L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1582)

Free Lance International Press

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La musica è la lingua dello spirito. La sua segreta corrente vibra tra il cuore di colui che canta e l’anima di colui che l’ascolta

(Khalil Gibran)

Il nostro paese, è ricco di arte, di cultura, di emozioni. Nel fronte musicale abbiamo diversi cantanti e componitori italiani di tutto rispetto. Vorrei puntare sul cantautorato che arricchisce ancora di più il panorama della musica: comporre musica e parole è arte pura, cantare i propri costrutti, ancora di più. Riuscire a farlo per sé, per gli altri e farlo bene è già un successo ma se questo viene fatto in punta di piedi, con delicatezza, umiltà, professionalità e impegno, si arriva alla vetta.

Mariella Nava è tutto questo-

Maria Giuliana Nava, Mariella Nava per tutti, nasce a Taranto dove inizia a studiare con profitto al pianoforte. Scrittrice da sempre come da sempre estremamente sensibile.

Questa attività la porta dopo consigli di amici di fare leggere le sue composizioni e così inizia la strada di un grande talento. Fu con Gianni Morandi che iniziò i suoi primi successi con la canzone “ Questi figli”. Segue il contratto discografico con la RCA, l’apparizione al Festiva di Sanremo nel 1987 e poi innumerevoli meritati successi. Ha collaborato con illustri nomi della musica, ha scritto per Eduardo De Crescenzo, per Renato Zero, per Andrea Bocelli. Ha duettato con Mango, Amedeo Minghi, Dionne Warwick… Riceve premi per l’attività di scrittura, riconoscimenti al suo lavoro cantautorale e tantissime altre soddisfazioni che ha meritato appieno. La sua emotività e sensibilità l’hanno portata spesso ad essere presente in occasioni di beneficenza in eventi solidali.

Cerchiamo di conoscerla attraverso le sue parole che gentilmente mi ha concesso-

D- Ciao Mariella, intanto grazie per la gentilezza nell’avere accettato l’intervista:

ci piacerebbe conoscere il tuo imprinting con la musica. Quando è stato il primo momento nel quale hai compreso questo amore?

R.: Non ne ho una percezione temporale esatta ma credo che la musica si sia palesata a me come interesse insostituibile nel momento in cui entrò in casa mia un pianoforte verticale.

Sarebbe dovuto essere oggetto di studio per mia sorella di qualche anno più grande di me e quindi più pronta a iniziare ma invece mi ci appassionai io, fu una specie di folgorazione da cui non sono mai guarita. Avevo 7 anni.

D-Hai collaborato artisticamente con grandi nomi della musica? Vuoi parlarci di queste tue emozioni?

R.: grandissime emozioni tutte le volte e tutte diverse.

Le assimilo ad una scala piena di gradini da salire. Ogni volta era per me come un respiro nuovo ed un test importante da superare che insieme mi onorava ma mi metteva alla prova con me stessa. Anche perché il più delle volte era una richiesta che mi arrivava da artisti affermatissimi e non un mio propormi. Tutte le volte aggiungevo un valore alla mia scala e componevo la mia piccola storia. Era come dire: “ Ce L’ ho fatta anche questa volta!”

Ci sono state alcune occasioni in cui mi sentivo troppo inesperta per tenere testa alla domanda di collaborazione ma poi venivo esortata proprio da chi me la chiedeva a mettermi al lavoro con fiducia con il fatto di poter essere benissimo all’ altezza.

Questo è successo con RENATO Zero con “Spalle al muro“ nel 1991 o con Dionne Warwick nel 2004 con “It’s forever”.

D- Hai duettato con diversi artisti, vuoi dirci chi ti ha particolarmente coinvolto? Perché?

R.: Tutte le volte ho provato un grande coinvolgimento.

Ricordo “ Crescendo” con Renato Zero di cui girammo anche un bellissimo videoclip diretto da lui e poi ancora Amedeo Minghi con “ Futuro come te “ portata insieme al Festival di Sanremo del 2000.

Nel cuore ho anche il bellissimo ricordo di Pino Mango con cui cantammo “ Il mio punto di vista”. Due timidi che si incontrano puoi immaginare? Una tenerezza infinita se ci penso!!!!

Però quel giorno intero in studio a registrare e nostre voci insieme resta dentro me come uno dei momenti più emozionanti e belli.

D- La canzone “Vecchio” presentata a Sanremo nel 1991 è stato un enorme successo di Renato Zero e tuo. Quanto è contato per te l’incontro con il carismatico Renato?

R.: L’ ho sempre raccontato. Devo a lui moltissimo per come ha accolto nel suo repertorio questa mia creatura musicale.

Non sarebbe diventato il successo che è se non avesse goduto di quella insuperabile interpretazione su quel magico palco dell’ Ariston.

Tutto era perfetto per scrivere storia.

Io devo a lui il piacere di avere potuto partecipare a quel brillante momento della storia della musica leggera italiana.

Poi tutto il resto. Tutto quello che si può capire e imparare da un grande della nostra scena musicale.

D- L’ambiente della musica come di ogni altro mondo artistico è indubbiamente un cammino tortuoso, difficile  e non sempre sinonimo di meritocrazia. Quanto ti sei sentita compresa? Quante altre volte hai avuto la percezione di insoddisfazione?

R.: posso dirti la verità? Incompresa molte volte. Nonostante la stima guadagnata essere donna in musica è davvero complicato.

Ho versato molte lacrime ma posso dirti oggi che sono state proprio la mia forza. Perciò benedico quei no. Benedico tutte le porte in faccia. E ad ogni delusione ricevuta corrisponde la mia crescita interiore e una mia canzone nuova che poi mi ha dato le più grandi soddisfazioni. Oggi sono molto più consapevole delle mie possibilità, del mio posto e non ho più paura di essere quello che sento e che voglio.

Un artista ha bisogno anche di questo per formarsi.

D- Sei una “scrittrice di vita” e porti in musica incanti di emozioni, hai la qualità di saperti esprimere in modo ottimale con la parola, la metafora e l’espressione emozionale. Quanto è contato tutto questo nella tua carriera? Quale è stata la tua prima importante collaborazione?

R.: è arrivata con una canzone sul rapporto genitori figli. La inviai a Gianni Morandi che come vedi è sempre pronto a voler scoprire e cantare nuovi generi musicali ancora oggi.

Lo lessi su di un giornale che avrebbe cantato volentieri nuovi autori.

Era il 1985. Così gli spedii una cassetta con su una canzone registrata voce e piano in diretta.

In una lettera di accompagnamento dicevo di essere di Taranto, studentessa e un numero di telefono di quelli fissi perché non c’ erano ancora i cellulari.

Rispose mia madre a quel telefono che squillò inaspettatamente in un pomeriggio ed era lui che mi cercava. Pensai che fosse uno scherzo ma era vero. Tutto iniziò da lì.

Cantò per primo le mie note e le mie parole.

Il brano si intitolava “ Questi figli”.

D- Mi piacerebbe che tu ti esprimessi liberamente su quanto è cambiata la musica, gli stili e la richiesta del pubblico.

R.: La richiesta del pubblico ? E chi la ascolta più? Con quale metodo? Se la ascoltassimo almeno una volta potremmo sapere qualcosa in più, per esempio perché non si compra più la musica mentre una volta si correva in un negozio a prenotarne il disco in uscita, perché non la si vuole più possedere ma ascoltare e basta? Ormai sono saltati molti parametri e se ci fermassimo a fare domande semplici avremmo moltissime sorprese.

Come in politica…

La musica è quella che sentiamo perché è quella che gira e forse quella che si sa fare con più facilità da molti ( forse troppi?) in questo momento.

La si “ compone “ con dei campionamenti e il più delle volte il vestito supera di gran lunga il nucleo della canzone, il contenuto, ammesso che ci sia. Spesso la linea musicale se la analizziamo è inconsistente, costruita su una nota sola, a volte due, se si arriva a tre si festeggia, scherzo naturalmente, però è vero che diventa insopportabile, troppe volte ripetuta e monotona.

Tutte le produzioni si assomigliano, in una sorta di overdose di brani poco distinguibili e destinati a non lasciare molto ricordo di sé dopo poco tempo.

Con questo non voglio dirti che tutto quello che si produce non sia valido, anzi, ci sono cose concepite e realizzate molto bene ed anche affascinanti nei nuovi generi, ma generalmente arrivano dall’ estero, dove hanno imparato a scrivere meglio di noi le canzoni che un tempo ci invidiavano.

Però, per farti un esempio, se un esperto musicista compositore si chiudesse in uno studio e capisse come si creano le canzoni in voga adesso, credo che con un po’ di impegno imparerebbe presto e ne potrebbe fare tante.

Il difficile è invece L’ esperimento contrario, scrivere le canzoni, trovare passaggi musicali unici, con cognizione di causa, parole inconfondibili, insomma scrivere quelle canzoni che riescano a rimanere nel tempo e parlare a più generazioni, quelle che non si scrivevano a chili per le stagioni, ma che venivano pensate con cura prima di vestirle con giusti strumenti, quelle che nascevano prendendo una chitarra e cantando come faceva Battisti con Mogol o Modugno o De Andrè, oppure sedendosi ad un pianoforte come faceva Burt Bacharach, tirando fuori un giro di accordi e di melodia di ineccepibile bellezza.

D-Hai qualcosa che vorresti dire ai nuovi talenti?

Si, di essere veri, soprattutto veri , di non scimmiottare mai nessuno e di scriverle loro le mode, non di seguirle!

D- Cosa ne pensi dei Talent che si aprono ai giovani?

Non mi dispiacciono, L’ ho detto già tante volte ma farei qualche cambiamento sui giudici scelti, altrimenti diventa puro show televisivo non al servizio della musica.

D- Una domanda di pura curiosità che rivolgo spesso a ogni tipo di artista: “La tua passione è nata in autonomia o nella tua famiglia vi era già il seme artistico?”

No in realtà è nata da me anche se mia madre, che era insegnante, ha sempre gradito

un’ educazione all’ arte per i suoi tre figli. La riteneva fondamentale per il nostro crescere e la nostra sensibilità e non posso darle torto.

D- Cara Mariella, è mia abitudine lasciare uno spazio bianco a qualsiasi artista perché sono convinta che l’arte non debba avere alcuna catena e limite d’espressione. Mi piacerebbe un tuo pensiero sul panorama musicale e dicendo panorama musicale, intendo spaziare a 360°.

Sentiti libera di dire che…

R- ho già un po’ detto tutto per cui mi limiterò a lanciare un annuncio:

Sappiate che la bella musica c’ è, non morirà mai, basta andare a cercarla.

June 07, 2021

il libro è a cura del Prof. Pejman Abdolmohammadi (PhD) – professore di Storia e Politica del Medio Oriente presso la Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento e Ricercatore Associato dell'Istituto Italiano di Politica Internazionale (ISPI) – e del Prof Giampiero Cama – professore ordinario all'Università degli Studi di Genova, dove insegna Relazioni Internazionali e Scienza Politica   –.

Lo scopo dell'opera è quello di esaminare la politica interna ed estera dell'Iran, evidenziando il suo ruolo strategico nel Medio Oriente e la sua identità libro complesso e contraddittoria tra tradizione e modernità. L'Iran ha il potenziale per svolgere un ruolo cruciale nella stabilità del Medio Oriente per una serie di ragioni. In primo luogo, l'Iran ha un potenziale significativo per agire come mediatore e ponte tra il Medio Oriente e l'Occidente grazie alla sua posizione geografica strategica, essendo situato tra il Mar Caspio e il Golfo Persico, tra l'Asia el' Europa . In secondo luogo, l'Iran è una delle maggiori potenze mediorientali in termini di risorse economiche e militari.La sua politica estera e il processo decisionale strategico potrebbe essere gli equilibri di potere nella regione. In terzo luogo, in quanto principale stato islamico sciita in Medio Oriente, l'Iran svolge un ruolo importante nelle risorse simboliche e può di conseguenza un'influenza significativa nelle aree strategiche come Libano, Yemen, Bahrain, Siria e Iraq, che sono affiliate al Repubblica islamica in vari modi. In questi paesi i punti di vista di Teheran sono importanti. A livello regionale e internazionale, il ruolo guida dell'Iran all'interno del mondo sciita, unito alla questione nucleare, ai suoi rapporti contraddittori con gli Stati Uniti e alla sua alleanza con Cina e Russia, fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante.influenza importanti in aree strategiche come Libano, Yemen, Bahrain, Siria e Iraq, che sono affiliate al Repubblica islamica in vari modi. In questi paesi i punti di vista di Teheran sono importanti. A livello regionale e internazionale, il ruolo guida dell'Iran all'interno del mondo sciita, unito alla questione nucleare, ai suoi rapporti contraddittori con gli Stati Uniti e alla sua alleanza con Cina e Russia, fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante. influenza importanti in aree strategiche come Libano, Yemen, Bahrain, Siria e Iraq, che sono affiliate al Repubblica islamica in vari modi. In questi paesi i punti di vista di Teheran sono importanti.A livello regionale e internazionale, il ruolo guida dell'Iran all'interno del mondo sciita, unito alla questione nucleare, ai suoi rapporti contraddittori con gli Stati Uniti e alla sua alleanza con Cina e Russia, fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante. interno del mondo sciita, unito alla questione nucleare, ai suoi rapporti contraddittori con gli Stati Uniti e alla sua alleanza con Cina e Russia, fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante. influenza importanti in aree strategiche come Libano, Yemen, Bahrain, Siria e Iraq, che sono affiliate al Repubblica islamica in vari modi. In questi paesi i punti di vista di Teheran sono importanti.A livello regionale e internazionale, il ruolo guida dell'Iran all'interno del mondo sciita, unito alla questione nucleare, ai suoi rapporti contraddittori con gli Stati Uniti e alla sua alleanza con Cina e Russia, fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante. interno del mondo sciita, unito alla questione nucleare, ai suoi rapporti contraddittori con gli Stati Uniti e alla sua alleanza con Cina e Russia, fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante. influenza importanti in aree strategiche come Libano, Yemen, Bahrain, Siria e Iraq, che sono affiliate al Repubblica islamica in vari modi. In questi paesi i punti di vista di Teheran sono importanti.A livello regionale e internazionale, il ruolo guida dell'Iran all'interno del mondo sciita, unito alla questione nucleare, ai suoi rapporti contraddittori con gli Stati Uniti e alla sua alleanza con Cina e Russia, fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante. fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante. influenza importanti in aree strategiche come Libano, Yemen, Bahrain, Siria e Iraq, che sono affiliate al Repubblica islamica in vari modi. In questi paesi i punti di vista di Teheran sono importanti.A livello regionale e internazionale, il ruolo guida dell'Iran all'interno del mondo sciita, unito alla questione nucleare, ai suoi rapporti contraddittori con gli Stati Uniti e alla sua alleanza con Cina e Russia, fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante. fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante. influenza importanti in aree strategiche come Libano, Yemen, Bahrain, Siria e Iraq, che sono affiliate al Repubblica islamica in vari modi. In questi paesi i punti di vista di Teheran sono importanti.A livello regionale e internazionale, il ruolo guida dell'Iran all'interno del mondo sciita, unito alla questione nucleare, ai suoi rapporti contraddittori con gli Stati Uniti e alla sua alleanza con Cina e Russia, fanno del Paese un argomento di studio stimolante e interessante.

A livello interno, l'Iran rappresenta un importante laboratorio di innovazioni politiche e di modernizzazione, che in alcune occasioni hanno ispirato movimenti e trasformazioni anche in altre parti della regione. Alcune di queste trasformazioni hanno portato alla democratizzazione e alla liberalizzazione, mentre altre hanno visto l'adozione di nuovi modelli di sistemi autoritari. Ad esempio, la rivoluzione costituzionale iraniana del 1906 {Enghelab-e Mashrouteh) ha rappresentato uno dei primi movimenti sorti dalla base e ha chiesto la liberalizzazione dei sistemi politici in Medio Oriente. Un altro esempio è la rivoluzione islamica del 1979, che ha rappresentato un punto di svolta per tutti i paesi islamici, e può essere paragonata alla rivoluzione russa del 1917.

La Repubblica islamica è diventata una fonte di stimolo e di speranza per molti movimenti politici islamisti. Nel 2009, è stato il Movimento Verde iraniano a scatenare la prima grande protesta pubblica da parte dei giovani in Medio Oriente vista nel ventunesimo secolo. Una nuova generazione iraniana ha chiesto più democrazia, laicità e libertà, utilizzando la tecnologia moderna, in particolare i social media come Twitter e Facebook e la comunicazione satellitare; questo ha in parte ispirato il movimento della "primavera araba" in altre parti della regione. Anche se il Movimento Verde è stato represso, ha presentato le nuove generazioni iraniane come tra le più progressiste del Medio Oriente. È possibile sostenere che nella reazione e nella critica all'uso politico dell'Islam si siano viste in Iran le prime tracce di sostegno a una società post-islamista in Medio Oriente. Il paese stato stato uno dei primi paesi del Medio Oriente a istituire un moderno islamico nel, ma dopo quattro decenni ha iniziato a frequentare una scuola tendenze post-isla, volte a promuovere valori più laici. Per comprendere più in profondità queste tendenze, è importante e rilevante esaminare la società iraniana e le interazioni tra diversi gruppi sociali e culturali all'interno della Repubblica islamica. Questi sviluppi in corso in Iran sono in contrasto con le principali tendenze in molti altri paesi del Medio Oriente. Turchia, Qatar, Marocco e Yemen stanno promuovendo, sia pure con interpretazioni diverse, l'ascesa dell'islam politico.Questo libro ha adottato un approccio multidisciplinare.

 

Politiche interne ed estere contemporanee dell'Iran
Abdolmohammadi, P. & Cama, G.

Spesso accade che nella ricerca della novità a tutti i costi o quella cucina alternativa solo perché alla moda, si perda di vista coloro che fanno ristorazione di prima qualità, con scrupolo e tanta dedizione nonostante i tempi non facili.

Come al Ristorante Cotto , nel cuore di Roma, in via Torino, 124 tra la Stazione Termini e il Quirinale, a due passi dal Teatro dell'Opera.

Un locale moderno e classico, con un ottimo servizio, dove si mangia veramente bene. Uno di quei locali che mette d'accordo un po' tutti. Il suo successore?

Il passa parola incessante, i consensi unanimi e così il locale diviene il posto ideale per una pausa tranquilla, che sia una colazione di lavoro o un incontro fra amici o ancora un rilassante t ê te at ê te.

Il menù preparato dallo chef messinese Giuseppe Arena ; la carta dei vini predisposta per aiutare a orientarsi anche nella scelta dei piatti.

Già il menù, biglietto da visita del locale, combina sapori classici e contemporanei, con piatti gustosi e ricercati sia di pesce che di carne.  Anche scelte per vegani e vegetariani.

Piatti interessanti e ben fatti grazie all'estro del bravissimo Giuseppe, attento a rispettare gli ingredienti, preciso nelle cotture, fantasioso quanto basta per rendere il tutto accattivante.

Una vera “chicca” nel cuore di Roma. Il lusso della semplicità.

Anche se è una frase un po' abusata, il Ristorante Cotto incarna il buon gusto, l'ospitalità e la buona cucina, il mix del suo successo. Un locale da consigliare.

Urano Cupisti

May 26, 2021

Il comando biblico “Crescete e moltiplicatevi” potrebbe portare l'umanità al punto di non ritorno. Il conseguente pericolo di questo assunto biblico dimostra che nessun principio, nessuna dottrina, nulla di ciò che viene sancito nei testi religiosi, come in ogni legge laica, ha valore imperituro.

Durante l'anno zero, cioè la nascita di Cristo, la popolazione mondiale era di 350 milioni di anime. Si calcola che nel 1800 la popolazione fosse di 700 milioni e che nel giro di un trentennio sia aumenta di un terzo fino a raggiunge un miliardo di unità nel 1830. Un secolo dopo sulla terra si contano 2 miliardi di esseri umani e nel 1975 4 miliardi . Oggi, 2021, la popolazione mondiale è di circa 7,8 miliardi di persone e si prevede che un fine secolo sarà di 100 miliardi. Ma molto prima sarà superato il numero

massimo di esseri umani tollerato dal pianeta.

Thomas Robert Malthus all'inizio dell'800 già affermava che se la moltiplicazione del genere umano non fosse stata regolata sarebbe stata causa di carestie e fame nel mondo ed il motivo della sua stessa rovina.

Anche se l'incremento demografico venisse arrestato e la fertilità umana diminuisse, la tendenza all'affollamento rimarrebbe. Alcuni esperti sono concordi nell'affermare che anche riuscendo a stabilizzare le nascite a livello zero (uguale a quello dei decessi) la popolazione mondiale raggiungerebbe ugualmente 16 miliardi di individui prima di una assestamento definitivo, cioè il doppio della popolazione attuale.

Se in un ascensore per capienza di 4 persone ne entrano 8 tra i gli occupanti si manifestano segni di insofferenza, di ansia, di paura e qualunque incidente degenera in aggressività. Allo stesso modo, se una tavola è imbandita per nutrire 10 persone, a mano a mano che si aggiungono nuovi commensali le porzioni diventano sempre più piccole e quando l'esigua porzione non è più sufficiente a sfamare nessuno dei presenti, si manifestano azioni di forza e di violenza secondo la legge mors tua vita mea. Questo è quanto succederà al genere umano se responsabilmente non si impegnerà a contenere l'incremento demografico.

Il maschio supremo dell'uomo sta nella sua indifferenza verso gli effetti che hanno prodotto le scelte individuali. Mettere al mondo un essere, per realizzare se stesi o appagare il proprio desiderio di essere genitori, è puro egoismo.

Anche quando la procreazione è concepita per la gioia di avere un figlio da amare, è sempre l'egoismo che ci muove. La sola cosa che può giustificare la messa al mondo di un nuovo essere è l'amore per la vita, la volontà di chiamare un nuovo essere al bene dell'esistenza, la volontà di dare al mondo un elemento armonico e positivo per il bene di tutti; non per propria soddisfazione, non per assicurare a se stessi la propria discendenza, non per avere sostegno nella fase della vecchiaia, nè per lasciare il proprio patrimonio  finanziario o immobiliare, ma nell’intento di contribuire a rendere migliore questo mondo.

Donare la vita è l'esperienza più meravigliosa dell'universo (e nello stesso tempo più pericolosa e drammatica), per questo è grande la responsabilità verso chi (forse) non chiede di esistere.

La realtà antropologica mostra che quanto più una popolazione vive nella povertà e nell'ignoranza tanto più tende a moltiplicarsi, mentre quanto più c'è civiltà e benessere economico più si restringe il numero dei componenti familiari. Ma tutto è interconnesso e solo da una volontà politica generale intesa a favorire la prosperità e la cultura anche delle popolazioni indigenti può nascere il vero piano di contenimento delle nascite e scongiurare inquietanti prospettive future.

May 19, 2021

Le aggressioni israeliane in corso nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, contestuali alla brutale repressione delle proteste dei cittadini israeliani arabi, mostrano i limiti degli accordi Abramo, che avevano di fatto estromesso la questione palestinese dalla diplomazia; intanto, l’esercitazione a guida USA Defender-Europe, quest’anno particolarmente imponente, aumenta le tensioni con la Russia, aprendo un fronte tra i Balcani, il Mar Nero e l’Asia centrale; sul piano interno, nelle “democrazie neo-liberali” l’emergenza sanitaria globale ha favorito una militarizzazione progressiva delle società, e non solo per via della terminologia caratteristica della narrazione della pandemia

Dejà-vu?

Il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese è in apparenza un déja-vu geopolitico. Lancio di razzi dalla Striscia di Gaza, reazione sproporzionata e aggressiva dell’esercito israeliano, i soliti vani inviti della comunità internazionale alla cessazione delle ostilità. In realtà, sono almeno tre gli elementi nuovi di questa crisi: il primo è l’apertura, per Tel Aviv, di un fronte interno in diverse città finora caratterizzate dalla coesistenza pacifica tra arabi ed ebrei, sia pure fondata sulla disponibilità dei primi di godere dei pochi benefici sociali che si potevano trarre da una cittadinanza di serie b. Ora, le proteste mostrano una maggior intraprendenza civile e politica delle giovani generazioni di cittadini arabi dello Stato di Israele, per i quali la crisi sociale innescata dall’emergenza Covid-19 ha solo aggravato una condizione di oppressione già dominata dall’espansionismo dei coloni israeliani e da espulsioni ed espropri forzati. Dinamiche consolidate, negli ultimi quattro anni, dall’ex presidente USA Donald Trump e, soprattutto, dal suo alto consigliere per il Medio Oriente, il genero Jared Kushner. Uomo d’affari del settore immobiliare, storico sostenitore delle campagne elettorali dei democratici, nel 2016 cambiò bandiera, sostenendo l’elezione del suocero sia dal punto di vista finanziario, sia con una febbrile attività di marketing politico attraverso le reti sociali.

Tra Tehran e Ankara: il pendolo di Washington

Premiato con una nomina di profonda sensibilità strategica, Kushner è stato dunque l’artefice della politica mediorientale dell’amministrazione Trump, riassumibile nella linea della massima pressione sull’Iran (fino alle pretese di un cambiamento di regime), mediante il ritiro di Washington dagli accordi denominati Piano di azione congiunto globale (JCPOA) e la creazione di un solido e agguerrito fronte anti-iraniano che aveva tra i suoi pilastri il premier israeliano Benyamin Netanyahu, l’Egitto di Mohamed Abd-al-Fattah a-Sissi e le petro-monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo (ai cui regimi la diplomazia petrolifera frutta sempre meno), in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Un fronte consolidato dagli accordi di Abramo, che hanno favorito l’instaurarsi di una cooperazione tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Ne è rimasta fuori, invece, l’Arabia Saudita, che, da un lato preferisce non contrariare l’opinione pubblica in gran parte filo-palestinese, dall’altro non ha alcuna necessità di aumentare o rivedere il suo rapporto di collaborazione con Tel Aviv. Gli Accordi di Abramo, insieme ad altri accordi bilaterali di normalizzazione tra Israele, Egitto e Sudan, hanno stabilito un assetto geopolitico diverso da quelli nei quali si erano inserite le precedenti aggressioni israeliane contro i territori palestinesi, in particolare nella Striscia di Gaza. Il secondo elemento nuovo del conflitto in corso, è, appunto, il quadro geopolitico stabilito da questa rete di accordi, che hanno coinvolto, lo scorso anno, anche la Serbia (storicamente alleata del popolo palestinese) e il Kosovo, primo paese musulmano (il cui statuto, peraltro, non è unanimemente riconosciuto dalla comunità internazionale) ad aver aperto un’ambasciata a Gerusalemme.

Un’altra eredità dell’era Kushner, è infatti il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico e dal conseguente trasferimento delle sedi diplomatiche dalla capitale amministrativa. Una mossa che ha estromesso la questione palestinese dal dominio della diplomazia, legittimando implicitamente la colonizzazione israeliana e favorendo, così, l’ascesa delle forze politiche più intransigenti. Complessivamente, dunque, durante i quattro anni di mandato di Trump, Washington ha adottato la linea dura nei confronti di Tehran, lasciando, di contro, che gli altri attori regionali, Turchia, Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, accrescessero il proprio peso geopolitico. Al contrario, l’amministrazione di Barack Obama era caratterizzata da un approccio più costruttivo nei confronti dell’Iran, ma più diffidente nei confronti di Ankara. Lo stesso approccio, almeno finora, adottato dall’attuale inquilino della Casa Bianca, con il quale Kushner, nell’editoriale del Wall Street Journal del 14 maggio, si è congratulato per l’astuzia strategica della sua decisione di riaprire il dialogo con l’Iran. In altri termini, quelle che sembrano virate strategiche altro non sono che strumenti per portare avanti la stessa strategia, tipica degli USA in Medio Oriente (e non solo), divenuta particolarmente evidente a partire dalla guerra del Golfo del 1990 e delle sue devastanti conseguenze. Una sua variante, osservabile nell’ex sfera di influenza sovietica, risponde al principio (simile, ma calato in un approccio più interventista da parte di Washington) per cui gli alleati di oggi sono quelli che bombarderemo domani.

Movimenti di truppe tra Oriente e Occidente

In generale, nell’ultimo mese, si sono acuiti gli attriti tra potenze mondiali e regionali nelle zone di maggior frizione tra Russia e Stati Uniti. Meno interessata al fronte mediorientale, Mosca guarda infatti con inquietudine lo svolgimento in corso di Defender-Europe 21, l’esercitazione militare annuale congiunta, condotta dalle forze armate USA in coordinazione con i paesi partner della regione, non necessariamente appartenenti all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico Nord (NATO). Le operazioni previste quest’anno interessano 16 paesi e coinvolgeranno un totale di 28 mila soldati. Tra i paesi partecipanti figurano, a titolo di esempio, l’Italia e il Kosovo, mentre tra le aree maggiormente interessate (dall’esercitazione principale e da altre ad essa correlate) ci sono i Balcani, il Mar Nero, il Baltico e il Maghreb. Per descrivere la portata di questo pantagruelico apparato, la cui grandiosità spicca sullo sfondo del disastro sociale provocato dall’emergenza sanitaria, il generale statunitense Tod Walters, a capo del comando USA in Europa, ha citato il D-Day, lo sbarco degli anglo-americani in Normandia nel 1944. I sospetti russi riguardano in particolar modo due delle regioni che ospiteranno le operazioni: i Balcani, zona di attrito tra Russia e USA dagli anni ‘90 del secolo scorso, e il Mar Nero. Quest’ultimo costituisce per Mosca una minaccia di non poco conto, soprattutto considerando la concomitanza temporale di Defender-Europe 21 con altri due fatti. Primo, il recente riacuirsi, in aprile, del conflitto russo-ucraino, che ha indotto Mosca a schierare truppe vicino al confine con l’Ucraina. Secondo, il progetto folle di Kanal İstanbul, il nuovo canale sul Bosforo, annunciato dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan nel 2011. I lavori, ha dichiarato lo stesso Erdoğan, inizieranno l’estate prossima e si concluderanno, prevedibilmente, nel 2028.

Un nuovo fronte sul Mar Nero?

A parte le mire neo-ottomane di Erdoğan, Mosca guarda con inquietudine a questi sviluppi, in particolare da quando si sono acuite le tensioni con l’Ucraina. Queste ultime, infatti, hanno fatto riemergere la questione storica della Crimea, e più in generale del Mar Nero, che da secoli costituisce un fronte caldo tra Russia e Turchia. Infatti, lo scorso gennaio, il presidente turco ha dichiarato che il nuovo canale non sarà vincolato ai termini della Convenzione di Montreux, firmata nel 1936 da Francia, Bulgaria, Grecia, Romania, Jugoslavia, Turchia, Regno Unito, Unione Sovietica, Giappone e Australia per regolamentare il transito di navi da guerra attraverso gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, la cui gestione fu affidata alla Turchia. Il trattato prevede, in tempo di pace, la libera circolazione delle imbarcazioni civili e restrizioni per le navi da guerra dei paesiche non si affacciano sul Mar Nero. Norme, quindi, che garantiscono la sicurezza non solo della Russia, ma anche della stessa Turchia: escludere Kanal İstanbul dalla giurisdizione della convenzione di Montreux sarebbe dunque un azzardo, soprattutto con la crisi delle relazioni russo-ucraine non ancora risolta. Ankara, infatti, si è schierata con Kiev, muovendo un ulteriore passo verso il deterioramento delle relazioni con Mosca, già messe a dura prova dal conflitto libico (nel quale le due potenze sono rivali).

C’è il rischio di un cesarismo regressivo

Contro il progetto folle di Erdoğan, si sono espressi, all’inizio di aprile, anche 104 ammiragli turchi in pensione, con una dichiarazione pubblica firmata costata a dieci di loro l’arresto con l’accusa di “attentato all’ordine costituzionale”. Le loro critiche, secondo il presidente turco, sono “allusioni a un golpe”, anche se la loro posizione è simile a quella manifestata qualche giorno prima da 126 ambasciatori: la Convenzione di Montreux protegge gli interessi turchi. L’arresto dei dieci ammiragli sarebbe, pertanto, l’ennesimo atto dello scontro tra Erdoğan e i militari kemalisti (laici), oppure il tentativo di Ankara di gestire gli equilibri tra le componenti del suo stato profondo, in particolare tra quella più allineata con la NATO e quella cosiddetta “eurasiatica”, cui appartiene Cem Gurdeniz, uno dei militari fermati e l’ideologo della teoria della “Patria blu” (Mavi Vatan).

È forse possibile che la militarizzazione della narrazione (e, in alcuni paesi, della gestione) dell’emergenza sanitaria, diffusa attraverso l’omnipervasiva Rete (in particolare mediante le reti sociali), abbia mutato la percezione che le opinioni pubbliche delle democrazie neoliberali hanno delle guerre vere e proprie e degli apparati militari? Sarebbe prematuro dirlo, ma in due paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Francia e USA, le forze armate hanno recentemente, per così dire, esortato i rispettivi presidenti a prendere le redini delle rispettive società, prima che le tensioni sociali diventino incontrollabili senza l’indispensabile intervento degli eserciti. In Francia, peraltro, l’appello firmato da 20 generali in pensione conteneva il riferimento a un potenziale di pericolo nelle minoranze musulmane. Inoltre, vale la pena osservare che il testo è stato  pubblicato dal settimanale di destra Valeurs actuelles lo scorso 21 aprile, anniversario del tentato golpe messo in atto ad Algeri contro il generale Charles De Gaulle. Negli USA, invece, più di 100 generali in pensione hanno indirizzato una lettera aperta al presidente Biden, accusandolo di cercare di instaurare “una forma marxista di governo tirannico”. Due episodi che, se isolati, dimostrano l’emergere di forze (nelle società civili e negli apparati istituzionali) che guadagnano consensi strumentalizzando il timore e la collera di tessuti sociali dissestati dalla tirannide del mercato. E degli imperi.

Il mio primo contatto, una specie di innamoramento, con Franco Battiato è stato con  Fetus,  il suo primo disco di musica elettronica che ha fatto da colonna sonora a notti insonni, passate a dipingere acquerelli astratti quanto le sue “melodie”.

Quando è passato a scrivere  canzonette  l'ho vissuto come una specie di tradimento. Tra i miei amici si diceva che si fosse “venduto al mercato”, che fosse “passato dall'altra parte”; frasi rigorosamente in bianco e nero, prive delle sfumature della vita, in un'epoca di schieramenti a priori.

Solo più tardi ho capito cosa stava facendo, forse; stava scrivendo i mantra del XX secolo; il praticante canta i mantra ignorando le parole di sanscrito di cui sono composti, la Parola di Dio è solo suoni; sono proprio quei suoni che risuonano in certi punti del corpo, stimolano certi centri e favoriscono certe risposte. Il praticante non lo sa, canta e basta. Le  canzonette  del suo  periodo pop , con le loro allusioni ei loro deliziosi nonsense svolgono la funzione di moderni mantra; l'inconsapevole fan le canta ei chakra cantano e risuonano con lui, danno delle piste, aprono possibilità.

Potrebbe essere una delle tante spiegazioni di un essere umano inspiegabile, come tutti i misteriosi personaggi che hanno illuminato il XX secolo e che sono sfuggiti alle definizioni banali, all'essere da una parte o dall'altra, soprattutto dalla parte dei potenti.

Non diremo che Franco Battiato ha letto Gandhi, Silo o Martin Luther King, non lo tireremo dalla nostra  parte  come si suol fare con i morti che, di norma, non hanno più la possibilità di smentirti. Lo lasceremo  in pace .

Semplicemente salutiamo l'essere umano, lo studioso di Gurdjieff, dei mistici e del Libro Tibetano dei Morti, il musicista poliedrico e mai soddisfatto, lo studiooso e praticante sempre alla ricerca del prossimo passo dell'ascesa. Nel Suo ultimo lavoro Fondamentale  Attraversando il Bardo, Sguardi sull'aldilà, libro documentario  e Capisce Che il percorso verso il  DOPO  fosse Già tracciato e conosciuto.

Forse gli accadimenti degli ultimi anni, gli incidenti, le dicerie sulla malattia erano l'ultima dissimulazione per partire con la dovuta calma e consapevolezza. Senza inutili distrazioni.

Dunque, buon cammino e arrivederci, Franco. Felici di aver condiviso insieme qualche istante del misterioso viaggio come Esseri Umani.

 

 

per gentile concessione dell'agenzia di stampa PRESSENZA

 
 

Non sembra ma è uno scontro che dura da secoli. Il mondo come una scacchiera. Le parole nordiche da sempre prediligono la “bionda”. Quelle comprese tra il 30 ° e 50 ° parallelo sia Nord che Sud più propense verso il “nettare di Bacco”. Poi le eccezioni in tutte e due le fasce.

Ma è nata prima la birra o il vino?

Confrontando le datazioni di cui siamo certi si potrebbe affermare che la birra sia più antica , tuttavia nessuno ne ha la

 
 abbinamento con ostriche

certezza.

Anche perché a far ruotare l'ago della bilancia a favore del vino pesa il processo di produzione della birra che generalmente è “meno spontaneo”.

Altri dati, temi della contesa:

- la birra rappresenta la bevanda meno nobile, il vino più ricercata, sofisticata;

- la birra è prodotta con i cereali di diversa natura, il vino è solo oggetto di fermentazione del mosto, la pigiatura dell'uva;

- la birra da sempre è prevalentemente pagana ( ad eccezione degli studi e produzioni dei monaci francesi, belgi e tedeschi), il vino bevanda sacra legata “al sangue di Cristo”. E via, via, via.

Una cosa è certa; nel mondo in cui viviamo ambedue le bevande sono oggetto di continui studi, produzioni diversificate, volte e invadere i territori reciproci cercando di primeggiare sui mercati.

Ecco che la vite esce dai propri confini e colonizza territori nuovi come la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, la Svezia. Esplode il fenomeno in Cina e nei paesi asiatici, raggiungendo anche limiti di altitudini mai pensate (allevamenti di Malbec a 3.150 mslm nella regione andina del Salta-Argentina) o latitudini equatoriali come in Brasile,

 
 fruit Beer con i dessert

nello stato del Par á .

La birra, dal canto suo, con il confermare sempre più le "sue" zone di competenza, invade i tradizionali territori vinicoli "sdoganandosi" e sostituendosi con prodotti più ricercati e attenti soprattutto ai gusti giovanili, giocando in particolare sulla bassa tenuta alcolica ea tutto quanto ne consegue.

Avete notato che nei film di produzione americana si beve meno vino, champagne e superalcolici e più birra? Direttamente dalla bottiglia risparmiando il lavaggio dei bicchieri? Più “fico e green”.

E non parliamo dell'attuale sfida lanciata su uno dei “dogmi” fondanti della Scuola del Vino: l'abbinamento con il cibo.

Minata la figura del sommelier che deve reinventarsi una cultura birra-cibo per la crescente richiesta di questa bevanda.

Non solo pizza e birra ma carne, pesce, verdure e, udite udite, abbinamenti con la cucina vegana .

Accanto alla Carta dei Vini anche quella delle Birre.

" L'abbinamento di cibo e birra è un elemento fondamentale per raggiungere una perfetta armonia tra tutte le sensazioni percepite durante la degustazione, quindi la migliore valorizzazione delle caratteristiche organolettiche di entrambi gli alimenti". Così ho trovato scritto in una Carta di un noto Ristorante stellato.

Sapidità, tendenza dolce, grassezza, tendenza acida, tendenza amarognola, untuosità, succulenza, persistenza gusto - olfattiva , non sono più appannaggio della scienza dell'abbinamento cibo-vino.

Abbinamento per contrasto e abbinamento per concordanza si insegnano anche ai Corsi della Birra sempre più frequenti.

Una volta, ricordo, costituivano materia di una sola lezione durante i tre livelli per ottenere l'attestato di sommelier. Oggi sono Corsi mirati, maggiormente conoscitivi della materia della “bionda”.

Di seguito un elenco dei piatti abbinati a stili di birra:

 
 

ALE LEGGERO: Tramezzini, formaggi a media stagionatura

BRITISH BITTER: Sandwich, tramezzini, formaggi freschi

ALES SCOZZESI: Carni rosse, arrosti e stufati, se dolce adatte ai dessert

PALE ALE: Primi piatti, carni leggere, salumi, formaggi

INDIA PALE ALE: Primi piatti con verdure, ortaggi, carciofi ed asparagi

ALTBIER: Primi piatti saporiti, formaggi, selvaggina, se dolce adatte ai dessert

MARRONE ALE: Carni rosse, arrosti e stufati, formaggi a media stagionature

NEWCASTLE BROWN ALE: Carni rosse, arrosti e stufati, formaggi a media stagionature

ALES FORTI: Carni rosse, formaggi a media e lunga stagionatura, anche erborinati

PORTIERE: Carni rosse

STOUT: Carni rosse, selvaggina e formaggi a lunga stagionatura

ALES FRANCESI: Primi piatti, carni leggere, salumi, formaggi

ALES BELGA: Primi piatti saporiti, formaggi, selvaggina, se dolce adatte ai dessert

FORTE ALES BELGA: Arrosti e spezzatini, salumi, molluschi e pesce alla griglia, formaggi a lunga stagionatura e caprini

SPECIALITÀ BELGA ALE: Carni rosse, arrosti e stufati, formaggi a media stagionature

WEIZEN: Carni di maiale, pesce

EUROPEAN LIGHT LAGER: Antipasti, insalate, pomodori ed ortaggi aciduli, pizza, formaggi a pasta filata

AMBRA TEDESCA: Carni rosse, arrosti, formaggi a media stagionatura, salumi

LAGER SCURO EUROPEO: Carni rosse, arrosti, formaggi a media stagionatura, salumi, se con residuo zuccherino adatte ai dolci

BOCK: Primi piatti, carni leggere, salumi, formaggi

FARO: Fuori pasto o con alimenti a forte tendenza dolce (riso e pasta al burro)

GUEUZE: Alimenti a tendenza dolce, anche con dessert alla frutta se aromatizzate

 
 Ora et labora

Parlare di birra e molluschi può sembrare un po 'audace. Ma non è così.

Birra e cozze è un grande classico, lo stesso tra birra Stout e ostriche (per gli amanti del vino non è solo una bestemmia, è una assurdità, sovversiva e scandalosa).

Abbiamo finito di mangiare, è il momento del dessert. Moscati, passiti, spumanti dolci. Il classico abbinamento per concordanza.

Ecco che si fanno strada le Fruit Beer , premuroso l'abbinamento più classico. Addirittura si va oltre: se abbiamo una torta a base di frutta, possiamo creare equilibrio con l'amarezza di una Porter, se prevalgono gli agrumi invece, meglio una Blanche. A seguire le Sour, Berliner Weisse, Gueuze, Italian Grape Ale o Lambic dal sapore secco e vinoso.

La guerra è in corso. Comunque la si pensi, sottovalutarla è un errore. Chapeau!

 

 

Urano Cupisti

Tempo che soffre e fa soffrire,

tempo che in un turbine chiaro

porta fiori misti a crudeli apparizioni.

(Mario Luzi)

Il tramite della poesia rimane l'uomo, l'uomo con la sua mentalità, intelligenza, scaltrezza, l'uomo con le proprie esperienze, sensazioni e cammini emotivi.

Senza alcun dubbio Mario Luzi è stato fra i maggiori esponenti della poesia ermetica anche se incanalarlo solo in uno stile poetico è a dir poco riduttivo e insufficiente.

Mario Luzi era molto di più; era una persona attenta, sofferente di un mondo ai suoi occhi immorale, scorretto dove l'essere umano è l'artefice di tanta nullità. Era un viaggiatore ma sopratutto un trasformatore della parola mosaico ogni terminologia trasformando con gli anni la sua poetica di ari passo con i tempi e le concezioni del momento cambiando spesso le strutture strutturali del proprio stile.

Fin dall'esordio con "La barca" (1935), il giovane Luzi, inizia la metamorfosi del suo lungo dire passando da una sospensione metafisica, seguendo poi con i settori emetico-cattolici fino ad arrivare a una visione simil-fotografica degli ambienti e luoghi fino ad arrivare poi alla contestualità della morte e della sofferenza.

Il suo versificare sul dolore, sulla certezza dell'incomunicabilità, la serrata sensazione dell'inquietudine, l'ansia come insopportabile resa di un'epoca sorda e sterile, lo rendono un meraviglioso uomo pensante e non un ennesimo scrittore di poesia elegiaca. Già dopo il 1943 Luzi si stacca dal suo essere ermetico intraprendendo un cammino di neorealismo sia poetico che letterario che abbandonerà in seguito per uno stile del tutto personale addentrandosi su tematiche di una società moderna e post moderna. Un continuo evolversi del poeta che non si sofferma e un cliché forzato ma che si lascia trasportare da un'interiorità complessa di riflessi emotivi da spingerlo liberamente verso una ricerca liberatoria del sé svincolato da stili, correnti o forme poetiche “obbligate”.

Nella raccolta “Nel magma” (1963), il poeta ormai adulto, diventa coscienza e scrutatore di vita e di morte rimanere libere le parole di “agire” e formare ciò che la propria mente partorisce costruendo così testi e conversazioni di stile prosastico, lontani da creazioni ermetiche ma simbiotici alla vita. Una silloge di impronta eliotiana dove l'ombra filosofica-metafisica aleggia fra simbolismi e tracciati di vita reale.

In queste poesie alloggia nel poeta il ricordo, l'ansia, la nostalgia, la spiritualità, la costruzione, l'arresa, l'invitabilità e il tutto abbracciato in quell'inquietudine che in questa raccolta intera vibra.

Mario Luzi crea la poesia dai fatti, dalla speranza fra avvicinamenti e distacchi dove il tutto convola fra l'etereo e la materia dove sempre perdura quell'ansia sconvolgente creata dall'assenza del valore umano.

Fu traduttore, giornalista, professore universitario, scrittore, opinionista, collaboratore di riviste, autore di monologhi di pezzi teatrali. Nominato Senatore a vita della Repubblica Italiana; fu un grande letterato che mai dimenticò di essere UOMO. Nessuno più di lui dimostrò tanta umiltà, sempre disponibile a interviste, dialoghi, conferenze. Amava tardare con gli studenti anche ben oltre i normali orari di lezione. Molti ragazzi venivano da tutta Italia per incontrarlo e lui dimostrò sempre molta attenzione e ascolto per ognuno di loro dando sempre la propria disponibilità.

Ci sono uomini che lascino di sé i loro operati, ma ci sono anche uomini che oltre ai doni da loro elaborati, lasciano ricordi e orme indelebili del loro passaggio grazie al loro enorme senso morale e civile. Questo e molto di più era Mario Luzi.

Mario Luzi nasce a Castello allora frazione di Sesto Fiorentino adesso è in provincia di Perugia il 20 ottobre 1914 e muore a Firenze il 28 Febbraio 2005.

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