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“Occorre avere la modestia e la prudenza di riconoscere che non tutto è per noi spiegabile”
Tra Etruschi e Appiani - Da qualche tempo a questa parte, a seguito delle precisazioni sempre più a carattere stringente sulla arbitrarietà della decisione di trasformare l’ipogeo di Marciana in una fantasmagorica zecca del Principato di Piombino, appare del tutto evidente che le azioni che la Pubblica Amministrazione della Provincia e della Regione dovranno intraprendere saranno quelle di ripristinare un patrimonio archeologico del nostro Paese, sottraendolo all’uso a cui finora è stato destinato. Anche nella passata stagione estiva i fantasmi dei Principi Appiani, evocati dagli artefici della zecca, hanno guidato i visitatori a pagamento, all’interno del museo colà allestito, dove di sicuro gli accompagnatori avranno saputo illustrare la storia di questa fucina nella quale venivano coniate le preziose monete.
Chi ha contribuito direttamente o indirettamente a mantenere le cose come stanno all’interno dell’ipogeo in cui è stato allestito il museo della zecca, è il Prof. Luigi Donati, che com’è noto è un esperto di archeologia etrusca, il quale è stato incaricato dalla Soprintendenza di Firenze di esprimersi sulla natura dell’ipogeo di Marciana.
Egli si è quindi recato in trasferta all’isola d’Elba prendendosi il tempo necessario per esprimere in modo compiuto il risultato della sua indagine tecnica e, aggiungeremo noi, logica del suo pensiero.
L’ esperto incaricato - Che cosa poteva mai rappresentare oltre la stessa evidenza, anche agli occhi del professor Donati quel luogo tetro a Marciana, nella rievocativa via della Tomba, scavato nel profondo del durissimo granito e improntato evidentemente dal committente alla indistruttibilità, per non dire all’eternità? Sembrava, infatti, una delle solite formalità da confermare piuttosto che da analizzare, a meno che non fossero subentrati ulteriori dettagli che al momento non sono conosciuti e che hanno indotto il Prof. Donati a decidere di non decidere.
Dalla lettura di alcuni passi della sua relazione e di un suo articolo su questo argomento, si evince infatti che egli sia stato colpito da una sorta di sindrome di Stendhal in negativo, tanto da non saper esprimere ciò che per le sue formali qualità professionali, è stato ritenuto capace di gestire nell’interesse pubblico in qualità di segretario generale dell’Istituto di Studi Etruschi di Firenze.
In conclusione egli inoltra alla Soprintendenza di Firenze una sorta di relazione nella quale, dopo aver avuto la possibilità di vedere e rivedere in lungo e in largo tutti i particolari architettonici – compresi i graffiti di Fig. 2 - all’interno delle pareti, non si pronuncia. Proprio il contrario di quanto ha fatto il Prof. Michelangelo Zecchini in una mirabile opera di archeologia comparata, nella quale ad esempio, vengono confrontati, finanche nell’orientamento, i particolari architettonici della tomba etrusca di Castellina in Chianti, più uguale che simile a quella di Marciana, Fig 3.
La ratio del quesito - ll Prof. Donati, si è soffermato sui dettagli che non ha visto, anche se avrebbe potuto in qualche modo osservare un po’ meglio, ma che non superano come dimensioni circa il 5%, dell’intero ipogeo, per affermare: «Forse, da un'accurata esplorazione degli ambienti che esistono sul lato sinistro del complesso (che non ho potuto visitare) potrebbe venire qualche ulteriore informazione”.
Ma quell’ altro 95% comprensivo dei particolari architettonici e decorativi che invece ha visitato, non è stato sufficiente? Lo stesso Prof. Donati è divenuto così, modestamente insicuro da non essere in grado di riferire sulla natura dell’ipogeo?
Egli tuttavia qualcosa fa, riportando il pensiero di altri secondo cui, l’ ipogeo potrebbe essere un luogo di conservazione della neve, ovvero una neviera, tralascia di indicare, come superflui, i particolari e le caratteristiche tipiche di una neviera come qui in Fig.1; caratteristiche che avrebbero sicuramente dissuaso con raccapriccio molti altri dal riportare un’ ipotesi di questo genere.
Ma non finisce qui. Il Prof. Donati, non riuscendo a esprimersi nella sua materia, per la quale è stato inviato all’Isola d’Elba, riferisce anche di un’altra tesi, secondo cui l’ipogeo in questione, scavato a mano nel granito sicuramente in molti anni di duro lavoro, poteva essere stato concepito ad uso di “un approntamento, una sorta di caveau, facente parte della locale zecca” Fig. 1.
Ovviamente, si potrebbe anche aggiungere che a prescindere dalla porta, le pareti dell’ ipogeo sono a prova di furto e non solo; avvalendosi infatti, della forma tipica degli ambienti costruiti per questo scopo, alla fine del corridoio vi è anche la scelta preferenziale della cella di destra o di quella di sinistra che danno maggior senso all’architettura per depositare in una il materiale da conio e nell’ altra le monete realizzate; Fig.3.
Neviera, zecca o tomba di pari dubbio - Per le ragioni viste sopra, il Prof. Donati impronta alla prudenza il suo pensiero, dando appunto la medesima probabilità di errore ai suoi “dubbi che in definitiva hanno ragione di esistere ma che non sono più circostanziati e numerosi di quelli che impediscono ad un etruscologo di riconoscere un monumento di sua competenza”.
Per renderci conto quali siano i particolari architettonici che esprimono per il Prof. Donati il medesimo livello di dubbio interpretativo, basta osservare la differenza architettonica tra l’ipogeo di Marciana e una tipica neviera; poi la differenza tra l’ipogeo e una zecca dove all’ interno poteva esserci, come detto sopra, una sorta di caveau e infine, l’ipogeo di Marciana e la tomba etrusca di Castellina che al Prof. Donati ha suscitato i medesimi dubbi del caveau della zecca e della neviera.
Sono proprio questi amletici scrupoli professionali, per i quali egli conclude con questa responsabile decisione che ricorda quella che nei tempi di Cristo a Gerusalemme divenne celebre, e che egli esprime in questi termini : “In conclusione, di fronte a casi complessi come questo, occorre avere la modestia e la prudenza di riconoscere che non tutto al momento è per noi spiegabile, nella speranza che qualche confronto o qualche novità fortunata portino altri elementi chiarificatori».
Abbia speranza il Prof. Donati.
Perché le banche non fanno la concorrenza alle fondazioni e alle case d'asta sul mercato dei dipinti del 900?
Le banche sembra abbiano poca visione del futuro. In Italia, per esempio non ve ne è una che sia in grado di concorrere sul mercato dei dipinti del 900. Eppure potrebbero guadagnare di più. E allora?
Facciamo delle considerazioni chiarificatrici, tanto per sgombrare il campo da ogni dubbio.
In Italia ed in Europa, ma non negli Usa, fondazioni e comité di artisti del 900 hanno il potere di sentenziare, in esclusiva, su quadri e sculture di artisti del periodo, perché, altrimenti, senza una loro approvazione le case d'asta non accetterebbero la vendita delle opere.
Le fondazioni sono gestite dai parenti degli autori, che le hanno fondate, e fanno il buono e cattivo tempo sul mercato, con esperti scelti da loro stessi. Perché?
Le case d'asta, invece, che hanno i loro esperti, non contano nulla, se non solo per indicare il valore di vendita dell'opera. Ma come è possibile che ciò accada?
Cosa succede, quindi, se per caso si eredita un'opera del 900 non autenticata, e le case d'asta si rifiutano di venderla, anche se si presentano attestati di esperti d'arte nazionali o internazionali?
Che gli esperti esterni alle fondazioni sembrano non contare nulla.
La legge italiana sulle fondazioni è ancora ferma al periodo del fascismo, per cui avrebbe bisogno di una bella revisione, ma tra i vari parlamentari, a nessuno interessa. Perché?
Giochini di potere. Qualche piccola casa d'asta, in presenza di attestati di primari esperti, provano a vendere l'opera a quattro soldi rispetto al reale valore di mercato, se ci fosse l'avallo della fondazione di riferimento. Poi, può accedere che su segnalazione alla fondazione di competenza, questa acquisti l'opera sottobanco, ancor prima di essere messa all'incanto, e successivamente approvi l'opera stessa per poi rivenderla al di mercato, guadagnandoci un sacco di soldi.
E su queste storture del mercato, forse, sarebbe necessario l'intervento della magistratura.
Negli Usa, invece, le fondazioni, per legge, non possono rilasciare alcuna autenticazione , ma solo promuovere le opere degli autori di loro pertinenza, con convegni, esposizioni,ecc.
Dunque, il mercato, italiano ed europeo, risultano drogati dal potere che hanno le fondazioni, senza alcun merito, e da case d'asta accondiscendenti che seguono come cagnolini il loro padrone.
E le banche? Se si dessero una smossa, forse il mercato dell'arte potrebbe essere più fiorente, e scalzare il potere delle fondazioni.
Come? Facendo valutare le opere da propri esperti, scavalcando le fondazioni stesse, ed inoltre, su stime fatte dai loro esperti, concedere un anticipo sul valore presunto a chi lo richiede.
Ma come sopravvivono le fondazioni? Per ogni quadro, già catalogato da loro, e che viene venduto all'asta ricevono il 4% sul valore di acquisto, praticamente a vita.
Chi è in grado di spezzare questa catena dell'arte?
Dulcis in fundo. Le opere ante 900, dove non esistono fondazioni, si vendono all'asta solo con l'avallo degli esperti qualificati esistenti sul mercato.
E' bene ricordare che recentemente un'opera attribuita a Leonardo da Vinci è stata venduta negli Usa a 450 milioni di dollari, proprio da una casa d'asta internazionale. E se per caso, ci fosse stata una fondazione, l'opera poteva anche valere quattro soldi.
Ed allora, perché le fondazioni debbono avere l'esclusiva del mercato?
Dove non ci sono fondazioni gli esperti valgono, altrimenti no. Qualcuno è in grado di interrompere questo gioco delle parti?
“Premio Italia diritti umani 2018” ®
Dedicata alla memoria dell’ ex Vice-presidente della Free Lance International Press Antonio Russo.
Aula Magna della facoltà valdese di teologia
Via Pietro Cossa 40 (piazza Cavour) ROMA
ROMA 14 Ottobre 2018
Il Premio Italia Diritti Umani nasce dall’esigenza da parte delle associazioni coinvolte di voler dare un giusto riconoscimento a coloro che, per la loro attività, si sono distinti nel campo dei diritti umani. In un mondo in cui il profitto sembra essere lo scopo ultimo di ogni intento, bisogna sostenere chi lotta veramente, sacrificando spesso gran parte (o del tutto) la propria esistenza per aiutare il prossimo. I Mass Media spesso non prestano la dovuta attenzione al tema dei diritti umani, se non in maniera superficiale. È giunto quindi il momento, non solo di dare un giusto riconoscimento a chi lotta per la difesa dei più deboli, ma anche di parlare su come possano essere tutelati meglio questi diritti che, anche in paesi come l’Italia oltre che all’estero, sono sistematicamente violati, soprattutto nei confronti dei più deboli.
In collaborazione con - Amnesty International – sezione italiana e Cittanet
PROGRAMMA
Moderatrice e presentatrice del premio: Neria De Giovanni, Free Lance International Press, Presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari.
Interventi
Antonio Cilli: Cittanet founder
Mobile e video, un nuovo modo per fare giornalismo - Ore 16.10
Emanuela Scarponi - agenzia di stampa Africanpeople
Diritti umani in Africa - Ore 16,20 –
Maria Elena Martini – Presidente Ass. Arte e Cultura per i Diritti Umani
Educare ai Diritti Umani - Ore 16.30
Riccardo Noury - Portavoce Amnesty Italia
Le periferie dimenticate del mondo - Ore 16,40
Buffet ore 16.50
Ore 17.10 - L’associazione Artisti civili presenta un estratto da
“Denunciami pure”
di e con Ferdinando Maddaloni e Katia Nani
ore 17,30
PREMIO ITALIA DIRITTI UMANI 2018
- Consegnano i premi e leggono le motivazioni gli attori:
Elena Di Cioccio, Alessandra Izzo, Domenico Macrì, e lo scrittore Paolo Di Orazio
Donate opere degli artisti:
Isabella Scucchia, Nastasya Voskoboynikova, Liliya Kishkis Marotta, Guia Muccioli
Via Federico Cesi 44 00193 Roma It. www.flipnews.org
Tel./fax ++6-96039188 - 32111689 e mail: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Quello che ci insegna il chirurgo di Lanciano
Non ringrazieremo mai abbastanza Carlo Martelli, il chirurgo di Lanciano che, dopo la feroce aggressione in casa da parte di una banda di criminali, dal suo letto di ospedale, parlando a fatica, è stato in grado, con grande naturalezza, di pronunciare parole prive di odio, parole di salutare razionalità. Le armi in casa - ci ha detto - meglio lasciar stare. Non possono veramente aiutare a difenderci, ma possono solo renderci peggiori e più vulnerabili. Meglio confidare nelle forze dell’ordine e mettere da parte le pericolose pulsioni alla “giustizia fai da te”…
Bellissima la sua capacità di resistere alla tentazione della rabbia. Bellissimo il suo pacato ragionare non alterato, non imbrattato e incattivito dalle violenze subite.
Certo, non pochi giornalisti e direttori di giornali forcaioleggianti ci saranno rimasti piuttosto male (magari censureranno, manipoleranno, stravolgeranno). Anche per questo, bisognerebbe continuare a fargli interviste. Bisognerebbe invitarlo, una volta ristabilito, in tutti i programmi televisivi dove si urla e si inneggia ad un sempre maggiore uso della “forza”, sempre più vista e invocata come unica panacea.
Qualcuno ci disse che sarebbe meglio non aver bisogno di eroi (che, tra l’altro, spesso hanno pure combinato non pochi guai). D’accordo, facciamone pure a meno. Ma di persone così, che anche in situazioni estreme, che, anche nei panni di vittime “umiliate e offese”, non intendono rinunciare ad avere fiducia nel prossimo, nella giustizia fondata sul diritto, nella ragione che non vuole smettere di operare in maniera “chiara e distinta”, di persone così abbiamo tutti un immenso bisogno …
Per non essere risucchiati nel gorgo delirante e astuto dell’odio e della paura, nelle trappole di chi, in nome della difesa dei nostri corpi e (soprattutto) dei nostri portafogli, rischia di riuscire (giorno dopo giorno) a rubarci l’anima.
È difficile anche con la fantasia arrampicarsi sugli specchi per sostenere a lungo il tentativo. Auspicato l'intervento della Regione Toscana
Le zecche italiane
Nel 2011 oltre 60 studiosi di tutto il mondo contribuirono con la loro scienza numismatica a ‘costruire’ due ponderosi volumi per un totale di 1664 pagine che - citiamo da IBS - “raccolgono la documentazione relativa a tutte le zecche italiane dal V secolo d. C. fino all'unità d'Italia. Si tratta di una ingente massa di dati ampiamente documentati, qui raccolti per la prima volta in un'unica opera, che offrono una comprensione ampia e comparativa delle attività delle zecche italiane... Non esistono lavori simili in ambito europeo”. Tale opera, che uscì con il titolo “ Le zecche italiane fino all’Unità”, fu pubblicata dall’Istituto Poligrafico dello Stato e fu curata dalla Prof.ssa Lucia Travaini dell’Università di Milano, considerata a ragione, dovunque, un’autorità in fatto di numismatica e di sedi di zecche, ma di Marciana non se ne fa menzione.
Orbene: nel mese di novembre 2017 intervistai la Prof.ssa Travaini sulla storia delle zecche. L’ ultima domanda riguardò la discussa veridicità della zecca di Marciana, ubicata in un ipogeo che il Comune ha dotato di allestimento museale, aprendolo a pagamento al pubblico.
La risposta bocciò ampiamente e con decisione, l’ipotesi di una zecca a Marciana. La stessa intervista fu pubblicata in significative riviste di archeologia e numismatica nazionali ancora reperibili on line, oltre alla sintesi, pubblicata come resoconto sulla stampa on line dell’Elba, affinché ne fosse informato anche il Comune di Marciana.
L’ aspettativa in primo luogo, era che il Comune, proprio perché allo scopo aveva speso qualche decina di migliaia di euro, verificasse le affermazioni contenute nell’intervista sentendo la Prof.sa Travaini o comunque esperti diversi da quelli locali a suo tempo retribuiti per il progetto zecca; in secondo luogo gli amministratori di questa suggestiva cittadina, che non ha bisogno di attrarre visitatori con invenzioni storiche perché trasuda di storia ‘vera’ da ogni casa che si osserva e da ogni via che si percorre, prendesse le determinazioni opportune.
L’eccesso di sicurezza
Niente però di tutto questo è avvenuto. Il museo della zecca è stato riaperto nella stagione estiva senza verifiche scientifiche. Il Comune continua a diffonderne le notizie sul suo sito ufficiale. La pubblicità non si è fermata; i turisti hanno continuato a entrare a pagamento seguendo l’insegna di “una zecca che non c’è mai stata”.
Nel caso che, come sembra, i finanziamenti per il progetto zecca di Marciana provengano anche dalla Regione Toscana, considerata l’ insensibilità sul tema da parte del Comune, si renderebbe necessario l’intervento della Stessa Regione per chiarire come stanno le cose. Proseguendo infatti, su questa via, non si fa un bel servizio né a Marciana, né all’Elba, né alla Toscana, né agli ignari visitatori di un museo fondato sulla pubblica credulità di questa fantasmagorica zecca e tanto meno al nostro Paese che vive della autenticità del proprio patrimonio artistico e della credibilità del mondo intero.
Dal generico al concreto
Ecco cosa scrive nel suo sito ufficiale il Comune di Marciana che però, non disponendo di alcun supporto storico che possa dimostrare quanto sostiene, con le sue affermazioni conduce a un travisamento della realtà.
“La Zecca di Marciana venne fatta realizzare dalla famiglia Appiani intorno agli ultimi anni del Cinquecento. Il paese di Marciana infatti, fu utilizzato dai Principi di Piombino come residenza estiva, collocata nell’attuale “palazzo Appiani”. Le motivazioni della scelta di Marciana anziché in altro centro dell’isola sono molto verosimilmente da ricercarsi nella relativa vicinanza con Piombino, nell’esistenza, in prossimità del palazzo, di una struttura fortificata e nell’essere Marciana l’unico paese elbano in contatto visivo con Piombino. Originariamente la Zecca era composta da tre ambienti adibiti alla coniazione di monete emesse nel Principato di Piombino, in cui si apriva un cunicolo scavato nella roccia granodioritica usato come probabile deposito monetario.”
E’ appena il caso di osservare che:
“Tutti gli uomini del Presidente”
A supporto della indifendibile ostinazione a favore di questo genere di zecca, il Comune ricorre infine ad una citazione mirata, chiamando in causa un numismatico del Settecento:
“Guido Antonio Zanetti, nel volume Nuova raccolta delle monete e zecche d’Italia (1779), così la descrive riferendosi ai Principi di Piombino” : «Questi le fecero coniare nella propria Zecca che avevano fatto erigere sì in Piombino in luogo vicino alla Cittadella, ove ancora si conserva la fabbrica sebbene negletta, che in Follonica, come pure nell'Isola d'Elba oltre Rio, ed anche in Marciana restando oggidì denominata una stanza di ragione della Casa Bernotti la Officina della Zecca”..
Il fantasioso numero di zecche cosparse nel piccolo Principato di Piombino (Follonica, Rio e Marciana) non regge il confronto con la reale disponibilità monetaria della Famiglia Appiani.
A tale proposito è sufficiente riportare il parere della Prof.ssa Travaini che così si esprime: “Vorrei però ricordare che questa trattazione sulle monete di Piombino dello stesso Zanetti fa parte di una grande dedica dell'intero volume all’eminentissimo e reverendissimo Principe Cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi dei principi di Piombino eccetera eccetera. Benché lo Zanetti fosse uno studioso di grande serietà, il fatto di aver inserito questa nota in chiusura della sua trattazione sulle monete di Piombino (posta in apertura al volume e da lui redatta) può lasciar pensare a una lieve sfumatura di ostentazione nell'enfasi elogiativa”.
Non tutto è evanescente
Un’altra citazione dello stesso Comune Marciana ricorda che: “il Museo della Zecca di Marciana è stato inaugurato nel 2014 su progetto degli architetti Silvestre Ferruzzi e Luciano Giannoni”.
A questo punto, per meglio capire come sono andate le cose, si rende opportuno chiedere a terzi in causa per quale motivo ufficiale sono stati richiesti e ottenuti dalla Pubblica Amministrazione i fondi utilizzati per la progettazione e l’allestimento di quel luogo a dimostrazione di zecca. Tale domanda si reputa legittima in quanto questo Museo oltre ad aver sottratto al patrimonio archeologico del nostro Paese un luogo di notevole valore storico e rappresentativo dell’epoca etrusca a cui viene attribuito, i fondi utilizzati per l’altra finalità rappresentano una distrazione di pubblico denaro a scopo (senza entrare in dettagli) non certo previsto dalla legge.
- Tra gli assolti in un processo a carico di sette persone con l'ipotesi di traffico di materiale 'dual use' in violazione dell'embargo, conclusosi ieri a Como, figura anche il corrispondente per l'Italia Hamid Masoumi Nejad dell'Irib, il network di stato della Repubblica islamica, nonché socio della Free Lance International Press.
Hamid è un giornalista della Stampa estera, molto noto in Iran per i suoi servizi dall'Italia. Su di lui è stato di recente scritto anche un libro per denunciare i lunghi anni passati senza una sentenza, e per il trattamento ricevuto - compreso il carcere in isolamento - per il sospetto di essere una spia. "E' la fine di un incubo” ci ha raccontato il nostro collega, vittima innocente di giochi di potere che passano sulle teste di tutti noi – Noi che conosciamo bene il collega e lo abbiamo sostenuto in tutti questi anni, consapevoli della sua estraneità ai fatti, non abbiamo mai avuto modo di dubitare della sua onestà intellettuale e grande professionalità. Nell'ordinanza c'era scritto che non era giornalista e l'associazione dei giornalisti lo sospese solo sulla base delle notizie dei giornali. Il collega in tutti questi anni ha solo chiesto una sentenza. Ora chiede una notizia, perché : ” quando mi hanno arrestato sono finito in prima pagina e ora che sono stato assolto spero in un trafiletto per la dignità della mia professione".
Dopo che il grande scandalo del tir di prosciutti scomparso e misteriosamente ritrovato vuoto sotto l’abitazione dell’onorevole Quattroganasce, fu aperta un’ interrogazione parlamentare nell’intento di chiarire la faccenda.
Il primo a parlare fu il Ministro dell’Interno Il quale, visibilmente imbarazzato, disse: “Onorevoli colleghi, quantunque le concomitanze suppositive portino incontrovertibilmente all’ anamorfosi congetturale, si presume, con assoluta certezza, che la sindrome del dubbio possa avocare la prodromica reiezione delle lutulenti azioni lubridiche del reo“.
“Che ha detto!?”chiese il Segretario della Lega. Ha detto che stanno indagando, rispose un compagno di partito.
Allora, presa la parola, il Ministro di Grazia e Giustizia disse: “I sofismi dell’anacoluto postulato inficiano l’ipocondria latente dell’elusivo solipsismo pragmatico mentre il paradigma della scrasia criptica obbliga a trascendere l’oggettivismo apologetico della sinapsi procedurale”.
L’onorevole Calogero Scalia mormorò al compagno che gli era accanto: “Ma ‘anacoluto’ parola offensiva è? Aah!?” Nooo! rispose sicuro e persuasivo il suo collega.
A questo punto intervenne il Ministro della Pubblica Istruzione che così si espresse: “Se la metonimia analogica edulcora il pregenetico antropofagismo tendenziale la catàbasi icastica della congettura avulsiva induce a confutare le inconsulte supposizioni obnubilate nel repente dileguarsi del tabulo bottino”.
Alcuni annuivano tra loro ostentando l’aria di chi ha capito tutto altri avevano in faccia l’espressione di chi è stato colto con le mani nel sacco.
“Ma l’hanno trovati i prosciutti?” chiese il senatore Pansagrossa. Pare di no, rispose sconsolato un suo collega.
S’era fatta ormai l’ora di cena quando qualcuno disse sottovoce che il pranzo a mensa era servito.
Non si sa come ma tutti capirono all’istante ed in un baleno si disperse l’assemblea.
Avola. Per scelta, Maurizio Inturri da due anni si occupa di cronaca e solo casualmente si è imbattuto in un'inchiesta sulla mafia di Avola. Chiariamo sin da subito che non esistono eroi giornalisti che scrivono di mafia, ma solo giornalisti che si occupano o intendono occuparsi di tutto ciò che riguarda la cronaca.
Il famoso caso del “Chiosco dei fiori“ posto di fronte all’ingresso del cimitero di Avola è frutto di una sua delicata e lunga inchiesta: testimonianze e registrazioni, come da deontologia giornalistica, sono passate dalle sue mani a quelle degli inquirenti, ma prima di questi ultimi a quelle del giornalista Paolo Borrometi, che le ha utilizzate per scrivere un articolo nella testata online "La Spia".
L’inchiesta sul Chiosco dei fiori, una rivendita quasi secolare già di proprietà della famiglia Cancemi e oggi finita nelle mani dei Crapula, è stata una minuziosa raccolta di informazioni grazie al racconto di un suo testimone. Erano sconvolgenti le informazioni che Inturri riceveva dalla sua fonte.
Un chiosco che in molti avevano visto per circa due settimane sotto la gestione di un impresario di pompe funebri. che lo stava rimettendo a posto ripulendolo dalle erbacce prima della nuova apertura, ma che tutto ad un tratto è passato all’impresa dei Crapula, che ne ha annunciato l'acquisizione con tanto di cartelloni recanti la scritta “Nuova gestione“.
Cosa sarà successo? La risposta si può riassumere in due parole: semplice mafiosità..
La signora Cancemi proprietaria del chiosco aveva richiamato il locatario a cui aveva concesso il locale dicendogli di riconsegnarle le chiavi perché era stata minacciata di morte da Desireè, Christian, Rosario Crapula e Francesco Giamblanco. "Se non fai quello che vogliamo ti faremo saltare in aria!", disse.
Purtroppo, come accade spesso, per questa sua denuncia agli inquirenti e sul suo blog (https://inturrimaurizio.wordpress.com/), Inturri è stato vittima di aggressioni, minacce e querele per diffamazione a mezzo stampa. Per queste ultime sono stati accusati lui, il Borrometi e il senatore Giarrusso. Tra l'altro, le denunce sono fioccate anche quando Inturri ha riferito dell’appoggio del clan Crapula ad un candidato al consiglio comunale nelle elezioni amministrative di Avola di giugno 2017.
Per molti sarà storia passata, ma sappiamo tutti che la “Mafia non dimentica“.
Oggi, a distanza di un anno, la DdA di Catania ha confermato quanto scritto da Inturri nel mese di agosto 2017: ad avere preso il testimone del comando del gruppo dal proprio padre è Desiré Crapula, e non il marito di quest'ultima, Francesco Giamblanco.
Il Gip di Catania, infatti, nell’ordinanza cautelare a carico di Francesco Giamblanco, Massimo Rubino e dell'onorevole Giuseppe Gennuso, tutti e tre accusati in concorso di voto di scambio politico mafioso, precisa che: “Il Crapula Michele aveva costituito all’interno del clan Trigila un gruppo proprio e benché arrestato manteneva e risulta mantenere ancora il controllo del gruppo attraverso la moglie Magro Venera e i figli Desireé, Aurelio (detto Cristian) e Rosario”.
Questa precisazione del Gip di Catania conferma quanto da denunciato da Inturri pubblicamente e agli inquirenti sempre nell’agosto del 2017. A seguire Inturri riporta quanto scrisse il 9 agosto 2017. Quello che sapeva di certo, perché lo aveva ascoltato con le sue orecchie era:
1. Che ogni quindici giorni circa, la moglie del boss Michele, Vera, si recava dal marito.
2. Che un giorno mentre Inturri si trovava in negozio è arrivata la stessa e con voce di comando rivolgendosi alla figlia Desiré gli ha detto: "...dobbiamo fare i biglietti aerei perché devi venire anche tu!"
3. Che Desirè era l’unica che si occupava dei rapporti con le banche e con la contabilità e che in più di una occasione, davanti ai dipendenti, non trovando il marito Ciccio, si è espressa dicendo “Iddu a stari ca’! Tal’è ca’ accuminciu a lassallu senza mangiari!“ ("Lui deve rimanere qui! Guardate che lo lascio morire di fame", frase che, avendo toni mafiosi, assume significati diversi, anche sinistri, a seconda delle circostanze, ndr). Espressione accompagnata con sguardo feroce e non come occasionalmente si mostrava ai clienti o davanti ad un pubblico non appartenente alla sua cerchia familiare.
Da questa inchiesta, sono stati tratti i video, inchiesta su Fanpage.it di Sandro Ruotolo e i vari articoli a livello nazionale, ma il nome di Inturri è stato sempre accantonato da illustri giornalisti e dalle testate giornalistiche locali e nazionali, così come è stato deliberatamente taciuto da chi doveva assicurare garanzie per la sua incolumità fisica e totale solidarietà, cioè a dire da
Paolo Borrometi. Ma così non è stato.
E’ proprio qui e per tali motivi che bisogna chiedersi come mai è calato un silenzio assordante su un aspirante giornalista che ha deciso di parlare e denunciare la mafia proprio nella provincia dei Crapula, dei Trigila, degli Aparo.
Perché e chi ha deciso di lasciare senza scorta mediatica Maurizio Inturri? Quale testimonianza scritta e\o oculare avrebbero avuto oggi inquirenti e Paolo Borrometi senza di lui?
A cura di Emiliano Federico Caruso
Fondazioni e comité stravolgono le regole del mercato dell’arte. Ecco perché. Cosa si cela, dunque, dietro il labirinto delle fondazioni preposte alla convalida degli artisti che ne fanno parte ?
Certamente non dovrebbero rappresentare il dogma della certezza, anche perché di esperti validi, al di fuori delle fondazioni, ne esistono, eccome.
E allora? C’è odore di bruciato. Infatti, il comune mortale che ritiene di possedere un’opera, firmata o non, di un artista del 1900 , se vuole provare a venderla deve rivolgersi alla fondazione preposta per l’autenticazione . Il che significa che un pugno di esperti possano dettar legge, facendo il bello e cattivo tempo. Tradotto alla romana, una “sola”.
Ecco perché:
E da noi? Fondazioni e case d’asta a braccetto stravolgono il mercato.
Aste deserte e amministratori solerti inducono il Comune di Portoferraio a vendere a ribasso, prima di fine mandato, i beni mobiliari più prestigiosi della città.
Significativi ed emblematici anche per episodi recentemente avvenuti in Italia e per le relative conseguenze, sono i casi di amministratori comunali, folgorati sulla strada di Damasco che hanno letteralmente svenduto patrimoni immobiliari pubblici di notevole rilevanza invocando ragioni che alla luce dei fatti, non stavano né in cielo né in terra.
È vero che ogni caso fa storia a sé, ma nell’analogia di quanto è avvenuto è interessante prendere atto che tutto il mondo è paese e che ciò che sembrava un eccesso di sconvenienza economica localizzata in alcune circostanze, ecco che si ripropone in altri luoghi.
A volte ritornano - Non è certo la prima volta che attraverso aste guarda caso, andate deserte, si vende a ribasso e a trattativa privata, beni immobiliari di ben altro valore, rispetto al ricavato.
Da tempo l’Amministrazione di Portoferraio che come moltissimi conoscono, è quella splendida cittadina dell’ Isola d’ Elba, si è adagiata sulla “rendita di posizione” dei beni che immediatamente producono alla gestione in carica il corrispettivo economico ricavato dall’ appalto, senza altro impegno. Esempio di una situazione di tal genere è quello delle attività portuali turistiche e commerciali; tutto ciò sembra in linea con la volontà di vendere l’ uva, si fa per dire, con l’intero vigneto, ossia non lasciando sfuggire nel tempo del mandato politico dell’Amministrazione comunale, l’ occasione irripetibile nella quale si vendono i beni di famiglia con la prospettiva di ottenere un immediato ristoro.
Si pensa però che non sia stata nell’intenzione dei cittadini che hanno votato per l’Amministrazione in carica quella di mettere alla prova appetiti di questo genere, in quanto una volta rimasti in brache di tela, come precisano i milanesi, i pantaloni per ricoprire non ci sono più.
A volte restano - Dall’astratto al concreto, si può purtroppo prendere atto che sono stati posti in vendita dal Comune di Portoferraio diversi e importanti beni immobili rappresentati da significative strutture in zone storiche e panoramiche della città. Si tratta di beni che hanno sicuramente un valore di mercato sostenuto. Ove il bando di gara per alienazione di questi immobili fosse stato opportunamente portato a conoscenza dei veri ambienti interessati, il valore d’asta milionario avrebbe rappresentato solo la base di rilancio.
Ma a quanto pare, i soliti noti si saranno sicuramente rallegrati per il fatto che le gare a prezzo d’asta sono state portate per ben due volte a conoscenza del pubblico interessato che in questi casi è indispensabile informare, per ottenere una risposta adeguata al valore in gioco.
Quando di fronte a beni di tal genere due gare vanno deserte, c’è qualcosa di poco chiaro nell’aria. Non si comprende infatti l’ostinazione dell’Amministrazione comunale che coglie l’occasione per proporre ancora l’alienazione immobiliare a trattativa privata con lo sconto di percentuali a due cifre.
Ma questa volta non salterà fuori dal cappello a cilindro del prestigiatore il solito coniglietto bianco, appariranno invece i noti personaggi di questo genere di cose; saranno cioè, il gatto e la volpe della circostanza che parteciperanno a trattativa privata, a questa sorta di invito a nozze, completando così, il gioco delle parti delle quali la perdente è sicuramente quella di Portoferraio.
Il gatto e la volpe - L’aggiudicazione sarà quindi assegnata a questi personaggi che non si erano presentati prima, come per non voler turbare l’asta con la loro presenza. Ma successivamente, visto e considerato che i beni in questione nessuno li voleva, bontà loro, potranno dare un contributo alle casse comunali. Ma di quale valore si tratta? Infatti, oltre il ribasso sul prezzo di base d’asta con percentuale a due cifre, deve essere considerato che la stessa base della prima delle due gare era già ovviamente appetibile rispetto al valore di mercato. Ecco perché i passi successivi della vendita immobiliare hanno portato i ribassi finali a valori che avrebbero dovuto sconsigliare ogni altra azione.
Passando dagli antefatti al caso concreto, un bene di rilevante valore architettonico in particolare per la storia di Portoferraio, è l’immobile in stile liberty che il famoso Arch. Coppedè all’inizio del 1900 aveva progettato, per la Direzione Generale di uno dei primissimi stabilimenti siderurgici italiani.
Si tratta di uno storico edificio lasciato decadere e spogliato dell’intonaco negli anni scorsi in luogo della necessaria manutenzione da parte dal Comune proprietario del bene in questione. L’immobile in virtù della sua stessa struttura e dei vari locali dislocati in quattro piani, si avvale della posizione privilegiata sulla banchina del porto commerciale e del notevole coefficiente di prospetto che lo caratterizza, per assumere un valore di mercato che non rispecchia certo quello offerto dallo stesso Comune.
Altri beni che dovrebbero essere alienati, sono tre appartamenti di un prestigioso palazzo in stile neoclassico con vista sul golfo, ubicato al centro del porto turistico di Portoferraio. Si tratta di appartamenti, questa volta immediatamente agibili per essere utilizzati, e che il Comune intende alienare allo scopo di introitare poche centinaia di migliaia di euro. Francamente non si comprende quale sia il vantaggio della cittadinanza per entrate di questo genere, quando il prezzo di mercato sceso ora a ribasso della base d’ asta, rappresenta più che un atto di reciproca convenienza, un’autentica svendita a prezzi non plausibili.
E ancora, un altro palazzo antistante allo stesso Comune, nel bel centro del centro storico di Portoferraio, con vista sulle due più importanti piazze della città. Anche in questo caso l’immobile in questione ha un valore commerciale che non risponde minimamente alle caratteristiche ricavate dal meccanismo del prezzo stabilito a trattativa privata come nei casi precedenti.
Ma non finisce qui - La questione analoga vale per una ulteriore edificio di un’ex scuola ubicata nella pianura del golfo di Portoferraio il cui valore persino in base d’asta, sembra che già sia stato ridotto senza ragione non tenendo conto di un estimo, che la Pubblica Amministrazione dovrebbe poter mostrare a scanso di equivoci, non solo per quest’immobile ma per tutti quanti gli altri, compreso tutto il secondo piano dell’ex Ospedale della città, inizialmente stimato 800 mila euro.
Tenendo conto ora delle riduzioni successive per le gare andate deserte malgrado la percentuale a ribasso, la trattativa privata prevista per la relativa alienazione, si prospetta quanto mai penalizzante per la P.A. Se poi oltre i ribassi calcolati non si sa come, sul prezzo d’asta, si tiene conto che il periodo più infelice per vendere immobili è proprio questo a causa della contrazione dei prezzi di mercato, allora il presupposto che qualcuna delle Autorità di controllo, come la Corte dei Conti, chieda spiegazioni documentali degli estimi di ribasso, dovrebbe essere abbastanza concreto.
Quando il guadagno non c’ è.. - Se il piano di vendita così organizzato dal Comune avrà esito, il danno arrecato al patrimonio della cittadinanza, sia per la perdita irreversibile di beni rappresentativi della storia di Portoferraio, sia per la inconsistente somma del relativo ricavo, non troverebbe riscontro nello stato di necessità del Comune.
Non si ritiene infatti, che l’Amministrazione di Portoferraio sia allo sbando economico, né che abbia destinato in fase avanzata del proprio mandato, il ricavato a specifici progetti di pubblica utilità meritevoli di una decisione di questo genere, come si dovrebbe fare in tali casi.
Resta da capire quale sia stato il reale motivo del Comune di non aver messo a frutto prima a vantaggio della stessa Amministrazione e quindi della cittadinanza, i beni che adesso intende alienare; così come quale sia la ragione di volere adesso concretizzare, nel momento di mercato meno favorevole per i ricavi, vendite immobiliari di una parte della storia architettonica di questa città.
Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ha recuperato un’importante opera del XVIII sec. di uno dei principali esponenti della pittura vedutista italiana, rubata nel 1994.
I Carabinieri del Reparto Operativo del Comando Patrimonio Culturale (TPC), a quasi 25 anni dal furto hanno recuperato un dipinto, olio su tela, raffigurante Capriccio Architettonico con astanti, la cui attribuzione è contesa ad oggi tra due dei massimi esponenti del periodo vedutista italiano, ovvero Giovanni Paolo Pannini (1691-1765) e Andrea Locatelli (1695-1741).
Nel novembre 2017, durante l’attività di monitoraggio del mercato delle opere d’arte, i militari della Sezione Antiquariato hanno individuato in una importante casa d’asta londinese l’opera raffigurante Capriccio Architettonico con astanti, in procinto di essere messa in vendita, con un prezzo di partenza di 40.000 sterline, pari a circa 50.000 euro.
Gli immediati approfondimenti investigativi, eseguiti anche attraverso la Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti, hanno confermato la corrispondenza dell’opera individuata con quella rubata e hanno consentito di accertare che il dipinto era stato consegnato, da un antiquario, alla filiale romana della casa d’aste di Londra che, a sua volta, ne aveva chiesto e ottenuto l’attestato di libera circolazione.
Il verosimile intento era di realizzare, all’estero, un maggiore guadagno, in forza dell’importante richiesta di opere d’arte di uno principali esponenti della pittura vedutista italiana del XVIII sec.
Il dipinto, che è stato rimpatriato in questi giorni, una volta esperite le formalità da parte della Procura della Repubblica di Roma, sarà restituito al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e nello specifico alle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma – Palazzo Barberini e Galleria Corsini, alla quale era stata donata nel 1892 dalla famiglia nobiliare Torlonia. Il 1° gennaio 1925 è stato poi dato in deposito a Palazzo Venezia dopo essere stato in mostra a Castel Sant’Angelo nel 1911 e 1920. Il 20 febbraio 1958 è stato ceduto in deposito temporaneo all’istituto culturale “delegazione opere d’arte astalli” - Archivio Siviero - Delegazione per le Restituzioni del MAE (Ministero Affari Esteri). Il 1° gennaio 1994 è stato rubato.
Durante l’attività d’indagine è emersa nella monografia di Andrea Locatelli a cura di Andrea Busiri Vici del 1976, nella scheda n. 11, una attribuzione non a Panini ma a Locatelli.
E’ la prima volta che la Commissione per le adozioni internazionali viene condannata al risarcimento per omessa vigilanza. La condanna si riferisce allo scandalo che ha colpito l’ente autorizzato Airone onlus, i cui vertici sono stati rinviati a giudizio dal Tribunale penale di Savona per il reato di truffa. I fatti risalgono all’anno 2012 e vedono coinvolti 21 coppie italiane di aspiranti genitori che si erano rivolti all’ente per adottare un bambino nell’ex Repubblica sovietica del Kirghizistan. Le Adozioni si rivelarono, poi, irrealizzabili perché i bambini avevano una famiglia e non erano in stato di abbandono.
A condannare la Cai al risarcimento nei confronti di una delle coppie è stata la seconda sezione del Tribunale civile di Roma, nella persona del giudice Assunta Canonaco. Condannato anche l’Ente Airone Onlus, poi radiato dall’albo a seguito della denuncia.
E’ così stata fatta giustizia, per il momento, almeno nei confronti di una delle 21 coppie, la quale ha ottenuto il risarcimento da parte della Commissione per le adozioni Internazionali per la somma complessiva di 168.000 euro.
L’Avv. Giorgio Aldo Maccaroni, Presidente dell’Avvocatura Italiana per i Diritti delle Famiglie, commenta così l’importante sentenza del Tribunale di Roma: “Finalmente è arrivata una sentenza di condanna nei confronti della Commissione per le Adozioni Internazionali, dopo tutte le irregolarità che hanno visto protagonista negli anni precedenti la predetta Commissione. Non è possibile che un ente preposto alla vigilanza sulle adozioni non debba pagare se vengono commesse delle irregolarità o delle omissioni sul controllo che deve esercitare. Oltretutto il danno nei confronti degli aspiranti genitori è molto grave per la lesione di legittime aspettative che investono in particolar modo la sfera affettiva. A questa prima importante condanna della Commissione al risarcimento, segue anche un’importante riflessione e cioè che sarebbe il caso di introdurre regole nuove, stabilendo anche delle sanzioni disciplinari per il Presidente e per i componenti della Commissione per le Adozioni Internazionali, compresa la decadenza dalla carica che rivestono, quando si verificano gravi omissioni e irregolarità.
Il giornale ''The Moscow Komsomolets'' ha pubblicato un curioso e divertente articolo, quello sui matrimoni russo-cinesi. La carenza di uomini in Russia e' un dato di fatto, basta vedere in internet le numerose agenzie matrimoniali ricche di profili di donne russe e soprattutto per chi e' stato in questo grande paese non puo' non aver notato i molti europei in visita per incontrare donne russe conosciute soprattutto in chat o siti di incontri.
Ma la sopresa generale e' che anche i cinesi hanno perso la testa per le donne russe, un giornale cinese ha pubblicato un articolo su un' un'agenzia matrimoniale russa la cui proprietaria, di nome Elena, organizza incontri tra donne russe e uomini facoltosi cinesi, scopo matrimonio. Elena spiega che il suo progetto si basa sulla carenza di uomini in Russia, alla mancanza di donne in Cina e soprattutto il rispetto per una donna.
Il più giovane dei corteggiatori cinesi aveva 25 anni, il più vecchio 46 anni, gli sposi erano di Pechino, Shanghai, Shenzhen e Hong Kong. Elena ha pianificato per più di un anno questi incontri, i quali sono costati un occhio della testa ai pretendenti, non si conosce il ''quanto'', ma si sa' che puo' permetterselo solo chi ha molti soldi.
Elena racconta che e' riuscita a formare cinque coppie dopo che 6 uomini cinesi hanno incontrato 25 donne russe ! Naturalmente il requisito obbligatorio era quello finanziario e soprattutto un interprete per l'incontro. Oltre alle statistiche, continua Elena, ci sono altri motivi, le donne russe credono che si possa fare affidamento su un uomo cinese perche' rispetta una donna e crea una famiglia'', (personalmente ho gia' sentito questa ''canzone'' da molte donne russe, le quali ripetono la stessa storia per altri uomini, ma non cinesi).
Non sono mancate le critiche delle donne cinesi a questi matrimoni dei loro ''paesani'' in Russia, i commenti sono stati che tutto cio' e' strano e nello stesso tempo le donne cinesi nel loro paese non riescono a trovare uno sposo sicuro....Chi ha ragione ? Le donne russe o le donne cinesi ?