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Economics (221)

Roberto

Roberto Casalena
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Di questo argomento mi sono occupato almeno due volte all'inizio della mia carriera giornalistica, la prima fu su Reporter un quotidiano erede diretto di Lotta Continua e che ha avuto vita molto breve e la seconda dalle colonne del settimanale Capitale Sud appartenente al gruppo Milano Finanza, ma in entrambe le occasioni cercai di dimostrare che una sofferenza raramente è un credito andato a male, trattandosi, invece, nella maggior parte dei casi, di un affidamento che veniva fatto per un'ampia serie di ragioni, tranne, purtroppo che sulla base di valutazioni tecniche e oggettive a partire da quello che, nel gergo tecnico viene definito il merito creditizio del richiedente il prestito.

Badate bene che, allora, la massa dei crediti oggi definiti Non Performing Loans non arrivava, per l'intero sistema bancario italiano, a 100 miliardi di euro, mentre oggi si colloca allegramente a 360 miliardi, ma le cause le avevo già delineate in una ricerca pubblicata su un numero monografico di Sviluppo, rivista dell'ormai defunta Carical ed è ancora un mistero per me che con quello che avevo scritto me l'avessero anche pubblicata.

Ma devo dire che quello che è emerso con riferimento all'operato di Veneto Banca, della Banca Popolare di Vicenza, di Antonveneta (anche se la maggior parte delle magagne di quest'ultima sono emerse solo dopo, ma tanto tempo dopo l'acquisizione della stessa da parte del Monte dei Paschi di Siena), mentre poco so di quanto riguarda la Popolare di Verona, oggi Banco Popolare e domani, se tutto va bene,fuso con la Banca Popolare di Milano, anche se la richiesta di pulizia delle sofferenze avanzata dalla vigilanza BCE e il conseguente aumento di capitale da un miliardo di euro mi fanno pensare che, in tutto o in parte, un analogo sistema funzionasse anche da quelle parti, mentre tralascio per carità di patria quella altra dozzina di istituti di credito di più piccole dimensioni operanti nel Veneto, ebbene dicevo che il modo di erogare il credito in quella regione ha superato di gran lunga la mia fantasia di economista prestato al giornalismo economico.

Quello che in altre parti d'Italia era un fenomeno di grande rilevanza ma sostanzialmente bilanciato da una sana gestione del credito, in Veneto era invece diventato un sistema che si allargava anche ai piccoli soci delle maggiori banche ai quali, come è emerso dalle indagini giudiziarie, si erogavano finanziamenti a fronte dell'acquisto di azioni od obbligazioni subordinate, un andazzo che spiega in parte anche perché non ci sia stata una rivolta popolare quando le azioni sono crollate da 62 euro in un caso e 42 euro nell'altro alla stessa infima soglia di 10 centesimi!

Un fenomeno comune a quasi tutte le banche italiane è quello dell'elevata incidenza percentuale e l'assoluta consistenza in termini assoluti dei prestiti andati in malora in favore dei costruttori che pesano per 40 miliardi circa sui 200 miliardi di sofferenze lorde e che arrivano a pesare per quasi la metà delle sofferenze di alcune banche e se qualcuno pensa che, trattandosi di costruttori, le garanzie reali siano commisurate all'entità dei prestiti ricevuti e mai restituite avrebbe sorprese molto, ma molto amare.

Ai più sarà sfuggita una frase dal sen fuggita di Viktor Messiah, Chief Executive Officer di Ubi Banca, uno dei più forti conglomerati bancari italiani, spintonato da tutte le parti perché si faccia carico dell'alquanto disastrato Monte dei Paschi di Siena, offerta che ha ripetutamente declinato in modi a volte anche bruschi, mentre, dopo la doppia approvazione della vigilanza BCE del piano di Fabrizio Viola che prevede l'azzeramento delle sofferenze e un aumento di capitale da cinque miliardi cinque, Messiah ha messo il silenziatore al refrain: stiamo bene così, per dire che, insomma, se si tratta di una fusione che accresce valore alle due convitate a nozze allora si potrebbe anche fare, il che è davvero il massimo che si può strappare a un tipo come lui.
D'altro canto, le cronache di ieri dicevano che il clima si sta rasserenando anche sul fronte della nascita di Atlante 2, quel fondo nato dalla costola di Penati, dominus del Fondo Atlante, e che è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nell'opera di smaltimento delle sofferenze di MPS e che vedeva latitare fino a poco tempo fa i sottoscrittori, il tutto grazie all'opera di convincimento del ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, e della potente Cassa Depositi e Prestiti che è in realtà il suo braccio armato.


Ma, venendo all'argomento di questa puntata del Diario della crisi finanziaria, è evidente a tutti che, spinti dalle attenzioni a volte pressanti della vigilanza bancaria europea presso la BCE, i vertici delle banche italiane stanno rivedendo in tutta fretta i loro piani industriali, a partire dalle due entità coinvolte nella più grossa fusione della storia bancaria recente, il Banco Popolare e la Banca Popolare di Milano, che hanno retto alla prova dell'aumento di capitale da un miliardo del Banco e stanno lavorando pancia a terra allo smaltimento delle sofferenze, anche se lo stress test di novembre prossimo riguarderà ancora soltanto il Banco Popolare, in quanto la fusione sarà pienamente operativa solo dal primo gennaio 2017.
Ma quello che manca in questa fusione, e più in generale nel complesso e variegato mondo delle banche italiane, è l'applicazione del modello Deutsche Bank, un modello che taglia alla radice uno dei problemi alla base della debolezza delle banche nella terza ondata della tempesta perfetta e che è rappresentato dalla pletorici della rete distributiva, leggi filiali e agenzie, e il correlativo organico delle stesse, con qualche sforbiciata anche all'organico delle sedi centrali, all'attività di Corporate & Investment Banking e alle presenze all'estero. Insomma, Hic Rodi, hic salta!

Che la vicenda del buco nero del credito italiano, il Veneto, sarebbe prima o poi finita in tribunale era chiaro a tutti, in primo luogo ai diretti interessati, cioè ai presidenti e amministratori delegati delle due entità poi salvate dal Fondo Atlante, alcuni dei quali hanno messo in atto una serie di mosse che li hanno resi poco più che nullatenenti in modo da sfuggire alle richieste di risarcimento provenienti dalla folla di risparmiatori che hanno acquistato le azioni a 62 o a 42 euro e si ritrovano ora con in mano titoli del valore di 10 centesimi.

Ma l'arresto di Vincenzo Consoli, già amministratore delegato di Veneto Banca, apre uno squarcio su una rete di favori volti a mettere al riparo lui stesso e la banca da intromissioni poco gradite su un sistema ipercollaudato che distribuiva finanziamenti a imprenditori amici che si sapeva già non li avrebbero mai restituiti, una somma di comportamenti che ha creato il buco miliardario che ha reso tecnicamente fallita Veneto Banca.

Ma ancora più originale è l'iter della vicenda che ha portato Consoli agli arresti domiciliari, in quanto i risultati dell'ispezione della Banca d'Italia che chiarisce un quadro impressionante della gestione della banca è del 2013 e in pari data trasmesso alla procura di Roma che celermente lo trasmettono alla procura di Treviso dove l'istruttoria dorme fino all'ispezione a sorpresa della Guardia di Finanza dai cui risultati si giunge all'allontanamento di Consoli che, però, continua a influenzare la banca attraverso suoi uomini nel consiglio di amministrazione che poi sono gli stessi, spesso grandi debitori della banca stessa, che guideranno l'assalto vittorioso contro la nuova gestione che verrà spodestata in una lunga e infuocata assemblea che vedrà messa in minoranza la nuova gestione e che approvareà quell'aumento di capitale da un miliardo di euro che nessuno degli imprenditori-debitori sottoscriverà aprendo così le porte all'intervento del Fondo Atlante che gestirà in totale autonomia Veneto Banca e compirà finalmente quegli atti necessari a recuperare quella montagna di crediti inesigibili costruiti in gran parte proprio sotto la gestione del banchiere ora agli arresti domiciliari.

E' evidente che questo è solo l'inizio di una fase di inchieste giudiziarie che verranno facilitate dal fatto che ora le due banche venete sono nelle mani di un Fondo che ha tutto l'interesse a che si accerti la verità non essendo legato a quella rete di interessi e complicità che ha avvelenato quella regione d'Italia.

Il normalmente silenzioso Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha fornito venerdì in un paio di interviste la sua verità sulle vicende che hanno portato al quasi dissesto il Monte dei Paschi di Siena, puntando l'indice sulle scelte dissennate fatte dal duo Mussari-Vigni, rispettivamente presidente e direttore generale che, tra l'altro, decisero l'acquisto in una notte di Banca Antonveneta dal Banco Santander di Emilio Botin per un corrispettivo non lontano dall'intero patrimonio della banca senese e che cercarono di occultare le perdite correlative con due derivati denominati Alexandria e Santorini a loro volta forieri di ulteriori perdite, nonché guai giudiziari per i due banchieri.

Ebbene, cosa dice di nuovo Visco? Afferma che, venute alla ribalta la questione dei due derivati (per i quali sono indagate anche le banche che li hanno montati), Mussari e il numero uno operativo di MPS hanno deciso di ricorrere alla cosiddetta platea dei gonzi, emettendo obbligazioni subordinate per diversi miliardi di euro, obbligazioni che, come è scritto nel prospetto informativo che la banca si è premurata di far firmare ai sottoscrittori e che, in caso di default o di applicazione del bail in, seguono la sorte delle azioni, così come non è un mistero che è proprio sulla sorte di questa categoria di obbligazioni che si sta ragionando tra Governo, Commissione europea e vertici del Monte dei Paschi di Siena, in quanto è quasi certo che non verranno toccati gli obbligazionisti appartenenti alla categoria retail, mentre è ancora incerta la sorte dell'ingente quota di obbligazioni in mano agli investitori istituzionali.

Fatta la storia di quello che è avvenuto in quel di Siena fino alla fine della gestione Mussari, sotto processo insieme a Vinci e altri per quelle vicende, il Governatore affronta di petto il piano proposto da Fabrizio Viola, amministratore delegato di MPS, che, come ho scritto in diverse puntate del Diario della crisi finanziaria, ha rilanciato rispetto alle richieste della vigilanza bancaria europea, proponendo un azzeramento immediato delle sofferenze lorde e nette e lanciando un aumento di capitale da 5 miliardi di euro, un piano sostiene Visco che rappresenta una rivoluzione copernicana rispetto alle scelte della passata gestione, perché le perdite derivanti dalla cessione di sofferenze vengono coperte da un aumento di capitale e non da emissione di carta dalla sorte incerta e dal combinato disposto delle due mosse ne verrà fuori una banca ancora più solida e più patrimonializzata.

Nelle due interviste, Visco ammette poi quello che tutti sanno e cioè che oramai la vigilanza non abita più in Via Nazionale, essendo ormai passata da due anni nelle mani di Madame Daniele Nouy, domiciliata in quel di Francoforte!

Il titolo della puntata di oggi del Diario della crisi finanziaria non mi è venuto del tutto a caso, perché dalle statistiche del blog di cui dispongo ho rilevato un'anomalia, in quanto ero abituato a visite contemporanee di centinaia di visitatori statunitensi, ma è da un mese circa che lo stesso accade con visitatori russi, e in entrambi i casi le visite avvengono nello stesso momento, come se un docente stesse mostrando ai suoi alunni le puntate topiche relative alla prima fase della tempesta perfetta e ciò risulta dalle pagine visitate in quel momento e devo dire che la cosa, così come quando riguardava i visitatori en bloc a stelle e strisce mi sta inquietando non poco così come quando il blog ai tempi del fallimento molto pilotato di Lehman Brothers e le altre vicende topiche della finanza globale verificatesi al di là e al di qua dell'Oceano Atlantico, riceveva anche sei mila visite al giorno, in prevalenza dagli Stati Uniti d'America, ma anche da parte di visitatori provenienti da un centinaio di paesi, il tutto grazie alle magie del traduttore di Google.

Ma veniamo al titolo di oggi, che poi non fa che registrare quello che sta accadendo ai titoli bancari, in particolare Unicredit, MPS e Banco Popolare, per non parlare di Carige, azioni che registrano forti impennate e subito dopo tracolli stratosferici e tutto perché non si sa quali saranno, né sul piano qualitativo, né sul piano quantitativo, saranno i provvedimenti che il Governo italiano, d'intesa con la Commissione europea, adotterà, un'attesa che dura oramai da alcuni mesi e che sta rendendo le notti dei numeri uno esecutivi delle principali banche italiane alquanto insonni e talvolta popolate da incubi.

L'unico che ha rotto gli indugi e che non sta dietro ai boatos del mercato è Fabrizio Viola, amministratore del Monte dei Paschi, un banchiere combattivo che ha preso il toro per le corna, rilanciando su quelle che erano le richieste della vigilanza europea, giungendo a pianificare l'azzeramento di 27 miliardi di sofferenze lorde che poi, al netto degli accantonamenti già effettuati sono poco più di 9 e che chiederà al mercato (leggi banche internazionali impegnate nel consorzio di garanzia) cinque miliardi di euro che porteranno il patrimonio della banca senese a undici miliardi e mezzo dai nove e mezzo attuali e che la dovrebbe portare a un cet1 superiore al 15 per cento contro il poco più del 10 per cento previsti dalla normativa e il 14 per cento attuale certificato dagli ultimi stress test.

Archiviata la pratica degli stress test dell'EBA che per colma dell'ironia è guidata da un italiano, così come al nostro paese appartiene il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi in arte Supermario, le banche italiane, quelle promosse e quelle bocciate sono dovute passare al vaglio della borsa dove stanno combattendo, in particolare Monte dei Paschi, Unicredit e Carige, per non toccare nuovi minimi storici, come invece oggi è capitato alla loro sorella di sventura tedesca, la Deutsche Bank.
Il problema dei problemi è come al solito quello dello smaltimento accelerato di una parte significativa di quei 360 miliardi di euro di Non Performing Loans che hanno in pancia, un'impresa nella quale MPS si è già cimentata con la benedizione della vigilanza della BCE, questa a guida di una signora francese, Madame Daniel Nouy, che si è detta felice della temerarietà del CEO di MPS, Fabrizio Viola che va ad eliminare in un colpo solo tutte le sofferenze lorde e nette, mantenendo solo i crediti deteriorati che hanno speranza di recupero migliori delle incancrenite sofferenze e che non solo non approfitta dell'orizzonte temporale quasi triennale offerto dalla vigilanza, ma chiede al mercato, si fa per dire, cinque miliardi di euro quando ne bastavano solo tre, ma come non approfittare di un consorzio di collocamento e garanzia come quello che si è andato formando in questi ultimi giorni.

Non mi ripeterò con Unicredit che al mercato finirà per chiedere un'altra cifra mostruosa, chi dice 7 chi dice 9 miliardi, anche se credo che come Viola anche Mustier finirà per fare cifra tonda e di miliardi ne chiederà dieci, anche perché, al netto delle varie dimissioni che sta effettuando, deve sempre salire di due punti percentuali nel coefficiente patrimoniale ed è utile avere un cuscinetto per le richieste prossime venture di Madame Nouy!
Ma se volgiamo l'attenzione all'intero sistema bancario, torna utile ricordare quanto prevedeva uno studio di una banca straniera nel quale si sosteneva che per affrontare il problema degli NPL e fare fronte alle correlative perdite, sarebbero necessari dai 50 ai 100 miliardi di euro di ricapitalizzazione, una cifra enorme per un mercato che di azioni bancarie non vuole assolutamente sentir parlare, ma che fa il paio con un altro corno del problema: quello dell'enorme numero di dipendenze bancarie e del correlativo necessario taglio sia di alcune migliaia di filiali, sia di un numero di dipendenti bancari che va dalle 30 alle 50 mila unità.

La banca britannica nota al mondo per essere stata oggetto di un salvataggio pubblico da 20 miliardi di sterline ai tempi della prima ondata della crisi finanziaria quando gli inglesi e gli scozzesi assalivano gli sportelli di Northern Rock e di altre banche sospette di poter essere travolte da una crisi di liquidità, è uscita allo scoperto giovedì annunciando per bocca del suo Chief Executive Officer spagnolo, tale Horta, un taglio di 3 mila dipendenti e la chiusura di ben duecento filiali nell'ambito di un piano di ristrutturazione che fa esplicito riferimento alle conseguenze economiche e, soprattutto, finanziarie derivanti dalla decisione degli elettori britannici di approvare l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea.
Il drastico ridimensionamento degli organici e delle filiali di Lloyds fa seguito al taglio di 4 mila dipendenti annunciato nei mesi scorsi, due sforbiciate ravvicinate che toccano poco meno del 10 per cento dell'organico della banca che è pari a 75 mila unità, né vi sono segnali che l'operazione di ridimensionamento sia finita qui, perché le previsioni sul calo dei finanziamenti e in particolare modo dei mutui sono tutt'altro che rassicuranti ed è così prevedibile che altre banche inglesi e scozzesi si metteranno in scia per giungere a quel ridimensionamento degli organici compreso tra un 20 e un 30 per cento previsto per le banche poste sia al di qua che al di là della Manica, così come la consistenza degli sportelli dovrebbe essere ridotta in media di un terzo.

Come ricordavo qualche settimana fa, il numero dei dipendenti del settore finanziario britannico e di circa un milione di persone, uomini e donne che si dividono tra un esercito di persone addette a mansioni ripetitive e poco qualificate e un manipolo, comunque consistente, di addetti alla cosiddetta finanza, con differenze di status e di stipendi, nonché di premi, estremamente elevate. Per dare un'idea, i dipendenti di banca in Italia si aggirano sulle trecentomila unità, un numero non molto difforme dai loro colleghi tedeschi e francesi, il che porta a dire che i dipendenti del settore finanziario britannico sono grosso modo pari a quello della somma dei loro omologhi nei tre paesi più importanti dell'area dell'euro, mentre è possibile ritenere che nei quattro paesi considerati dovranno uscire da qui a pochi anni circa 200 mila dipendenti, mentre dovrebbero chiudere qualche migliaio di dipendenti.
Sono stato di recente in Inghilterra e ho volutamente scelto di arrivarci poco dopo il referendum e avevo notato un certo clima di euforia che non capivo visto che le previsioni economiche in caso di Brexit erano tutt'altro che brillanti, ma poi ho letto in questi giorni la notizia che sono state vendute in pochi mesi 31 milioni di pinte di birra in più e ho capito molto di più!

E alla fine sono arrivate le ventidue di venerdì 29 luglio, la data e l'ora scelte dall'EBA (si doveva tenere conto della chiusura dei mercati azionari statunitensi perché molte banche globali sono quotate anche al New York Stock Exchange), l'organismo europeo chiamato a verificare la solidità patrimoniale delle banche europee aventi rilevanza sistemica, cinque per l'Italia, 51 banche in tutto tra le quali spiccano una pattuglia di banche globali con sede in Francia e Germania, ma anche le due italiane al vertice della graduatoria del nostro paese, Unicredit e Intesa-San Paolo, in quanto a dimensione e presenza all'estero non scherzano.
Ormai tutti sanno come è finita e che in pratica 50 banche hanno superato il test di solidità patrimoniale non solo, e questo era scontato, nello scenario inerziale, ma anche nel cosiddetto scenario avverso che prevede il verificarsi di condizioni di mercato estremamente difficoltose ed è in questo, superata molto brillantemente la verifica a bocce ferme, che il Monte dei Paschi è caduto rovinosamente, passando da un Cet1 di oltre il 14 per cento ad uno che presentava valori negativi, per la precisione di -2,2 per cento, anche se il dato rovinoso era preceduto, come ho già scritto nei giorni passati, dal comunicato della vigilanza europea che accoglieva il piano del Monte dei Paschi sulla cessione totale delle sofferenze (27 le lorde e 9,6 le nette) e l'aumento di capitale da 5 miliardi di euro, aumento garantito da un pool di banche internazionali e che vede la potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs con un importante ruolo di appoggio.

Va notato che quasi tutte le banche presentano, nello scenario avverso, un forte contrazione del coefficiente patrimoniale, mentre Intesa-San Paolo presenta la minore differenza tra i due valori, confermando così la solidità che le viene riconosciuta; va anche detto che il Monte dei Paschi avrebbe superato ampiamente lo stress test se fossero già stati realizzati i due capisaldi del piano approvato dalla BCE e cioè l'aumento di capitale e la pulizia di bilancio così massiccia che la porterà ad essere l'unica banca italiano libera da sofferenze e con "solo" venti miliardi di euro di credit deteriorati, dai 47 miliardi precedenti l'operazione con il Fondo Atlante che, lo ripeto con questa operazione prosciuga del tutto il suo fondo di dotazione e deve usare anche se non per molto l'effetto leva.
Insomma se questa fosse una favola potremmo dire che tutto è finito nel migliore dei modi e che tutti vissero felici e contenti!

I lettori più affezionati del Diario della crisi finanziaria ricordano bene le gesta di Corrado Passera, ex consulente Mc Kinsey nonché direttore generale della Olivetti, ma a quel tempo, la prima ondata della tempesta perfetta,, Chief Executive Officer di Intesa-San Paolo, il massacratore della prima banca italiana, la Banca Commerciale Italiana, persasi nei meandri dei vari processi di distruzione creativa del grande gruppo creditizio milanese fino a scomparire anche dal logo, ma e forse soprattutto manutengolo di Silvio Berlusconi nell'affossamento del possibile e quasi formalizzato merger tra Air France-KLM e Alitalia, un'operazione che sfumò dopo che Silvio vinse a mani basse le elezioni politiche anticipate in Italia nel 2008 e che vide la nascita di quella cordata capitanata da Colonnino padre, anche lui con un passato in Olivetti, un'operazione che vide miliardi di costi addossati allo Stato e che ha rappresentato uno dei più chiari esempi di come, facendo un'operazione non per realizzare qualcosa ma per contrastare qualcuno, si possa determinare una delle più grandi distruzioni di valore che la storia economica contemporanea ricordi.

Poi il nostro entrò in politica con Mario Monti come suo ministro dello sviluppo economico e fu poi uno dei pochi suoi ministri tecnici a scegliere di restare, senza un grande successo in realtà, sulla scena politica, dove alla prima prova in prima persona, le elezioni per l'importante carica di sindaco di Milano scelse, nella costernazione dei suoi, di fare un endorsement in favore del candidato di centro-destra Stefano Parisi che, come tutti ricorderanno è stato battuto, anche se non in modo esaltante, ma è stato battuto da Giuseppe Sala.

Ebbene costui, mentre l'amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena si stava giocando la partita della sua vita con niente poco di meno che la vigilanza bancaria europea presso la Banca Centrale Europea sulla cessione en bloc di 9,6 miliardi di euro (che poi sono più o meno ventisette se si contano gli accantonamenti già effettuati) e il correlativo, ma non del tutto visto che di miliardi ne bastavano due di meno, aumento di capitale da 5 miliardi di euro, si presenta tomo tomo cacchio cacchio al presidente di MPS, tale Tonini con quattro paginette quattro nelle quali si dichiara un interesse per la banca senese e si fa il nome della UBS (You and I come recitava la pubblicità della banca svizzera nel corso della prima ondata della tempesta perfetta) non si capisce se come mandante, se come acquirente, insomma una mossa probabilmente prevista dal numero uno di MPS, Fabrizio Viola, e che forse spiega perché si sia precipitato a tagliarsi i ponti alle spalle sia con il Governo che con la Politica più in generale. Forse Viola perderà, come gli è già successo in passato, ma si può proprio dire che se l'è giocata alla grande

Per ora ha incassato il via libera di Madame Nouy, capo della vigilanza europea, sia alla cessione ad Atlante delle sofferenze sia alle modalità del maxi aumento di capitale, mentre il consiglio di amministrazione di MPS ha rigettato il piano di Passera senza neanche discuterlo.

Con un laconicissimo comunicato, Deutsche Bank ha reso noto di aver realizzato, si fa per dire, utili nel secondo trimestre in discesa del 98 per per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente che aveva visto un utile di 756 milioni di euro, realizzati però in un contesto completamente differente e con Il Chief Operating Officer di importazione non aveva ancora messo in atto il suo piano di drastica ristrutturazione di quella che ancor oggi è la più importante banca europea, una ristrutturazione che vedrà l'uscita di Deutsche da 10 paesi in cui oggi opera e il taglio di un terzo delle dipendenze in Germania, dove la banca di Francoforte è leader assoluto del mercato creditizio interno e dove le concorrenti sia private che pubbliche sono alquanto ammaccate, compresa la HVB di proprietà del gruppo Unicredit, una banca che non ha portato grandi soddisfazioni a coloro che, a partire da Alessandro Profumo, si sono trovati al timone di questo colosso che non poche analogie ha con la banca di Francoforte, compresa la richiesta avanzata ad ambedue dalla vigilanza europea presso la BCE di portare al 12,25 il CET1, ossia il coefficiente patrimoniale che le banche devono rispettare e che, come si è scoperto, non è uguale per tutti ma dipende dalle valutazioni effettuate dalla Nouy e dai suoi più stretti collaboratori.

Certo, le attese degli analisti era ancora peggiori, visti i costi della ristrutturazione messa in atto dal CEO che comportano spese per la chiusura delle dipendenze e, soprattutto, per la dismissione di circa 7 mila dipendenti solo in Germania, mentre poco si sa di quanto costerà l'uscita di dieci paesi in cui Deutsche era presente, spese che varieranno caso per caso in relazione dei sistemi di welfare e di protezione dei lavoratori ivi vigenti.

Ma, come ben sa chi ha seguito le puntate del Diario della crisi finanziaria dedicate alla crisi del colosso creditizio tedesco, il problema dei problemi è rappresentato dalle due Corporate&Investment Banking di cui è dotata Deutsche. Un'anomalia che non trova riscontro nelle altre banche globali poste al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico, che hanno sì alcune di loro due Chief Opaerating Officer, modello di derivazione Goldman Sachs e che ora è stato mutuato da Unicredit, per decisione del suo nuovo/vecchio CEO, ma il problema è che due CIB con due fabbriche prodotto non si erano mai viste e i risultati sono stati subito evidenti con un nozionale per prodotti derivati e titoli più o meno tossici asceso alla stratosferica cifra di 54 mila miliardi di euro, un comparto che, non si sa ancora come, verrà disboscato con il napalm!

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