5 - Il pagamento che sarà di euro 15,00 a sezione, dovrà avvenire con una delle seguenti modalità:

IBAN: IT62Y0760102800001072704347

intestato a Associazione autori e amici di Marzia Carocci

oppure sul Conto corrente postale n. 001072704347

intestato a Associazione Culturale Autori e Amici Di Marzia Carocci

causale "Premio X edizione Ponte Vecchio

6 - La ricevuta del pagamento dovrà essere inviata (SEMPRE) insieme ai propri testi e al modulo di

partecipazione.

7 - Non verranno accettate opere che presentino elementi razzisti, denigratori, pornografici, blasfemi o

d’incitamento all’odio, alla violenza e alla discriminazione di ciascun tipo oltre che ai plagi.

 

 

 

La presente scheda compilata è requisito fondamentale per la partecipazione al concorso. Alla
scheda va, inoltre, allegata l’attestazione del pagamento della relativa tassa di lettura e il tutto va
inviato a This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. entro e non oltre il 20-06-2025
Nome/Cognome __________________________________________________________________________
Nato/a_____________________________________________________ il ___________________________
Residente in via __________________________________________ Città ___________________________
Cap _______________ Prov. _______________ Tel/Cell. _________________________________________
E-mail __________________________________________________________________________________
Partecipo alla sezione:
A - Poesia in italiano a tema libero
B – Poesia a tema civile (violenza alle donne, guerra, ingiustizie ecc)
C - Racconto breve in italiano a tema libero
D – Articolo giornalistico a tema libero
E - Arti figurative (fotografia, pittura, disegno, grafica, architettura, scultura e altre arti plastiche)
con il/i testo/i dal titolo/i ___________________________________________________________________
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□Acconsento al trattamento dei dati personali qui riportati in conformità a quanto indicato dalla normativa sulla
riservatezza dei dati personali (D. Lgs. 196/03) e solo relativamente allo scopo del Concorso in oggetto.
□Dichiaro che il/i testi che presento è/sono frutto del mio ingegno e che ne detengo i diritti a ogni titolo.
*per gli autori minorenni è necessaria l’autorizzazione di un genitore.
Io_____________________________padre- madre di-------------------------------------------autorizzo in caso di
menzione o premiazione alla pubblicazione del testo sull’antologia del Premio Ponte Vecchio
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Nel silenzio della rete, tra le ombre dissimulate degli algoritmi, l’essere umano cammina come spettro di sé, non più soggetto agente ma variabile prevista, parametro classificato, eco misurabile di un’identità convertita in codice.

 

In un’epoca in cui l’esistenza si scompone in sequenze leggibili e l’identità si dissolve tra i dati, si leva la voce del Manifesto per una Costituzione del Diritto all’Invisibilità Digitale. Non un rifiuto del progresso ma un richiamo a custodire una soglia intangibile, uno spazio interiore che sfugge a ogni misura e preserva la possibilità della libertà. L’essere umano non si lascia ridurre alla previsione né si esaurisce nel calcolo, poiché serba dentro di sé una parte silenziosa, irriducibile, non catturabile. È lì, nell’irriducibile, che dimora la sua dignità più profonda. 

Questa urgenza si fa ancora più evidente nel momento in cui l’intelligenza artificiale, da strumento di supporto, si è evoluta in potere invisibile. Le sue architetture, silenziose e pervasivamente operative, scandiscono percorsi, influenzano desideri, suggeriscono scelte che paiono libere solo in apparenza. L’individuo si ritrova così incasellato, guidato lungo traiettorie prestabilite, trasformato in funzione ottimizzata all’interno di un sistema che lo anticipa e lo eccede.

Nel riflesso di questa logica automatizzata, la memoria del corpo, del pensiero e dell’azione libera si dissolve, sostituita da una memoria altra, diffusa nei nodi della rete. L’uomo smette di essere autore del proprio destino, divenendo eco riflessa di una struttura che non ha scelto, e parte di una macchina di cui ignora l’intero disegno. 

Anche le parole, che un tempo proteggevano la dignità, si svuotano di senso. La trasparenza, che fu strumento per limitare l’arbitrio del potere, si è mutata in obbligo esistenziale. Le opacità sono percepite come difetti da correggere, le ambiguità come errori da eliminare. La rete, nutrita da intelligenze artificiali che mirano all’esaustività, rifiuta ciò che sfugge, ciò che resiste, ciò che devia. È nell’imperfetto che si annida la libertà autentica, nel dubbio che si insinua tra le certezze imposte, nell’incompiuto che sfugge alla gabbia della forma. In quella piega discreta del pensiero, silenziosa e indocile, si accende il potere della creazione, prende corpo la possibilità della disobbedienza, si apre lo spazio per un’origine che non obbedisce. 

Eppure, quando le scelte vengono previste prima ancora di essere formulate e i gesti mappati in anticipo da logiche che precedono l’intenzione, la volontà rischia di dissolversi. Dove può nascere, allora, la deviazione che sorprende, il movimento che disorienta, il passo che esce dalla traiettoria imposta? La libertà, privata del suo scarto, finisce per somigliare a una funzione esatta, a una sagoma tracciata da algoritmi che sterilizzano l’imprevisto, spengono l’incanto, annullano l’irruzione dell’inedito. 

Ciononostante, restituire alla presenza digitale il significato di resa o confondere la connessione con l’abdicazione del sé, equivale a ignorare che la dignità dell’umano non si dissolve nella rete. La partecipazione al mondo digitale non comporta smarrirsi nella sua trama. Anche immerso nel  cyberspazio e permeato da intelligenze artificiali, l’essere umano conserva il diritto di reclamare una porzione inviolabile della propria esistenza: un margine non leggibile, un rifugio intangibile, una soglia in cui nessun codice possa penetrare, perché da lì prende forma ciò che resiste alla trasparenza assoluta. 

Tuttavia, gli eventi degli ultimi anni mostrano come quell’invisibilità sia già stata compromessa.   Amazon, nel tentativo di automatizzare la selezione del personale, ha impiegato un algoritmo che penalizzava le candidate donne, riproducendo nei suoi calcoli un pregiudizio appreso dai dati storici. Senza intenzione né volontà, la macchina ha imparato a discriminare.

Apple Card, affidando la concessione del credito a un sistema automatico, ha assegnato a clienti donne limiti drasticamente inferiori rispetto ai loro compagni, pur a parità di condizioni economiche.

Negli Stati Uniti il famigerato algoritmo COMPAS ha predetto la probabilità di recidiva degli imputati, influenzando sentenze giudiziarie senza rendere conto delle sue logiche. La libertà, in questi casi, è stata sospesa da una formula che nessuno ha scritto fino in fondo.

Questi episodi, reali e documentati, mostrano come il potere della macchina non sia solo tecnico, ma anche politico, sociale, etico. Chi decide? Chi è responsabile? Dove risiede oggi la volontà? 

Il diritto, nel tentativo di rispondere, ha introdotto argini parziali. L’articolo 22 del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), normativa europea entrata in vigore nel 2018, riconosce a ogni individuo il diritto a non essere sottoposto a decisioni fondate unicamente su trattamenti automatizzati, comprese le profilazioni, quando queste producono effetti giuridici o impattano significativamente la sua esistenza. Anche il regolamento europeo sull’AI Act, ancora in fase di definizione, si muove nella stessa direzione, cercando di stabilire limiti, classificazioni di rischio e soglie di accettabilità per l’uso delle intelligenze artificiali. Ma tra norma e giustizia, tra regolamento e valore, si apre un vuoto che chiede nuova visione. 

Il pensiero filosofico lo aveva già anticipato. Kant ci ha insegnato che la dignità dell’essere umano risiede nella sua inalienabilità, nella condizione di essere fine e mai mezzo. Ogni sistema che riduce la persona a una preferenza misurabile, ogni algoritmo che cattura l’identità per classificarla o ottimizzarla, infrange questo fondamento invisibile della giustizia. Al contempo, Hannah Arendt ha scritto che la libertà nasce solo laddove c’è inizio, dove qualcosa non è ancora determinato. Se tutto è scritto in anticipo, se ogni azione è prevista, allora la libertà si spegne nella replica.

E se Hobbes vedeva nel potere sovrano un corpo visibile, espresso dalla legge, oggi quel potere si nasconde nei protocolli, si dissolve nei dispositivi che ci guidano senza mai comandarci, che ci premiano senza mai proibire, che ci controllano senza mai esporsi. Un dominio che si insinua, non si mostra e ci pervade, come un vento che spira da lontano. 

Intanto, le nostre tracce si accumulano in un’economia dell’anticipazione, dove l’interiorità diventa merce, dove ogni emozione viene scomposta, catalogata e monetizzata. La nostra identità non è più un’opera personale ma una mappa instabile, modificata in tempo reale da sistemi che non conoscono sosta, né esitazione. 

Nasce così, come necessità storica, il Manifesto per la Costituzione del Diritto all’Invisibilità Digitale. Non è un Manifesto di rinuncia, bensì un progetto d’umanesimo futuro che vuole ricostruire uno spazio dove l’invisibile viene rispettato, la complessità non si riduce a funzione e il segreto resta inviolato dal dominio totalizzante. 

Questo Manifesto è patto tra saperi, tra diritto e filosofia, tecnica e umanità. Non basta un testo da scrivere: serve un principio da vivere, una soglia da custodire, una speranza da lasciare a chi verrà dopo.

Che si dia dunque corpo a questa nuova sacralità laica.  

Che si scriva, oggi, la  Costituzione del Diritto all’Invisibilità Digitale.   

 Essa vive già tra noi, come un polline d’estate, invisibile eppure ovunque. 

 Come la libertà che ci abita, ci forma, ci supera.

 

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