L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Free mind (157)

Lisa Biasci
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il giornalista free lance non credeva negli ordini professionali, era uno spirito libero

 

Oggi Antonio Russo avrebbe avuto 56 anni se non fosse stato ucciso la notte tra il 15 e il 16 ottobre in Georgia, dove si trovava in qualità di inviato di Radio Radicale per documentare la guerra in Cecenia. Il suo corpo venne ritrovato torturato, ai bordi di una stradina di campagna a 25 km da Tblisi. Antonio Russo era stato  per molti anni freelance e reporter internazionale di Radio Radicale. Tra le sue corrispondenze quelle dall'Algeria, durante gli anni della repressione, dal Burundi e dal Ruanda, che hanno documentato la guerra nella regione dei grandi laghi, e poi dall'Ucraina, dalla Colombia e da Sarajevo.
Russo fu inoltre inviato di Radio Radicale in Kosovo, dove rimase – unico giornalista occidentale presente nella regione durante i bombardamenti NATO – fino al 31 marzo 1999 per documentare la pulizia etnica contro gli albanesi cossovari. Nel corso di quelle settimane collaborò anche con altri media e agenzie internazionali. In quell'occasione fu protagonista di una rocambolesca fuga dai rastrellamenti serbi, unendosi a un convoglio di rifugiati kosovari diretto in treno verso la Macedonia. Il convoglio si fermò durante il percorso e Antonio Russo raggiunse Skopje a piedi. Di lui non si ebbero notizie per due giorni, nei quali lo si diede per disperso.

Perquisita dalla polizia georgiana, la sua abitazione fu ritrovata in soqquadro, mentre il telefono satellitare, il computer, la videocamera e il materiale di Russo inerente gli eccidi in Cecenia era stato sottratto. Le indagini della procura di Roma e della Digos, supportate anche da fonti del quotidiano The Observerer, dell'Ansa e del Corriere della Sera, collegarono l'omicidio di Russo con le sue scoperte giornalistiche. Aveva infatti cominciato a trasmettere in Italia notizie circa la guerra, e aveva parlato di una videocassetta contenente torture e violenze dei reparti militari russi ai danni della popolazione cecena. Secondo alcuni suoi conoscenti, Russo aveva raccolto prove dell'utilizzo di armi illegali contro bambini ceceni, con pesanti accuse di responsabilità del governo di Vladimir Putin.

Giornalista freelance, non si era mai iscritto all'ordine dei giornalisti italiano perché, come anche il gruppo dei radicali italiani di cui faceva parte, era ad esso contrario. Questo il ricordo di un collega Claudio Gherardini incaricato di visionare villaggi albanesi distrutti dai miliziani serbi per conto di una ONG. “Lo conobbi nel dicembre del 1998 , stavo concludendo la mia permanenza nei Balcani iniziata nel 1996. Ho passato una settimana con lui a Pristina. Ancora me lo vedo a tavola in pizzeria con i suoi ragazzini di strada, affamati e che mai sarebbero stati ammessi nel locale se non per lui. Mi pento solo di non averlo fotografato, chissà cosa mi avrebbe detto. Avevo un fuoristrada scassatissimo ma andammo un po’ in giro assieme. Uno che sentii subito come un fratello. Antonio metteva di buon umore subito. Era uno spirito libero e non aveva paura di niente.” Nel 2001 gli è stato assegnato postumo il premio Saint Vincent di giornalismo e il premio della Free International Press è dedicato alla sua memoria.

“L’automobile dava le spalle al mare; il lato del conducente era attaccato al muro del terrapieno; il colpo di pistola è stato esploso dietro la nuca; la pistola viene rinvenuta ai piedi del guidatore; il sedile del medesimo reclinato all’indietro”. Questi i rilievi del RIS sulla scena del ritrovamento del cadavere del brigadiere dei carabinieri Enrico Solinas, in forza presso il comando territoriale dell’Arma di Sanremo. Ciò che ci lascia però perplessi è che questa morte è sia stata repertoriata come “suicidio”, visti gli indizi. Ma partiamo dall’inizio della Storia.
Enrico Solinas, 49 anni, brigadiere dei carabinieri, ligio al dovere tanto da non lasciare mai la caserma prima di aver portato a termine il proprio impegno quotidiano, sempre meticoloso, preciso, quasi maniacale nel seguire i particolari dei compiti affidategli, il 3 giugno del 2012, lo confermano le stesse telecamere di sorveglianza, lascia l’ufficio ad ora tarda, le 22.00, solo dopo aver consegnato tutti i verbali di cui era stato fatto carico. La sua compagna lo aspetta a casa propria, dove ha già preparato una cena romantica per il loro anniversario. Il brigadiere però l’avvisa che farà tardi: deve incontrare un informatore. Si reca quindi con la propria auto a Pian di Poma, una zona di Sanremo al limite del centro urbano che si affaccia a ridosso del mare, località assai nota per essere scenario di molti delitti irrisolti. Giunto sul posto, si accende una sigaretta e attende.
Verranno ritrovati circa dieci resti di cicche di sigarette della marca di quelle fumate solitamente dal militare ed altrettante senza marca, di quelle in uso al contrabbando minore. Quest’ultimo, però, è un l’elemento importante che, insieme al quel colpo alla nuca del quale abbiamo già riferito, apre ad altri scenari.

Da tempo il militare si stava occupando di un traffico di stupefacenti, tanto da aver individuato anche una pista ma, presupponiamo, ignaro di essersi ritrovato così rapidamente in una vicenda dalle proporzioni di gran lunga superiori alle aspettative del momento, non aveva pensato a maggiori precauzioni.
Gli altri mozziconi di sigarette, quelli senza marca, ritrovati tutti insieme e distanti dalla vettura, lasciano presagire l’attesa di un probabile killer. “Ipotesi”, dicono gli inquirenti, solo ipotesi, e rimangono saldamente “aggrappati” alle conclusioni che a loro avviso conducono “unicamente” al suicidio.

Unicamente ...? Strano, molto strano ...! C’è un altro elemento della vicenda di cui ancora non abbiamo parlato ... Quando gli inquirenti giungono sul luogo del ritrovamento del corpo del brigadiere, non trovano solo quanto finora detto ma anche, e soprattutto, quanto rimane di un rovinoso incendio che ha avvolto la vettura ed il corpo ormai esanime del militare.

Viene allora spontanea la domanda: primo, chi è capace di suicidarsi, sparandosi da solo un colpo d’arma da fuoco (oltretutto le pistole in dotazione all’Arma sono pesanti e voluminose) alla nuca e poi di darsi fuoco con tutta la vettura? Secondo, non sarebbe più ovvio pensare che l’assassino, per cancellare le tracce dell’incontro col Solinas, abbia successivamente, a omicidio avvenuto, fatto ricorso all’incendio risolutore?

Secondo la ricostruzione fatta dal magistrato, invece, Solinas si sarebbe prima dato fuoco per delusioni amorose e poi, successivamente, mentre il suo corpo bruciava, sia risalito a bordo della vettura e si sia suicidato. Come ci fosse riuscito, visto che l’automobile era parcheggiata pressoché a filo del terrapieno, ci viene difficile da capire!
Ma... l’abbiamo detto prima ...: Pian di Poma vive la strana “maledizione” dei casi irrisolti: quello della “sconosciuta di Bordighera”, ora quello del brigadiere Solinas come, con quel nome molto simile a quello di Roma “Via Poma”, ne subisce ... tutto il clima nefasto del maleficio occulto, del destino di un “coldcase” !

 

Nella sala del Refettorio della Camera dei Deputati venerdì 22 Luglio 2016 si è tenuto il Seminario "Nuovi Rapporti con le istituzioni Europee e l'Importanza degli Enti No Profit nel processo di Governace dell'EU”. Di seguito la presentazione dell'accademia universitaria degli studi Giuridici Europei “AUGE”.


Il weekend alla Camera dei Deputati è iniziato con un evento culturale che ha coinvolto oltre 300 persone provenienti da tutta Italia: personalità di spicco del panorama formativo, politico, imprenditoriale e giornalistico.

Al seminario dal titolo: "Nuovi Rapporti con le istituzioni Europee e l'Importanza degli Enti No Profit nel processo di Governace dell'EU” è proseguito il battesimo dell'accademia universitaria degli studi Giuridici Europei “AUGE”, rappresentata dal Senato Accademico nelle persone del Presidente Coordinatore prof. Luca Filipponi, dal prof. Francesco Petrino, dal prof. Umberto Gianmaria, dal prof. Antonello Secchi e dal prof. Angelo Sagnelli.
All'unanimità il senato accademico ha eletto Rettore il prof. Giuseppe Catapano, docente universitario e autore di diverse pubblicazioni; proprio in questi giorni è in uscita la seconda edizione del suo libro “Banche e Anomalie”, di gran successo.

Il rettore, dopo un saluto e un ringraziamento al senato accademico e a tutti gli autorevoli ospiti in sala, ha precisato che il suo ruolo si colloca in un momento difficile per la formazione, sia per la carenza di fondi, sia per la crisi sociale che attraversa L'Europa.

L’iniziativa si è conclusa con la presentazione da parte del neo rettore della sua “squadra”; tutti professionisti in diversi settori: il prof. Cesare Cilvini,  Accademico Tesoriere. La prof.ssa Caterina Areniello, Accademico Formatore, avvocato  del Foro di Nola aderente All’ AIGA NOLA esperta in materia di contenzioso assicurativo,il prof. Francesco Sepe, Accademico Formatore Architetto, l’avv. Alberto Pastore, Accademico Formatore del Foro di Nola aderente all’ AIGA NOLA, esperto in materia di contenzioso tributario e titolare di Cattedra nel corso di Assistenti nel contenzioso. L’avv. Salvatore Soviero,  Accademico Formatore  del Foro di Nola aderente all’AIGA NOLA, esperto in materia di contenzioso e titolare di cattedra nel corso di assistenti nel contenzioso. Daniele Orefice, Accademico Formatore,  Medico Chirurgo. L’avv. Assunta Catapano, accademico Formatore,  del Foro di Nola aderente all’AIGA NOLA,  esperta in materia di Contenzioso Societario e titolare di Cattedra nel corso di Assistenti nel contenzioso. La dottoressa Mariarosaria Rusciano, Accademico Formatore, consulente tributario  ed  esperta in materia di contenzioso tributario, titolare di cattedra nel corso di Assistenti nel contenzioso. L’avv. Francesca Pizza, Accademico Formatore del Foro di Nola aderente all’ AIGA NOLA,  esperta in materia di contenzioso del diritto bancario  e  titolare di cattedra nel corso di Assistenti nel contenzioso. L’avv. Francesco De Florio,  Accademico Formatore  del Foro di Taranto,   esperto in materia di contenzioso e "sdebitazione" ,   titolare di cattedra nel corso di assistenti nel contenzioso. L’avv. Massimo Passero, Accademico Formatore  del Foro di Avellino, esperto in materia di contenzioso, la Dott.ssa Maria Luisa Buono, Accademico Formatore, magistrato, esperta in materia di contenzioso. Il dott. Claudio Noschese,  Accademico Formatore, commercialista,  esperto in materia di contenzioso. Il prof. Massimo Zavoli, Accademico Formatore docente di ruolo, esperto in materia d’ arte. La dott.ssa Paola Biadetti,  Accademico Formatore, giornalista, esperta in materia di comunicazione.

I nuovi accademici, con un breve saluto hanno ringraziato il rettore per la fiducia accordata ribadendo la ferma intenzione di affrontare al meglio la sfida della formazione.

Ha salutato per ultimo il Professor Petrino, Toga d'Oro dell'accademia, il quale ha preannunciato un seminario Full immersion per il corpo insegnante da tenersi nei primi giorni di settembre, ovvero prima dell'incontro programmato per gli accademici presso il Parlamento Europeo.



Il concetto di alienazione è estremamente vicino al nostro tempo. Sembra una contraddizione il fatto che in una società ricca ed evoluta possiamo trovare tanto malessere interiore, al punto da cercare una via d’uscita nella fuga dalla realtà. Ed invece è proprio a partire dalla rivoluzione industriale che tale disagio inizia a farsi sentire al punto da diventare oggetto di indagine non solo della letteratura ma anche della filosofia e, successivamente, della psicanalisi e del cinema.

Ognuno di noi è investito di un ruolo all’interno della società, un ruolo a cui adegua i propri comportamenti e in cui si identifica, al punto da diventare ciò che gli altri credono o vogliono che sia. Ma il contrasto tra ciò che avvertiamo e ciò che ci viene imposto, tra ciò che crediamo e ciò che ci viene imposto magari in maniera sotterranea porta l’uomo a sentirsi smarrito, frustrato, alieno, estraneo anche a se stesso.
In un tempo di democrazia e libertà tutti, ma soprattutto i giovani, tendono a uniformarsi anziché voler essere diversi, unici. Tutti vestiti nello stesso modo, stesso linguaggio, stessi atteggiamenti. Tutti uguali.
Ma l’essere omologati rende schiavi, chi è diverso è tagliato fuori, è strano, è fuori dal gioco.

Ma nessuno è felice senza un’identità propria. Così si cercano alternative, rifugi effimeri. Internet, i social, in cui ognuno pubblica se stesso e si perde e si immagina anche quello che non è, più bello, più forte, migliore degli altri e di come si vede. Ore ed ore trascorse a costruirsi una storia che non è reale, a mostrarsi, a raccontarsi, a sbirciare le vite degli altri.
Un tempo le grandi domande, chi sono, dove sto andando, formavano le menti di grandi filosofi o pensatori o portavano alla follia. Nel nostro tempo neppure la psicanalisi, secondo uno studio americano, ha più grande successo, Freud, Jung, hanno perso di attualità in un mondo in costante cambiamento, e molti si avvicinano o ritornano allo studio della filosofia, piuttosto che alle religioni.
Un ultimo e infelice riferimento al fatto che spesso, soprattutto i giovani, cercano un’evasione da una realtà che non conoscono e che sembra inafferrabile, nell’uso delle droghe. Ma queste non fanno che uccidere il pensiero, ed anche questo spesso diventa un atto di omologazione, per cui l’alienazione diventa ancora più forte. Fuggire dalla realtà per poi ricaderci dentro frastornati, storditi, peggiori.
Sembra quasi che l’uomo assieme alle macchine abbia inventato un modo per allontanarsi dal senso della vita, da tutto ciò che è naturale, da tutto ciò che conta.

Credo che solo ritornando ogni giorno, nei piccoli gesti, a qualcosa di semplice, vero, pensieri, piccole azioni, ecco, credo che solo guardandosi allo specchio e cercando di conoscersi e riconoscersi davvero, possiamo rientrarci, nella realtà, e starci bene.

A Mamerto

IL MINISTERO DELLA SALUTE CONFERMA IL VALORE E LA SUPERIORITA’ DELLA DIETA VEGAN

Nel mese di ottobre 2015 c’è stata la pubblicazione ufficiale da parte del Ministero della salute di un dossier (inerente la salute), redatto dagli esperti più noti in Italia, dedicato ai regimi vegetariani e vegani. Tra le
altre si legge: “ E’ noto che una dieta vegetariana conferisca protezione dalle malattie cardiovascolari, da alcuni tipi di neoplasie, e sia associata ad una riduzione della mortalità per tutte le cause. Inoltre:   “Rispetto alla diete vegetariane la dieta vegana sembra offrire un’ulteriore protezione dall’insorgenza di obesità, ipertensione, diabete mellito di tipo 2 e mortalità cardiovascolare, soprattutto nel sesso maschile”.

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SUPERBATTERI E ANTIBIOTICI

Ogni anno in Italia muoiono 5 mila persone a causa dei superbatteri che resistono a tutti gli antibiotici conosciuti. Così viene denunciato nella trasmissione televisiva condotta da Milena Gabinelli su Rai 3 domenica
29.5.16.Ll’allarme arriva dalla Pennsylvania in cui si parla di rischio di una pericolosa pandemia. Il nemico principale è lo stafilococco aureo, una specie di batterio killer che si può annidare nella carne (guarda caso) dai suini ai bovini. Sabrina Giannini (che ha realizzato il servizio) ha fatto analizzare la carne presa a campione da tre diverse catene di supermercati: su trenta confezioni è saltato fuori uno stafilococco. (I  mangiatori di salme sono avvisati) flm

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ARMI ITALIANE VENDUTE NEL MONDO

L’Italia è il nono esportatore di armi nel mondo: elicotteri, navi, carri armati, sistemi radar. Ma di armi leggere è la prima al mondo (fucili e pistole). I maggiori clienti sono gli Stati Uniti e l’Inghilterra. Tra il 2000 e il 2013 ne ha vendute per un importo di 5,9 miliardi in più di 123 paesi, tra l’altro ai paesi più aggressivi e violenti come l’Arabia Saudita, Medio Oriente, Nord Africa, Asia, America Latina, Algeria, Emirati Arabi (anche se la legge 185 vieta di esportare armi in zone di conflitto o in paesi dove non sono rispettati i diritti umani). Più della metà delle esportazioni sono a paesi fuori dalle alleanza politico-militari di Roma, cioè paesi non appartenenti all’Unione Europea o alla Nato.

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STOP PULCINI NEL TRITACARNE VIVI. Firma la petizione ! Scade a novembre !!!
https://www.change.org/p/salviamo-pulcini-e-galline-dal-tritacarne-da-vivi-riconosciamoli-come-da-compagnia-firma-ora/u/16274072

Facile identificarci all’estero, soprattutto nei Paesi più evoluti del nostro, basta la parola: giornalista “freelance”. Parola che evoca libertà, coraggio, spirito d’avventura, abnegazione, ma soprattutto fedeltà al proprio ideale, alle ragioni che lo sospingono ad un’arte così meravigliosa e al contempo così difficile. Il professionista dell’informazione è l’occhio vigile della società, colui che fotografa la realtà, non importa con quale mezzo. E’ “il controllore”. In questi Paesi a cosiddetta “democrazia compiuta”, dove esiste editoria pura, è considerato il giornalista per eccellenza ma non lo è nel nostro, dove questo termine non è compreso, suscitando tutt’al più considerazioni tra il benevolo e l’ilare. Da noi il controllore è controllato, anzi è abolito o peggio, la categoria non esiste, non essendoci alcuna legge che lo salvaguardi per la funzione che espleta, così delicata per la stessa democrazia.

La nostra associazione vuole rifarsi a quest’ideale. Siamo i figli di nessuno, coloro che credono nel proprio lavoro e nel ruolo affidatogli da una seria professione. Coloro che cercano di sopravvivere all’umiliazione di non avere padrini, che si aggrappano alla propria professionalità e dignità.
Non pretendiamo d’avere l’esclusiva, non sappiamo se vi siano altre associazioni come la nostra e se vi sono, che siano le benvenute. Il nostro impegno è quello di contribuire a costruire la casa comune perché i “desaparecidos” prendano coscienza che un giorno potrebbe essere accordato loro ciò che la ragione ancora gli nega.

E veniamo a noi. La nostra associazione è stata fondata con atto notarile da dodici colleghi pubblicisti, compreso il sottoscritto, nel gennaio del ’94, quindi più di venti anni fa. In un primo tempo lanciammo accorati appelli a ordine e sindacato dei giornalisti perché fosse presa nella giusta considerazione sia la dignità economica, che la professionalità dei giornalisti autonomi, ma alle promesse non seguirono mai i fatti. Decidemmo così di non partecipare più alle loro riunioni e di andare avanti con le nostre gambe, essendo sempre più evidente l’asservimento delle istituzioni create per l’informazione ai colleghi dipendenti dell’editore. Oltretutto le nostre posizioni erano divergenti: siamo per l’abolizione dell’ordine dei giornalisti, un “unicum” al mondo. A nostro modesto parere è più che sufficiente iscriversi alla camera di commercio, previo piccolo esame per essere a conoscenza delle norme che riguardano l’informazione, prendere la partita iva e operare, al resto potrebbe pensarci più che egregiamente in nostro codice penale. Non c’è bisogno di appartenere ad un ordine, perché nel nostro lavoro esprimiamo delle idee, delle considerazioni (art. 21 della Costituzione), non firmiamo un progetto di cui ne siamo i responsabili. Siamo contrari ai finanziamenti pubblici all’editoria, strumento dei politici per condizionare l’informazione che falsa il mercato, mettendo a tacere coloro che non hanno la fortuna di avere tale elargizione. Avremmo tanti altri argomenti per i quali discutere, ma non è questa la sede adatta.

I giornalisti freelance gravitano nel lavoro autonomo, dove vige la professionalità effettiva, ma non sono tutelati da un contratto come quello che hanno i giornalisti alle dipendenze dell’editore, solitamente legato ai politici per via dei finanziamenti pubblici, e che pomposamente amano ed esigono essere chiamati giornalisti professionisti in quanto iscritti all’albo. Nel lavoro del giornalista freelance c’è l’alea del guadagno, non la sicurezza di un contratto, per cui è giusto che venga fatta una legge che ne tuteli la dignità economica, cosa che a tutt’oggi è lungi dall’ avverarsi. Non ci facciamo illusioni, la filiera dell’informazione è voluta in questo modo per poterla controllare: un giornalista che faccia veramente informazione sarebbe scomodo. Da noi non esiste libertà di stampa come vogliono farci credere. Se ci fosse stata veramente, se fosse stato dato modo ai giornalisti di fare veramente il loro mestiere, probabilmente non ci sarebbe l’attuale condizione di degrado del Paese, in tutti i sensi. Da 14 anni organizziamo annualmente un premio sui diritti umani per ricordare il nostro vice presidente Antonio Russo, ucciso in Georgia mentre indagava sulle terribile tragedia cecena, si presume dai russi, ma poco se ne parla: forse l’ordine non ne vuole parlare perché non iscritto, o forse contro l’Egitto per il caso Regeni si può alzare la voce ma contro la Russia, che ci da gas e petrolio, è più comodo abbassare i toni? Antonio, che era un valente giornalista, pluripremiato per la sua coraggiosa professionalità, il cui nome figura tra i martiri ad Arligton, negli USA, nel memorial dedicato all’informazione nel mondo, non aveva il tesserino dell’ordine: non perché non avesse potuto ottenerlo, ma perché si rifiutava di appartenere ad una corporazione fine a se stessa.

Tolgono sangue (denaro) a chi ne ha poco (i freelance) per darne a chi ne ha molto in cambio del nulla, mi riferisco a ordine, sindacato e Inpgi, la previdenza, la cui gestione per anni è stata a dir poco discutibile. Non vogliamo avere nulla a che vedere con queste sovrastrutture anche se, purtroppo, ne dobbiamo rispettare le regole, ma non ci rispecchiamo assolutamente in queste. Il nostro modo di intendere l’informazione è senza ma e senza però.

Come nella miglior tradizione, anche tra i giornalisti, ogni qual volta si è in vista di elezioni di organi istituzionali, soprattutto dell’Inpgi, la cassaforte di noi giornalisti, si formano cordate, gruppi e sodalizi per conquistare le poltrone di comando. Lotte fratricide che si spengono puntualmente ad elezione avvenuta. Anche quest’anno il copione si è confermato, ma con una variante: si è passati alla diffamazione gratuita nei confronti della nostra associazione.
Circa un mese fa, prima delle elezioni all’Inpgi, un gruppo di colleghi “pro ordine”, aderenti ad un gruppo su facebook (giornalisti italiani su facebook), crediamo su commissione (non è la prima volta che accade!), ci ha attaccati pesantemente minacciandoci di deferirci all’ordine, accusandoci di essere illegali, e usando nei nostri confronti parole di scherno e gravemente offensive. Siamo stati così costretti a rivolgerci ai nostri legali per tutelare il nostro buon nome. Non appena intrapresa l’azione legale un collega del nostro direttivo ricevette una lettera del Presidente dell’ordine del Trentino-AltoAdige nella quale, a nome e per conto del presidente dell’ordine nazionale, chiedeva informazione sulla nostra attività. Per delega il collega, essendo il presidente dell’associazione c’è stata la risposta del sottoscritto. Dopo neanche una settimana è pervenuta una lettera di scuse nei nostri confronti del più accanito tra i nostri denigratori.
Ci siamo dilungati un po’ per meglio chiarire la posizione della nostra associazione sullo stato dell’arte dell’informazione in Italia. Agli iscritti della Free Lance International Press l’orgoglio di mostrare il proprio tesserino.

Il Consiglio nazionale forense lancia “il quotidiano dei diritti” diretto da Piero Sansonetti ……e ho detto tutto !

Chi meglio dell’Avvocatura di “diritti” se ne intende?

E allora il Presidente dell’organismo di rappresentanza istituzionale dell’Avvocatura italiana- l’Avvocato Andrea Mascherin del Foro di Udine - lancia una sfida che rasenta la follia : editare un quotidiano cartaceo che tratta dei diritti.

E’ vero che gli Avvocati in Italia abbondano (ce ne sono oltre duecentocinquantamila !): ma è sicuro che tutti acquisteranno la copia del giornale ?

Già la testata è difficile da interpretare: che significato va attribuito all’espressione “il dubbio” ?

L’Avvocato, per definizione, è colui che, partecipando al processo, ricerca la “verità” e la verità - una volta raggiunta - è “certezza” !

Verità per la quale gli Avvocati arrivano ad offrire la loro stessa vita pur di difendere i diritti anche dei brigatisti; o per assolvere il “mandato di verità” conferito dai giudici ambrosiani.

Ma per raggiungere la “verità” il processo è lungo ( …forse troppo nel nostro Paese) e drammatico e la molla che sospinge il cammino è proprio “il dubbio”.

Se nell’incontro di presentazione- insieme a Rita Bernardini, Margherita Boniver, Fabrizio Cicchitto, Arturo Diaconale, Mauro Vaglio ed ai rappresentanti di altri Ordini professionali - fosse stato presente anche Cartesio forse avrebbe parafrasato se stesso : dubito ergo sum.A proposito : finalmente un incontro senza tromboni ed inutili vipponi !!!

Ben venga allora questo portatore di dubbi, questo strumento che attraverso il richiamo e l’uso dei “diritti” ci aiuterà nell’ininterrotto cammino che la civiltà compie ogni giorno per vedere finalmente una società più equilibrata, più equa e finalmente più giusta.

Non dimentichiamo che l’Italia- o forse sarebbe meglio dire gli indegni governi di questo Paese - subisce frequenti condanne alla “Corte europea dei diritti dell’uomo”.

Gli Avvocati con le loro penne difendono i diritti attraverso i loro scritti nelle battaglie processuali; i Giornalisti con le loro penne portano a conoscenza delle Persone quelle lotte con le loro vittorie e con le loro sconfitte.

Il dantesco nocchiero di questa navigazione che parte martedì è Piero Sansonetti, esperto navigatore che partì da “l’Unità” ( ……quand’era ancora ) di Antonio Gramsci, per passare da “Liberazione”, da “Calabria ora”,dagli anni passati negli USA, dalle “Cronache del garantista” ed oggi in questa nuova avventura cartacea nelle edicole di tutta Italia in continuità con la prima parte della nostra settantenne “Carta” costituzionale.


vito:

Il retroscena

Una mail in arabo acquisita dalla procura di Roma alla vigilia del vertice tra investigatori in programma domani: “Può averla scritta solo qualcuno molto informato”

“Ecco chi ha ucciso Giulio” l’accusa anonima ai vertici che svela tre dettagli segreti.

C’è ora un Anonimo nel caso Regeni. E racconta una storia che ricostruisce cosa sarebbe accaduto a Giulio tra il 25 gennaio e il 3 febbraio. Una storia che porta dritta al cuore degli apparati di sicurezza egiziani, civili e militari, della polizia di Giza, del Ministero dell’Interno, della Presidenza. L’Anonimo scrive a Repubblica da qualche giorno da un account mail Yahoo, alternando, nei testi, l’inglese, qualche parola di italiano, e la sua lingua, l’arabo. Si dice della polizia segreta egiziana. Lascia intendere di essere collettore e veicolo di informazioni di chi non può esporsi in prima persona, se non a rischio della vita.

Delle sue mail sono in possesso il pm Sergio Colaiocco e il legale della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini. E, come ogni Anonimo, l’attendibilità del suo racconto va presa con assoluto beneficio di inventario. Se non fosse per una circostanza. L’Anonimo svela almeno tre dettagli delle torture inflitte a Giulio Regeni mai resi pubblici e conosciuti solo dagli inquirenti italiani, perché corroborati dall’autopsia effettuata sul cadavere di Giulio nell’Istituto di medicina legale di Roma. Chi scrive, insomma, chiunque esso sia, sapeva e sa qualcosa che potevano conoscere solo i torturatori di Giulio o chi dei suoi tormenti è stato testimone.

IL SEQUESTRO

«L’ordine di sequestrare Giulio Regeni — scrive l’Anonimo — è stato impartito dal generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza», il distretto in cui Giulio scompare il 25 gennaio. Lo stesso ufficiale con alle spalle una condanna per torture che, dopo il ritrovamento del cadavere, accrediterà prima la tesi dell’incidente stradale e quindi quella del delitto a sfondo omosessuale. «Fu Shalabi, prima del sequestro, a mettere sotto controllo la casa e i movimenti di Regeni e a chiedere di perquisire il suo appartamento insieme ad ufficiali della Sicurezza Nazionale». E «fu Shalabi, il 25 gennaio, subito dopo il sequestro, a trattenere Regeni nella sede del distretto di sicurezza di Giza per ventiquattro ore».

“SCIOGLIETEGLI LA LINGUA”

Nella caserma di Giza, Giulio «viene privato del cellulare e dei documenti e, di fronte al rifiuto di rispondere ad alcuna domanda in assenza di un traduttore e di un rappresentante dell’Ambasciata italiana», viene pestato una prima volta. Chi lo interroga «vuole conoscere la rete dei suoi contatti con i leader dei lavoratori egiziani e quali iniziative stessero preparando». Quindi, tra il 26 e il 27 gennaio, «per ordine del Ministero dell’Interno Magdy Abdel Ghaffar», viene trasferito «in una sede della Sicurezza Nazionale a Nasr City».
Di fronte ai suoi nuovi aguzzini, Giulio continua a ripetere di non avere alcuna intenzione di parlare se non di fronte a un rappresentante della nostra ambasciata. «Viene avvertito il capo della Sicurezza Nazionale, Mohamed Sharawy, che chiede e ottiene direttive dal ministro dell’Interno su come sciogliergli la lingua.

E così cominciano 48 ore di torture progressive», durante le quali, per fortuna, Giulio comincia ad essere semi-incosciente. Viene «picchiato al volto», quindi «bastonato sotto la pianta dei piedi», «appeso a una porta» e «sottoposto a scariche elettriche in parti delicate», «privato di acqua, cibo, sonno», «lasciato nudo in piedi in una stanza dal pavimento coperto di acqua, che viene elettrificata ogni trenta minuti per alcuni secondi». «Bastonature sotto i piedi». Il dettaglio svelato dall’Anonimo era sin qui ignoto ed è confermato dalle evidenze dell’autopsia effettuata in Italia. Non è il solo.

NELLE MANI DEI MILITARI

Tre giorni di torture non vincono la resistenza di Giulio. Ed è allora — ricostruisce l’Anonimo — che il ministro dell’Interno decide di investire della questione «il consigliere del Presidente, il generale Ahmad Jamal ad-Din, che, informato Al Sisi, dispone l’ordine di trasferimento dello studente in una sede dei Servizi segreti militari, anche questa a Nasr city, perché venga interrogato da loro». È una decisione che segna la sorte di Giulio. «Perché i Servizi militari vogliono dimostrare al Presidente che sono più forti e duri della Sicurezza Nazionale ».

Giulio «viene colpito con una sorta di baionetta» e «gli viene lasciato intendere che sarebbe stato sottoposto a waterboarding, che avrebbero usato cani addestrati» e non gli avrebbero risparmiato «violenze sessuali, senza pietà, coscienza, clemenza ». «Una sorta di baionetta». È un secondo, importante dettaglio. Corroborato, anche questo, dal tipo di lesioni da taglio sin qui non divulgati dell’autopsia effettuata in Italia.

L’orrore non ha fine.

«Regeni entrò in uno stato di incoscienza. Quando si svegliava, minacciava gli ufficiali del Servizio militare dicendogli che l’Italia non lo avrebbe abbandonato. La cosa li fece infuriare e ripresero a picchiarlo ancora più violentemente ». Gli stati di incoscienza di Regeni sono a questo punto sempre più lunghi. Come confermeranno i versamenti cerebrali riscontrati dall’autopsia. Ma la violenza non si interrompe. «Perché i medici militari visitano il ragazzo e sostengono che sta fingendo di star male. Che la tortura può continuare».

Questa volta «con lo spegnimento di mozziconi di sigaretta sul collo e le orecchie». Finché Giulio non crolla «e a nulla valgono i tentativi dei medici militari di rianimarlo».

«I segni di sigaretta su collo e orecchie». È il terzo dettaglio, riscontrato dall’autopsia italiana, che l’Anonimo dimostra di conoscere pur essendo pubblicamente ignoto. Ed è quello che spiega il perché nella prima autopsia al Cairo il corpo di Giulio venga mutilato con l’asportazione dei padiglioni auricolari.

IN UNA CELLA FRIGORIFERA

Dopo la sua morte, sempre secondo quello che sostiene l’anonimo, «Giulio viene messo in una cella frigorifera dell’ospedale militare di Kobri al Qubba, sotto stretta sorveglianza e in attesa che si decida che farne». La «decisione viene presa in una riunione tra Al Sisi, il ministro dell’Interno, i capi dei due Servizi segreti, il capo di gabinetto della Presidenza e la consigliera per la sicurezza nazionale Fayza Abu al Naja », nelle stesse ore in cui il ministro Guidi arriva al Cairo chiedendo conto della scomparsa di Regeni. «Nella riunione venne deciso di far apparire la questione come un reato a scopo di rapina a sfondo omosessuale e di gettare il corpo sul ciglio di una strada denudandone la parte inferiore. Il corpo fu quindi trasferito di notte dall’ospedale militare di Kobri a bordo di un’ambulanza scortata dai Servizi segreti e lasciato lungo la strada Cairo-Alessandria».

L’Anonimo promette di scrivere ancora e si affida a un verso del Corano. «Dio non ti chiediamo di respingere il destino, ma ti chiediamo di essere clemente».

Carlo Bonini Repubblica 6 aprile 2016

Il caso

 

Questa sentenza sembra davvero arrivare da Strasburgo, dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Ma in realtà è dal tribunale civile di Roma che è stata pronunciata.

Parliamo di diritto di famiglia e di un caso molto lungo e complesso passato per più di dieci anni nella aule dei tribunali romani.

In questa sentenza, tra le prime in Italia- badate bene- si racconta la storia di un padre a cui vengono riconosciuti, come calpestati e violati, i suoi diritti come padre, in una lunga separazione giudiziale contro la sua ex moglie.

Per questo motivo, tra i primi casi in Italia, la donna, viene riconosciuta colpevole e condannata al pagamento dei danni all’ex marito, per aver deliberatamente e coscientemente separato dall’affetto, il padre dal figlio allora minore.

Una madre, tra le prime in Italia-lo ripetiamo- che viene condannata per aver esercitato quella che gli psichiatri forensi ormai definiscono come PAS, la sindrome di alienazione genitoriale, ai danni del figlio minore e del padre.

Sono serviti DIECI anni di battaglie in tribunale e una sentenza di divorzio, più ulteriori battaglie legali civili e penali ( questioni per lo più economiche, di richieste di pagamenti vari, tra cui l’abitazione dell’uomo che da sempre è stata affidata alla donna come affidataria del minore; la scuola privata del figlio, le spese di mantenimento della casa etc..) per arrivare sin qui.

La storia di questo professionista romano è stata uno di quei casi di malagiustizia all’italiana, di lentezza nelle decisioni, di sentenze che arrivano tardi e non riparano i danni, soprattutto quelli più gravi dei figli dei separati e che non leniscono né i cuori e né le menti dei più piccoli.

Una storia italiana, passata dalle aule civili a quelle penali per le tante accuse messe in campo dall’ex coniuge con un unico scopo: l’allontanamento del figlio dal padre e dalla famiglia paterna e la sicurezza di una vita agiata a spese dell’ex coniuge.

Cosa va segnalato, qui ed ora, a monte di questa vicenda che rende un po’ di giustizia ad un uomo che da tantissimi anni non vede e non sente più il figlio ormai maggiorenne?

Non certo il riconoscimento economico, che pur si attesta intorno ai ventimila euro (pensate le spese legali e di istruttoria che questo padre ha dovuto sostenere in dieci anni di separazione) ma il riconoscimento morale di un danno a lui perpetuato e al figlio- che ha rinunciato al suo affetto e alla sua presenza- e che nessun tribunale in Italia, per dieci anni è riuscito a condannare, prima di adesso.

In questi lunghi anni, si è permesso che una donna separata usasse, a suo uso e consumo, ogni espediente per separare nella frequentazione un figlio da un padre e dalla famiglia paterna, dai nonni, dagli zii e dai cugini suoi coetanei, per motivi di cieca vendetta e di assoluta opposizione nei confronti di tutti.

E che soprattutto nessun tribunale, nessun Servizio Sociale (incaricato a lungo in questa vicenda) prima di questa sentenza, sia intervenuto prima in maniera definitiva, sanzionando la donna, richiamandola ai suoi doveri, imponendole la frequentazione coatta dei servizi (affidatari della minore per lunghi anni), fermandola con tutti i mezzi e gli strumenti possibili.

Va solo ricordato che paesi più avanti di noi in questo campo, da anni, come gli Stati Uniti, usano applicare multe economiche salate agli inadempienti, in casi come questi.

In quest’epoca di famiglie liquide non è l’atto della procreazione a fare di un essere umano un genitore, ma la qualità del tempo e il tempo che dedica a suo figlio. Biologico, adottivo o acquisito, importa poco.

Ma se si parla di padri e madri separati e di figli minori in campo, la risposta può essere solo una:“Salvaguardare gli interessi del minore e garantire la normale ed assidua frequentazione del genitore separato” come recitano le sentenze in materia. Ma di fatto. Con tutti i mezzi possibili. Punendo chi non rispetta queste norme senza perdere tempo e perdersi in lungaggini burocratiche.Importa che la paternità e la maternità siano diventati valori da condividere. Persino in tribunale. Parola di un avvocato di diritto di famiglia, la dott.ssa Marina Marino.

Il 24 dicembre, sul Gazzettino, compare un articolo, di cui al link sotto, in cui si evidenzia la scarsa vaccinazione da parte dei medici stessi. Si parla del solo 7 %.

http://www.ilgazzettino.it/PAY/PORDENONE_PAY/influenza_vaccinati_7_medici_su_100/notizie/1752862.shtml

L’articolo però, se lo si va a cercare oggi: online, sul Gazzettino, non esiste più! Link rimosso, dopo solo 3 settimane circa. Però ne è rimasta la traccia fisica e altri blog hanno riportato la notizia, citando la fonte. Cosa se ne deve dedurre? Ecco i link dei blog che hanno ripreso la notizia ed in allegato uno stralcio del Gazzettino:

http://curiosity2015.altervista.org/influenza-perche-i-medici-non-si-vaccinano/

http://ilnuovomondodanielereale.blogspot.it/2016/01/influenza-i-medici-sono-i-primi-non.html

il gazzettino sui vaccini

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