L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Diritti Umani (76)


Roberto Fantini
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Amnesty International, in un rapporto pubblicato a metà dello scorso dicembre, ha provveduto a denunciare come, in almeno 60 stati, le forze di polizia, in nome dell’applicazione e del rispetto delle misure di contrasto alla  “pandemia covid 19”, abbiano fatto ricorso a forme di violenza tali da produrre gravi violazioni dei diritti umani e, in alcuni casi, anche peggioramenti della crisi sanitaria.

Molti stati, inoltre, vengono accusati di aver utilizzato pretestuosamente e strumentalmente l’allarme pandemico, introducendo leggi e prassi che hanno violato i diritti umani, riducendo le garanzie in materia, come ad esempio le limitazioni innecessarie ai diritti alla libertà di manifestazione pacifica e alla libertà d’espressione.

Il quadro che scaturisce dal rapporto è quanto mai allarmante: 

persone sospettate di aver violato le misure di contenimento o che protestavano per le condizioni di detenzione sono state ferite o uccise;

è stato violentemente represso il dissenso;

un po’ ovunque  sono stati effettuati arresti di massa (persone accusate di aver violato la quarantena, trasgredito al divieto di spostarsi da un luogo all’altro, tenuto riunioni, preso parte a manifestazioni pacifiche e criticato la risposta del governo alla pandemia); 

imposti rimpatri illegali;

effettuati sgomberi forzati e repressioni violente di manifestazioni pacifiche.

Ecco qualche caso particolarmente eloquente e emblematico:

·       In Iran, le forze di polizia hanno usato proiettili veri e gas lacrimogeni per stroncare le proteste nelle carceri, uccidendo e ferendo parecchi detenuti.

·       In Kenya, solo nei primi cinque giorni di coprifuoco, le forze di polizia hanno ucciso almeno sette persone e hanno costretto altre 16 al ricovero in ospedale.

·       In Sudafrica le forze di polizia hanno sparato proiettili di gomma contro persone che “vagabondavano” in strada durante il primo giorno di lockdown.

·       In Cecenia, alcuni agenti hanno aggredito e preso a calci un uomo che non indossava la mascherina.

·        In Angola, tra maggio e luglio, sono stati uccisi almeno sette giovani.

·       Nella Repubblica Dominicana, tra il 20 marzo e il 30 giugno, le forze di polizia hanno arrestato circa 85.000 persone accusate di aver violato il coprifuoco.

·  In Turchia, tra marzo e maggio, 510 persone sono state arrestate e interrogate per aver scritto “post provocatori sul coronavirus”, in evidente violazione del diritto alla libertà d’espressione.

·       In Etiopia, nella Zona di Wolaita, almeno 16 persone sono state uccise dalle forze di polizia per aver protestato contro l’arresto di dirigenti e attivisti locali accusati di aver manifestato in violazione delle limitazioni adottate per il contrasto alla pandemia.

·       In numerosi stati le forze di polizia hanno mostrato un’attitudine discriminatoria e razzista nell’applicazione delle norme sul Covid-19, colpendo, in particolar modo,  rifugiati, richiedenti asilo, lavoratori migranti, persone Lgbti o di genere non conforme, lavoratori e lavoratrici del sesso, persone senza dimora.

·       In Slovacchia, durante la quarantena, le forze di polizia e l’esercito hanno isolato gli insediamenti rom, contribuendo ad alimentare lo stigma e il pregiudizio che quelle comunità già subivano.

·       In Francia, tra marzo e maggio, i volontari di “Osservatori sui diritti umani” hanno documentato 175 casi di sgombero forzato di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nella zona di Calais. 

Dure ed inequivocabili le parole di Patrick Wilcken, vicedirettore del programma Temi globali di Amnesty International:

                   “Durante la pandemia, in ogni parte del mondo le forze di polizia hanno ampiamente violato il diritto internazionale ricorrendo a una forza eccessiva e innecessaria per far rispettare il lockdown e il coprifuoco. Col pretesto di contrastare la diffusione della pandemia, in Angola un ragazzo è stato ucciso per aver violato il coprifuoco e in El Salvador un uomo è stato ferito alle gambe mentre era uscito di casa per andare a comprare qualcosa da mangiare”.

Aggiungendo che, pur considerando che il mantenimento dell’ordine pubblico rappresenta senza alcun dubbio un elemento fondamentale nella protezione della salute e della vita delle persone, un

                   “eccessivo affidamento a misure coercitive per applicare le limitazioni per motivi di salute pubblica sta facendo peggiorare la situazione”  e che il “profondo impatto della pandemia sulla vita delle persone richiede che le forze di polizia agiscano nel pieno rispetto dei diritti umani”.

                  “È fondamentale -  ha dichiarato inoltre AnjaBienert, direttrice del programma Polizia e diritti umani di Amnesty International Olanda - che le autorità diano priorità alle migliori prassi sanitarie rispetto ad approcci coercitivi che si sono dimostrati controproducenti. I dirigenti delle forze di polizia devono dare al loro personale istruzioni e ordini precisi affinché i diritti umani siano al centro di ogni valutazione posta in essere. Coloro che hanno esercitato i loro poteri in forma eccessiva o illegale devono essere chiamati a risponderne. Altrimenti, si verificheranno ulteriori violazioni dei diritti umani”,

L’organizzazione umanitaria invita, pertanto, i governi di ogni parte del mondo ad assicurare che le forze dell’ordine  rispettino correttamente e coerentemente la loro più importante missione: servire e proteggere la popolazione.

Infine, Amnesty International richiede che, nei casi in cui si siano verificate violazioni dei diritti umani derivanti da operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico e dall’uso della forza, gli stati svolgano tempestivamente  indagini approfondite, efficaci e indipendenti, in modo da assicurare che i responsabili ne rispondano in un giusto processo.

“ABBANDONATI”

Degno della massima attenzione risulta anche il Rapporto della sezione italiana di Amnesty, dall’eloquente titolo “Abbandonati”, presentato sempre alla metà del mese di dicembre,  relativo alle violazioni dei diritti umani verificatesi nelle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali italiane durante la pandemia da Covid-19.

Lo studio, che raccoglie oltre 80 interviste effettuate in tre regioni d’Italia (Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto), analizza l’impatto delle decisioni e delle pratiche adottate dalle istituzioni all’interno di dette  strutture, rilevando la mancata tutela del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione degli ospiti anziani.

 “Oltre a violare il diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione, decisioni e pratiche delle autorità a tutti i livelli hanno anche avuto un impatto sui diritti alla vita privata e familiare degli ospiti delle strutture ed è possibile che, in certi casi, abbiano violato il diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti”, ha dichiarato Donatella Rovera, ricercatrice esperta di crisi di Amnesty International.

“La pandemia - ha aggiunto Martina Chichi, campaigner di Amnesty International Italia - ha mostrato l’inadeguatezza del sistema di controllo delle strutture per anziani. La nostra indagine ha evidenziato che nel periodo in cui i controlli avrebbero dovuto essere più frequenti e più approfonditi – vista l’impossibilità di vigilanza da parte dei familiari o altri nel periodo di chiusura delle case di riposo al mondo esterno – spesso invece le verifiche condotte dalle aziende sanitarie locali sono state solo formali e amministrative” .

Il Rapporto, fra le altre numerose osservazioni critiche, evidenzia come l’emergenza sanitaria abbia  acuito problemi sistemici delle strutture oggetto della ricerca, come la carenza di personale  (aggravata dall’alto numero di operatori sanitari in malattia e dai reclutamenti straordinari dei presidi ospedalieri), cosa  che ha comportato un grave abbassamento del livello di qualità dell’assistenza e della cura degli ospiti e fatto sì che si realizzassero condizioni di lavoro terribili per gli operatori stessi, sottoposti a un grave stress fisico e psicologico e sovraesponendoli al rischio di contagio.

Infine, in considerazione del fatto che, a partire dall’inizio dell’emergenza sanitaria,   governo e autorità regionali e locali non hanno mai reso pubblici dati e informazioni omogenei e completi relativi alla diffusione del contagio nelle strutture residenziali sociosanitarie e socio assistenziali (essenziali per una lettura puntuale del fenomeno e tale da consentire, tra le altre cose, di rispondere alle esigenze del settore evitando il ripetersi delle violazioni e della mancata tutela dei diritti alla vita, alla salute e alla non discriminazione dei pazienti anziani), l’Organizzazione umanitaria, oltre a richiedere alle autorità di garantire agli ospiti delle case di riposo il diritto al più alto standard di assistenza ottenibile e l’accesso non discriminatorio alle cure, nonché di attuare politiche di visita che permettano un contatto regolare con le famiglie, esprime l’importante esigenza di  un’inchiesta pubblica e indipendente che chiarisca le responsabilità e suggerisca misure concrete per affrontare le criticità riscontrate (tra cui il miglioramento dei meccanismi di sorveglianza delle strutture)  e sottolinea il dovere ineludibile  delle autorità di assicurare la massima trasparenza sui dati relativi alla gestione dell’emergenza sanitaria.



 

Abbiamo il piacere di intervistare Moncef Marzouki, medico, attivista per i diritti umani e politico tunisino. È stato Presidente della Tunisia del dopo “primavere arabe” dal 2011 al 2014, il suo programma è stato incentrato sulle libertà civili, come l'abolizione della polizia politica, della censura e l'approvazione di una Costituzione rispettosa della Dichiarazione universale dei Diritti Umani .

Come Presidente della Lega tunisina per la difesa dei diritti umani che idea si è fatto sulla vicenda di Julian Assange negli ultimi dieci anni per aver denunciato i crimini commessi dallo Stato e soprattutto dall'esercito degli Stati Uniti?

Prima di tutto, grazie a Pressenza per avermi invitato e per avervi incontrato, sono un uomo della società civile, ho lavorato molto nelle ONG, quindi mi sento molto a mio agio con voi, grazie ancora per questo invito. Sì, sono stato e rimango ancora un'attivista per i diritti umani e rimango estremamente sensibile alla questione di Assange. Inoltre, come forse saprete, nel 2012, quando ero presidente, l'ho chiamato da Cartagine, e abbiamo avuto una comunicazione tra lui e me da Cartagine, e gli ho detto che sarei stato molto felice di riceverlo in Tunisia come attivista per i diritti umani, che era il benvenuto in Tunisia. E sono sicuro che se gli fosse stato permesso di uscire, avrebbe esitato tra due o tre paesi, ma in ogni caso sarebbe stato accolto molto favorevolmente in Tunisia. Io ero indignato per il modo in cui è stato trattato, che cosa ha fatto quest'uomo? Ha fatto quello che oggi chiamiamo un lavoro di denuncia. La democrazia non può vivere senza denuncia, ci sarebbero molti crimini che passerebbero inosservati, così quest'uomo ha fatto il suo dovere di informare, ha detto ciò che andava detto su una serie di crimini; purtroppo, sapete che il presidente uscente sta amnistiando alcuni di questi criminali per atti commessi in Iraq. Quindi per me è un uomo che ha fatto il suo dovere, il suo dovere di cittadino e di attivista per i diritti umani ed è per questo che sarebbe stato il benvenuto in questo paese, la Tunisia, che era all'epoca, e che è ancora un luogo di rifugio per gli attivisti per i diritti umani. Sono stato totalmente impegnato fin dall'inizio, sia quando ero al potere, sia oggi, nel caso di Assange, che è un tipico caso di violazione dei diritti umani.

Lei che è stato medico personale di Mandela e che ha fatto tanto, nel suo mandato presidenziale, per la difesa dei Diritti Umani cosa vorrebbe dire a coloro che torturano Assange nel “democratico” Regno Unito?

Vorrei correggere quest’informazione, non ero il medico personale del presidente Mandela, ho incontrato il presidente Mandela nel 1991 e ho avuto una lunga conversazione, in particolare sui diritti dei bambini, perché all’epoca stavamo discutendo dei diritti dei bambini e purtroppo l’ho visto una seconda volta quando sono andato a rappresentare la Tunisia al suo funerale. Così ho visto questo grande uomo in piedi, ed ero triste quando l’ho visto su un catafalco, per me è un maestro, ma non ho avuto l’onore di essere il suo medico, se non altro perché lui ha vissuto soprattutto in Sudafrica e io in Tunisia. Ma per me, lui è il mio maestro, è il mio maestro spirituale e per tutto il tempo che sono stato a Cartagine avevo il suo ritratto dietro di me, non avevo il ritratto di un tunisino, ma avevo il ritratto di Mandela.

Per me c'è un parallelo tra Mandela e Assange, perché Mandela è stato prigioniero per 27 anni in una piccola cella semplicemente perché si è opposto ai crimini dell'apartheid e anche Assange è in qualche modo prigioniero da tanti anni, allo stesso modo, perché si è opposto a un crimine. E quindi quello che mi sembra più aberrante in questo caso, è che nel caso Mandela possiamo accettare, possiamo capire che è stato imprigionato da un regime di apartheid, un regime razzista, un regime senza diritti, ma in quello di Assange che fosse un prigioniero e che è stato trattato in questo modo da uno Stato democratico, è al di là di ogni immaginazione. Sappiamo che dietro ogni stato, qualunque esso sia, c'è lo sfarzo e poi c'è la cucina, il cortile, e il cortile di tutti gli stati, compresi gli stati democratici, non è mai molto pulito, non è mai molto pulito. Quindi tutti gli Stati non sono conseguenti rispetto alle idee che sbandierano, ma ci sarebbe aspettato che la Gran Bretagna, con la sua tradizione democratica e il fatto di essere la sede di Amnesty International, si sarebbe comportata diversamente, ma purtroppo direi che la vigliaccheria delle autorità britanniche di fronte alle pressioni americane è stata grande. Hanno accettato questa situazione che è totalmente indebita, infame, penso che purtroppo i britannici non usciranno da questa situazione in modo positivo, compenseranno forse alla fine ma in questo momento si nascondono dietro la legge e dicono no, no, no, no, questa è la legge, è la legalità. Ma tutti sanno che si tratta di una questione politica per eccellenza e che, se avessero voluto, avrebbero trovato una soluzione che consentisse ad Assange,

Cosa direbbe a chi si ostina a stare in silenzio, ai governi ei giornalisti che cercano di mettere “sotto il tappeto” gli orrori compiuti in Afghanistan, in Iraq e in tanti altri contesti?

Sapete, il silenzio è assolutamente inaccettabile perché ci sono uomini e donne che sono lì per difendere i diritti, e uomini e donne per difendere gli interessi; penso a tutti i giornalisti e tutte le persone che non si sono mobilitate per il caso di Assange; perché, alla fine, questi uomini difendono la libertà di espressione, la libertà di diffondere informazioni soprattutto quando è così importante per la pace e la sicurezza mondiale; penso anche alle molte persone non sono cresciute con la minaccia americana; persone a cui può essere proibito di tornare negli Stati Uniti.

Più gente avrebbe dovuto prendere posizione, ma quando si tratta di attaccare piccoli paesi o governi deboli, va bene, tutti vanno avanti e attaccano quel paese africano per le violazioni dei diritti umani, ma quando si tratta di attaccare gli Stati Uniti e dire no no , ci sono violazioni dei diritti umani negli Stati Uniti, ci sono molte persone che esitano e questo non le fa sentire meglio, ma fortunatamente ci sono persone come te sono capaci nonostante tutte le difficoltà, nonostante tutti i rischi, tutti i problemi di presa di responsabilità; quindi rimango ottimista per il fatto che, nonostante tutte le pressioni che gli americani esercitano su Assange, ci sono ancora persone che sono in grado di dire: NO, non vogliamo questo, quest'uomo è una fonte di informazione,

Lei pensa che sia giusto che non esistano "segreti di Stato" e che chi commette crimini, anche se riveste cariche politiche e militari, vada perseguito?

Sì, c'è giustizia uguale per tutti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è molto chiaro; vi ricordo che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha una madrina chiamata Eleanor Roosevelt, quindi è americana, quindi gli americani hanno avuto un ruolo importante nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, come possono negarla oggi? Quella dichiarazione, è chiaro che c'è un divieto totale di torturare le persone e oggi quello che Assange sta subendo è tortura.

Il segreto di stato, tu sai cos'è il segreto di stato, tu sai cos'è? Va e viene, ci sono persone che hanno paura che i loro crimini vengono rivelati, ma qual è la cosa più importante? la verità, la pace. Il popolo americano vuole sapere tutto, perché questo non è più importante dei cosiddetti segreti militari che consistono nel nascondere i crimini e nel perdonarli? Quello che non perdono a Trump è il perdono dei crimini che sono stati rivelati, tra l'altro, in parte da Assange e da persone come lui. Ciò che è importante è che la società civile, che la gente dica NO NO, c'è qualcosa di più importante dei segreti, segreti di Pulcinella; la cosa più importante è il diritto della gente, cioè il diritto della giustizia di processare tutti i crimini perché così potremo andare avanti.

In un'intervista che Assange fece all'ex Presidente dell'Ecuador, Rafael Correa, nel 2012, Julian fece riferimento a lei in merito a un dialogo che avete avuto sul poco potere che spetta ai presidenti. Ci parli degli ostacoli che deve affrontare chi è un capo di un governo e degli ostacoli che cercano di imporre i poteri forti a chi realmente vuole cambiare le cose?

Un presidente non è una persona onnipotente: quando arriva al potere, ha una burocrazia, ha tradizioni di potere prima di lui, ci sono lobby estremamente importanti, e ci sono industrie dietro, ci sono interessi enormi, e poi c'è il suo stesso interesse a essere rieletto e così via… Quindi rimanere fedeli alle convinzioni è estremamente difficile perché ovviamente si entra in contatto con le lobby economiche, con i servizi segreti che hanno una loro politica, perché si sa che un presidente va e viene, ma i servizi e le autorità e le lobby economiche restano, sono lì da 20,30 anni, ma comunque i presidenti possono fare qualcosa. Io personalmente, quando sono arrivato, ho vietato la tortura ed è stata rispettata questa decisione; negli incontri che ho avuto con il Consiglio di sicurezza nazionale, sia che si trattasse di militari o di polizia, ho detto: “La tortura è finita in Tunisia”. E non venite a dirmi questo o quello, e non ci sono stati casi di tortura, o comunque, se ci sono stati, si trattava di veri e propri errori individuali, ma la tortura, che era qualcosa di sistematico in Tunisia, si è fermata . Così, nonostante tutto, si può fare qualcosa ed è così che le società possono andare avanti.

Assange è incriminato per l '”Espionage Act”, una legge americana del 1917 scritta “contro i traditori della patria” ma gli Stati Uniti non sono la sua patria perché lui è australiano e non ha tradito nessuno, al contrario ha denunciato governi e militari che, loro sì, hanno commesso crimini gravissimi e hanno tradito la patria ei suoi cittadini. Qual è il suo punto di vista sulla questione?

Il mio punto di vista è che non ha nulla a che fare con lo spionaggio, non ha nulla a che vedere, è una semplice vendetta e soprattutto un esempio, cioè voilà, vogliamo che Assange sia un esempio, voilà, se fai, se osi rivelare i nostri segreti ecc… questo è quello che probabilmente succederà, quindi stanno cercando di fare di Assange un esempio per intimidire tutti coloro che vorrebbero fare la stessa cosa. Ancora una volta, capisco che ogni paese mantenga un certo numero di segreti militari, io stesso non sono stato in grado di divulgare un certo numero di temi che erano veramente legati alla sicurezza del paese, segreti militari, i piani d'azione contro i terroristi ecc. Ma quando si tratta di crimini o di errori commessi dalle forze di sicurezza, non c'entra nulla la sicurezza nazionale. La sicurezza nazionale, al contrario, è obbligata a non accettare gli errori, a non tollerare che i soldati uccidano in missione, come è successo in Afghanistan: questo non è accettabile. C'è una confusione tra ciò che è veramente un segreto di Stato da mantenere perché anche lo Stato ha bisogno di mantenere segreti e il fatto di nascondere i crimini: i crimini non è un segreto di Stato, perché in linea di principio gli Stati non sono criminali, e in linea di principio gli Stati non proteggono il crimine, quindi non si può dire che sia un segreto di Stato. Per me l'atteggiamento del governo americano non ha nulla a che fare con i segreti di Stato, vogliono intimidire le persone afinché non lo facciano più, e questo pone un problema sul funzionamento della democrazia americana. I nostri alleati americani acquistano sollevare la questione su questo tipo di legge, di questo tipo di comportamento perché ciò mette in discussione la loro stessa “democrazia”, indipendentemente dall'influenza che essa ha sul mondo. Assange non è né americano né inglese, se deve essere giudicato, dovrebbe esserlo in Australia, per esempio, e certamente non dagli Stati Uniti.

Come forse saprà, Fatou Bensouda, Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale, a seguito dell'inchiesta per Crimini di guerra commessi da Israele in Palestina e degli USA in Afghanistan è stata minacciata e sanzionata dal governo USA insieme ad altri della Corte Penale Internazionale. Come ha accolto questa notizia e che cosa vorrebbe dirle se volesse mandarle un messaggio?

Ho avuto il piacere di ricevere Fatou Bensouda quando ero presidente perché è venuta a trovarmi per una storia simile, ma diversa, c'era una riunione tra i capi di Stato africani che non volevano che l'Unione africana riconoscesse il ruolo della Corte Penale Internazionale , perché i capi di Stato africani si sentivano minacciati dalla CPI. È venuta a chiedere il mio sostegno e la mia opinione, perché voleva che la CPI si applicasse a tutti, compresi gli africani, e mi ha detto, ma no, non vogliamo assolutamente prendere di mira i capi di Stato africani. Io le risposi che ero completamente d'accordo con lei, non c'è motivo per cui i capi di Stato africani debbano sentirsi più sotto mira o protetti perché sono africani e le ho detto che la consideravo una donna coraggiosa, e che le davo tutto il mio appoggio,

Non la vedo intimidita, per me questa donna non si lascia intimidire, le do il mio pieno appoggio e l'incoraggio a continuare, ed è grazie a uomini e donne come lei che il processo per uno stato di diritto internazionale sta prendendo forma, e questa sarà la cosa più importante.

Qualche tempo fa lei ha annunciato la sua uscita dalla scena politica: quali solo i suoi progetti per il futuro?

Sì, sono uscito dalla politica tunisina, cioè dalla lotta per il potere in Tunisia, ma sono ancora Presidente dell'Associazione per i Diritti Umani, quindi rimango impegnato nella causa palestinese, in cui sono molto coinvolto cercando di istituire un consiglio nazionale arabo per la promozione della democrazia e per la difesa della primavera araba, che è sotto estrema minaccia. Quindi sono ancora molto attivo, faccio parte di un gruppo di saggi africani, ci incontriamo ogni anno, siamo circa dieci capi di Stato africani che sono capi di Stato africani democratici e che non hanno precedenti di corruzione, ecc…, un club molto chiuso, ci incontriamo ogni anno per riflettere sul futuro dell'Africa, sullo sviluppo di una strategia ecc. Sono quindi molto attivo sul piano africano, sul piano arabo, ma ho effettivamente evitato,

Per gentile concessione dell'agenzia di stampa internazionale  Pressenza

Lo schiavismo, vergogna indelebile e prerogativa solo della specie umana, è sempre esistito, ma lo schiavismo moderno si è espresso nel modo più detestabile perché  praticato ed accettato dai cristiani.

           Nel 1344 Clemente V ordina la colonizzazione dei territori africani. Più tardi furono il re cattolico Ferdinando d’Aragona (1452-1516),   l’imperatore Carlo V (1500-1558) e Luigi XV re Sole (1710-1774) che per primi diedero il permesso per trasportare i primi schiavi nel Nuovo Mondo. Ma fu il papa Alessandro VI, (1431- 1503) che,

appellandosi alla falsa donazione di Costantino delle terre di Occidente, a dividere il , globo e consegnarlo alle potenze coloniali nascenti, la spagnola e la portoghese con lo scopo di cristianizzare popolazioni pagane. E le conseguenze furono devastanti.

           I Conquistadores distrussero le fiorenti civiltà Inca, Maya, Azteca. Nel 1500 nel continente americano c’erano 80 milioni di persone, 50 anni dopo era ridotta a 10 milioni. Nel giro di un secolo era stato sterminato un terzo della popolazione mondiale, come se oggi si uccidessero 2,5 miliardi di persone. E tra il 1600 e il 1900 altri 80 milioni di nativi perirono. La popolazione in Messico dal 1520 al 1595 passò da 25 milioni a meno di un milione e mezzo: avevano annientato il 95% della popolazione

locale.

          Cortez per placare una ribellione convocò 60 dignitari aztechi con i loro eredi. Li fece bruciare tutti vivi alla presenza dei loro parenti per convincerli a non opporsi agli spagnoli. E Vasco da Balboa fece sbranare dai cani 40 indio.

          Gli spagnoli si divertivano a provare il taglio delle loro spade sulla popolazione, staccando braccia, gambe, teste: 600 persone furono squartate come bestie. Nel 1517 nelle isole caraibiche alcuni cristiani incontrarono un’indiana che teneva in braccio un bambino a cui dava il latte; il cane degli spagnoli aveva fame, strapparono il bambino dalla madre e lo diedero in pasto al cane che lo fece a pezzi. Se i neonati piangevano li prendevano per i piedi e li sbattevano contro le rocce. Nel 1570 un giudice affermò pubblicamente che se dovesse mancare l’acqua per irrorare le piante delle fattorie degli spagnoli sarebbe stato utilizzato il sangue degli indigeni. E non era una metafora.

           Quando nel 1592 C. Colombo sbarcò a Cuba c’erano 8 milioni di abitanti; dopo 4 anni la popolazione era ridotta a meno della metà. Usare la polvere da sparo contro i pagani era considerato come offrire incenso a Dio.

           Oltre alle stragi, le malattie portate dai Conquistadores mieterono più vittime di tutte le guerre e massacri messi assieme. Las Casas denunciò episodi in cui gli  spagnoli diedero in pasto agli indio la carne di altri indio trucidati oppure ai cani. Il vescovo dello Yacatan, Diego de Landa, narra di aver visto un grande albero ai rami del quale un capitano aveva impiccato un gran numero di indiane e alle loro caviglie aveva appeso per la gola i loro figlioletti.

           Non si contano gli indigeni morti per costruire Città del Messico. Si camminava sui cadaveri, o su mucchi di ossa, per centinaia di km e le nuvole di stormi che venivano a divorarli erano così numerose da oscurare il sole.

           Quando le epidemie di vaiolo, peste, morbillo uccidevano decine di milioni di persone i Conquistadores li consideravano un segno voluto da Dio. Molte tribù vennero contagiate di proposito attraverso indumenti o oggetti infettati. L’epidemia di vaiolo che distrusse l’80% della popolazione fu vista come un dono divino. Moltissimi indio si suicidavano dalla disperazione o si lasciavano morire di fame o di inedia. Rifiutavano perfino di accoppiarsi con le loro donne. I neonati morivano subito dopo il parto perché la madri erano debilitate.

           Dopo aver sterminato quasi l’intera popolazione, visto che non vi erano più schiavi il vescovo Las Casas propose di importarli da altre parti del mondo.

           Le guerre tra gli indiani potevano durare decenni, anche senza vittime e di solito risparmiavano le donne e i bambini, cosa che non fecero i cristiani.

           Moltissimi indio morirono in campagne di avvelenamento come attuali derattizzazioni.

           L’iscrizione sulla tomba di un puritano del 1600 diceva: “Alla memoria di Lynn S. Love che, nel corso della sua vita uccise 98 indiani che il suo Signore gli aveva destinato. Egli sperava di portare questa cifra a 100 quando si addormentò nella braccia di Gesù”.

           Tra il 1500 e il 1900 si calcola che i Conquistadores abbiano causato la morte di 150 milioni di persone (100 milioni a causa di epidemie causate, 50 a causa di massacri e trattamenti disumani).

           Dopo pochi decenni dell’arrivo degli inglesi molte popolazioni erano state distrutte fino al 98%. Il pastore Saloman Stoddard nel 1703 chiese al governatore del Massachusetts una grande muti di cani per stanare gli indiani alla maniera degli orsi.

           I trattati di pace venivano stipulati con l’idea di violarli, mentre gli indiani non ruppero mai un trattato. Verso il 1850 vengono costruite le riserve indiane, veri e propri campi di concentramento, per rinchiudervi i popoli nativi.

           I missionari venivano inviati per aprire varchi con trattati ingannevoli, se gli africani si rifiutavano di cedere arrivavano i Conquistadores. I missionari francescani benedicevano i massacri e fin dal 1500 organizzarono per contro proprio una tratta degli schiavi.

           Nel 1650 la Compagnia di Gesù possedeva una quantità di schiavi tale da impressionare gli stessi portoghesi. Allo stesso modo si comportavano i missionari protestanti (metodisti, calvinisti anglicani) i quali per fiaccare gli schiavi ribelli li torturavano in piazza. Alla tratta parteciparono anche Olanda, Svezia e Danimarca. Decine di milioni di schiavi venivano trucidati durante la tratta. Per ogni schiavo catturato vivo altri 9 venivano uccisi nel tentativo di resistere. Solo da Goreè dal 1680 al 1700

vennero esportati 20 milioni di schiavi. Le donne venivano sistematicamente stuprate e chi si opponeva veniva uccisa. I domenicani, i gesuiti e la compagnia di Gesù divennero vere e proprie potenze economiche.

           L’Africa era un serbatoio inesauribile di materia prima e gli schiavi potevano essere sfruttati fino all’estremo perché a differenza dei bianchi garantivano almeno dieci anni di duro lavoro, dall’alba al tramonto, a costo zero, se non un pò di cibo, e senza il diritto di poter chiedere nulla. Il prezzo di ogni schiavo in buona salute era di poche centinaia di pesos nelle colonie spagnole e portoghesi. Stenti, torture, fame, sete decimavano sulle navi a vela quei poveri esseri costretti in piccole stive, incatenati, in condizioni igieniche spaventose, stipati come sardine; per recuperare spazio nelle stive venivano fatti sdraiare per terra sul fianco a mò di cucchiaini e a mano a mano che morivano venivano gettati in mare. Tra inenarrabili sofferenze gli schiavi venivano portati nelle Americhe dove venivano smerciati con lauti guadagni per le compagnie schiaviste mentre nei salotti e nelle corti europee si dissertava di cultura, filosofia, diritti, libertà, giustizia. Solo dopo la guerra di secessione Americana, verso il 1800, si cominciò a dare libertà agli schiavi finiti in 10 milioni nelle piantagioni di canna da zucchero, di caffè, nelle miniere, nella coltivazione di cotone, nelle fabbriche e nelle industrie.

In questi giorni difficili, in cui il bombardamento mediatico e le misure governative ci gettano sempre più in una condizione psicologica di ansia e di timore, credo che la “Lettera aperta” redatta da numerosi medici e operatori sanitari del Belgio, inviata, già da diverse settimane, alle autorità e ai media del proprio Paese, possa aiutarci ad assumere una visione più corretta e oggettiva dell’attuale “fenomeno pandemico”.
Si tratta di un documento che andrebbe seriamente e serenamente esaminato, meditato e discusso, evitando arroccamenti aprioristici e abbandonando i tanto diffusi atteggiamenti di rifiuto nei confronti di qualsivoglia voce fuori dal coro. Ed evitando, soprattutto, di lasciarsi fuorviare dalle ben collaudate (e sempre tragicamente efficaci) strategie di delegittimazione del dissenso, che tendono a gettare qualsiasi tentativo di analisi critica e indipendente nel tanto comodo e rassicurante calderone dei cosiddetti negazionismi, acchiappanuvolismi, irresponsabilismi, ecc.
Quello che colpisce, in particolare, del documento, è la fortissima corrispondenza fra quanto viene riscontrato accadere, a livello mediatico-governativo, in terra belga con quanto possiamo riscontrare quotidianamente nel nostro Paese, soprattutto per quanto concerne l’assenza di un corretto, rispettoso e pluralistico confronto fra diversità di opinioni.
Pur invitando i nostri amici e simpatizzanti alla lettura integrale dell’interessante documento, ne propongo qui una schematizzazione sintetica, avvalendomi spesso di ampi e significativi stralci del testo in traduzione italiana.
La “Lettera aperta” risulta firmata, al momento, da 611 medici, 1.928 professionisti della salute con formazione medica e 14.248 cittadini.

(https://docs4opendebate.be/en/openletter/;http://omgekeerdelockdown.simplesite.com/?fbclid=IwAR0sQJmD6tyBo1jOgMrVnGJCDQQDYnvqdFdnWOViGhrmG_nkrZTZKgJLDzc)

  • Prima di ogni altra cosa, viene esortato il mondo della politica ad informarsi in maniera critica e indipendente e a rendere possibile un dibattito aperto, privo di qualsiasi forma di censura.

  • I dati oggettivi sembrano dimostrare che, attualmente, non sussisterebbero giustificazioni mediche per una politica di emergenza.

  • La gestione della crisi in atto viene dichiarata del tutto sproporzionata e fonte di danni palesemente superiori agli eventuali benefici.

  • Vengono pertanto richiesti la cancellazione delle misure obbligatorie introdotte (ritenute non sufficientemente fondate scientificamente) e il ripristino della normale governance democratica e delle libertà civili.

  • Le attuali misure adottate per combattere la SARS-CoV-2, come l'obbligo di indossare una mascherina anche all'aria aperta, il distanziamento fisico e l'isolamento sociale, sarebbero in contrasto con una corretta visione della salute (intesa, cioè, anche come benessere emotivo e sociale dell’individuo) e dei diritti umani della persona.

  • Il decorso del Covid-19, in contrasto con gli allarmi lanciati dall’OMS, avrebbe seguito il corso di una normale ondata d’infezione, simile a una stagione influenzale.

  • Viene messa in dubbio la validità scientifica dell’uso del test PCR, che, non essendo mai stato auto-testato seriamente, finirebbe per produrre molti falsi positivi. Il test, infatti, non sarebbe in grado di misurare “quanti virus sono presenti nel campione”, ovverosia se sia presente o meno una massiccia presenza di virus tale da autorizzare a parlare di reale “carica virale”. Il risultato positivo al test non significherebbe, perciò, che la persona in questione sia effettivamente infetta clinicamente, che sia malata o che si ammalerà. A tale proposito, si ricorda che lo stesso creatore di tale test avrebbe espressamente avvertito che esso era “destinato alla ricerca e non alla diagnostica”.

  • L’inattendibilità dei test PCR implicherebbe la mancanza di adeguata giustificazione delle relative misure sociali previste.

  • Per quanto riguarda il lockdown, il confronto operato tra paesi con politiche di blocco rigorose e paesi che hanno evitato di adottarle dimostrerebbe non sussistere alcun collegamento tra blocco imposto e decorso dell’infezione. Il calo dei casi non sarebbe stato frutto delle misure adottate, risultando esso già in atto prima ancora dell’imposizione del lockdown.

  • Misure eccessive di protezione igienica rischiano di produrre effetti dannosi sulla nostra immunità: solo “persone con un sistema immunitario debole o difettoso dovrebbero essere protette da un'igiene approfondita o dall’allontanamento sociale”.

  • La maggior parte delle persone ha quindi già un'immunità congenita o crociata perché era già in contatto con varianti dello stesso virus”. La maggior parte delle persone risultate positive non manifesta alcun disturbo, in quanto “Il loro sistema immunitario è abbastanza forte. Rafforzare l'immunità naturale è un approccio molto più logico. La prevenzione è un pilastro importante, non sufficientemente evidenziato: l’alimentazione sana e completa, l’esercizio all'aria aperta, senza maschera, la riduzione dello stress e lo sviluppo di contatti emotivi e sociali.” Mentre la dilagante paura, lo stress persistente e la solitudine non possono che esercitare una forte influenza negativa sulla salute psicofisica generale, soprattutto dei soggetti più fragili.

  • L'isolamento sociale e il danno economico hanno causato un forte aumento di depressione ed ansia, nonché di suicidi, di casi di violenza familiare e di abusi su minori.

  • “Il numero di decessi per Corona registrati sembra quindi ancora essere sovrastimato. C’è una differenza tra la morte per corona e la morte con corona. Gli esseri umani sono spesso portatori di più virus e batteri potenzialmente patogeni allo stesso tempo. Tenendo conto del fatto che la maggior parte delle persone che hanno sviluppato sintomi gravi soffrivano di patologie aggiuntive, non si può semplicemente concludere che l'infezione da corona fosse la causa della morte. Questo per lo più non è stato preso in considerazione nelle statistiche.”

  • Per coloro che mostrano gravi sintomi di malattia, l'applicazione rapida di terapia sicura ed efficiente, sotto forma di HCQ (idrossiclorochina), zinco e AZT (azitromicina), porterebbe al recupero e spesso renderebbe non necessario il ricovero.

  • La contaminazione non sarebbe possibile all'aria aperta, verificandosi esclusivamente per gocciolamento (solo per pazienti che tossiscono o starnutiscono) e aerosol in stanze chiuse e non ventilate. Inoltre le persone sane (o portatori asintomatici testati positivamente) risulterebbero virtualmente incapaci di trasmettere il virus.

  • Le maschere orali (mascherine) appartenendo a contesti in cui avvengono contatti con gruppi a rischio comprovati o persone con disturbi delle vie respiratorie superiori e in un contesto medico, come l’ospedale o la casa di riposo, in individui sani sarebbero inefficaci contro la diffusione d’infezioni virali.

  • Inoltre, indossare una mascherina non sarebbe privo di “effetti collaterali”. “La carenza di ossigeno (mal di testa, nausea, affaticamento, perdita di concentrazione) si verifica abbastanza rapidamente, un effetto simile al mal di montagna. (…) Inoltre, la CO2 accumulata porterebbe ad un'acidificazione tossica dell'organismo che finirebbe per incidere negativamente sulla nostra immunità”. 

  • Risulterebbe improprio parlare di “seconda ondata”: il numero di ricoveri ospedalieri o di decessi ha mostrato un aumento minimo di breve durata nelle ultime settimane, e, inoltre, la stragrande maggioranza delle vittime appartiene ancora alla fascia di popolazione maggiore ai 75 anni. “La stragrande maggioranza delle persone “infette” testate come positive appartiene alla fascia d'età della popolazione attiva, che non sviluppa alcun sintomo o si limita a sviluppare sintomi modesti, a causa del buon funzionamento del sistema immunitario.”

  • Per quanto concerne il tanto invocato vaccino, si dichiara che le “Ricerche d’indagine sulle vaccinazioni antinfluenzali mostrano che in 10 anni siamo riusciti solo tre volte a sviluppare un vaccino con un tasso di efficienza superiore al 50%. Vaccinare i nostri pazienti anziani sembra essere inefficace. Oltre i 75 anni di età, l'efficacia è quasi inesistente.”

  • Inoltre, a causa della continua mutazione naturale dei virus, come accade ogni anno anche nel caso del virus influenzale, un vaccino potrebbe rappresentare, tutt’al più, una soluzione temporanea, richiedente ogni volta nuovi vaccini. Un vaccino non testato, che viene implementato mediante procedura di emergenza e per il quale i produttori hanno già ottenuto l'immunità legale da possibili danni, solleva seri interrogativi.

Non intendiamo usare i nostri pazienti come cavie.”

  • Il sistema mediatico, piuttosto che svolgere una funzione critica di ricerca della verità, volta a controbilanciare la comunicazione a senso unico del governo, è apparso (in contrasto con i suoi stessi codici deontologici) acriticamente succube di essa. “Ciò ha portato a una comunicazione pubblica nei nostri mezzi d’informazione, che era più simile a propaganda che a reportage oggettivi.”

  • La formula continuamente ripetuta secondo cui “un blocco era necessario, che questa era l'unica soluzione possibile e che tutti appoggiavano questo blocco” ha, di fatto, reso estremamente difficile poter semplicemente esprimere una diversa opinione.

Le opinioni alternative sono state ignorate o ridicolizzate. Non abbiamo assistito a dibattiti aperti sui media, dove si potrebbero esprimere opinioni diverse.”

  • Siamo stati anche sorpresi dai numerosi video e articoli di molti esperti scientifici e autorità, che sono stati e sono tuttora rimossi dai social media. Riteniamo che questo non si adatti a uno Stato costituzionale libero e democratico, tanto più che porta a una visione a tunnel. Questa politica ha anche un effetto paralizzante e alimenta la paura e la preoccupazione nella società.” 

  • Il bombardamento implacabile di cifre, che si scatenavano giorno dopo giorno, ora dopo ora, sulla popolazione senza interpretare quelle cifre, senza confrontarle con morti per influenza in altri anni, senza paragonarle a morti per altre cause, ha indotto una vera e propria psicosi di paura nella popolazione. Questa non è informazione, questa è manipolazione.”

  • Deploriamo il ruolo dell'OMS in questo, che ha chiesto che l'infodemia (cioè tutte le opinioni divergenti dal discorso ufficiale, anche da esperti con opinioni diverse) sia messa a tacere da una censura dei media senza precedenti.” 

Fonte: https://docs4opendebate.be/en/open-letter/

 
 Massimo Tomaselli

Il Potere trasformativo dell’individuo, inteso come processo di miglioramento che restituisca dignità, non è soltanto un ideale ma una opportunità per chi nel “tunnel” della propria esistenza, si è ritrovato a fare i conti con il minimo delle possibilità, risorse, energie…

Troppo spesso i ragazzi provenienti da famiglie sbagliate e multi-problematiche, si sono trovati soli e condizionati da contesti di disperazione, miseria, non solo materiale ma anche e più spesso culturale.

La cooperativa "Il Futuro Quadrifoglio” offre loro una seconda opportunità, quella di Ri-pensare, Ri-progettare una strada percorribile nella realizzazione personale, che fino ad ora era stata negata…

L’Istat ha stimato che sono 6,2 milioni gli utilizzatori di cannabis, un milione quelli che usano cocaina285mila gli eroinomani590mila i drogati ‘chimici’ di ecstasyLsdamfetamine. Da 27.718 del 2015 arriviamo ai 38.613 del 2017, +39%, e la tendenza è ancora in aumento. Nei dati rilevati, troviamo che il numero delle vittime nell’uso di droga, fra gli adulti è raddoppiato, fra i minori è quasi quadruplicato. Dal 2016 sono aumentati i decessicorrelati alla droga, soprattutto correlati al consumo di eroina. Il primo contatto con le sostanze per 1 ragazzo su 2 è avvenuto entro i 14 anni.

A fronte di queste evidenze statistiche, troviamo in controtendenza la realtà della Cooperativa Sociale “il Futuro Quadrifoglio” che si trova vicino Roma in una tenuta affacciata sul mare ad Ardea. Arriviamo presso il Centro e la prima impressione che ne riceviamo è quella di totale armonia e bellezza. Mi viene spiegato in seguito, quanto importante sia anche l’attenzione agli ambienti che ospitano queste persone, che siano in armonia con la bellezza e la natura, è un requisito terapeutico. Entriamo ed è infatti una inaspettata esplosione di verde, di alberi e siepi, tutte ben curate.

La Cooperativa nasce con lo scopo di fornire un servizio di assistenza socio-sanitario a soggetti affetti da disagi psicosociali, dipendenze di vario tipo in regime di pena detentiva alternativa e detenuti tossicodipendenti. Il lavoro che si svolge qui, consente di poter mettere mano nuovamente ad un proprio Progetto Personale, ad una nuova consapevole opportunità di vita.

Accogliendo e prendendo in carico il background di ciascuno, si aiuta l’utente a individuare le proprie capacità mediante il sostegno e lo sviluppo del proprio potenziale, specifico quanto unico.

L'equipe da noi incontrata è di tipo multidisciplinare, costituita da psicologi, educatori, assistenti sociali e operatori sanitari che, con la loro professionalità, sono in grado di garantire ai richiedenti il supporto necessario per il pieno raggiungimento degli obiettivi prefissati.

I fautori di questa iniziativa Massimo Tomaselli e Giada Pacifici, psicologa, ci anticipano che lavorano anche con il prezioso supporto di un’equipe multidisciplinare e degli

 
 Giada Pacifici

operatori di settore. Spendono la loro vita per aiutare i più deboli e il riscontro positivo dell’iniziativa li ripaga del loro impegno umano e professionale.

Massimo ci dice inoltre che il Progetto, è stato valutato e misurato ed il positivo riscontro nel conseguimento dei risultati, va da un minimo di 60% fino ad arrivare in alcuni casi anche ad un recupero totale.

Dottoressa Pacifici, quali sono le problematiche di dipendenza che si trova ad affrontare nel suo lavoro?

La dipendenza è la parte su cui lavorare perché la dipendenza parte dal presupposto che la sostanza che prima veniva assunta dal tossicodipendente, venga in qualche modo sostituita. Spesso la sostanza stessa viene assunta per coprire il vuoto di un legame affettivo di tipo problematico. Il modello educazionale acquisito dalla famiglia di origine viene inoltre di solito reiterato, creando così ulteriori problematiche anche ai figli. Pertanto, il supporto psicologico è finalizzato all'ascolto dei bisogni dell'utente, allo sviluppo della responsabilità individuale e alla maturazione psico-emotiva mediante l'individuazione di modalità affettive, emotive e relazionali più adeguate.

È previsto uno specifico programma?

Certamente Si, siamo organizzati con un programma di "dimissione protetta" ovvero un trattamento educativo-riabilitativo, specifico e individualizzato, con la partecipazione ad attività strutturate attraverso le quali, progressivamente, migliorare la qualità della vita dell'utente in carico, potenziandone le abilità presenti e favorendo lo sviluppo di competenze sociali, culturali e lavorative.

Vi sono anche attività ludico-ricreative che possono aiutare in questo percorso?

Si, fra le attività strutturate, sono previsti dei laboratori di tipo espressivo-creativo che lavorano potenziando la capacità espressiva e specifica della persona, in un contesto di crescita educativa, che favorisca il desiderio ed il bisogno di esprimere sé stessi, dando così libero spazio al proprio mondo interiore, alle proprie emozioni ed ai propri pensieri.

Insieme agli educatori, sono state condivise attività di pittura creativa, di realizzazione di oggetti vari sia in legno che ornamentali. Stiamo riservando ancora ulteriori nuovi spazi all’interno del Centro, dedicati ad iniziative comunitarie e di socialità, una per tutte… ad esempio cucinare insieme, collaborare pertanto per un fine comune di tipo creativo e conviviale.

Massimo Tomaselli, quando e come nasce questo progetto? Cosa ci racconta in merito?

È un Progetto questo che ha tantissimi anni, è stato a lungo pensato e desiderato e finalmente si ha successo. Non è la solita comunità, qui lavoriamo anche con il contesto specifico di vita del detenuto, con la sua famiglia. L’utente qui ha la possibilità di ridefinire il proprio futuro, un’altra opportunità, una seconda chance di vita. Abbiamo un recupero delle tossicodipendenze che si attesta attualmente su una percentuale che va dal 60% fino al 100% in alcuni casi, ci dice con orgoglio Massimo che poi prosegue” amo definire il nostro Centro “il Futuro Quadrifoglio” quasi una struttura a “carcere aperto”, considerando che vi alloggiano soprattutto detenuti nel loro personale quanto delicato lavoro di recupero e piuttosto che isolare, punire, emarginare il soggetto, come avviene nelle carceri, si lavora in controtendenza, ovvero si creano nuove connessioni, Reti di significato, connessioni con i loro contesti, gli affetti, le aspirazioni di vita. Si pone cioè il soggetto di nuovo al centro della propria esistenza.”

Massimo ci parla poi delle specifiche problematiche all’interno del contesto familiare d’origine, c’è infatti nel più dei casi una vera e propria disconnessione tra i componenti familiari ed forte sfilacciamento del loro tessuto sociale. Un altro problema sono le evidenti difficoltà che presentano i figli dei detenuti all’interno del contesto scolastico di riferimento… Gli interventi dell’equipe specialistica del “il Futuro Quadrifoglio” sono quindi anche di mediazione tra tutti i soggetti coinvolti.

Sono inoltre importanti, e ben definite, le regole e le strutture di contenimento e sviluppo del proprio Sé, che probabilmente non si sono mai ricevute nell’infanzia all’interno delle famiglie di provenienza, di tipo multi-problematico. È infatti, fondamentale, imparare un Nuovo Modo di essere sé stessi insieme agli altri. Ecco quindi che si ritrova la capacità di condividere, di imparare un linguaggio che sia anche rispettoso e congruo all’ambiente in cui si vive.

Massimo Tomaselli, parliamo nello specifico dell’organizzazione e degli interventi messi in atto.

Abbiamo previsto delle abitazioni residenziali di pronta accoglienza per detenuti concepite in modo ‘'trattamentale'', in esse il detenuto può ritrovare la propria dignità di persona umana, nel senso che ha degli spazi personali a disposizione, chiari, luminosi, e che in qualche modo lo "ristrutturano* dentro e dove può organizzarsi anche per ricevere i suoi familiari. Infatti, è frequente che si organizzino anche pranzi insieme ai bambini degli ex detenuti che sono in visita dai genitori, ad esempio nei fine settimana.

Il programma prevede inoltre una collaborazione con il S.E.R.T. (struttura della ASL che si occupa dei tossicodipendenti) al fine di concordare, con la nostra equipe, un programma che accompagni all'esterno i tossicodipendenti/detenuti.

Si può fruire anche dell’assistenza socio-sanitaria, presso il proprio domicilio, che preveda la partecipazione ad attività strutturate, volte a favorire un processo pedagogico e curativo suscettibile di modificare in senso socialmente adeguato il comportamento del soggetto, tale da rendere favorevole la prognosi di un reinserimento sociale.

Sono previste anche “uscite protette” per i detenuti, ovvero in sicurezza, effettuate con gli operatori specializzati del Centro. E in fine è disponibile anche un “sostegno telefonico”, organizzato in fasce orarie concordate, con lo scopo di fornire supporto in situazioni di forte stress emotivo.

La passione in questo lavoro guida le azioni di ogni giorno, l’obiettivo è quello di reinserire il soggetto che vive nel buio del suo tunnel senza uscita, in un nuovo possibile e radioso futuro.

Non ci rimane che ringraziare Giada e Massimo, per la loro collaborazione, nonché la disponibilità a mostrarci questa splendida e promettente realtà.

 

per info: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

                       Ci sono vicende di fronte alle quali è difficile riuscire a trovare, dentro di sé, un punto di compromesso, una sorta di equilibrio fra ironica amarezza, senso di desolante sconcerto, gioiosa euforia …

Quella di Clifford Williams e di suo nipote Nathan Myers è sicuramente una di queste.

I due, accusati ingiustamente di aver ucciso una donna in Florida nel 1976, dopo per aver passato ben 43 anni in carcere, hanno ricevuto un cospicuo indennizzo in denaro: il primo (condannato a morte) di 2.150.000 dollari; il secondo (condannato all’ergastolo) di 2.000.000 di dollari.

La relativamente positiva conclusione di una storia tanto orribile è stata resa possibile dalla recente indagine portata avanti dal Conviction Integrity Unit, un nuovo organo giudiziario destinato a riesaminare casi giudiziari presentanti dubbi di un qualche rilievo. Dal rapporto è risultato che nessuna prova fisica era in grado di autorizzare una correlazione fra Williams o Myers e la sparatoria che originò la morte di Jeanette Williams (omonima ma non parente di Clifford). Inoltre, risultò che un altro uomo, tale Nathaniel Lawson, a suo tempo, aveva riferito a diverse persone di essere stato lui l’unico l’autore del crimine.

Dall’inchiesta è anche emerso che la polizia, in un fascicolo del 1976, aveva scritto di aver appreso della presenza di Nathaniel Lawson sulla scena del delitto nel momento in cui il delitto fu commesso.

   Il risultato finale è stato quindi inequivocabile, tanto che ha permesso a Shelley Thibodeau, direttrice del sopramenzionato organo giudiziario, di asserire, in maniera lapidaria, che

"l’insieme di tutte le prove, la maggior parte delle quali non vennero viste né sentite dalla giuria, toglie ogni credibilità alle condanne e alla colpevolezza degli accusati.”

                     Intanto, però, a congelare (e a congedare) subito quel pizzico di soddisfazione derivante da una simile paradossale vicenda, ha provveduto una decisione oltremodo dolorosa:

le esecuzioni capitali nella giurisdizione federale degli Stati Uniti, sospese dal 2003, sono state riprese.

E’ stato infatti ucciso, attraverso iniezione letale, dopo un momentaneo rinvio, Daniel Lee, suprematista bianco accusato nel 1999 della morte di una coppia e della loro figlioletta di 8 anni.

Nei prossimi giorni, dovrebbe essere il turno di Wesley Purkey, Alfred Bourgeois e Dustin Honken.

Da notare che Wesley Purkey, affetto dal morbo di Alzheimer, è ora ritenuto del tutto demente.

                     “La decisione dell’amministrazione Trump di riavviare le esecuzioni federali dopo una pausa di 16 anni è scandalosa. È l’ultima indicazione del disprezzo di questa amministrazione per i diritti umani“. Così, già la scorsa estate si era espressa Margaret Huang, direttrice esecutiva di Amnesty International Usa.

 
 Daniel Lee

C’è da sottolineare, tra l’altro, che la scelta dell’amministrazione Trump appare in contrasto con le crescenti moratorie sulla pena di morte adottate da vari Stati negli ultimi dieci anni: da un lato per le controverse iniezioni letali, accusate di causare eccessiva sofferenza, dall’altro per la carenza delle sostanze da usare, perché le grandi case farmaceutiche rifiutano di fornirle nel timore di essere associate ad una prassi che molti considerano inumana e incivile.

                   “L’uso della pena di morte - ha aggiunto poi la Huang - non è in linea con le tendenze nazionali e internazionali. Ventuno stati negli Stati Uniti e oltre la metà dei paesi del mondo hanno già stabilito che la pena di morte non rispetta i diritti umani e non ha posto nelle loro leggi”.

di Luca Scantamburlo 

COMMENTO PERSONALE da non addetto ai lavori

Al secondo comma dell'art.32 Cost. la riserva di legge non solo é assoluta, ma pure é rinforzata: deve sempre essere garantita dal Legislatore, la dignità, il "rispetto della persona umana", nell'eventualità la legge disponga un trattamento sanitario obbligatorio. E ci deve essere una consultazione e vaglio parlamentare. Necessariamente.

Ecco perché la riserva assoluta in Costituzione, ed anche rinforzata, non ammette in tal caso che un provvedimento di ordinanza extra ordinem, imponga un trattamento sanitario obbligatorio non previsto dalla legge.

Figuriamoci poi una circolare ministeriale, semplice atto amministrativo di comunicazione fra Ministero e dirigenti /uffici .

E men che mai un DPCM, norma sublegislativa che non e' un atto avente forza di legge, ma appunto una ordinanza extra ordinem.

Oppure una ordinanza regionale, che voglia imporre un tampone alla popolazione : non lo può fare, può solo invitare e raccomandare. Non imporre un trattamento sanitario obbligatorio.

Per via della riserva di legge, assoluta (e pure rinforzata nello specifico).

Luca Scantamburlo
15 giugno 2020

P.S. per approfondimenti rivolgersi ad un giurista ferrato in diritto costituzionale

P.P.S. alcune ordinanze regionali, recenti, come una di quelle emanate in Sicilia ad esempio, erano e sono ILLEGITTIME, per via della violazione della riserva di legge legata a libertà e diritti civili, che sono stati conculcati senza rispettare la riserva.

Inclusi diversi DPCM, in palese violazione della riserva di legge, a causa della delega in bianco che il Parlamento ha concesso al Governo, in fase conversione dei decreti legge di febbraio e marzo 2020, poi convertiti (ma senza circoscrivere il potere dell'Esecutivo, che e' divenuto arbitrario)


♦️ Cosa è la riserva di legge, ottimo video tutorial esplicativo:

? https://youtu.be/GhddEDoAWBU

       Mai come in momenti come il presente, in cui ci troviamo quotidianamente immersi in fiumi di notizie allarmanti, meritano la nostra massima attenzione le notizie che ci permettono di intravedere un futuro migliore.

E’ questo certamente il caso di quanto recentemente accaduto in Colorado, divenuto ufficialmente il 23 marzo il ventiduesimo stato degli Usa ad avere abolito la pena di morte ed il decimo a farlo dal 2004.
Conseguentemente all’approvazione dei due rami del parlamento e la firma del governatore Jared Polis, le tre condanne a morte ancora in attesa di esecuzione sono state prontamente commutate in ergastolo.


Non è stato, però, un risultato semplicissimo da raggiungere, vista la ferma resistenza operata dai repubblicani, schierati a sostegno della necessità assoluta della pena capitale a soddisfazione dei legittimi diritti dei familiari delle vittime di omicidio di vedere definitivamente risolta la propria tragedia grazie alla morte dei responsabili.
Quanto accaduto fornisce una ulteriore, preziosa e gradita conferma del fatto che negli Usa, che per il terzo anno consecutivo non compaiono tra i primi cinque stati per numero di esecuzioni (al settimo posto nel 2016, all’ottavo nel 2017, al settimo nel 2018), il fronte abolizionista stia conquistando sempre più forza e consenso, soprattutto grazie al diffondersi della consapevolezza di quanto ci sia di arbitrario e di iniquo nell’applicazione della pena capitale.*
«Sono commosso dalla testimonianza e dal dibattito che abbiamo ascoltato» - ha dichiarato il presidente dell’Assemblea, il democratico Alec Garnett. «Spero in una società - ha poi aggiunto - in cui spendiamo le nostre risorse in riabilitazione, non in appelli; nel trattamento delle tossicodipendenze e non nella somministrazione di iniezioni letali».

Oltremodo sagge e illuminanti le parole di Robert Dunham, direttore esecutivo del Death Penalty Information Center, il quale, al termine di una lunga dichiarazione, ha così concluso:
“Il parlamento del Colorado si è impegnato in un dibattito sentito, rispettoso e sincero su problematiche molto sensibili. Alla fine, ha basato la sua decisione sulle prove e sui sentimenti personali di ciascun parlamentare riguardo a ciò che fosse giusto fare per il popolo del Colorado. Il Governatore Polis ha riconosciuto che, per quanto orrendi fossero i crimini commessi dagli ultimi tre condannati a morte, era meglio chiudere questo capitolo della storia della giustizia penale del Colorado, piuttosto che lasciare che il problema imputridisse mentre venivano spesi inutilmente milioni di dollari dei contribuenti.”

*Otto stati americani hanno messo a morte nel 2018. Il Texas ha quasi raddoppiato i numeri dell’anno precedente (da 7 a 13), rappresentando poco più della metà del totale nazionale, dopo che la Corte suprema ha concesso un numero inferiore di sospensioni delle esecuzioni. Il Nebraska ha eseguito la sua prima condanna a morte dal 1997, il South Dakota dal 2012 e il Tennessee dal 2009. Tuttavia, a differenza dell’anno precedente, Arkansas, Missouri e Virginia non hanno eseguito sentenze capitali, determinando lo stesso numero di stati esecutori del 2018 come del 2017.

25 Novembre: Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, vittime ignare di uno stereotipo di genere OVVERO la Degenerazione del Femminismo.

… Correa l’anno 1791, in una Francia “illuminata”, giovanissima figlia della Rivoluzione per eccellenza, viene proclamata la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, di quelle donne scese in piazza, insieme agli uomini, a rivendicare i diritti politici e civili negati dall’assolutismo monarchico.

Inconsapevolmente, in quella sede, si sono poste le basi di un movimento, oggi, irreparabilmente viziato nel mondo occidentale, un fenomeno che, ai giorni nostri, contraddice i primigeni, nobili, intenti di uguaglianza e libertà… “Sua Maestà il Femminismo”!

Un movimento destinato a durare nei secoli.

Pace, Pane e Libertà reclamavano le donne di San Pietroburgo nel non così lontano 1917.

Spezzati gli antichi pregiudizi sedimentati sul fondo di un’arcaica incoscienza patriarcale, nel 1929, si innalzano le “Torce della libertà”.

Ma dov’è finita la razionalità promossa, in tempi non sospetti, da Mary Wollstonecraft, prima femminista in assoluto e quali le deviazioni che sono maturate, nel corso degli anni, man mano che, dai suoi primi, timidi tentativi, il fenomeno si trasformava da movimento culturale elitario in fenomeno di massa, più o meno esasperato, non tanto nelle premesse, quanto negli esiti?

E sì, perché, a giudicare da quello che oggi ci propone e ci sottopone il panorama mediatico, di razionale sembra esserci davvero molto poco!

Si cominciò nel ’68, toccando quei temi scottanti, quali divorzio e aborto, fino ad allora protetti da un’aura quasi sacrale, pensando, in qualche modo, che l’affrancamento della donna fosse, in primis, affrancamento sessuale, quindi libertà dall’obbligo di procreare.

Da quel momento la parabola discendente del femminismo occidentale non subirà più arresti.

Lentamente, si è passati, dalla legittima pretesa di parità, a quella, più insensata che inesaudibile, di un’arrogante castrazione maschile.

Prerogativa di chi rivendica un diritto negato è il rifiuto della prevaricazione, a buon rigor di logica!

Ma quello che è nato con il preciso intento di liberare la donna è diventato la sua prima causa di schiavitù, perché, nel tentativo di modificare un rapporto di forza precostituito, ne è diventata vittima volendolo ribaltare.

E per farlo non ha certo badato a spese, servendosi della diffusione mediatica ossia la manipolazione delle masse più riuscita dopo quella della Chiesa.

Le pubblicità inneggiano, in maniera palese, alla mortificazione fisica e mentale dell’uomo, sminuendo drasticamente, nell’immaginario collettivo, la figura maschile.

La violenza verbale è ammessa e concessa, gli aborti morfologici proponibili in nome di una battaglia a senso unico senza precedenti.

E, qualora tutto ciò non si dimostrasse sufficiente a ribaltare un clichet, tiriamo fuori le accuse di sessismo noi POPOLO ROSA!

Basta una parola, un’accusa di violenza per rovinare la vita di un uomo, non facendosi scrupolo di denigrare la figura paterna anche nei confronti dei figli. La parola, l’arma più potente di cui il genere umano dispone.

Ma è il furore ideologico tipicamente adolescenziale che, proprio per la sua natura di “minorenne”, è condannato ad una visione schematica che non sa andare oltre il bianco e il nero, ignorando la complessità e le contraddizioni del mondo e del genere umano.

Questi poveri maschi improvvisamente sono diventati dei sempre meno efficienti padri, mariti, lavoratori, quasi una categoria a rischio, sì, perché fanno tutto loro, LE DONNE, o, almeno, così dicono…

Poi però rivendichiamo le quote rosa e, nei divorzi, pretendiamo l’assegno di mantenimento, ci sono padri che mantengono figli che non vedono mai.

Quanta ipocrisia!

Ci sono padri che, nel silenzio e, con dignità, hanno svolto lavori umilianti, massacranti per sostenere la propria famiglia.

Questa è memoria storica oltre che grande esempio di coraggio, civiltà e senso del dovere.

Un abominio che nulla ha a che vedere con la gloriosa storia di Olympe de Gouges o, molto presumibilmente, una degenerazione funzionale all’attuale sistema economico-sociale.

L’emancipazione avvenuta, non è quella della donna dall’uomo, ma quella della donna da se stessa.

L’emancipazione della donna dalla sua maternità, la caratteristica biologica più spiccata, permette di disporre di lavoratrici più efficienti.

Via, quindi, alla virilizzazione del femminile, a quella mortificazione della femminilità che, a volte raggiunge livelli davvero aberranti.

Urge il recupero di un’autentica coscienza di genere da contrapporre al femminismo più spietato, bacino ideologico del capitalismo imperante.

“UMANO TROPPO UMANO” urlava Nietzsche già nel 1878!

Oggi, nel tempo della tecnica, non c’è più spazio per l’uomo e, quindi, neanche per la donna.

Dove “Dio è morto”, volendo ancora citare Nietzsche, anche l’uomo deve morire.

Ormai vige il principio che una donna se non si realizza nel lavoro è una persona frustrata, sempre a detta delle stesse, incapaci di capire che la scelta è una possibilità. Che c’è sempre un “padrone” da asservire e che una donna può realizzarsi ed esercitare il proprio, legittimo, autorevole potere in seno alla famiglia al di là di quanto rende in termini economici.

Perché, diciamocelo chiaro, signori miei, il vero potere delle donna, delle grandi società matriarcali, è proprio quello!

Oggi la donna dovrebbe un pochino imparare a svestire i panni dismessi di Wonder Woman, a liberarsi da quel furore mistico di cui si è auto investita, fare pace con se stessa e non la guerra con l’altro sesso, nella sana accettazione del fatto che, aver bisogno dell’altro non è segno di debolezza ma il naturale completamento di due identità parallele.

L’onnipotenza non è di questo mondo!

              

Appena qualche giorno dopo l’annuncio di un aumento delle tariffe dei trasporti pubblici a Santiago del Cile, diverse migliaia di persone si sono mobilitate per chiedere un congelamento dell’aumento delle tasse e soluzioni concrete in merito a una varietà di scelte politiche che stanno gravando su vasti settori della società cilena e che hanno un pesante impatto sui diritti economici, sociali e culturali dell’intera popolazione.

In seguito a diversi episodi di violenza nelle strade, il governo ha deciso di sospendere il servizio di trasporto pubblico e di decretare uno stato di emergenza il 18 ottobre, cosa questa che ha comportato l’invio del comando di difesa nazionale alle manifestazioni e l’imposizione del coprifuoco nell’area metropolitana di Santiago e in altri città.

In base ai dati diffusi dal governo cileno, durante le manifestazioni, lo stato d’emergenza e il coprifuoco, risulterebbero decedute ben diciotto persone.

Secondo l’Istituto nazionale dei diritti umani (Indh), cinque di queste persone sarebbero state uccise dalle forze di sicurezza. La stessa fonte segnala l’arresto di 2600 persone, 584 feriti (245 dei quali a colpi d’arma da fuoco) e altre gravi violazioni dei diritti umani.

Con una lettera aperta inviata al presidente Sebastián Piñera, l’organizzazione mondiale per la difesa dei diritti umani Amnesty International ha rammentato alle autorità cilene gli ineludibili obblighi in materia di diritti umani, esortandole insistentemente ad ascoltare le richieste della popolazione e ad agire efficacemente con adeguati provvedimenti.

Invece di paragonare le manifestazioni a uno ‘stato di guerra’ e di definire coloro che protestano nemici dello stato, aumentando così il rischio che subiscano violazioni dei diritti umani - ha dichiarato in una nota ufficiale Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe - il governo del presidente Piñera dovrebbe ascoltare e prendere seriamente in considerazione le ragioni del malcontento“.

Le autorità cilene hanno infatti l’obbligo di indagare in modo approfondito, rapido e imparziale su tutte le denunce di uso eccessivo della forzaarresti arbitrarimaltrattamenti e torture e su ogni ulteriore violazione dei diritti umani commessa durante lo stato d’emergenza, così come investigare sulle circostanze e sulle responsabilità nei casi in cui persone hanno perso la vita.

Criminalizzare le proteste non è la risposta. - ha aggiunto Guevara-Rosas - Se le autorità cilene devono prendere misure per prevenire ed evitare azioni violente, in nessuna maniera queste azioni possono essere usate come pretesto per limitare i diritti alla libertà di espressione e di manifestazione pacifica o per fare uso eccessivo della forza.

       Inoltre, con una nota ufficiale, Amnesty ha annunciato l’invio di una missione in Cile per indagare sulle violazioni dei diritti umani commesse nel contesto dello stato d’emergenza e del coprifuoco.

Il mondo sta osservando quello che accade in Cile - ha dichiarato sempre la Guevara-Rosas - Esortiamo ancora una volta il presidente Sebastián Piñera a porre fine alla violenta repressione scatenata contro coloro che esercitano il legittimo diritto di manifestazione pacifica. Nonostante i suoi messaggi conciliatori e di discolpa, la presenza aggressiva di polizia ed esercito nelle strade continua a impaurire la popolazione”.

Il governo cileno deve ascoltare in modo adeguato le richieste della popolazione e realizzare le riforme sostanziali e strutturali affinché tutte le cilene e tutti i cileni possano beneficiare dei diritti umani e vivere in condizioni di dignità“, ha proseguito Guevara-Rosas.

L’ unità regionale di crisi di Amnesty International raccoglierà testimonianze ed esaminerà informazioni che possano aiutare le vittime a pretendere e ad ottenere giustizia, verità e riparazione da parte dello stato, nonché a corroborare le denunce di violazioni dei diritti umani e di possibili crimini di diritto internazionale.

L’associazione, in questi giorni, attraverso i canali messi a disposizione della società civile cilena, sta ricevendo numerose denunce di gravi violazioni dei diritti umani (dall’uso eccessivo della forza alle irruzioni e perquisizioni illegali, dalla tortura agli arresti arbitrari), e i suoi esperti digitali stanno esaminando accuratamente le fotografie e i video sin qui ricevuti.

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