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Economics (223)

Roberto

Roberto Casalena
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Il Governo italiano, per bocca del suo ministro dell'Economia, ha dichiarato venerdì di non essere rimasto sorpreso della crescita zero su base congiunturale del prodotto interno lordo nel secondo trimestre di quest'anno di disgrazia 2016, un dato secondo Piercarlo Padoan atteso e questo appare veritiero sulla base dei dati parziali che si sono susseguiti nei mesi scorsi e che indicavano un rallentamento della crescita dopo i dati incoraggianti del primo quarto dell'anno, dati che vedevano segnali negativi dalla produzione industriale e dagli ordinativi, nonché un rallentamento dell'export che è determinato da un lato dalla debole domanda mondiale, Cina in primis, ma che è anche il risultato della pervicace volontà della Commissione europea che continua a non sanzionare la Germania per il non rispetto, da sei anni almeno, della norma europea che prevede che un paese membro non possa superare per più di tre anni consecutivi il limite del 6 per cento dell'avanzo commerciale in rapporto del PIL e, grazie anche grazie a questa tolleranza, l'avanzo si è portato lo scorso anno all'8 per cento del PIL.

Ma tutto questo, ovviamente, non giustifica l'arresto della crescita in Italia dopo anni di decrescita e dopo qualche trimestre con segno più, seppure sempre a livello di zero virgola, perché il problema è che scontiamo un dato strutturale che risiede non tanto nella scarsa propensione al consumo degli italiani, peraltro ormai stremati da un'operazione mal gestita di cambio dell'euro a un rapporto di cambio estremamente debole e dall'assoluto non controllo dei prezzi successivo al cambio di valuta, ma piuttosto da un comportamento in verità decennale di una vasta parte della nostra classe imprenditoriale che ha portato le proprie aziende in bancarotta per i crediti con le banche, con il fisco e con l'INPS e i propri capitali all'estero, una fuga peraltro premiata dai vari provvedimenti di sanatoria, su base anonima, approvati dai Governi di ogni colore in cambio di percentuali irrisorie applicate per la regolarizzazione, spesso tombale, di quello che era è resta un reato penale, incentivando così chi non lo aveva fatto ad imitare tale comportamento che, a differenza degli altri grandi paesi membri dell'Unione europea, viene visto dalla maggioranza degli italiani, così come accade per l'evasione fiscale e contributiva, un peccato veniale se non un comportamento addirittura virtuoso.

Nelle numerose puntate che hanno composto il breve saggio intitolato le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi ho illustrato con dovizia di dati questi comportamenti incoraggiati e blanditi dai numerosi suoi governi, ma il problema è che un paese che ha circa quattro milioni di imprenditori e lavoratori autonomi, più del doppio di Germania e Francia messi assieme, ha difficoltà, ammesso che ve ne sia la volontà di contrastarli e solo da pochissimi anni sembra che ci sia resi conto della gravità sistemica della questione.

Farò un caso concreto per dimostrare quanto questi comportamenti possano essere deleteri e il caso del Nord Est in generale e del Veneto in particolare credo davvero che siano esemplari con le numerosissime aziende di piccole e medie dimensioni spuntate come funghi tra le villette abitate dai proprietari e che grazie alle continue svalutazioni della lira hanno invaso i mercati con i loro prodotti grazie anche ai generosi prestiti delle banche della regione, un miracolo che, con l'introduzione dell'euro, è entrato in crisi e che ha mandato a gambe all'aria numerose banche dell'area salvate a suon di miliardi dal Fondo Atlante e dall'istituto centrale delle BCC, il tutto mentre le aziende chiudevano una dopo l'altro e i profitti dei decenni d'oro stavano tranquillamente in Svizzera, in Lussemburgo, alle Cayman e negli altri paradisi fiscali!

Quando sono riprese le pubblicazioni del Diario della crisi finanziaria nel febbraio di questo anno di disgrazia 2016, ho segnalato alcune criticità collegate alla terza ondata della tempesta perfetta ed erano, in estrema sintesi la Cina e il suo mercato azionario, in particolare quello di Shanghai, il comparto delle banche a livello globale, ma in particolare di quelle italiane, ma anche il rischio di bolla speculativa sui mercati azionari a stelle e strisce che ormai macinano un record storico dopo l'altro, per non parlare di quel prezzo del petrolio che ha infatti visto nelle settimane successive alla prima puntata dimezzarsi il valore che ha poi cercato nei mesi successivi un recupero fino a oltre 52 dollari per poi risprofondare a 40 dollari al barile; ovviamente tutte queste criticità sono strettamente connesse tra di loro e hanno tutte a che fare con la recessione e la deflazione che colpiscono in particolare l'Europa, ma che da qui si diffondono poi all over the world e che non sono efficacemente contrastate dalle politiche espansive di tutte le banche centrali ed un livello dei tassi di interesse ufficiali che oscillano ovunque di poco intorno allo zero.

Quasi tutte queste criticità sono esplose e se del petrolio ho già detto quello che è accaduto al comparto bancario è senza precedenti con le banche italiane che già avevano perso molto nel 2015 hanno visto le quotazioni azionarie calare di un cinquanta per cento in media ma con punte di molto superiori per Monte dei Paschi di Siena, passato da oltre 2 euro a 25 centesimi, o il titolo di Unicredit passato da 7 euro a poco più di 2, per non parlare delle due banche venete salvate dal Fondo Atlante le cui azioni da un valore di emissione di diverse decine di euro sono finite per valere 10 centesimi, ma dimezzamenti e più del valore hanno colpito anche banche globali come Deutsche Bank o BNP Paribas, ma andamenti più o meno analoghi sono stati registrati da altre banche globali tedesche, francesi e inglesi.

Ma quello che è scoppiato è scoppiato e serve a poco piangere sul latte versato, anche se nessuno può escludere che qualcosa non possa ancora accadere, mentre il problema è rappresentato da quelle realtà citate all'inizio che non sono ancora esplose: la Cina e il suo mercato azionario, ma ancor di più quello bancario che secondo alcuni osservatori è già tecnicamente fallito, e l'azionario americano contro cui sta scommettendo da mesi uno speculatore di razza come George Soros che, a quanto pare, ha scommesso con successo contro la sterlina in occasione della Brexit che è una bella wild card di cui ho già parlato a lungo.

Alcuni amici mi hanno detto che quando leggono la puntata del Diario della crisi finanziaria al mattino gli va un po' di traverso la colazione, ma il problema è che, in una tempesta perfetta che dura con fasi alterne da nove anni, fare investimenti di rischio è poco consigliabile anche se capisco che le alternative sicure sono a rendimenti bassissimi se non negativi!

Di questo argomento mi sono occupato almeno due volte all'inizio della mia carriera giornalistica, la prima fu su Reporter un quotidiano erede diretto di Lotta Continua e che ha avuto vita molto breve e la seconda dalle colonne del settimanale Capitale Sud appartenente al gruppo Milano Finanza, ma in entrambe le occasioni cercai di dimostrare che una sofferenza raramente è un credito andato a male, trattandosi, invece, nella maggior parte dei casi, di un affidamento che veniva fatto per un'ampia serie di ragioni, tranne, purtroppo che sulla base di valutazioni tecniche e oggettive a partire da quello che, nel gergo tecnico viene definito il merito creditizio del richiedente il prestito.

Badate bene che, allora, la massa dei crediti oggi definiti Non Performing Loans non arrivava, per l'intero sistema bancario italiano, a 100 miliardi di euro, mentre oggi si colloca allegramente a 360 miliardi, ma le cause le avevo già delineate in una ricerca pubblicata su un numero monografico di Sviluppo, rivista dell'ormai defunta Carical ed è ancora un mistero per me che con quello che avevo scritto me l'avessero anche pubblicata.

Ma devo dire che quello che è emerso con riferimento all'operato di Veneto Banca, della Banca Popolare di Vicenza, di Antonveneta (anche se la maggior parte delle magagne di quest'ultima sono emerse solo dopo, ma tanto tempo dopo l'acquisizione della stessa da parte del Monte dei Paschi di Siena), mentre poco so di quanto riguarda la Popolare di Verona, oggi Banco Popolare e domani, se tutto va bene,fuso con la Banca Popolare di Milano, anche se la richiesta di pulizia delle sofferenze avanzata dalla vigilanza BCE e il conseguente aumento di capitale da un miliardo di euro mi fanno pensare che, in tutto o in parte, un analogo sistema funzionasse anche da quelle parti, mentre tralascio per carità di patria quella altra dozzina di istituti di credito di più piccole dimensioni operanti nel Veneto, ebbene dicevo che il modo di erogare il credito in quella regione ha superato di gran lunga la mia fantasia di economista prestato al giornalismo economico.

Quello che in altre parti d'Italia era un fenomeno di grande rilevanza ma sostanzialmente bilanciato da una sana gestione del credito, in Veneto era invece diventato un sistema che si allargava anche ai piccoli soci delle maggiori banche ai quali, come è emerso dalle indagini giudiziarie, si erogavano finanziamenti a fronte dell'acquisto di azioni od obbligazioni subordinate, un andazzo che spiega in parte anche perché non ci sia stata una rivolta popolare quando le azioni sono crollate da 62 euro in un caso e 42 euro nell'altro alla stessa infima soglia di 10 centesimi!

Un fenomeno comune a quasi tutte le banche italiane è quello dell'elevata incidenza percentuale e l'assoluta consistenza in termini assoluti dei prestiti andati in malora in favore dei costruttori che pesano per 40 miliardi circa sui 200 miliardi di sofferenze lorde e che arrivano a pesare per quasi la metà delle sofferenze di alcune banche e se qualcuno pensa che, trattandosi di costruttori, le garanzie reali siano commisurate all'entità dei prestiti ricevuti e mai restituite avrebbe sorprese molto, ma molto amare.

Ai più sarà sfuggita una frase dal sen fuggita di Viktor Messiah, Chief Executive Officer di Ubi Banca, uno dei più forti conglomerati bancari italiani, spintonato da tutte le parti perché si faccia carico dell'alquanto disastrato Monte dei Paschi di Siena, offerta che ha ripetutamente declinato in modi a volte anche bruschi, mentre, dopo la doppia approvazione della vigilanza BCE del piano di Fabrizio Viola che prevede l'azzeramento delle sofferenze e un aumento di capitale da cinque miliardi cinque, Messiah ha messo il silenziatore al refrain: stiamo bene così, per dire che, insomma, se si tratta di una fusione che accresce valore alle due convitate a nozze allora si potrebbe anche fare, il che è davvero il massimo che si può strappare a un tipo come lui.
D'altro canto, le cronache di ieri dicevano che il clima si sta rasserenando anche sul fronte della nascita di Atlante 2, quel fondo nato dalla costola di Penati, dominus del Fondo Atlante, e che è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nell'opera di smaltimento delle sofferenze di MPS e che vedeva latitare fino a poco tempo fa i sottoscrittori, il tutto grazie all'opera di convincimento del ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, e della potente Cassa Depositi e Prestiti che è in realtà il suo braccio armato.


Ma, venendo all'argomento di questa puntata del Diario della crisi finanziaria, è evidente a tutti che, spinti dalle attenzioni a volte pressanti della vigilanza bancaria europea presso la BCE, i vertici delle banche italiane stanno rivedendo in tutta fretta i loro piani industriali, a partire dalle due entità coinvolte nella più grossa fusione della storia bancaria recente, il Banco Popolare e la Banca Popolare di Milano, che hanno retto alla prova dell'aumento di capitale da un miliardo del Banco e stanno lavorando pancia a terra allo smaltimento delle sofferenze, anche se lo stress test di novembre prossimo riguarderà ancora soltanto il Banco Popolare, in quanto la fusione sarà pienamente operativa solo dal primo gennaio 2017.
Ma quello che manca in questa fusione, e più in generale nel complesso e variegato mondo delle banche italiane, è l'applicazione del modello Deutsche Bank, un modello che taglia alla radice uno dei problemi alla base della debolezza delle banche nella terza ondata della tempesta perfetta e che è rappresentato dalla pletorici della rete distributiva, leggi filiali e agenzie, e il correlativo organico delle stesse, con qualche sforbiciata anche all'organico delle sedi centrali, all'attività di Corporate & Investment Banking e alle presenze all'estero. Insomma, Hic Rodi, hic salta!

Che la vicenda del buco nero del credito italiano, il Veneto, sarebbe prima o poi finita in tribunale era chiaro a tutti, in primo luogo ai diretti interessati, cioè ai presidenti e amministratori delegati delle due entità poi salvate dal Fondo Atlante, alcuni dei quali hanno messo in atto una serie di mosse che li hanno resi poco più che nullatenenti in modo da sfuggire alle richieste di risarcimento provenienti dalla folla di risparmiatori che hanno acquistato le azioni a 62 o a 42 euro e si ritrovano ora con in mano titoli del valore di 10 centesimi.

Ma l'arresto di Vincenzo Consoli, già amministratore delegato di Veneto Banca, apre uno squarcio su una rete di favori volti a mettere al riparo lui stesso e la banca da intromissioni poco gradite su un sistema ipercollaudato che distribuiva finanziamenti a imprenditori amici che si sapeva già non li avrebbero mai restituiti, una somma di comportamenti che ha creato il buco miliardario che ha reso tecnicamente fallita Veneto Banca.

Ma ancora più originale è l'iter della vicenda che ha portato Consoli agli arresti domiciliari, in quanto i risultati dell'ispezione della Banca d'Italia che chiarisce un quadro impressionante della gestione della banca è del 2013 e in pari data trasmesso alla procura di Roma che celermente lo trasmettono alla procura di Treviso dove l'istruttoria dorme fino all'ispezione a sorpresa della Guardia di Finanza dai cui risultati si giunge all'allontanamento di Consoli che, però, continua a influenzare la banca attraverso suoi uomini nel consiglio di amministrazione che poi sono gli stessi, spesso grandi debitori della banca stessa, che guideranno l'assalto vittorioso contro la nuova gestione che verrà spodestata in una lunga e infuocata assemblea che vedrà messa in minoranza la nuova gestione e che approvareà quell'aumento di capitale da un miliardo di euro che nessuno degli imprenditori-debitori sottoscriverà aprendo così le porte all'intervento del Fondo Atlante che gestirà in totale autonomia Veneto Banca e compirà finalmente quegli atti necessari a recuperare quella montagna di crediti inesigibili costruiti in gran parte proprio sotto la gestione del banchiere ora agli arresti domiciliari.

E' evidente che questo è solo l'inizio di una fase di inchieste giudiziarie che verranno facilitate dal fatto che ora le due banche venete sono nelle mani di un Fondo che ha tutto l'interesse a che si accerti la verità non essendo legato a quella rete di interessi e complicità che ha avvelenato quella regione d'Italia.

Il normalmente silenzioso Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha fornito venerdì in un paio di interviste la sua verità sulle vicende che hanno portato al quasi dissesto il Monte dei Paschi di Siena, puntando l'indice sulle scelte dissennate fatte dal duo Mussari-Vigni, rispettivamente presidente e direttore generale che, tra l'altro, decisero l'acquisto in una notte di Banca Antonveneta dal Banco Santander di Emilio Botin per un corrispettivo non lontano dall'intero patrimonio della banca senese e che cercarono di occultare le perdite correlative con due derivati denominati Alexandria e Santorini a loro volta forieri di ulteriori perdite, nonché guai giudiziari per i due banchieri.

Ebbene, cosa dice di nuovo Visco? Afferma che, venute alla ribalta la questione dei due derivati (per i quali sono indagate anche le banche che li hanno montati), Mussari e il numero uno operativo di MPS hanno deciso di ricorrere alla cosiddetta platea dei gonzi, emettendo obbligazioni subordinate per diversi miliardi di euro, obbligazioni che, come è scritto nel prospetto informativo che la banca si è premurata di far firmare ai sottoscrittori e che, in caso di default o di applicazione del bail in, seguono la sorte delle azioni, così come non è un mistero che è proprio sulla sorte di questa categoria di obbligazioni che si sta ragionando tra Governo, Commissione europea e vertici del Monte dei Paschi di Siena, in quanto è quasi certo che non verranno toccati gli obbligazionisti appartenenti alla categoria retail, mentre è ancora incerta la sorte dell'ingente quota di obbligazioni in mano agli investitori istituzionali.

Fatta la storia di quello che è avvenuto in quel di Siena fino alla fine della gestione Mussari, sotto processo insieme a Vinci e altri per quelle vicende, il Governatore affronta di petto il piano proposto da Fabrizio Viola, amministratore delegato di MPS, che, come ho scritto in diverse puntate del Diario della crisi finanziaria, ha rilanciato rispetto alle richieste della vigilanza bancaria europea, proponendo un azzeramento immediato delle sofferenze lorde e nette e lanciando un aumento di capitale da 5 miliardi di euro, un piano sostiene Visco che rappresenta una rivoluzione copernicana rispetto alle scelte della passata gestione, perché le perdite derivanti dalla cessione di sofferenze vengono coperte da un aumento di capitale e non da emissione di carta dalla sorte incerta e dal combinato disposto delle due mosse ne verrà fuori una banca ancora più solida e più patrimonializzata.

Nelle due interviste, Visco ammette poi quello che tutti sanno e cioè che oramai la vigilanza non abita più in Via Nazionale, essendo ormai passata da due anni nelle mani di Madame Daniele Nouy, domiciliata in quel di Francoforte!

Il titolo della puntata di oggi del Diario della crisi finanziaria non mi è venuto del tutto a caso, perché dalle statistiche del blog di cui dispongo ho rilevato un'anomalia, in quanto ero abituato a visite contemporanee di centinaia di visitatori statunitensi, ma è da un mese circa che lo stesso accade con visitatori russi, e in entrambi i casi le visite avvengono nello stesso momento, come se un docente stesse mostrando ai suoi alunni le puntate topiche relative alla prima fase della tempesta perfetta e ciò risulta dalle pagine visitate in quel momento e devo dire che la cosa, così come quando riguardava i visitatori en bloc a stelle e strisce mi sta inquietando non poco così come quando il blog ai tempi del fallimento molto pilotato di Lehman Brothers e le altre vicende topiche della finanza globale verificatesi al di là e al di qua dell'Oceano Atlantico, riceveva anche sei mila visite al giorno, in prevalenza dagli Stati Uniti d'America, ma anche da parte di visitatori provenienti da un centinaio di paesi, il tutto grazie alle magie del traduttore di Google.

Ma veniamo al titolo di oggi, che poi non fa che registrare quello che sta accadendo ai titoli bancari, in particolare Unicredit, MPS e Banco Popolare, per non parlare di Carige, azioni che registrano forti impennate e subito dopo tracolli stratosferici e tutto perché non si sa quali saranno, né sul piano qualitativo, né sul piano quantitativo, saranno i provvedimenti che il Governo italiano, d'intesa con la Commissione europea, adotterà, un'attesa che dura oramai da alcuni mesi e che sta rendendo le notti dei numeri uno esecutivi delle principali banche italiane alquanto insonni e talvolta popolate da incubi.

L'unico che ha rotto gli indugi e che non sta dietro ai boatos del mercato è Fabrizio Viola, amministratore del Monte dei Paschi, un banchiere combattivo che ha preso il toro per le corna, rilanciando su quelle che erano le richieste della vigilanza europea, giungendo a pianificare l'azzeramento di 27 miliardi di sofferenze lorde che poi, al netto degli accantonamenti già effettuati sono poco più di 9 e che chiederà al mercato (leggi banche internazionali impegnate nel consorzio di garanzia) cinque miliardi di euro che porteranno il patrimonio della banca senese a undici miliardi e mezzo dai nove e mezzo attuali e che la dovrebbe portare a un cet1 superiore al 15 per cento contro il poco più del 10 per cento previsti dalla normativa e il 14 per cento attuale certificato dagli ultimi stress test.

Archiviata la pratica degli stress test dell'EBA che per colma dell'ironia è guidata da un italiano, così come al nostro paese appartiene il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi in arte Supermario, le banche italiane, quelle promosse e quelle bocciate sono dovute passare al vaglio della borsa dove stanno combattendo, in particolare Monte dei Paschi, Unicredit e Carige, per non toccare nuovi minimi storici, come invece oggi è capitato alla loro sorella di sventura tedesca, la Deutsche Bank.
Il problema dei problemi è come al solito quello dello smaltimento accelerato di una parte significativa di quei 360 miliardi di euro di Non Performing Loans che hanno in pancia, un'impresa nella quale MPS si è già cimentata con la benedizione della vigilanza della BCE, questa a guida di una signora francese, Madame Daniel Nouy, che si è detta felice della temerarietà del CEO di MPS, Fabrizio Viola che va ad eliminare in un colpo solo tutte le sofferenze lorde e nette, mantenendo solo i crediti deteriorati che hanno speranza di recupero migliori delle incancrenite sofferenze e che non solo non approfitta dell'orizzonte temporale quasi triennale offerto dalla vigilanza, ma chiede al mercato, si fa per dire, cinque miliardi di euro quando ne bastavano solo tre, ma come non approfittare di un consorzio di collocamento e garanzia come quello che si è andato formando in questi ultimi giorni.

Non mi ripeterò con Unicredit che al mercato finirà per chiedere un'altra cifra mostruosa, chi dice 7 chi dice 9 miliardi, anche se credo che come Viola anche Mustier finirà per fare cifra tonda e di miliardi ne chiederà dieci, anche perché, al netto delle varie dimissioni che sta effettuando, deve sempre salire di due punti percentuali nel coefficiente patrimoniale ed è utile avere un cuscinetto per le richieste prossime venture di Madame Nouy!
Ma se volgiamo l'attenzione all'intero sistema bancario, torna utile ricordare quanto prevedeva uno studio di una banca straniera nel quale si sosteneva che per affrontare il problema degli NPL e fare fronte alle correlative perdite, sarebbero necessari dai 50 ai 100 miliardi di euro di ricapitalizzazione, una cifra enorme per un mercato che di azioni bancarie non vuole assolutamente sentir parlare, ma che fa il paio con un altro corno del problema: quello dell'enorme numero di dipendenze bancarie e del correlativo necessario taglio sia di alcune migliaia di filiali, sia di un numero di dipendenti bancari che va dalle 30 alle 50 mila unità.

La banca britannica nota al mondo per essere stata oggetto di un salvataggio pubblico da 20 miliardi di sterline ai tempi della prima ondata della crisi finanziaria quando gli inglesi e gli scozzesi assalivano gli sportelli di Northern Rock e di altre banche sospette di poter essere travolte da una crisi di liquidità, è uscita allo scoperto giovedì annunciando per bocca del suo Chief Executive Officer spagnolo, tale Horta, un taglio di 3 mila dipendenti e la chiusura di ben duecento filiali nell'ambito di un piano di ristrutturazione che fa esplicito riferimento alle conseguenze economiche e, soprattutto, finanziarie derivanti dalla decisione degli elettori britannici di approvare l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea.
Il drastico ridimensionamento degli organici e delle filiali di Lloyds fa seguito al taglio di 4 mila dipendenti annunciato nei mesi scorsi, due sforbiciate ravvicinate che toccano poco meno del 10 per cento dell'organico della banca che è pari a 75 mila unità, né vi sono segnali che l'operazione di ridimensionamento sia finita qui, perché le previsioni sul calo dei finanziamenti e in particolare modo dei mutui sono tutt'altro che rassicuranti ed è così prevedibile che altre banche inglesi e scozzesi si metteranno in scia per giungere a quel ridimensionamento degli organici compreso tra un 20 e un 30 per cento previsto per le banche poste sia al di qua che al di là della Manica, così come la consistenza degli sportelli dovrebbe essere ridotta in media di un terzo.

Come ricordavo qualche settimana fa, il numero dei dipendenti del settore finanziario britannico e di circa un milione di persone, uomini e donne che si dividono tra un esercito di persone addette a mansioni ripetitive e poco qualificate e un manipolo, comunque consistente, di addetti alla cosiddetta finanza, con differenze di status e di stipendi, nonché di premi, estremamente elevate. Per dare un'idea, i dipendenti di banca in Italia si aggirano sulle trecentomila unità, un numero non molto difforme dai loro colleghi tedeschi e francesi, il che porta a dire che i dipendenti del settore finanziario britannico sono grosso modo pari a quello della somma dei loro omologhi nei tre paesi più importanti dell'area dell'euro, mentre è possibile ritenere che nei quattro paesi considerati dovranno uscire da qui a pochi anni circa 200 mila dipendenti, mentre dovrebbero chiudere qualche migliaio di dipendenti.
Sono stato di recente in Inghilterra e ho volutamente scelto di arrivarci poco dopo il referendum e avevo notato un certo clima di euforia che non capivo visto che le previsioni economiche in caso di Brexit erano tutt'altro che brillanti, ma poi ho letto in questi giorni la notizia che sono state vendute in pochi mesi 31 milioni di pinte di birra in più e ho capito molto di più!

E alla fine sono arrivate le ventidue di venerdì 29 luglio, la data e l'ora scelte dall'EBA (si doveva tenere conto della chiusura dei mercati azionari statunitensi perché molte banche globali sono quotate anche al New York Stock Exchange), l'organismo europeo chiamato a verificare la solidità patrimoniale delle banche europee aventi rilevanza sistemica, cinque per l'Italia, 51 banche in tutto tra le quali spiccano una pattuglia di banche globali con sede in Francia e Germania, ma anche le due italiane al vertice della graduatoria del nostro paese, Unicredit e Intesa-San Paolo, in quanto a dimensione e presenza all'estero non scherzano.
Ormai tutti sanno come è finita e che in pratica 50 banche hanno superato il test di solidità patrimoniale non solo, e questo era scontato, nello scenario inerziale, ma anche nel cosiddetto scenario avverso che prevede il verificarsi di condizioni di mercato estremamente difficoltose ed è in questo, superata molto brillantemente la verifica a bocce ferme, che il Monte dei Paschi è caduto rovinosamente, passando da un Cet1 di oltre il 14 per cento ad uno che presentava valori negativi, per la precisione di -2,2 per cento, anche se il dato rovinoso era preceduto, come ho già scritto nei giorni passati, dal comunicato della vigilanza europea che accoglieva il piano del Monte dei Paschi sulla cessione totale delle sofferenze (27 le lorde e 9,6 le nette) e l'aumento di capitale da 5 miliardi di euro, aumento garantito da un pool di banche internazionali e che vede la potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs con un importante ruolo di appoggio.

Va notato che quasi tutte le banche presentano, nello scenario avverso, un forte contrazione del coefficiente patrimoniale, mentre Intesa-San Paolo presenta la minore differenza tra i due valori, confermando così la solidità che le viene riconosciuta; va anche detto che il Monte dei Paschi avrebbe superato ampiamente lo stress test se fossero già stati realizzati i due capisaldi del piano approvato dalla BCE e cioè l'aumento di capitale e la pulizia di bilancio così massiccia che la porterà ad essere l'unica banca italiano libera da sofferenze e con "solo" venti miliardi di euro di credit deteriorati, dai 47 miliardi precedenti l'operazione con il Fondo Atlante che, lo ripeto con questa operazione prosciuga del tutto il suo fondo di dotazione e deve usare anche se non per molto l'effetto leva.
Insomma se questa fosse una favola potremmo dire che tutto è finito nel migliore dei modi e che tutti vissero felici e contenti!

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