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Cultural Events (211)

    Marzia Carocci

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Maurizio Minniti

 

Maurizio Minniti nasce a Firenze il 3 febbraio 1951, è un musicista e compositore di musica, scrittore di romanzi, poesie e prose poetiche. Ha già scritto sei romanzi e una raccolta poetica commentata dalla giornalista e critica letteraria Cinzia Baldazzi che è stata collaboratrice di Raffaella Carrà e Pippo Baudo. Ha partecipato alla trasmissione televisiva “Domenica in” con Pippo Baudo recitando una mia poesia “A MIO PADRE“ nella rubrica inserita nel programma dedicata alla poesia con la quale ha vinto il premio. Attualmente è in sala di incisione per completare con il suo gruppo musicale un CD delle sue canzoni.  In campo musicale ha  collaborato con Zucchero Fornaciari, Marco Masini, Paolo Vallesi, Iva Zanicchi, Rita Pavone, Pupo. Il suo ultimo romanzo “ Memorial” descrive  delle guerre viste e commentate da un giornalista fotoreporter.

 I titoli dei suoi romanzi: 

L’altra metà del cielo   2008

Qui dove soffia il vento  2010

Passi nel tempo raccolta poetica commentata da Cinzia Baldazzi  2011

Chergui, il vento del ricordo  2012

La testa tra le nuvole, poesie e brevi racconti   2013

Parole non dette    2015

Il figlio sbagliato  2019

Memorial  2022  

Buongiorno Maurizio, eccoci a noi. Tu sei musicista e scrittore, i tuoi libri hanno avuto ed hanno successo e le tue produzioni musicali sono ancora in grande fermento.

Ci piacerebbe conoscerti a fondo, chiederti degli inizi artistici e del rapporto che hai o hai avuto con questi.

 

Maurizio Minniti scrittore:

 

D-Vuoi parlarci dei tuoi inizi? 

R- I miei inizi nascono dall’infanzia, quando tornavo da scuola e scrivevo su un quaderno (che tenevo nascosto), tutto quello che mi era capitato a scuola; ero molto povero e i miei compagni di scuola deridevano le mie scarpe bucate e i vestiti riciclati da donazioni. Annotavo anche i litigi dei miei genitori e i natali senza regali. Poi, crescendo e cambiando città da Alessandria a Firenze, ho incominciato a scrivere piccoli racconti basandomi sempre su fatti reali a cui avevo assistito e anche personali aggiungendo una parte di fantasia. Per un periodo della mia crescita, ho abbandonato questa mia voglia di scrivere che ho ripreso a età un po’ avanzata, ma carica di esperienza vissuta che mi ha permesso di scrivere poesie che mi hanno dato molta soddisfazioni e sono state inserite su alcune pubblicazioni letterarie. La prima volta che ho intrapreso la stesura del mio primo romanzo è stato quando un mio carissimo amico mi ha raccontato la sua storia d’amore e un tradimento, del suo lavoro nei cantieri navali di Genova e della sua solitudine racchiusa, a quel tempo, nei suoi 71 anni. Oggi non c’è più e mi ha lasciato un grande vuoto, ma rimangono le fotografie e il libro che me lo ricorderanno per sempre. Dopo questa mia prima esperienza, ho continuato e ho scritto ancora cercando di migliorarmi sia nel contenuto della storia sia nei tempi di racconto cercando di non andare mai fuori tema. Oggi che ho 71 anni, e mi ritengo un diversamente anziano, trovo la felicità di scrivere e molta emozione nel rileggere quello che la realtà della vita mi propone per le mie storie e dove fa sempre capolino una parte di me.

  

D- Cosa ha scaturito il desiderio di scrivere? 

R- La musica, la musica per me è sempre stato fonte di ispirazione, scrivevo testi per le canzoni che componevo e da li è partito tutto, poi sono arrivate le poesie che si sono sostituite alle note sul pentagramma e successivamente i racconti e i romanzi che mi hanno fatto alzare dallo sgabello di fronte al mio pianoforte facendomi accomodare davanti alla scrivania e al computer complice dei miei libri.

 

D- Cosa ti ha dato o ti dà più soddisfazione nella stesura di un libro? 

R- Quando lo rileggo e mi commuovo trovando in esso la forte complicità tra lo scrittore e la storia. In quel momento, così magico, sento di non essere più io, ma lo sguardo e la mente di un lettore qualsiasi e di qualsiasi età.

 

D- Nei tuoi libri, porti un po’ di te o sono completamente esuli dal tuo essere? 

R- Nei miei libri c’è sempre una parte di me. Quando il protagonista soffre, descrive le mie sofferenze giovanili e anche adulte, certo la fantasia esplora strade e avvenimenti fuori dalla realtà che faccio miei modellandoli come uno scultore per trovare la perfezione e l’unione con la realtà del racconto che in quel momento sto scrivendo.

 

D- Qual è stato il libro che fino ad adesso hai amato di più? 

R- PAROLE NON DETTE, parla della mia famiglia, di noi quattro fratelli che decidiamo in età avanzata di raccontare i nostri genitori, di come li abbiamo vissuti e scoprire che loro non ci sono mai stati per noi, che hanno vissuto una vita parallela alla nostra, che si amavano e odiavano racchiusi nel loro mondo impenetrabile. Questo è il libro che più amo e odio per la realtà dei contenuti alcuni appresi soltanto nella stesura del romanzo. Ho sofferto molto a scrivere questo libro, ho combattuto con una realtà che in parte non ho vissuto come i miei fratelli, come se io fossi fuori di scena in un teatro di vergogna e dolore. Questo è il libro che amo di più.

 

D- E’ uscito Memorial. Il 26 marzo ci sarà la prima presentazione di questo. Vuoi parlarcene? 

R- E’ una storia che ho scritto in breve tempo, forse era già in me e non trovava lo spazio per uscire allo scoperto. Ho sempre amato il giornalismo d’assalto quello fatto sul campo di battaglia dove si racconta la crudeltà dei conflitti. Mi sono immerso in questa storia scrivendola e vivendola come dentro a un film. Io ero lì accanto al protagonista, scrivevo il dramma della guerra e il dramma della sua vita facendola mia, come se fossi in prima persona  nel luogo. Ho sentito freddo quando lui sentiva freddo, ho sentito il sibilo delle pallottole vicino a me, ho amato e sofferto con lui e mi sono perso come lui. C’è stato un momento di brevissima durata, dove la realtà non mi apparteneva più e li mi sono accorto veramente di quanto io  ami scrivere.  

 

D- Il ricavato della vendita del tuo ultimo lavoro verrà interamente devoluto all’Associazione Astro Onlus, questo ti fa onore. Di cosa si occupa l’Associazione? 

R- L’associazione Astro si occupa del sostegno terapeutico e riabilitativo in oncologia, porta conforto e gioia alle donne ammalate di tumore al seno del nostro territorio. Il mio è solo un piccolissimo gesto che mi rende felice e orgoglioso.

 

Maurizio Minniti musicista

 

D- Maurizio, sappiamo del tuo amore per la musica. Come è iniziato? 

R- Da bambino al Conservatorio Cherubini a Firenze. Studiavo violino, ma la mia passione è sempre stato il pianoforte. Ricordo che entravo a scuola molto prima degli altri e mi chiudevo in una stanza dove c’era un pianoforte mezza coda. Lasciavo l’astuccio del violino e mi sedevo sullo sgabello davanti ai tasti del piano che mi sembravano inarrivabili dato la mia piccola statura e li appoggiavo le mie piccole dita aspettando che il martelletto si scontrasse con la corda. Da quel primo suono, sono andato avanti e con mio fratello abbiamo condiviso la felicita del nostro primo e unico gruppo musicale. Avevo quattordici anni quando ho iniziato a suonare in pubblico, poi sono venuti i Beatles e Battisti e il nostro gruppo si è fuso con loro e siamo diventati i Beatles di Firenze. Molti ragazzi venivano alle nostre serate, non ballavano, ma stavano seduti ad ascoltarci ed era fantastico. L’avvento del servizio militare e del ballo liscio, ci ha fatto decidere di smettere, ognuno aveva il proprio amore e la propria vita da percorrere, io con mio fratello abbiamo continuato a suonare e portato alle case discografiche le nostre canzoni. Fu un periodo molto interessante, ma quando mi hanno chiesto di rimanere a Milano per intraprendere la carriera di compositore, ho visto la mia vita futura più grande di me e ho detto no.

 

D- vuoi parlarci delle tue collaborazioni? 

R- Certamente, Rita Pavone, Iva Zanicchi, Pupo, Zucchero, Vallesi, Masini e altri cantanti rimasti sconosciuti pur essendo bravi.

 

D- Riguardo a queste collaborazioni, hai una curiosità da raccontarci? 

R- Preferisco di no, oggi sono molto famosi e fanno finta di non conoscerti e quindi non vorrei raccontare aneddoti che li riguardano.

 

D- A cosa stai lavorando? Con chi? 

R- Ora sto lavorando alla stesura del mio prossimo romanzo e contemporaneamente al termine del CD che io e i miei compagni di viaggio musicali dopo cinquanta anni abbiamo deciso, divertendoci, di realizzare con le nostre composizioni. Penso che la scrittura e la musica non abbiano età.

 

D- Vuoi parlarci di questa tua passione? 

R- Potrei scriverci un libro. Aspettare dietro alla porta del discografico che deve giudicare il tuo prodotto ed essere ignorato del tutto, questo sarebbe stato un valido motivo per lasciare la musica, ma la passione era forte nata al Conservatorio e ancora viva in me come parte integrante della mia vita. 

 

Adesso Maurizio, ti pongo la domanda “bianca”

Si tratta di uno spazio dove tu puoi dire qualsiasi cosa sul tuo mondo di artista sia come scrittore che come musicista. I tuoi sogni, aspettative, desideri. 

- Spesso quando compongo una canzone sento dentro di me i brividi.  Gli accordi che le mie dita imprimono sopra ai tasti sono così belli e armoniosi da sorprendermi, scrivo  il testo cercando che la forza delle parole possa unirsi con la musica e amarsi. Così nasce una canzone; me lo sono sempre detto, ed è  così si commuove l’artista che c’è in me mentre litiga con l’altra metà del mio io profondo che rifiuta a volte di immedesimarsi in esso. Conflitti che a volte ritrovo nelle mie poesie, nelle parole che vorrebbero dire tutto, ma che per qualcuno non dicano assolutamente  niente. Ecco che  allora ti senti tra gente che conosci da sempre come uno diverso.  “ Il Poeta” – mi dicano sorridendo davanti a una pizza e una birra e questo non mi piace, mentre lascio cadere quella frase che dentro di me fa molto rumore lasciando parlare gli altri.

Lascio Memorial,  lascio un figlio partorito e cresciuto con amore, lascio che le mie parole entrino dentro al lettore e spero che vibrino così forte da scuotere anche gli animi più insensibili. Adesso sono dentro a una ipotetica stanza dove tutto resta fuori, dove ogni parola estranea al mio progetto non può entrare. Sento fluirmi dentro la nuova scrittura, la nuova storia, la nuova musica e questo mi da gioia. Spero di lasciare a mio nipote oltre al mio ricordo di nonno, anche una parte di me racchiusa nei libri e nella musica. Non ho sogni né aspettative né desideri, amo e odio l’imprevisto ed è con lui che lotto ogni giorno perché non mi preceda.

 

 

Ti ringrazio Maurizio.

Se vuoi lascia la tua mail 

 

m.minniti@alice. it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                                                                    

 

 

 

 C’era una volta Piazza della Baldracca

 

E’ noto a tutti che l’edificio di Piazza Signoria fu commissionato da Cosimo I dei Medici, Granduca di toscana per la costruzione di uffici (uffizi) giudiziari ed amministrativi

Fu richiesto a Giorgio Vasari che doveva progettare il palazzo proprio vicino all’abitazione del Duca e andava esteso fino al fiume Arno. Era il 1560 c.a.

In cinque anni fu costruita buona parte del Palazzo nel 1565 fu completato anche il famoso “corridoio Vasariano” costruito per l’occasione del matrimonio fra il figlio di Cosimo de Medici, Francesco e Giovanna d’Austria.

Alla morte del Vasari nel 1574, i lavori furono continuati dal Buontalenti e Francesco I dei Medici, a lui si deve la creazione della Galleria.

Negli anni a venire molte le collezioni sono entrate a fare parte del museo fra più importanti al mondo; opere d’arte antiche e moderne comprensive di armi, gemme e strumenti appartenuti a grandi scopritori, scienziati e inventori come ad esempio Galileo Galilei.

La galleria fu aperta al pubblico nel 1789 con milioni e milioni di visitatori all’anno.

Settecento anni prima, nello stesso spazio dove adesso ci sono gli Uffizi, in pieno medioevo, vi ergeva uno dei quartieri più malfamati della città: il quartiere di Baldracca. Ladri, ubriaconi, assassini, bordelli e malcostume serpeggiavano in quell’ambiente losco e equivoco. Volgarità, degrado e sporco erano il vivere comune di chi ci abitava. Il nome “baldracca” non è derivato dal modo come i fiorentini definivano la prostituta ma dall’osteria in sito che era nominata “osteria di Baldracca”. L’osteria si denominò Baldracca per una storpiatura del nome Bagdad, la città dei califfi erroneamente scambiata all’epoca per Babilonia considerato il luogo dove tutto è fuori controllo dove caos e disordine prendono il controllo di tutti e tutto. L’osteria per voler dei medici viene del tutto cancellata e sostituita dal “teatrino di Baldracca” dove gli attori stessi pagano affitti per mostrare i propri spettacoli alla presenza di donnine succinte e provocatorie. Un piccolo teatro che non può contenere più di 400 posti e dove vi sono piccoli spazi per la nobiltà che segue dietro a grate per vedere in anonimato.

Nel XV secolo però i Medici presero potere e commutando Firenze da Comune a Signoria decisero di fare “pulizia” da quel degrado allontanando quel ceto non certo “elegante” e di classe. Il quartiere, con il suo giro poco raccomandabile si spostò così in Piazza della Passera rinominata dopo Piazza dei Sopiti fino a quando nel 2005, l’allora Assessore Eugenio Giani, le ridette il suo nome autentico. Riguardo al toponimo originale, pare che in quella zona vi fosse una casa di tolleranza dove fu “ospite” perfino Cosimo I dei Medici Granduca di Toscana.

Firenze che respira, che incanta che risorge che declina e risale. Firenze segreta fra grettezza e nobiltà ma sempre immersa nella bellezza da guardare, da scoprire da amare proprio come una bella donna dai mille riflessi, dai sorrisi limpidi o sornioni, dagli sguardi aperti o indagatori. Firenze culla di artisti, pittori, scultori, inventori e che dire di Dante?

Intrighi di potere, leggende da respirare e misteri da scoprire in ogni angolo della città. Possiamo amarla, criticarla, additarla, viverla ma è indubbio che la sua storia è ancora storia in ogni angolo dove solo l’uomo ne scalfisce la bellezza. Ma questa è un’altra storia...

Martha Jane Cannary nome vero della più conosciuta Calamity Jane, nacque nel Missouri il primo maggio del 1852, da genitori agricoltori che decisero di trasferirsi nel 1865 nel Montana presumibilmente per la caccia all’oro. Era la più grande di sei fratelli. Partì così con la famiglia verso il Montana, un viaggio durato 5 mesi dove perse la madre. Successivamente il padre li abbandonò per rifarsi una vita e lei si trasferì nel Wyoming con i fratelli; aveva 13 anni circa.

Martha Jane prende in mano la situazione dedicandosi così a molti mestieri per il sostentamento della famiglia. Si veste spesso da uomo, diventa pistolera, avventuriera, lavandaia, prostituta e cercatrice d’oro; fu conducente di diligenze. Si vestiva da uomo, sputava, bestemmiava, salvava diligenze. A causa dei suoi comportamenti e della sua fama però non concluderà mai i lavori intrapresi perché spesso sarà licenziata. Sicuramente era una donna ambigua e complicata, ma anche una figura leggendaria del West della Frontiera, riuscì ad entrare nella cavalleria e fu una delle poche donne a combattere contro gli indiani. Fu violenta, feroce, tenace come nessuno. Il nome Calamity Jane le fu dato da il capitano di un gruppo al quale faceva parte contro gli indiani; lui stava cadendo da cavallo durante un’imboscata e lei a galoppo del suo, lo fece salire salvandogli la vita. Sembra che la frase fosse:   “Ti battezzo Calamity Jane , l’eroina della pianura".

Jane diceva di avesse sposato lo sceriffo James Butler Hickok conosciuto ai più con il nome di Will Bill da cui lei diceva di avere avuto il figlio Janey affidato in seguito a una famiglia adottiva. Gli storici definiscono il tutto “leggenda” poiché non vi è nulla di documentato e le date erano contrastanti con la nascita di questo. Jane asseriva però insistentemente la veridicità degli eventi. C’è chi sostiene che tra i due vi fosse una passione c’è invece chi afferma un’antipatia da parte di Will Bill verso di lei. Lui morirà il 2 agosto 1876 in quel periodo era sposato con Agnes Lake Thatcher. Morì al tavolo da gioco. Fu dopo la sua morte che Calamity Jane rivendicherà il matrimonio con lui e affermerà insistentemente che Janey,era il figlio nato dal loro rapporto tre anni prima anche se è più verosimile che lo avesse avuto con un rapporto occasionale. Calamity ebbe più matrimoni; sposò William Steers, un uomo despota e violento con il quale ebbe un figlio (Little Calamity) che morì a pochi giorni dalla nascita,incontrerà poi nel 1885 il texano Clinton Burke che sposerà due anni dopo nel 1887, dando in seguito alla luce una bambina che chiameranno Jessie.

Calamity Jane non si disintossicò mai dall’alcol; la bottiglia fu sempre presente nella sua vita. Morì sola, depressa e alcolizzata in un hotel il primo agosto 1903. Aveva 51 anni. Non si saprà mai se a causa dall’alcolismo, da una polmonite o altro. Il suo corpo verrà sepolto vicino al cadavere di Hickok nel cimitero di Mount Moriah all’interno di una fossa comune. Fu una sua espressa richiesta in vita.

Jane fu sicuramente una figura scomoda e imprevedibile, ma non va dimenticata anche la sua generosità verso i bisognosi. Diede prova di altruismo durante l’epidemia di vaiolo che si abbatté sugli abitanti di Deadwood nel 1876. Lavorò giorni e notti come infermiera: donò cibo, imboccò gente, lenì ferite, confortava i malati. Non si risparmiò fisicamente. Mai un grazie o un riconoscimento. Dopo la sua morte fu trovato un diario dove Calamity Jane scrisse fino agli ultimi giorni della propria vita. Il diario era rivolto a Janey, il figlio. Per molti studiosi però quel diario non fu altro che uno scrivere a se stessa.

L’epistolario fu scritto fra il 1877 e il 1902

Al termine di questo, Jane scriverà:

Io credo che questo diario sia quasi finito” riferendosi alla propria vita giunta quasi al termine.

Di seguito la sua ultima lettera impressa nella raccolta (giugno 1902) era chiaramente rivolta a Janey

“Mi sento male e non ho molto da vivere. Porterò con me molti segreti Janey: Cosa sono e cosa avrei potuto essere. Non sono nera come mi hanno dipinta. Voglio che tu lo creda. Gli occhi mi hanno privata del piacere che provavo guardando la tua foto. Non ci vedo più a scrivere. Devo dirti qualcosa. Se mai venissi quaggiù, metti a posto la mia vecchia casa e sii certa di trovare il Generale Allen di Billings. E’ stato un buon amico. C’è una cosa che ti dovrei confessare ma proprio non posso. Me la porterò nella tomba. Perdonami e tieni conto che ero sola”.

Calamity Jane diverrà a breve cieca e non continuerà mai più il suo diario.

Jane fu sicuramente una figura scomoda e imprevedibile, ma va ricordata anche la sua generosità verso i bisognosi. Diede prova di altruismo durante l’epidemia di vaiolo che si abbatté sugli abitanti di Deadwood nel 1876. Lavorò giorni e notti come infermiera: donò cibo, imboccò gente, lenì ferite. Non si risparmiò fisicamente. Mai un grazie o un riconoscimento.

Ndr Non so quanta realtà ci fosse nella figura di Calamity.Jane ma sono certa di quanto potesse essere scomodo esaltare una figura femminile forte, determinata, reazionaria oltre che prevaricatrice verso l’uomo. Una donna dall’atteggiamento volgare che sparava come un uomo, cavalcava come un buttero, si ubriacava nei saloon, si prostituiva, comandava spedizioni e spesso surclassava intere schiere di uomini. Tutto ciò sarebbe stato come ammetterne la forza o addirittura la superiorità della donna in un mondo e in un’epoca estremamente maschilista. Certo è che vi sono storici che ne cancellano addirittura l’esistenza, altri che la reputano solo bugiarda e infingarda, altri ancora che nemmeno si sono presi la briga di approfondirne il passaggio.

Non tutto fu verità nella sua vita, molti fatti furono inventati da lei. Molte date infatti non collimano con ciò che asseriva come l’avere avuto il figlio con Bill Will (i tempi erano improbabili) Quello che è certo fu la sua presenza nella storia del West, donna guerriera, pistolera, combattente e determinata.

A questo punto facciamoci una domanda: “Come sarebbe stata la sua vita se la madre (prostituta) non fosse morta in quel viaggio e il padre non avesse abbandonato i sei figli lasciandola a 13 anni con un’enorme responsabilità?.

Chi era Martha Jane Cannary?

La sua leggenda continua...

 


Enzo Martano nasce a Calimera in provincia di Lecce nel 1965. Il suo percorso artistico inizia da autodidatta nel 1991, con le prime realizzazioni di opere ispirate ai bellissimi paesaggi locali dove il fascino della natura salentina immersa tra mare e ulivi secolari, guidano i primi passi della sua arte. Affetto da retinite, Enzo è costretto a fermarsi per sottoporsi a vari interventi che gli consentono, dopo qualche anno, di riprendere i suoi lavori con una rielaborazione del tutto nuova di colori, forme e tecniche. Enzo inizia quindi un nuovo percorso artistico e tanti nuovi lavori. Tra questi, le figure umane, spesso di natura etnica, ricorrono il suo repertorio. Figure che emozionano e che suscitano sentimenti forti, come i drammi e le loro storie di vita.


Le sue opere sono state selezionate alla Biennale d'Europa che partirà a ottobre 2022, esporrà a Parigi, Barcellona, Londra, Venezia, Padova, Firenze, Mantova, Gravina di Puglia, Lecce, Matera e Roma. E’ stato visionato da critici Internazionali come Mario Salvo e il Principe Alfio Borghese che ne hanno decantato l’operato artistico. Ha partecipato a Concorsi Internazionali come il Premio Raffaello Sanzio, Premio Art Key Agropoli, Premio Michelangelo Buonarroti dove ha ricevuto il premio d’onore con encomio, Premio Luxemburgo 2021, e Premio Giacomo Balla con mostra collettiva assieme all’ attrice Adriana Russo.
In basso le mostre e i concorsi a cui ha partecipato.

 

MOSTRE

Giugno 2020 Varaggio Art ( Liguria)

Agosto 2020 mostra personale presso Centro Accademico Maison d’ art Padova

Settembre 2020 mostra collettiva presso Galleria On Art Firenze

Dicembre 2020 Collettiva Mincio arte Mantova

Maggio 2021 Trofeo Citta’ di Lecce

Giugno 2021 Collettiva MY TOWN Gravina di Puglia BA

Luglio 2021 Collettiva presso Galleria Internazionale Area Contesa Via Margutta

Rassegna D’Arte Woman presso Galleria Casa Cava Matera

CONCORSI

Premio Intenazionale Raffaello Sanzio Roma

Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti Lucca

Premio Luxembourg Art Prize Lussemburgo

Premio Internazionale Art Key prize Salerno

                                      

Enzo Martano

Renata Mazzei è attrice dal 1998, insegnante di teatro dal 2002 e PhD in Performing Arts presso l'ECA-USP. Nel 2009 ha completato il suo master all'ECA-USP con la ricerca "Aikido e il corpo dell'attore contemporaneo", un'arte marziale praticata per 13 anni. Come risultato pratico, ha ideato il monologo "Separação de Corpos", di cui è autore e che è stato presentato a São Paulo (BR), Ouro Preto (BR), São José (Costa Rica) e Città del Messico (Messico). Nel 2007 è entrato a far parte del CEPECA (Centro di ricerca e sperimentazione scenica degli attori) con sede presso l'ECA-USP e insieme agli altri membri del CEPECA ha lanciato i libri “CEPECA: Uma Oficina de Pesquisas 1 e 2” (2010/2014) . Nel corso della sua carriera ha partecipato a spettacoli che spaziano dal realismo al teatro fisico come "Medo...desejos", sempre di lei e Uma Questão de Tempo, di Alberto Guiraldelli.Nel 2011 ha vissuto in Inghilterra dove ha partecipato al corso “Act Creation Course” al Circomedia-Bristol e ha tenuto workshop con rinomate compagnie teatrali britanniche come Complicitè e Trestle. Nel 2012 ha partecipato al film "Do Lado de Fora" di Alexandre Carvalho (2013), nel telefilm "A Grávida da Cinemateca" di Christian Saagard (2015) e un episodio della serie HBO brasiliana “O Negócios” (2015) Per undici anni ha insegnato in corsi professionali come Recriarte e Teatro Escola Macunaíma. Nel 2017 si ‘e trasferita a Firenze e ha fatto diversi corsi e workshop di approfondimento come una specializzazione sulla tecnica di Meisner all'Accademia di Inflorence, un workshop con Thomas Richards su Grotowski, e lo workshop - La voce nella dimensione gestuale e performativa con Francesca della Monica. Nel 2018 e 2019 a Roma ha partecipato allo spettacolo Le Tre Sorelle, adattamento del testo di Anton Chekov, per la regia di Daniele Nuccetelli.

Conosciamo meglio Renata:

Buongiorno Renata. Tu sei un’ artista e un nome già conosciuto in campo teatrale e nell’insegnamento di questa meravigliosa arte.

D- Vuoi parlarci dei tuoi inizi?

Ho iniziato a fare teatro amatoriale quando ero adolescente perché ero appassionata di teatro fin da bambina. Quando ho sperimentato nella pratica, ho visto che essere un'attrice era la mia più grande passione. Questo mi ha portato a seguire un corso tecnico professionale e subito dopo ho avviato una compagnia teatrale col marito di allora e altri due attori a Sao Paolo. È stato un inizio difficile perché non avevamo i soldi e nemmeno un posto per lavorare, ma poco a poco abbiamo ottenuto riconoscimenti, uno spazio per i laboratori e presentare spettacoli, abbiamo ottenuto alcuni bandi e abbiamo iniziato a vendere spettacoli. In quell'inizio, parallelamente al teatro, insegnavo inglese e portoghese. Era molto dura perché spesso lavoravamo tutto il mese senza alcun profitto, ma piano piano venivamo ricompensati per quello sforzo. Nel 2006, dopo il divorzio, ho lasciato questa compagnia teatrale e ho iniziato ad agire in autonomia. Questa é stata un'altra fase difficile, portandomi comunque molte soddisfazioni. È stato durante questo periodo che ho iniziato ad insegnare al Teatro Escola Macunaima, la piu grande scuola di recitazione a San Paolo, dove ci sono rimasta per 10 anni.

D- Molte sono state le tue esperienze teatrali, vuoi parlarcene?

Ho concluso il corso professionale in Teatro nel 1998 e poco tempo dopo ho iniziato la prima Compagnia di teatro. Con questa compagnia di cui ho fatto parte dal 2000 al 2007, ho creato insieme agli altri attori "Nasus e Flora- una storia d'amore" (2003-2006), presentato in Brasile e in Australia, "Solitudine" (2004) di Steven Berkoff, spettacolo presentato al 9 ° Festival de Cultura Inglese in cui sono stata anche traduttrice e produttrice, "A Proposito di Sogni e di Speranza" (2006) spettacolo ispirato alle opere di Paulo Freire e "Itas Odu Medea" (2006) adattamento del mito di Medea, ispirata dai rituali del Candomblé.

Dopo la mia esperienza con questa compagnia ho fatto diversi corsi per migliorare sia come attrice sia come insegnante di recitazione. Per cui dal 2006 al 2009 ho fatto un Master in Arte Scenica presso l'Università di São Paulo (USP) con la ricerca "Aikido e il corpo dell’attore contemporaneo”, arte marziale praticata per 15 anni. Come risultato pratico ho realizzato il monologo “Separação de Corpos", il cui debutto è avvenuto nel maggio 2009. Questo spettacolo è stato presentato a São Paulo (BR), Ouro Preto (BR), San Jose (Costa Rica) e Città del Mexico (Mexico). Da questo lavoro ho sviluppato il workshop "Aikido e la poesia del corpo dell'attore", che ho insegnato in Brasile nelle officine culturali Oswald Andrade, SP Escola de Teatro, vari campi della USP per attori e non-attori. Dal 2013 al 2018 ho fatto il Dottorato di ricerca in Arte Scenica con la ricerca "Aikido e capoeira come fonti di ispirazione per la drammaturgia dell'attore" presso l'Università di São Paulo (USP). Durante questa ricerca ho realizzato “Amleto", spettacolo basato sul lavoro omonimo di William Shakespeare.

Nel 2007 sono entrata a far parte di CEPECA (Centro di Ricerca e Sperimentazione Scenica dell'attore) con sede presso ECA-USP. Insieme con gli altri membri del CEPECA, ho contribuito ai libri "CEPECA: Uma Oficina de PesquisAtores" (2010) e "CEPECA: Uma Oficina de PesquisAtores 2" (2014).

Dal 2007, quando ho iniziato il percorso autonomo, ho realizzato gli spettacoli di teatro fisico “Separação de Corpos”, "Medo ... desejos” ed ho partecipato a Uma Questão de Tempo", di Alberto Guiraldelli, regia Monica Granndo. La drammaturgia di tutte e tre gli spetacoli fu il risultato di una creazione collettiva.

Nel 2012 sono entrata a far parte del gruppo di cinema AP 43 come attrice ed ho partecipato al film “Do Lado de Fora” di Alexandre Carvalho (2013), al telefilm “A Grávida da Cinemateca” di Christian Saagard (2015) e ad un episodio della serie brasiliana HBO “O Negócio" (2015).

Nel 2015 ho fondato con Christiane Lopes la “Das Duas Cia” ed in teatro il primo spettacolo fu “Memorie Postume di Brás Cubas” di Machado de Assis, uno fra i piú grandi scrittori brasiliani.

Nel 2011 mi sono recata in Inghilterra dove ho partecipato del corso di teatro fisico “Act Creation Course" a Circomedia- Bristol e ho partecipato a workshop con rinomate compagnie teatrali britanniche come Complicitè e Trestle.

Per undici anni ho insegnato recitazione e linguaggio del corpo in corsi professionali in Brasile come Recriarte e Teatro Escola Macunaíma.

Nel 2017 mi sono trasferita a Firenze per fare corsi e workshop con Francesca della Monica, Thomas Richard e Tim Daish e nel 2018 sono stata invitata a fare parte dello spettacolo Le Tre Sorelle, un adattamento del testo Ti Anton Tchekov, a Roma.

Dal 2019 impartisco lezione privata di recitazione e oratoria e collaboro con la Associazione Sconfinando come insegante di teatro in Inglese ai bambini.

D- Non è sempre facile che la meritocrazia aiuti chi della sua professione metta anima e corpo: tu hai trovato difficoltà?

Si è vero. La meritocrazia non è sempre presente in questo settore ed è per questo che è sempre molto difficile lavorare col teatro. Sono pochi soldi per molti artisti e in questa competizione non sempre vince il progetto migliore. Ma non mi sono mai abbattuta. Anche se non ho guadagnato o vinto premi come meritavo, ho sempre fatto del mio meglio perché a prescindere da questi aspetti, il pubblico merita sempre il meglio dell'artista.

D- Nella tua lunga esperienza di attrice cosa ti è entrato più nel cuore?

Il rapporto con il pubblico è ciò che apprezzo di più in questo lavoro. Mesi di fatica, crisi, problemi, vengono sempre premiati quando siamo davanti a quelle persone che sono venute a vedere cosa è stato fatto. E questa connessione è sacra.

D- Cosa consiglieresti ai giovani che si apprestano a studiare per essere un giorno attori?

Fare del proprio meglio e fallo sempre con il cuore. Essere un attore di teatro è un lavoro che richiede molto sudore e se non è fatto con tanto amore e dedizione, o se è fatto solo per il perseguimento della fama, è meglio non farlo. Prima che il pubblico provi piacere nel vedere il lavoro di un attore, credo che l'attore debba provare molto piacere in ciò che fa. E inoltre, deve leggere molto, andare a mostre, vedere film, guardare spettacoli, osservare la gente per strada, viaggiare, conoscere culture diverse e tutto ciò che serve ad ampliare la prospettiva di se stesso e del mondo che ci circonda.

D- Vuoi raccontarci del pro e del contro che s’incontrano nella tua professione?

Ci sono molti pro e contro. Come contro, vedo la mancanza di meritocrazia e principalmente la mancanza di apprezzamento dell'arte nel suo insieme in diversi paesi. L'arte è spesso vista solo come un intrattenimento superfluo che ne possiamo fare anche a meno. È necessario guardare all'arte come a qualcosa di essenziale per l'educazione di chiunque perché l'arte ci aiuta a vedere meglio il mondo e le persone. Così come può essere un vantaggio per tutti, può essere un vantaggio anche per l'attore. Come attrice ho imparato a vedere l'essere umano più profondamente. Viviamo così tante vite diverse che questo ci fa capire la complessità degli esseri umani. Penso sia una esperienza molto ricca. Inoltre, riuscire ad avere questo rapporto vivo ed energico con il pubblico, solo il teatro te lo può dare, e questo non ha prezzo.

Cara Renata, lascio sempre una “domanda bianca” che non contiene quesiti ma solo uno spazio libero perché ogni artista da me intervistato, possa avere libertà di parola e di richiesta.

Per tanto scrivi i tuoi desideri, le tue paure, le tue gioie o incertezze.

A te la parola…

Come artista teatrale vorrei che il teatro, nella sua accezione più artigianale, fosse valorizzato come una grande arte. L'attore riconosciuto e aprezatto è di solito il famoso, quello che lavora con i grandi media. L'artista teatrale stesso dovrebbe essere valutato per la qualità del suo lavoro, indipendentemente dal suo nome. Gli operatori teatrali hanno diritto ad una vita dignitosa come qualsiasi altro professionista.

Un'altra cosa che vorrei dire sul teatro è che il teatro è uno strumento con un forte potenziale di trasformazione e consapevolezza sociale. Può affrontare in profondità i problemi sociali e umani al fine di sensibilizzare le persone a determinate questioni. Ha il potere di sollevare le persone dall'inerzia e farle pensare a ciò che le circonda. Ma non credo sia sfruttato in questo modo come dovrebbe. E uno dei motivi è la mancanza di fondi. Secondo me dovrebbero esserci più spazi teatrali con finanziamenti per mantenere gli attori nella produzione di spettacoli, ricerche, insegnamento, promozione di discussioni e dibattiti. Questo aiuterebbe anche la formazione del pubblico che spesso non ama il teatro perché non lo conosce.

E infine, vorrei parlare di qualcosa di più personale. Fare l'attore o l'attrice non è facile, richiede molti sacrifici e abdicazioni per la mancanza di risorse, le ore di prove, la natura stessa del teatro chè creare usando il proprio corpo, e a volte, mi sono chiesta se fosse la decisione giusta seguire il teatro o se sarebbe stato meglio optare per qualcosa che mi desse una maggiore sicurezza finanziaria. Non mentirò che ci ho pensato più volte, anche per la paura del futuro in un mondo capitalista che punisce l'invecchiamento. Ma finisco sempre con la stessa conclusione, che non avrei avuto le meravigliose esperienze che ho avuto nella vita se non fosse stato per il teatro.

Sabrina Capurro

Sabrina Capurro nasce a San Giovanni Valdarno il 10.09.1968. Inizia la sua avventura artistica quasi per caso, grazie all'artista Carmelo Librizzi che vede una sua opera. Le propone una mostra personale. Il successo è immediato; la pittura di Sabrina è molto apprezzata sia dalla critica che dalla stampa.

Cinque le collettive con pittori Americani e Indiani; espone a Firenze al Teatro della Pergola e alle Giubbe Rosse

Nel 1998 Sabrina crea una nuova tecnica di pittura denominata “tecnica diamante” lavorata con gli smalti cosmetici da unghie. Altro successo immediato dal 2000 al 2005 Sabrina espone alla Fortezza Da Basso a Firenze e al Borro presso lo stilista Ferragamo.

Nel 2006 l'artista si ferma con mostre personali e collettive tornando sulla scena nel 2014 con la seconda nuova tecnica di pittura personalizzata “Oil_Seta” eseguita con i colori ad olio e gli ombretti per il trucco. . Nuovo successo. Dal 2014 al 2017 la Capurro espone in otto mostre personali, sette collettive e tre mostre /concorso.

Nel 2018 espone per sei mesi alla Galleria d'Arte Rocca Gallery a Firenze; nello stesso anno partecipa alla biennale a Venezia in una collettiva a Capri ea Napoli, sempre nel 2018 è presente sul CAM catalogo Arte Moderna per la Cairo Editore.

Nel 2020 in piena pandemia covid mentre il mondo si ferma, la Capurro dà vita alla sua terza tecnica personale “Cristal” elaborata con cristalli e ombretti da trucco; tecnica unica al mondo tanto che per evitare plagi, l'artista decide di autenticarla con la propria impronta digitale dando vita così a dei quadri-gioiello.

Nel 2019 partecipa per pura curiosità ad un concorso di pittura su internet: viene in seguito contattata per la sua arte moderna e particolarmente innovativa oltre che unica nel suo stile. Le viene proposto di farsi conoscere nel mondo. L'artista prende tempo molto tempo nella sua carriera ha incontrato profeti che le hanno proposto e promesso in realtà che non hanno mai mantenuto le promesse fatte.

Ma qualcosa le dice che stavolta non sarà così e ricontatta la persona interessata e accettando l'allettante proposta. Il suo istinto aveva ragione; oggi la sua arte è certificata a livello europeo e mondiale con stima economica. Attualmente parte del suo lavoro si trova in Austria, a dicembre 2021 sarà a Miami.

Sabrina però non si ferma: attualmente sta creando dei veri quadri- gioiello dove non usa colori e pennelli ma perle per creazioni. Ecco che nasce”Fantasy new art”. Sarà la sua ultima tecnica?.

La Capurro è stata definita genialità e cuore: All'attivo ci sono premi a molti concorsi nazionali e internazionali; molti vinti, altri con menzioni di merito e di onore. Sabrina Capurro è anche poetessa e creatrice di gioielli ma questa è un' altra arte...

D- Quando hai iniziato a scrivere poesie?

Qui sorrido: ho iniziato a scrivere da bambina; mia madre raccontava le favole e io riscrivevo a modo mio quelle che non amavo. Avevo circa 7 anni. Col passare degli anni essendo di natura una persona molto timida ho scritto le emozioni che provavo, con frasi e pensieri; a 14 anni ho partecipato ad un concorso per una casa editrice di fotoromanzo. Si trattava di scrivere una breve storia d'amore: Eravamo 400 partecipanti ed io sono arrivata al decimo posto vincendo prodotti cosmetici e il mio nome venne pubblicato sui giornali poi sono passata a scrivere in prosa i miei libri

D- Quali libri hai pubblicato?

Ho pubblicato fino ad oggi tre libri; due auto auto il primo nel 1999 dal titolo “Parole e immagini” d'amore il secondo nel 2015. Entrambi sono stati dei successi il terzo, nel 2018 “la rosa nera” pubblicato da una casa editrice che ad oggi, posso dire un vero flop dal momento che la casa editrice non gli ha dato la giusta attenzione. In programma ho altri tre libri: uno di cucina, un romanzo e la mia autobiografia ma prima vorrei tornare a ripubblicare “la rosa nera” perché ci credo con tutta me stessa.

Vuoi condividere una tua poesia con noi?

La rosa nera

Eri una rosa bellissima

di un colore unico e raro:

nera.

Eri ammirata e amata

in tutto il tuo mistero

ma qualcuno non ha sopportato

tutto quel risonante interesse

intorno a te,

ti voleva negare.

Ha cominciato a strapparti

i petali e le foglie con rabbia,

dovevi soffrire.

Ha tagliato i tuoi rami

ed infine ti ha strappato alla terra

e lasciata lì a morire,

su di te sono passate

tempeste, freddo e gelo,

nella totale indifferenza di tutti.

Ma una mattina hai avuto

una nuova vita,

sei rinata

da una piccola radice rimasta

più forte e robusta di prima, sei rinata

di un colore diverso

rosso fuoco

i tuoi petali sono puro velluto.

Si, sei rinata

contro la società cinica

in cui viviamo.

Lotta e vinci

non permettere

che ti uccidano ancora.

Hai una manualità invidiabile. Quando hai iniziato a creare oggetti?

Qui torno a sorridere e torno bambina, ho iniziato con le bambole, il cotone la lana le perline ei bottoni.

Mi spiego meglio: a 10 anni creavo i vestiti ad uncinetto per le Barbie, poi pupazzi che lavoravo con la lana, ricordo che adoravo fare le lumache ei polpi. Creavo poi i braccialetti col nome a telaio ma non usai mai i telai benché mi aiutavo con i libri. Credo di avere la manualità nel mio DNA.

D- Che tipi di oggetti crei adesso?

Adesso creo gioielli di alta bigiotteria frutto del mio ingegno creativo con perle e cristalli. Gioielli particolari e pezzi unici che indossano le miss del concorso di bellezza denominato “Miss bellezza Latina e questo dal dal 2016. Poi creo oggetti particolari e unici di uso comune con le mollette di legno ma solo su richiesta…

D- I tuoi quadri hanno la particolarità di un genere che non credo sia attuato da altri.

Vuoi parlarcene? Quali sono i materiali che usi?

Sì faccio un tipo di arte personalizzata; amo creare, non mi piace fare parte della massa artistica etichettata. Sono autodidatta e gestisco da sola i miei eventi e le mie mostre personali: Le ho sempre organizzate e gestite personalmente. Dipingo su tela, vetro, muro, legno. Oltre ad usare colori da pittura, uso cosmetici per il trucco: smalti, ombretti, cipria, adesso uso anche cristalli e perle.

D- Hai fatto mostre? Colomba?

Nel mio percorso artistico fino ad oggi ho fatto molte mostre, tante personali, collettive mostre concorso viaggiando per tutta Italia e adesso in Europa.

D- So che hai novità importanti nel settore dei gioielli e dei quadri/gioiello. Vuoi parlarcene?

Nel settore dei gioielli il mio obiettivo quello è diventare stilista e avere un atelier personale per la mia linea di gioielli. Adesso sto creando gioielli dove in genere si usa il telaio mentre io uso un’altra tecnica che non svelo. A dicembre la mia nuova collezione denominata “Sogno ed Eleganza” sarà presente in una rivista artistica a Miami e di questo sono  molto contenta.

D-Adesso vorrei fossi tu in prima persona a dirci dei tuoi propositi, le tue scelte e cosa ti aspetti da questo fantastico e matto mondo artistico.

Qui tocchiamo una nota dolente. Nel mio percorso artistico ho incontrato tanti pagliacci, profeti, chiacchieroni. E’ vero non sempre c'è meritocrazia, molto spesso si va avanti con le conoscenze e le spinte. Personalmente ho creduto molto nella mia potenzialità artistica e sono andata avanti. Ho incontrato persone che dicevano di non potermi recensire perché non sono famosa, molti che non credevano nelle mie potenzialità e nelle mie qualità Oggi dimostro il contrario e a futuri artisti dico di andare avanti, di perseverare negli obiettivi previsti e molto importante di non farsi illudere da nessuno ma credete solo in se stessi..

D-In questo mondo artistico spesso vi sono vari tipi di ingiustizie o comunque di una scarsa meritocrazia. Sei d’accordo? Vuoi spiegarci la tua personale esperienza?

Cara Marzia, dopo quasi 25 anni in questo mondo fatto di luci e ombre i miei progetti sono decisi e concreti. Sono determinata a fare conoscere la mia arte nel mondo in tutti i miei riflessi artistici:pittura, gioielli, scrittura. Resterò comunque me stessa anche se più forte perché l’arte si ama e si difende!

PS dimenticavo: è in cantiere un cd di canzoni fatte dalle poesie ed un lavoro teatrale ma... ne parleremo più avanti.

E noi dopo avere ascoltato dalle parole di Sabrina le auguriamo tutto il meglio possibile n questo mondo artistico non sempre puro come l’acqua di fonte.

Di seguito una mia recensione personale fatta a Sabrina qualche tempo fa ma che riassume un po' il suo viaggio fra parole e colori.

Sabrina Capurro è un’artista che spazia in più dimensioni creative. Nasce a San Giovanni Valdarno dove vive. La sua dote e particolarità è il comunicare la propria interiorità in qualsiasi arte si appresti. Una fine poetessa che attraverso la musicalità dei versi rende il proprio pensiero forte o delicato, di monito o di soffusa femminilità. Spesso sono poesie introspettive dove non nasconde mai le proprie debolezze o la rabbia strappata a morsi dai ricordi che le hanno fatto male. Non si nasconde, anzi si apre al mondo quasi per bisogno vitale, non mente, non indora la parola per piacere ma la produce per testimoniare la sua presenza in questo mondo dove tutto non è rose e fiori, ma dove la lotta è spesso il male odierno. Poetessa d’amore, di rabbia e dolore, poetessa del tempo che scorre, che toglie e che a volte pietoso qualcosa regala. Un’artista di grande talento anche attraverso l’arte dei gioielli di ricca bigiotteria. Elaborazioni eleganti, sofisticate, indubbiamente di alto livello sia di materiale che di impatto visivo dove bellezza del risultato artistico, chiara a tutti le rende il giusto successo di pubblico. Pietre di ogni colore, modelli unici spesso abbinati in parure di un’eleganza unica. I monili sono richiesti anche per concorsi di bellezza. Sabrina Capurro è inoltre creatrice di oggetti di utilizzo comune ma con quell’eleganza che la contraddistingue in qualsiasi attività di adoperi. Sabrina non è solo una particolare artista ma anche una creatrice di eventi. Sua è la promozione dell’estemporanea di poesia che ha portato avanti per alcuni anni in modo encomiabile e con la grande umiltà che la rende ancora migliore di quello che già in realtà è. Pittrice appassionata e di grande inventiva. Ha creato nuove tecniche: “tecnica diamante”dove il materiale è lo smalto per unghie, “tecnica oil seta”dove l’artista usa principalmente colori ad olio in miscellanea a ombretti per il maquillage. Palette di colori che lei sfuma con grande maestria e dimestichezza riuscendo a comporre pezzi unici nel suo genere. E’ di questi giorni la nuova tecnica che Sabrina Capurro va a sperimentare e dalle richieste pare che sarà un successo; si tratta della “tecnica cristal”dove la pittrice dopo avere disegnato il soggetto, lo rende attraverso luci ed ombre fatte di cristalli colorati, un dipinto dalla luce multicolore. Una policromia che attira. Se il dipinto verrà esposto sotto riflessi naturali(finestre) o sintetici (lampade) l’effetto sarà sorprendente. L’eleganza dell’oggetto può fare arredamento in qualsiasi ambiente, anche per i negozi, ambulatori, sale d’intrattenimento, abitazioni di città e di campagna. Un punto luce che non può mancare. Un dipinto/gioiello da avere. Ogni quadro con questo tipo di tecnica, sarà apportato da una firma particolare e unica come l’artista: la propria impronta digitale e il logo che le appartiene. Sabrina Capurro, una donna dalla grande sensibilità e dal grande valore umano, porta se stessa in ogni lavoro che crea, ogni volta pare di vedere passo, passo, parte del suo carattere. Elegante, femminile, forte ma dalla sensibilità illimitata.

Marzia Carocci

Italo Calvino nasce nel 1923 a Santiago de Las Vegas e muore a Siena a soli 61 anni nel settembre del 1985 a seguito di un intervento al cervello per ictus celebrale. Italo Calvino riposa nel cimitero-giardino di Castiglione della Pescaia, nella provincia di Grosseto.  

Nel 1925 la famiglia Calvino si trasferisce a Sanremo, dove lo scrittore trascorrerà l'infanzia e l'adolescenza. Nel '41 si sposta a Torino, dove si iscrive alla Facoltà di Agraria. Inizia già a comporre i primi racconti, poesie e testi teatrali. Nel 1943, per evitare di essere arruolato nell'esercito repubblichino di Salò dopo l'8 settembre, entra nella brigata comunista Garibaldi.

Nel 1945, dopo la guerra, Calvino lascia la Facoltà di Agraria e si iscrive a Lettere. Nello stesso anno aderisce al PCI. Entra in contatto con Natalia Ginzburg e Cesare Pavese a cui sottopone i suoi racconti. Inizia a collabora con il quotidiano "l'Unità" e con la rivista “Il Politecnico” di Elio Vittorini. In questi anni si afferma la casa editrice torinese Einaudi (fondata nel 1933) con famosi collaboratori e consulenti, tra cui Pavese e Vittorini stessi. Proprio su suggerimento di Pavese viene pubblicato nel 1947 il primo romanzo di Italo Calvino “Il sentiero dei nidi di ragno” di stampo neorealista, come la successiva raccolta di racconti.Nel 1952 viene pubblicato “Il Visconte dimezzato” - il primo della trilogia I nostri antenati - nella collana Einaudi “I gettoni”, diretta da Vittorini.

Si assiste in seguito a un cambiamento di stile di Calvino da neorealista a quello fiabesco-allegorico, che diventerà lo stile dell'autore.

Nel 1956 vengono pubblicate le Fiabe italiane, un progetto di raccolta, sistemazione e traduzione di racconti della tradizione italiana popolare. Nel '57 lascia il PCI, dopo l'invasione da parte sovietica dell'Ungheria. In questi anni scrive diversi saggi, tra i più importanti “Il midollo del leone” (1955), sul rapporto tra letteratura e realtà. Collaboratore con diverse riviste, tra cui “Officina”, fondata da Pier Paolo Pasolini, dirige con Vittorini la rivista "Menabò". Il suo stile fiabesco-allegorico si esprime al meglio nel “Barone rampante” (1957) e nel “Cavaliere inesistente” (1959), completando così la trilogia cominciata nel '52 con “Il visconte dimezzato”.

Nel 1962 conosce Esther Judith Singer una traduttrice di origine argentina con cui si sposa nel 1964. Si trasferiscono a Parigi nello stesso anno. Nel 1963 pubblica “La giornata di uno scrutatore”, un romanzo breve. Nello stesso anno esce, nella collana einaudiana “Libri per ragazzi”, Marcovaldo, una serie di racconti incentrati sulla figura di Marcovaldo, un modesto operaio di una ditta del boom economico. A Parigi entra in contatto con lo strutturalismo di Roland Barthes.

In questo clima speculativo e filosofico, Calvino frequenta gli intellettuali del movimento OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle, un laboratorio di letteratura di cui fa parte anche Raymond Queneau, autore de “I fiori blu” e degli “esercizi di stile”.

Da questi incontri e influenze letterarie nascono nel 1965 “Le cosmicomiche” e altre opere di grande interesse. Queste opere fanno parte del cosiddetto “periodo combinatorio” dell’autore, strettamente dipendente dalla riflessione strutturalista sulle forme e le finalità della narrazione.

Nel 1980 esce la sua raccolta di saggi “Una pietra sopra”. Seguono nel 1983 “ racconti di Palomar,” in cui il protagonista attraverso le proprie osservazioni sul mondo circostante, porta il lettore a riflettere sull'esistenza umana e sull’importanza della parola. Questi racconti sono caratterizzati da un profondo pessimismo, e da un senso di solitudine.

Nel 1984 Italo Calvino lascia Einaudi e con Garzanti, pubblica “Collezione di sabbia”. Nel 1985 viene invitato dall'università di Harvard a tenere una serie di conferenze ma, in quel periodo viene colto da un ictus nella sua casa a Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. Muore pochi giorni dopo a Siena.

Molti non sanno che Calvino si interessò anche al cinema e alla musica.

Il film “I soliti ignoti” di Monicelli fu tratto dal suo racconto “furto in una pasticceria”. Partecipò inoltre in “Boccaccio 70” sempre diretto dal maestro Monicelli. In campo musicale scrisse alcuni testi che vennero musicati da Sergio Liberovici.

Nel 1981 riceve la Legion d’Onore

Frasi e aforismi

Se infelice è l'innamorato che invoca baci di cui non sa il sapore, mille volte più infelice è chi questo sapore gustò appena e poi gli fu negato.

Chi ha occhio, trova quel che cerca anche ad occhi chiusi.

D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.

La fantasia è un posto dove ci piove dentro


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
...passando sul Lungotevere delle Navi… 
 prendendo spunto dalle grandi ancore…
 attraversiamo brevemente la storia della Marina…
 raccontandone l'architettura… 
                                                                                                        
      
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 
A tutti, transitando sul Lungotevere, è capitato di vedere le due grandi ancore poste quasi a difesa del Palazzo della Marina , sede del relativo Ministero.
Molti si saranno chiesti queste ancore così scure, così grandi e così esageratamente visibili, cosa rappresentano e perché sono lì ?
Partiamo quindi da qui per raccontarvi la storia di questo prestigioso Palazzo, che l'Open House di quest'anno edizione IX, darà l'opportunità di farvi visitare nelle sue originali magnificenze.
Personalmente vi guiderò nella scoperta di tali segreti, che ripercorrono la storia della nostra Marina degli ultimi 90 anni, con l'entusiasmo ormai siglato dall' “e dajeeeeee!!!!...” di una delle organizzatrici, che apre così, con dedita passione, le propedeutiche riunioni di ogni edizione, da tanti anni.
Le ancore in verità furono sistemate ìi, un anno dopo l'inaugurazione dell'edificio, avvenuta il 28/10/1928, VI anno di celebrazione della marcia su Roma.
Sono infatti la retorica di regime ed ogni riferimento al mare, che scandiscono continuamente, attraverso decorazioni, insegne ed ornamenti, le caratteristiche dell'apparato monumentale, inserite nell'interno di uno stile architettonico decisamente eclettico firmato dall'architetto Giulio Magni del 1912 . 
 
 

Provenienti dalle omonime corazzate austriache, veri e propri trofei della Grande Guerra , i due cimeli rappresentano la più eloquente ed immediata simbologia per l'identificazione dell'edificio.

- A destra dalla “Viribus Unitis” : affondata durante la 1° guerra mondiale, nel 1918 nella rada di Pola, dal primo mezzo d'assalto subacqueo :la torpedine semovente detta “mignatta”, ideata dall'ufficiale Raffaele Rossetti, dal medesimo pilotata , insieme ad altro ufficiale Raffaele Paolucci .

 

   - Sulla sinistra dalla “Tegetthoff” : dall'omonimo nome dell'Ammiraglio che la comandava.

Alla conclusione delle ostilità, la corazzata requisita dai vittoriosi Alleati, dopo aver raggiunto Venezia, il 22 marzo 1919, privata della bandiera e con a bordo equipaggio italiano, in conseguenza delle disposizioni del trattato di Saint-Germain-en-Laye del 10 settembre 1919 , fu assegnata, su esplicita richiesta, all'Italia, come bottino di guerra. Trasferita successivamente nei cantieri di La Spezia, fu demolita nel 1924 /1925.
Si lavava così l'onta subita dalla grande sconfitta di Lissa del 1866, durante la III guerra di Indipendenza, che aveva visto, l'austro- ungarica Ammiraglia, sconfiggere la più ben perfomante flotta italiana.

Leggendaria rimane la nota asserzione attribuita all'ammiraglio Tegetthoff , che recitava così :
«Navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro hanno combattuto navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno»... con chiaro riferimento all'inettitudine dei comandi italiani.

Ecco quindi come le due ancore, simboleggiano la tradizione marinara italiana e l'epopea risorgimentale che ha condotto all'Unità d'Italia, riconquistata dopo la prima Guerra mondiale.

 

Ma proprio sopra le ancore, sull'avancorpo centrale della facciata nel romanissimo travertino, il progettista Giulio Magni, nipote di Giuseppe Valadier, si distacca dai dei primi cantieri post-unitari del Vittoriano, ai quali contribuì con il suo stesso autore Sacconi, rinunciando quindi a monumentali statue e fastigi, affidando “la funzione comunicativa” alle più antiche glorie italiane sul mare, di Venezia, Genova e Roma, iscritte sui cartigli degli architravi delle monumentali finestre a timpano centinato del secondo registro, scandite dalle michelangiolesche paraste di ordine “gigante ” che sorreggono una rigorosa trabeazione.
Accostamento dei variegati stili che riconosciamo, fin da questo primo impatto, in neoclassico, neo- rinascimentale e neo-barocco, ben orchestrato, diventa allegoria densa di riferimenti culturali, evolvendo in quello che in architettura chiamiamo “eclettismo”, ovvero un insieme di tratti distintivi e di stilemi declinati in una nuova sintassi, di grande capacità e qualità, che si sviluppa nei primi del '900 e che connoterà i grandi Palazzi ministeriali, le grandi Banche , le Prefetture ecc.

Tale architettura , ornata da rimandi continui alle marinare tradizioni, fatti di timoni, rostri, ancore, navi, tritoni , prore ed animali marini , coniugata ad un enfatico linguaggio di regime, ci accompagnerà nella lettura degli interni dell'edificio...
Ed allora entriamo, in questa magniloquente monumento, ma rispettoso della tradizione costruttiva romana , fatto di mattoni vestiti di “marmoraccio romano” ...

ATRIO

Nel grande atrio, le tre sculture in bronzo a patina oro delle Vittorie alate, disegnate da Magni (modello di riferimento: dal bronzetto conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli , proveniente da Pompei) e due rappresentazioni statuarie di Cristoforo Colombo e del trecentesco Ammiraglio veneziano Vittor Pisano ci danno il benvenuto, prima di approdare nel “Cortile d'Onore”…

 

 

CORTE D'ONORE

E' una fontana di berniniana memoria, evocante quella di piazza San Pietro, che fa da punto focale centrale alle quattro “eclettiche” facciate, che racchiudono la Corte, dove , corrono nei lati lunghi due gallerie sovrapposte sottolineate dai ritmi delle lesene che le incorniciano . Inseriti nei fregi delle maestose finestre, simboli vegetali quali la quercia= forza, la palma= vittoria e l'alloro= pace vittoriosa, si alternano a locuzioni dei patriottici poeti Carducci, Pascoli e D'annunzio, tipo “Memento Audere Sempre” (ricorda di osare sempre) desunta direttamente dall'acronimo MAS, (Motoscafo armato silurante ).
Punteggiati simboli marini, rifiniscono sofisticamente questa straordinaria fantasia.

 

 

 

 

 

SCALONE CENTRALE

In illusionistica prospettiva, Magni svela la sua grande conoscenza dell'architettura tardo barocca, che realizza, con grande respiro, in questa monumentale scala, con l'audace suggestione delle onde del mare, materializzate in pregiati marmi italiani, nei sedili-corrimano laterali della prima rampa  si arrampica fino ad un secondo livello, per lì dividersi a “tenaglia”. Sorvegliata dai busti del generale Caio Duilio ( primo grande ammiraglio della storia romana, II secolo ac) e dell'ammiraglio Andrea Doria ( Repubblica di Genova 1466 -1560 ) Tiene tutto sotto spicco un colorato sfondo vetrato, del maestro romano Cesare Picchiarini  (Roma, 1871 – 1943 ) .

Sulla volta nella parte centrale, un dipinto firmato da Giuseppe Rivaroli 1928, raffigurante “ Roma Trionfante ” sul mare tanto cara ai miti del Governatorato.

Stesso autore, sulle pareti corrono i suoi dipinti dei tre mari d'Italia Adriatico, Ionio, Tirreno che si ricompongono, dallo strappato controllo all'Austria dell'Adriatico, il Mediterraneo “Mare nostrum ”.

 

 

SALONE DEI MARMI

Preceduto da un anticamera, illuminata da ancora una magia di vetri colorati disegnati anche questi da Cesare Picchiarini, che fissano, incastrano ed imprigionano il fascio littorio con numero VI ( sesto dell'era fascista 1928 anno di inaugurazione del palazzo ) con gli ormai riconosciuti richiami marini, si apre nella sua esuberanza per la policromia del barocco, il grande salone, dove marmi pregiati che incorniciano pareti e portali, si riflettono nel tavolo centrale, ricco di simboli, che fedelmente alludere alla marineria, in costante con il circostante che va da inedite maniglie a forma di ippocampo, ai singoli copritermosifoni con profili di antichi velieri, alle insolite poltroncine con conchiglie e animali marini . Tutte le opere del maestro Umberto Bellotto che rappresenterà anche nella suggestiva biblioteca.
Sulle pareti stucchi pregiati raffiguranti figure allegoriche dipinte a finto bronzo, sullo sfondo prospetti baroccheggianti ed emblemi marittimi.
Al centro del soffitto il dipinto di Antonio Calcagnadoro, “La nave di Roma nuovamente sospinta in mare dalle giovani energie della stirpe” (1928),che ricalca la migliore retorica di sapore littorio .
Bacheche contenenti reperti e cofani portabandiera oltre a vessilli preunitari completano l'arredo punteggiando con sobria eleganza l'ambiente.

 

 

 LA BIBLIOTECA

Artista poliedrico nell'uso dei metalli , ma anche del vetro, Umberto Bellotto, interpreta il progetto iconografico del Magni nella maniera più suggestiva, dipanando, nello stile più Liberty di Palazzo, nel rispetto dell'individualità degli elementi di composizione , disegni da lui stesso elaborati, nel ferro battuto grezzo o colorato in oro, delle austere balaustre dei ballatoi, della serie di spirali a chiocciola affidatarie dei collegamenti verticali degli scaffali, insieme ai divertenti saliscendi.

Ed ancora negli ottoni dei copritermosifoni. Raffinate, sopra di loro le forgie, degli ormai noti elementi, fino ai tre monumentali lampadari puntati verso l'alta sfera armillare, a segnalare il planisfero celeste, necessario nell'arte della navigazione.

 

 Tanti altri sono gli ambienti che si infilano in altri ambienti, dove tutte le arti applicate concorrono per evocare e rievocare la contagiosa emozione di una costante sinergia fra mare, cielo, terra, passato e presente per un futuro, dove la seduzione del mare sempre ci affascinerà...

La natura umana è di per sé un viaggio di difficile interpretazione. L’uomo nasce come animale istintivo che solo la coscienza lo rende conoscitore del giusto e dell’errore, del bene e del male. Ma la coscienza si può reprimere? E quanto è possibile fare entrare o uscire il male? Quando la propria coscienza si lascia condizionare a favore di un potere, dal denaro, dell’onnipotenza? Chi riesce a fermarsi? Chi si lascia trasportare dall’ingordigia del proprio ego?

Michele Giuttari prima di essere scrittore è stato un poliziotto, la sua esperienza in campo investigativo lo ha portato in vari campi d’indagine dove spesso la coscienza non è stata mai padrona dell’individuo. Anni di indagini: terrorismo, omicidi, mafia, notti insonni e difficoltà fra giorni di luce e momenti di grande oscurità lo hanno portato a scrivere nero su bianco fatti, esperienze o semplicemente intuizioni che ha trasformato in storie di fantasia ma che portano quel sé di esperienza attraverso i suoi libri itinerari fra il giallo e il noir che appassionano il lettore fin dai suoi primi esordi in campo letterario.

L’ultima uscita è “Sangue sul Chianti”, per F.lli Frilli editore, un libro dove con grande maestria e consolidata competenza nel campo poliziesco, il Giuttari ci porta in una spirale tensiva fino all’ultima pagina.

Niente è a caso, ogni tassello viene assembrato mano a mano che ci immergiamo nella lettura. Ogni personaggio è ben strutturato e abilmente descritto così come è esposta in modo convincente ogni azione di uomini scaltri, immorali e corrotti che ruotano intorno a gente insospettabile, ricattabile, influenzabile a servizio di un potere che decide la sorte di uomini e donne. Inizia tutto da un saccheggiatore che diventa il testimone di un omicidio all’interno di una villa situata nel Chianti. Mauro Sacco, si trova nel posto e nel momento sbagliato dove l’inferno e il male daranno inizio a intrighi e grovigli di conseguenze inaspettate.

Sarà l’acume, la caparbietà, la professionalità di Michele Ferrara commissario di polizia a indagare là dove nessuno si sognerebbe di scrutare. Niente lo fermerà, nessuno potrà plasmare il suo senso del dovere come uomo e come servitore dello Stato. Una tela di ragno dove violenza, ricatti, droga, omicidi, silenzi e sangue, si dipaneranno in una convulsa corsa alla risoluzione anche se amara come il fiele.

Un libro scritto sapientemente attraverso immagini che non restano mai statiche ma che anzi, danno al lettore l’impressione di sentirsi testimoni di un qualcosa che prende movimento mano a mano ci si addentri nel plot del romanzo che è talmente realistico nelle modalità d’indagine e di descrizione da sembrare un reale fatto di cronaca dei nostri giorni.

La descrizione dei luoghi è così vivida da vederne i contorni. Le vie di una Firenze con i suoi personaggi, locali, storia, la minuziosità dei particolari, l’accuratezza nel delineare i caratteri e la meticolosità descrittiva sui difetti e i pregi dei vari personaggi rendono il romanzo meritevole di successo. Fluida e intuitiva la forma letteraria, nessuna lungaggine o verbosità complessa. I dialoghi, il ritmo e la descrizione sono piacevoli e scorrevoli rendendo la lettura comprensiva nell’immediatezza lasciando il lettore smanioso di sapere lo svolgimento dei fatti. Un libro che potrebbe essere la trama di un film.

Giuttari è degno di essere nelle classifiche fra i migliori scrittori di libri polizieschi.

Sangue sul Chianti”: il commissario Michele Ferrara e il suo alter ego Michele Giuttari intersecati da una forza comune: fermare il male ovunque si trovi!.

“Sangue sul Chianti” di Michele Giuttari (F.lli Frilli editore)

 
 Il giardino delle rose

armonia, estetica e poesia dai suoi pennelli, le risposte di un artista.



I suoi quadri sono cartoline di una Firenze che incanta. Tetti rossi, tramonti e albe dai colori caldi e avvolgenti. I protagonisti che dipinge hanno anima e movimento; niente è statico, perfino i sorrisi e gli sguardi di ogni personaggio hanno vita.

Osservando i suoi lavori si percepisce l'amore e la passione per ciò che immortala su tela. Immagini su immagini che sono poesie di dipinti. I particolari della sua pittura sono così ben definiti da lasciare affascinato l'osservatore.

Andrea Gelici ha pubblicato anche due libri di poesia.

“Ragione al tempo”( 2018) per A&A di Marzia Carocci edizioni e “Dove dir di Luna” (2020) per A&A di Marzia Carocci edizioni.

Conosciamolo meglio:

Andrea Gelici nasce a Firenze il 2 marzo 1956. Sempre attratto dall'arte in tutte le sue forme ottiene il diploma di specializzazione tecnica artistica presso l'Accademia Sprone di Firenze nell'anno 1980 sotto la guida del maestro Otello Scacciati. Dedicatosi al disegno e al ritratto fino all'inizio degli anni 90 si evolve attraverso l'olio e l'acquerello fino alla tecnica mista su tavola. "FIRENZE DEI MIEI GIORNI DIPINTI" Una città di antichi ricordi, fatta di vicoli e scorci, rivive nei colori

 
 Il mae dentro

e nella luce di un'epoca sospesa tra il vecchio e il nuovo. Ed è un mondo che appartiene a quei ricordi, ad anni vissuti intensamente, nel segno dell'impressione e della figura dipinta come in una storia che regala sulla tela il gusto di ogni giorno. Un'epoca romantica, specchio di un'

Quattro chiacchiere con l'artista:

Ciao Andrea, grazie per avermi dato la possibilità di intervistarti.

La prima domanda che vorrei porti è piuttosto consueta ma servirà per conoscere ciò che non tutti sapranno:

 
 La città del fiore

D- Come hai scoperto questa tua passione per la pittura?

R- Leggendo.

Avevo dieci anni e mio padre mi portato a casa un fumetto, ricordo le sue parole:_Questo lo leggevo da ragazzo, forse piacerà anche a te._

L'albo era quello di Flash Gordon, i disegni del grande Alex Raymond. Rimasi stupido.

Le tavole erano eccezionali, saranno stati i colori, il tratto, le inquadrature, la storia, fatto sta che la prima cosa che mi venne in mente fu quella di prendere un foglio e provare a quella meraviglia.

D- Qual è stato il tuo primo dipinto e che tipo di emozione hai provato?

R- Avevano portato dei fiori ad una parente che abitava al piano superiore. Mi ritrovai davanti ad un vaso di vetro con dei gigli.

Usavo le tempere, quelle che adoperavamo in classe nell'ora di disegno.

Disegnai un giglio, in primo piano, e una strada immaginaria che si perdeva dietro una curva.

Le tempere come acquerelli, non avevo nessuna conoscenza delle tecniche, solo una grande voglia di raccontare.

D- Quali sono state le più grandi soddisfazioni che hai vissuto grazie a questa tua forza

artistico?

R- Le mostre sono state certamente una grande soddisfazione. Soprattutto quelle dove mi hanno invitato. La possibilità di proporsi. La capacità di sostenere un'intervista con la telecamera che ti guarda, il saper esprimere con le parole quello che hai dipinto, ma soprattutto, il più grande piacere, per me è il cogliere nelle persone che vedono i tuoi dipinti quel senso d'intesa , di condivisione, quello che un paesaggio o un ritratto possono suscitare, ricordare e rivivere.

D- Quali delusioni se ce ne sono state?

R- Non riuscire a completare che un quadro, rendersi il giorno prima eri contento di quello che stavi facendo e il giorno dopo non capire il perché. Entra in quello stato particolare in cui tu sei i colori che stai mescolando sulla tavolozza e poi, niente, non ci sei più. È come essere colpiti da un'immagine bellissima, che poi svanisce lasciandoti un senso di sconfitta e di vuoto.

Delirio, perdita di idee, incapacità nel proseguire.

Uno straccio sulla tela, a cancellare quella parte di te per ricominciare. A volte mi è capitato, ed è comunque una piccola ferita, una ruga, che si aggiunge e ti aiuta a pensare.

D- L'arte è qualcosa di sublime, per farla conoscere vi è senza dubbio necessità di

esporre. Quali tipi di difficoltà hai incontrato?

R- All'inizio, negli anni settanta dipingevo solo per mettermi alla prova. La matita era però il mezzo che preferivo. Chiaroscuro, tratteggio, carboncino. Fu in un negozio di cornici dove lavoravo, che il titolare prese in mano un mio lavoro e mi consigliò di portarlo a far vedere ad un pittore famoso. “Questo è bello puoi fare strada.” Parole che galvanizzavano. Mi sentivo come se avessi salito un gradino importante. Non ci fu nessun incontro. Il giorno dopo una cartolina azzurra lasciai il lavoro, la casa, e partii

per la caserma di Viterbo.

Tutto ricominciò negli anni ottanta l'accademia dello Sprone di Firenze, il diploma.

 
 Quasi una fantasia

I primi approcci con il mondo dell'arte. La prima mostra, curata da Roberto Cellini. Tanta emozione, gli amici che hanno ricevuto a congratularsi con te, facce note e meno note, sconosciuti che ti esaltavano, qualcuno anche troppo.

Poi altre mostre, dove ho conosciuto tanti pittori, gente del "giro" critici, artisti e non.

Ed è lì che ho capito molte cose. Vuoi esporre in gallerie importanti? Devi essere importante, quotato, ci vuole un promotore, e, soprattutto molti soldi. Devi creare uno stile, più o meno sempre gli stessi soggetti, lo stile è importante tanto da prevaricare il talento. È difficile esporre, specie a Firenze, la città dell'arte e anche se sembra un controsenso è così.

Il problema è che sono cambiati i termini. Negli anni cinquanta, mi hanno raccontato, che erano le gallerie che acquistavano i lavori dai pittori, pagandoli poco, sì, ma permettendo a chi aveva talento di emergere e farsi un nome.

Oggi è diverso, gli "artisti" sono moltiplicati sono una marea, e su questa, e non sugli acquirenti si basa sulla gran parte del lavoro degli "addetti".

Nella posta elettronica ho tutti i giorni richieste di partecipazione a quella mostra, a quel concorso, tutti importanti, come i cataloghi dove ti vogliono iscrivere, presentare, recensire. Poi vai a leggere bene il tutto e su dieci richieste non più di una sono serie. Credo di parlare a nome anche di tanti altri valenti artisti che conosco. Se vuoi entrare a far parte di una certa élite fare con l'adulazione, il tuo adattamento a richieste richieste, alla moda, a quel senso del mercanteggio e della compiacenza che non mi ottenere.

Le mostre più belle sono quelle dove mi hanno invitato, dove mi hanno cercato e dove sono andato felice di incontrare persone vere.

D- Hai opere esposte in varie zone d'Italia. Vuoi farci conoscere alcune località di

queste?

R-Ho esposto al museo Kunstart 

A Bolzano con la galleria Gaudi di Madrid, a Parigi, Pantin,con il Centro d'arte Modigliani, a Napoli a Castel dell'Ovo, a Palazzo Rospigliosi nel museo del giocattolo, a Genova alla mostra d'arte contemporanea, a Firenze alle Giubbe Rosse, e alla galleria FirenzeArt e poi tante personali in toscana e collettive in Italia. Alcuni miei quadri sono anche andati più lontani, ad Amburgo, in Germania, nel nord Carolina in USA, in Brasile.

D- Sei un artista dalle grandi capacità espressive sia per quanto riguarda l'arte figurativa

che quella poetica. I tuoi dipinti e le tue liriche hanno in comune l'introspezione e la

nostalgia. Vuoi parlarci di entrambe?

R-Sono passati molti anni da quando ho iniziato a dipingere.

Ai tempi della scuola, durante le lezioni mi piaceva ascoltare e nello stesso momento disegnare, qualsiasi cosa, che mi passava per la mente.

Il tratto, il segno, mi hanno sempre seguito. Poi il colore.

Ancora oggi cerco sempre l'ultimo colore, quello che ispira la luce, il ricordo.

Anni fa ne usavo meno nei miei quadri, di colore. Erano per lo più immagini soffuse, ovattate.

Oggi no, sto cercando la luce, quella più vivida. Amo i contrasti e le visioni istantanee.

Scrivo qualcosa, ogni tanto, l'ho sempre fatto da quando avevo sedici anni, ma lo tenevo per me. A volte una frase può racchiudere un pensiero importante, poche parole un concetto fondamentale, così provo a metterle sulla tela, e il risultato, spesso, mi lascia interdetto, trovo sempre qualcosa di diverso dall'idea originale, a conferma della nostra impermanenza.

D- In genere gli artisti amano l'arte in genere ma non tutti gli stili e tutte le varie correnti.

Hai preferenze di pittori classici? E contemporaneo?

RI pittori che amo di più sono gli impressionisti ei macchiaioli.

Vado spesso nell'ultima sala di Palazzo Pitti quella più in alto.

E resto a guardare, come fossi in un altro mondo, proprio quel mondo che è stato ed è, per me, il vero senso della pittura. Si impara tanto a guardare. Si riesce a sentire tutta la voglia di raccontare ed esprimere ciò che fino agli anni antecedenti era stato nascosto.

Fattori, Cabianca, Segantini, Banti, Lega, Boldini, Borrani, Gioli, Signorini, Lloyd e tutti gli altri di cui adesso non ricordo i nomi, e poi , Monet, Manet, Renoir, Van Gogh, ci vorrebbe un giorno per elencarli tutti .

Uno che mi colpì da giovane e che non fa parte della categoria è il grande pittore olandese Johannes Vermeer, i suoi dipinti ti assalgono con una luce straordinaria. 

Amo un po' tutta la pittura in genere, l'arte americana prima dell'avanguardia, tra tutti, Hopper. Ci potrebbero le potenzialità per poter fare un lungo discorso su tutto questo, ma potrei essere tacciato come conservare incapace di comprendere e apprezzare l'arte moderna, specie quella contemporanea. Non è così una banana attaccata ad un muro lì ci sono sicuramente dei grandi, solo che il mio gusto personale non riesce a così un muro animale ucciso lì ci sono sicuramente dei nastri attaccati con del adesivo e tanto meno un palo nero bruciato con pseudopodi scarnificati nella più bella piazza del mondo.

D- A questa intervista sono accusati alcuni tuoi dipinti, vuoi inserire anche un paio delle tue liriche?

R- Come ho detto prima, scrivere è l'altra mia passione.

Lascio qui due pensieri, uno scritto quando avevo diciott'anni, l'altro adesso.

IMPRESSIONI (1974)

Vi conosco

siete i miei libri

i miei quadri

impressioni

della mia vita

siete i colori

che spando su questa tela

senza soluzione.

Il mondo mi libera

e fermandosi

la mia passione

s'avvinghia al domani

Se terrete così il mio vivere

sempre

nelle vostre vostre richieste

costruita una terra

un porto

in premio alla mia fatica

Oggi non guardo

perché non voglio immaginare

ma il domani s'avvicina

prende i colori dal mio viso

ed io rimango

stanco

assolo

inutilmente

Disegno dai contorni

di matita scura

che si schiude per ridere

un po' di sé

per non morire

veramente

QUESTE POCHE PAROLE (2020)

Sono volute di fumo

non volute da me

Queste poche parole

abbandonare alla sera

rincorrono strade

con lo sguardo che era

quello sguardo per te.

In spirali di fumo

fra i riflessi di un vetro

sulla linea di un muro

una sedia dov'era la figura di ieri

dondola vuota

non è il vento che spira

ad alzare la mira al ricordo

di dove ho nascosto

quel lume che indicava il cammino

due piccole lune

una eclissi sul fiume

un sorriso arlecchino

si è contratto in un grumo

in volute di fumo

Non voluta da me.

D- Chi conosce le mie interviste sa che lascio una parte “bianca “ all'artista.

Uno spazio dove l'autore si senta libero di scrivere ciò che sente, nel bene e nel male del

proprio ambiente. Noi amiamo la libertà di stampa e di pensiero per tanto Andrea sentiti

libero di esprimerti come vuoi su questo meraviglioso mondo dell'arte che

indubbiamente, come tutto, ha i suoi pro ei suoi contro

Grazie di cuore Andrea, grazie di ciò che sai darci attraverso la bellezza.

R-Penso di aver già fatto capire cosa penso di questo mondo.

Come in tutte le cose, c'è chi vive PER l'arte e chi vive CON l'arte. Le due cose, a volte si mescolano, e, da lì può sortire fuori un genio o un impostore.

Forse è il bello dell'avventura, alcuni hanno capito come andrà a finire, altri no.

Io sono tra quelli che resta nel dubbio, non ho avuto mai certezze assolute, l'unica a cui mi rivolgo e chiedo ascolto è quella di non acquistare un quadro, una scultura, per il valore del mercato, o perché ci sta bene con il mobile ed il divano, ma perché ti ha colpito, ti ha incuriosito, fa nascere un ricordo, o semplicemente perché ti piace.

Grazie Marzia, grazie dal cuore.



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