L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Theatre and cinema (162)

 

 

Riccardo Massaro
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February 22, 2016

Il Teatro è nell’atto, cioè nell’immediato, in quello che un filosofo chiamò l’immediato svanire, la presenza e al tempo stesso, assenza. Questo è il superamento del grande attore” (Carmelo Bene).

Solare, dinamica e determinata, Eleonora Ivone è un’attrice completa che spazia con disinvoltura dalla tv al cinema e al teatro. Dagli esordi nel mondo della moda, per grandi firme come Valentino e Jean Paul Gaultier, approda sul grande schermo. Uomini senza donne di Angelo Longoni segna il suo debutto al cinema. Dal 2000 si susseguono interpretazioni teatrali e partecipazioni in diversi film per la tv, tra cui: Le madri, L’ultimo rigore, Tutto in quella notte, Part-time, Un anno a primavera e Un amore di strega. Nel 2011 partecipa al film per il piccolo schermo: Tiberio Mitri, il campione e la Miss. Tra i ruoli di maggiori rilievo quello di Chiara nel film Non aver pauradiAngelo Longoni, affianco di Laura Morante e Alessio Boni. A teatro tra i lavori più significativi: I tre Operai, Una volta nella vita, Il Muro e Ospiti.

Incontriamo Eleonora Ivone a Roma dove è in scena con la commedia, scritta e diretta da Angelo Longoni, L’Amore migliora la vita, con Ettore Bassi, Gaia De Laurentiis e Giorgio Borghetti. Reduce dal successo di pubblico e critica al Sala Umberto di Roma, lo spettacolo si sposta al Teatro Nino Manfredi di Ostia, dal 23 Febbraio al 6 Marzo.

Quando hai capito che avresti voluto recitare?

Ho cominciato a lavorare da giovanissima come modella un po’ per gioco, un po’ per guadagnare qualcosa ed essere indipendente. Ma l’ambiente della moda era troppo duro e frustrante, bisognava essere sempre perfette e io non lo ero…troppi denti, troppo bassa, troppi nei, troppo grassa…un inferno!

Così dopo la maturità ho cominciato a fare provini anche per la pubblicità, mi sentivo più a mio agio e mi divertivo, mettendomi in discussione anche su altre potenzialità. Mi sono accorta che funzionava, così ho approfondito e mi sono resa conto che dovevo seguire la strada della recitazione, frequentando la scuola di Beatrice Bracco, ma anche stage di recitazione con insegnanti sia russi che americani.

Nella tua scelta sei stata incoraggiata o osteggiata dalla tua famiglia?

Mah! Sicuramente mio padre mi ha sempre incoraggiata e sostenuta. Mia madre forse avrebbe preferito un percorso più classico, tipo laurea e posto fisso…ma alla fine credo siano contenti!

Avevi miti di riferimento?

Ero affascinata dalle grandi attrici di un tempo come Rita Hayworth, Bette Davis, Audrey Hepburn, ma anche da quelle più vicine a noi, come Meryl Streep.

Ti sei cimentata sia al cinema che in tv e in teatro, in quali di questi mezzi ti senti più realizzata?

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 Eleonora Ivone

Quando mi fanno questa domanda rispondo sempre che sicuramente, se potessi, alternerei in egual misura tutti e tre i mezzi…ma non rinuncerei mai al teatro!

C’è un personaggio che ti piacerebbe interpretare a teatro?

Sicuramente MEDEA, il primo grande personaggio che ho visto a teatro da bambina, all’età di 11 anni, che in quell’occasione era interpretata dall’immensa Mariangela Melato. Mi piacerebbe farla in chiave moderna, ma usando il testo di Euripide.

Che ne pensi della frase di Eduardo “Gli esami non finiscono mai”?

Frase sempre attuale e vera. Essere continuamente sotto esame è stressante, ma anche uno stimolo a migliorarsi e a non accontentarsi, dimostrando a se stessi che le sfide sono un importante strumento di crescita individuale!

Attualmente sei in scena con la commedia, scritta e diretta da Angelo Longoni, “L’amore migliora la vita”, insieme a Ettore Bassi, Gaia De Laurentiis e Giorgio Borghetti. Quanto ti assomiglia il personaggio che interpreti?

Allora…direi che ad un primo impatto mi sembrava che “Silvia” non avesse niente in comune con me, poi approfondendo mi sono resa conto che in ogni personaggio c’è una parte di noi stessi, un lato nascosto e profondo della personalità che emerge inaspettatamente.

Durante il tuo percorso artistico hai affiancato colleghi importanti, con quali hai trovato maggiore affinità?

Si è vero, ho incontrato tanti talenti sulla mia strada, ma quelli con cui ho trovato maggiori affinità sono Alessio Boni, Ettore Bassi e Gaia de Laurentiis.

Il tuo è un lavoro molto impegnativo, come riesci a conciliare vita privata e professione?

Mi impegno tantissimo, come tutte le mamme e le mogli che lavorano.

Quando e se hai del tempo libero, come ti piace impegnarlo?

Naturalmente con la mia famiglia, con le mie tre figlie. Poi, dopo le tournée, riprendo ritmi di vita normali: vado in palestra, al cinema e a teatro.

Progetti futuri?

Finita la tournée, sarò a teatro con nuovo spettacolo e poi in televisione.

February 10, 2016

Il "Dio esiste e vive Bruxelles" di Jaco Van Dormael e' uno di quei rarissimi films in cui la risata si mescola con i lacrimoni caldi di tenerezza. Il regista ci trascina, infatti, in una dimensione surreale in cui pensiero filosofico, riflessioni teologiche, volontà' trasgressiva, pulsioni iconoclastiche e afflati mistico-teosofici si intrecciano in una costruzione narrativa irriverente quanto incalzante.
Filosofia gnostica, religiosità cosmica e umanitarismo (sfociante nell'animalismo): questi gli ingredienti-base. Ma tutto e' inzuppato in un'inarrestabile creatività immaginifica e arcicondito da vagonate di ironia che sa volare fresca e leggera "comme l'oiseau et non comme la plume".
Il film e' un caleidoscopio di pensiero demitizzante e di slanci filantropici, di corrosiva sensibilità' critica, di scoppiettante empatizzazione cosmica.
Non certo un film per bigotti e conservatori di qualsivoglia parrocchia, bensì un film per chi non ha paura dei ribaltamenti prospettici e per chi, al di là' dell'orrore e dell'assurdo, sa ancora meravigliarsi e commuoversi per il battito di un cuore innamorato, per una mano che afferra un'altra mano, per un orizzonte che si allarga all'improvviso attraversato da mille voli di uccelli ...

January 20, 2016

Il ritorno del “regista a due teste”. Sembra il titolo di un film, invece si tratta degli irriducibili fratelli Coen dietro la macchina da presa della loro nuova opera: "Heil Caesar!". Sicuramente uno dei film più attesi dell’anno, scritto, diretto e prodotto da Joel ed Ethan Coen, che questa volta puntano il loro acuto obiettivo sulla Hollywood degli Anni Cinquanta. Siamo infatti durante l’età dell’oro del cinema americano, prima della crisi causata dall’avvento della televisione, quando Eddie Mannix, fixer, ovvero figura dell’industria cinematografica incaricata di risolvere i problemi o nascondere eventuali scandali dovessero nascere durante la realizzazione di un film, si trova a dover fronteggiare, durante le riprese, il rapimento del protagonista di un kolossal sull'antica Roma. I Coen hanno radunato per l’occasione un cast stellare: Josh Brolin, George Clooney, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Channing Tatum, Ralph Fiennes, Dolph Lundgren, Jonah Hill, Christopher Lambert, Tilda Swinton e, per restare in famiglia, la moglie di Joel, Frances McDormand.

Libero, ironico, graffiante, surreale, a tratti macabro e crudele, capace di grandi esercizi di stile, questo e molto altro è racchiuso nel cinema dei fratelli Coen. Con ben quattro premi Oscar portati a casa, e capolavori come Fargo, Non è un paese per vecchi, A Serious Man, Il Grinta, i fratelli Coen riescono, grazie ad una straordinaria abilità narrativa, ad andare oltre lo schermo per raccontare, attraverso le immagini, la quotidianità di uomini soli in lotta

Cinema News 14012016 RUBRICA
 George Clooney

contro qualcosa che inghiotte tutto, comprese le loro certezze.

Dopo una gestazione lunga dieci anni, arriva sul grande schermo Ave, Cesare!, selezionato per aprire la sessantaseiesima edizione della Berlinale, l'11 febbraio 2016.

Il film sarà distribuito in Italia dalla Universal Pictures e arriverà nelle sale il 10 marzo 2016.

December 10, 2015

Lo chiamavano Jeeg Robot, primo lungometraggio di Gabriele Mainetti, scritto da Nicola Guaglianone e Menotti, e presentato alla Festa del cinema di Roma, trae spunto dai supereroi americani. Protagonista è Claudio Santamaria, nei panni di Enzo, un introverso e ombroso ladruncolo di borgata, che vive a Tor Bella Monaca. Il contatto accidentale con una sostanza radioattiva procura ad Enzo una forza sovraumana, che inizialmente vuole sfruttare per le sue quotidiane attività criminali. L’incontro con Alessia cambia radicalmente la sua vita e la sua prospettiva. Alessia, interpretata da Ilenia Pastorelli, è una ragazza fragile a causa di un passato difficile, che per sfuggire alla realtà si rifugia in un mondo fantastico, popolato di supereroi. Enzo con i suoi superpoteri si materializza così nel suo eroe preferito:Jeeg Robot d’acciaio. Con l’aiuto di Alessia, Enzo capisce come sfruttare al meglio le sue nuove facoltà, aiutando i più deboli. Ma ogni eroe che si rispetti ha il suo antieroe, che nel film è Lo Zingaro, interpretato da uno straordinario Luca Marinelli, che nell’impronta caricaturale rende credibile il personaggio: un piccolo boss di una banda con velleità da “Padrino”. Nel cast troviamo ancheStefano Ambrogi, Maurizio Tesei e Francesco Formichetti.

Un film originale, onesto, divertente e intelligente, sull’irrealtà del reale. Tra intrattenimento e azione, la storia si dipana in equilibrio lungo un filo sottile, dove l’assurdità diventa credibile.

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Claudio Santamaria

Senza falsi moralismi o ipocrisie, senza gli effetti speciali a cui ci ha abituato il cinema americano, ma concentrandosi e soffermandosi maggiormente sull’indagine introspettiva dei personaggi, la pellicola, attraverso un accurato lavoro di regia e una sceneggiatura mai banale, dipinge con fantasia e realismo il momento storico attuale, riuscendo a raccontarlo con leggerezza e profondità.

Dopo il successo ottenuto con il cortometraggio Tiger Boy, vincitore del Nastro D’Argento 2013, Gabriele Mainetti conferma il suo talento con un film dai connotati internazionali, ma al tempo stesso profondamente e orgogliosamente italiano.

Lo chiamavano Jeeg Robot uscirà nelle sale il 18 febbraio 2016.

November 25, 2015

Tratto da una raccolta di racconti dell’autrice francese Cécile Aubry, le avventure del piccolo Sébastien e della sua inseparabile amica Belle, un enorme cane simil maremmano, tornano al cinema. Dopo la serie tv e il cartone animato giapponese, dalla Francia è arrivato nel 2013 il live action Belle e Sébastien, applaudito da pubblico e critica. Ma non finisce qui. Per la gioia dei più piccoli e non solo è infatti in uscita per le feste natalizie il sequel: Belle e Sébastien, L’avventura continua. La storia è ambientata un paio d’anni dopo le vicende narrate dalla prima pellicola. La guerra è ormai conclusa e Sébastien vive felice tra le montagne con il nonno e la sua enorme amica a quattro zampe. Insignita di una medaglia al valore per i servizi resi durante il conflitto, Angelina sta per fare ritorno a casa. Sébastien è in fermento e non vede l’ora di riabbracciarla, ma nel giorno tanto atteso Angelina rimane vittima di un terribile incidente aereo, al confine tra Francia e Italia, nel cuore della foresta transalpina. Data per morta dalle autorità locali, Sébastien e il nonno non si rassegnano all’idea di non rivederla più. Decidono così andarla a cercare. Durante la spedizione, Sébastien incontra il burbero Pierre Marceau, che li aiuterà nell’impresa. Pierre in realtà è il padre di Sébastien. La vicinanza obbligata tra padre e figlio, sarà l’occasione per instaurare un bellissimo rapporto.

Dopo il primo film diretto da Nicolas Vanier, ora la palla è passata al canadese Christian Duguay, che prende le distanze dal testo della Aubry, con una sceneggiatura originale. Nuovi personaggi accompagneranno il protagonista, interpretato dal bambino prodigio Félix Bossuet, nella sua avventura. Più azione condita da una maggiore ironia, per una trama che si basa principalmente sul rapporto padre-figlio, dove l’amicizia con l’enorme cane, tema centrale nel precedente capitolo, ora fa da sfondo alla storia. La natura, gli animali, i paesaggi, il valore dell’amicizia, i sentimenti, in un’atmosfera magica da favola, rimangono elementi caratterizzanti e parte integrante del racconto, ma il secondo capitolo si sofferma maggiormente sull’indagine psicologica dei personaggi, in una visione più intima e introspettiva.

Nel cast anche Tchéky Karyo, Margaux Chatelier, Thierry NeuviceUrbain Cancelier, il film è prodotto dalla Radar Films e distribuito dalla Notorious Pictures.

Presentato in anteprima mondiale in occasione dell’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, all’interno della sezione Alice nella Città,Belle e Sébastien uscirà nelle sale a partire dall’8 dicembre 2015.

November 18, 2015


Bestia da Stile di Pier Paolo Pasolini è andato in scena al Teatro Studio Eleonora Duse di Roma dal 9 al 16 Novembre 2015 con la regia di Fabio Condemi, al suo debutto nel saggio per l’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Bestia da Stile, un testo autobiografico al quale Pasolini lavorò a più riprese dal 1965 al 1974, rappresenta un’acuta riflessione sulla difficoltà di raccontare i conflitti della modernità e l’impotenza del poeta.

Protagonista della pièce è il giovane Jan Palach, interpretato da un intenso Gabriele Portoghese, doppio del poeta e ispirato allo studente cecoslovacco che si diede fuoco durante la Primavera di Praga. Sul palco, allestito con pannelli trasparenti in movimento su cui vengono incise le parole “Viva lo stile” e “Abbasso lo stile”, scorre la vita di Jan in una Boemia che rappresenta il Friuli. Si ripercorrono così le tappe della vita del poeta: la formazione, la giovinezza, i conflittuali e difficili rapporti familiari, gli ideali politici, le persecuzioni, la guerra, l’invasione sovietica di Praga, la degradazione e dispersione degli affetti. Gli attori ruotano attorno al protagonista, quasi a rappresentare un coro da cui prendono vita alcuni personaggi, parte integrante dell’esistenza di Jan. Il ritmo è scandito da musica, corpo e parole. Si rimane per tutto il tempo con gli occhi fissi sulla scena, colpiti da versi che oltrepassano il palco e giungono allo spettatore, che osserva inerme, come il poeta, il fluire inesorabile della storia. Fuori dalle regole, dalla forma e dallo stile, si va dritti all’essenza della parola stessa, dove la materia si unisce alla forma, afferma e smentisce allo stesso tempo. Realtà e poesia: il significato del verbo emerge con tutta la sua forza e diventa messaggio per chi ascolta. Nell’ombra le figure del padre e della madre. Si rimane colpiti dallo struggente, dissacrante, sarcastico monologo della madre, interpretata con straordinaria bravura e padronanza scenica da Valeria Almerighi. La profezia del tramonto di un’epoca, il ritratto intimo dell’autore, la lucida analisi politica sempre attuale, emergono con estrema chiarezza dalla rappresentazione. Riduttivo definirlo saggio, è uno spettacolo vero e proprio: emozionante, coinvolgente, armonico nei contrasti. Decisamente bravi gli interpreti a rendere il senso profondo di un testo insidioso, oscuro, controverso, con un sottotesto egualmente rilevante, dove la parola è protagonista. La messa in scena riesce a trasmettere, grazie ad una regia acuta, intelligente e sensibile, le emozioni, il cuore lacerato da sentimenti contrastanti, con una passione che va oltre il personaggio che ne è pervaso, creando una profonda empatia con lo spettatore. La parola diviene paradosso, angoscia esistenziale di un corpo diviso dalla sua anima.

November 15, 2015

Il prossimo 12 Dicembre a Berlino si svolgerà la ventottesima edizione degli Oscar Europei: European Film Awards. L’Italia sarà rappresentata con Paolo Sorrentino, che fa il pieno di candidature, Nanni Moretti e il documentario di Ivan Gergolet “Dancing With Maria”.

“Youth”, il film del Premio Oscar Paolo Sorrentino sul valore della giovinezza e sul trascorrere del tempo, conquista cinque nomination: European film, European director (Paolo Sorrentino), European Actor (Michael Caine), European Actress (Rachel Weisz), European Screenwriter (Paolo Sorrentino). Nanni Moretti è in corsa per la miglior regia con la pellicola “Mia Madre”, che si aggiudica, con Margherita Buy, anche la candidatura come sasmiglior attrice. Sventola inoltre bandiera italiana, nella categoria documentari, “Dancing with Maria” diretto da Ivan Gergolet.

Altre quattro nomination vanno alla commedia surrealista “A pigeon sat on a branch reflecting on existence” (Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza) dello svedese Roy Andersson, nella rosa del premio come miglior regista e sceneggiatore, candidata come miglior film e miglior commedia. Mentre “The Lobster”, diretta dal greco Yorgos Lanthimos, tragicommedia dell'assurdo di fantascienza, sarà tra i candidati al miglior film, miglior regia, sceneggiatura e miglior attore, Colin Farrell.

Il tedesco “Victoria”, diretto da Sebastian Schipper, ha ottenuto le nomination come miglior film, miglior regia e miglior attrice, la spagnola Laia Costa.

Le altre opere in corsa per la miglior pellicola europea sono: l'islandese “Hrútar” (Rams) di Grímur Hákonarson; la franco-turca “Mustang”, debutto di Deniz Gamze Ergüven. La miglior commedia andrà invece ad una delle seguenti opere: la francese "La famiglia Bélier" di Eric Lartigau e la belga “Dio esiste e vive a Bruxelles”, diretta da Jaco Van Dormael.

Fra i registi, oltre Moretti e Sorrentino, è candidata anche la polacca Malgorzata Szumowska per “Cialo” (Corpo). Il premio miglior attore sarà conteso tra Michael Caine (Youth), Colin Farrell (The Lobster), Tom Courtenay (45 anni),il francese Vincent Lindon (La legge del mercatoe Christian Friedel (13 minuti). Tra le migliori interpreti femminili: Laia Costa (Victoria), RachelWeisz (Youth), Charlotte Rampling (45 anni), Margherita Buy (Mia madre) e Alicia Vikander (Ex Machina).

Queste le candidature. Ora non resta che aspettare la data del 12 Dicembre per sapere chi saranno i vincitori degli European Film Awards.

November 05, 2015

È uscito il 5 Novembre al cinema Alaska, il nuovo lavoro di Claudio Cupellini con Elio Germano e l’attrice francese Astrid Bergès Frisbey, nota al grande pubblico per aver vestito ipanni della sirena Serena nel film “Pirati dei Caraibi: oltre i confini del mare”.

La pellicola, girata tra Francia e Italia, è stata inserita nella selezione ufficiale della decima edizione della Festa del Cinema di Roma. Ambientato a Parigi, il film racconta la storia dell’amore disperato e tormentato tra Fausto, un cameriere italiano che lavora in un hotel di lusso, e Nadine, una ventenne aspirante modella. I due ragazzi si conoscono sulla terrazza di un albergo della “Ville Lumière”. Un tragico avvenimento porterà ad un susseguirsi inarrestabile di eventi, che vedrà i due giovani perdersi, ritrovarsi, soffrire e amarsi. Dopo aver provato l’esperienza del carcere, Fausto imboccherà la strada del crimine mettendo in piedi, con un socio, un locale alla moda chiamato Alaska. Nadine, dal canto suo, è ossessionata dall’incessante inseguimento di un sogno da vivere. Un amore difficile, una passione travolgente, un futuro troppo lontano, tra inseguimenti, fughe e avventure, si racconta una storia d’amore epica, mostrando uno spaccato della nostra società.


Diretto da Claudio
Cupellini, regista di “Lezioni di cioccolato” e della serie “Gomorra”, Alaska è un film romantico, con echi drammaturgici del romanzo di formazione, su un amore in fuga, che avanza oltre ogni limite, impetuoso e incontenibile, travolge ogni singolo attimo, tra sofferenze, sogni infranti e un futuro inafferrabile, sui contorni indefiniti di una favola che sfuma tragicamente e inevitabilmente nella realtà.

I protagonisti, affamati di vita, si rendono lentamente conto dell’importanza dei sentimenti. Due cuori alla deriva, alaska 744x445apolidi, soli, alla disperata ricerca di un luogo sicuro, di una felicità che sembra irraggiungibile, in una sorta di corsa all’oro che li metta in salvo dal vuoto delle loro fragili esistenze.

Reduce dal successo de “Il giovane favoloso”, ritroviamo Elio Germano in splendida forma affiancato dalla bellezza eterea di Astrid Bergès Frisbey, una delle stelle più promettenti del cinema francese. Nel cast anche Valerio Binasco, Elena Radonichich, Antoine Oppenheim e Marco D’Amore, protagonista della serie televisivaGomorra.

Il film, scritto dallo stesso regista insieme aFilippo GravinoeGuido Luculano, è prodotto da Indiana Production Company con Rai Cinema, in coproduzione con la francese 2.4.7. Films, e realizzatocon il sostegno della Bls - Film Fund & Commissione dell’Alto Adigee ilcontributo del MiBACT(Interesse Culturale).

November 04, 2015

Le “dee indiane arrabbiate” (“Angry indian godesses”), belle ragazze, modelle e fotografe che vivono nel mondo della moda e che disdegnano gli approcci maschili perché non vogliono sentirsi trattate da oggetti, rappresentano una già vista parodia del marketing. Snobbano tutte le sfaccettature del facile successo perché si sentono bellissime ed originali, ma non ne sanno fare a meno. I loro discorsi sono scontati e, aldilà di qualche piccola gag, il film risulta una commedia mediocre. Evidentemente il pubblico italiano del 2015 desidera la commedia facile a lieto fine e non vuole saperne di implicazioni intellettuali e di enigmi da risolvere per capire una storia. Peccato che i registi italiani siano quasi tutti di quest’ultima tendenza. Bisogna scegliere quindi un film che non sia italiano se si vogliono fare delle spensierate risatine.

Ma non c’è bisogno di essere banali per affascinare il pubblico che non vuole impegnare il cervello. Basta guardare il delicato humour di “Distancias cortas”, una commedia messicana che affronta il tema dell’isolamento e della bruttezza fisica con molta ironia ma con molto buon senso. Il regista è Alejandro Guzman Alvarez ed il protagonista (Fede) è il bravissimo Luca Ortega. Fede è gravemente obeso ma prende con filosofia il suo stato disagiato che gli impedisce di uscire, di muoversi, persino di allacciarsi le scarpe. E quando vede la macchina fotografica di suo cognato desidera uscire dal suo torpore che lo ha rinchiuso in casa per tanto tempo. Le fotografie sono il contatto con l’esterno, e spingono la sua curiosità verso una vita nuova. Fa amicizia con il commesso del negozio di foto, ragazzo apparentemente diversissimo da lui, un punk dalla vita scombinata ma inaspettatamente generoso e disponibile. Il film, con pochi attori e poche ambientazioni riesce ad essere veloce, essenziale e gradevole allo stesso tempo e trasmette un chiarissimo quanto profondo messaggio di umanità e sensibilità senza inutili intellettualismi. Originale nella trattazione, è ottimo, da non perdere.

Drammatico, ma fino a un certo punto, e con qualche piccolo tratto di humour, è il film “La delgada linea amarilla”, del regista messicano Celso R. Garcia. La storia comincia con una triste situazione: un guardiano viene licenziato e sostituito con un cane. Ma il problema della disoccupazione e della solitudine non è il nocciolo della storia: ben presto viene sostituito da sentimenti come la solidarietà, la correttezza, la sincerità. Originale il soggetto, che tratta di una avventura di operai della strada che vengono assunti per tracciare una linea gialla di mezzeria , lunga 200 km, nella strada che collega due città. I protagonisti provengono da storie molto diverse e in queste due settimane di lavoro in cui si trovano spesso a fronteggiare spiacevoli imprevisti ed arrabbiature creano dei rapporti umani molto profondi, come la solidarietà e la correttezza. Allora si risvegliano le speranze e i desideri che stanno nel cuore di ogni persona, ed anche brevi momenti di sogno e di felicità. La fine non è scontata: un muro di antiche incomprensioni tra padri e figli viene abbattuto. Film da non perdere.

A proposito del rapporto tra padri e figli, in un ambito di isolamento, il film – documentario “The Wolfpack”, della regista statunitense Crystal Moyselle, racconta la strana storia , vera, di una famiglia in cui sette figli sono costretti da un padre dispotico a vivere segregati in una casa, a New York. Il padre, peruviano e convertito hari krishna , pensa che la sua famiglia non debba subire le impure contaminazioni della metropoli. Ma poi anche lui si ubriaca ed è un violento. La storia è paradossale ma vera ed il documentario ci illustra come questi sette fratelli riescano a conoscere tutto ciò che avviene al di fuori della loro casa soltanto attraverso la televisione e i film.

Il tema dell’isolamento si presenta anche nel film “Room”, del regista irlandese Lenny Abrahanson. Strana storia, quella di una giovane madre con il suo bambino (Jack) che vivono segregati in un capanno per cinque anni, vittime di un rapimento. Ed il bambino non conosce né il mondo esterno né le parole di quel mondo. Conosce solo il lavandino, il lucernaio, il letto e l’armadio. E in quell’armadio si rifugia quando Old Nick (il sequestratore) si mette a letto con la sua mamma. Quando mamma e figlio riescono a scappare da quell’orrido squallore, oltrepassando quella porta blindata con il codice, Jack vede meravigliato il sole, gli alberi ed un intero mondo mai visto prima, con oggetti di cui paradossalmente non sa il nome. Molto lento e poco chiaro nella prima parte, il film riesce a snellirsi e a spiegare il suo significato solo dopo una buona mezz’ora. Ma forse è proprio quella l’intenzione del regista: un’ostinata illustrazione della violenza e della costrizione all’isolamento in un luogo squallido. Molto interessante.

Sempre a proposito del rapporto tra padri e figli, il film “Amama, When a tree falls”, del regista spagnolo Asier Altuna, racconta una storia ambientata in una fattoria rurale nei Paesi Baschi. E’ la storia di una famiglia, del conflitto tra campagna e città, tra passato e presente, genitori e figli, attaccamento alla tradizione e modernità.  Ad ogni componente della famiglia viene associato un albero : e questa piccola superstizione è il filo conduttore del film.

Anche il film “Ville Marie”, del regista canadese Guy Edoin, racconta della spaccatura tra madre e figlio. Lei, un’attrice famosa, interpretata da una inedita Monica Bellucci, va a Montreal per le riprese di un film ed approfitta per rincontrare suo figlio, il quale non è mai riuscito a conoscere la vera identità del padre. La verità è nel film che lei sta girando. La sceneggiatura appare costruita in modo posticcio e lo svolgimento dei fatti risulta frammentario. Inoltre Monica Bellucci , trasformata in una bionda con gli occhi neri, non sembra affatto un personaggio azzeccato né disinvolto.

E che dire dei genitori perduti e ritrovati? Nel film brasiliano “Campo Grande”, (Sezione “Alice nella Città”) di Sandra Kogut, due bambini vengono abbandonati dalla madre alla fermata di un autobus, vicino alla casa di una signora benestante, Regina (Carla Ribas). Regina cerca di accogliere in casa sua questi due bambini piuttosto irrequieti, che si ostinano ad aspettare la loro mamma. Dopo vari tentativi di lasciare i due fratellini in un orfanotrofio decide di ospitarli e di aiutarli a cercare la loro mamma. Ma la mamma non arriva mai. Un giorno Regina si trasferisce, lasciando l’appartamento. Dopo qualche giorno una ragazza suona al citofono di quell’appartamento, dicendo di essere la figlia di una donna di servizio che aveva lavorato da Regina…. Non è chiaro, all’inizio, come si incontrano Regina e i due bambini. E non è chiara la fine. Il film è abbastanza interessante ma poco chiaro in molti punti.

October 07, 2015

“Spotlight” , film del regista americano Tom Mc Carthy, presentato in settembre al 72mo Festival del Cinema di Venezia , fuori concorso, racconta la storia vera di una inchiesta svoltasi in merito agli abusi che i preti cattolici hanno praticato su molti minorenni, a Boston, la città con il più alto numero di cattolici negli Stati Uniti,.

Il film si ispira al Watergate cattolico del 2002: una lunga serie di abusi perpetrati da molti preti su decine di minori a Boston. Un abominio che è andato avanti per decenni, sempre accuratamente nascosto, prima che arrivasse un’inchiesta giornalistica del “ The Boston Globe” a scoperchiare lo scandalo. L’indagine fece vincere al quotidiano il premio Pulitzer di pubblico servizio nel 2003.

Furono scritti più di 600 articoli per raccontare le oltre 1000 violenze subìte dai bambini e mai venute fuori fino allora. Il profilo delle vittime era sempre lo stesso: quasi tutti provenivano da famiglie povere, con padri e madri assenti e tanto disagio. Quello che subirono fu un abuso fisico ma anche spirituale. I bambini erano smarriti e non sapevano a chi rivolgersi , le loro famiglie non erano in grado di comprendere e facevano quello che i preti volevano fosse fatto.

Nel film l’inchiesta è condotta da alcuni intrepidi giornalisti del quotidiano “The Boston Globe”, fortemente determinati a scoprire i segretissimi ed occultati carteggi relativi ai numerosi abusi sessuali perpetrati dai preti cattolici nei confronti di molti minorenni.

I giornalisti, protagonisti assoluti del film sono decisi a rivelare quello che per trent’anni era accaduto nell’omertà generale: la pedofilia tra i preti di Boston e soprattutto lo scandalo della copertura della Chiesa. Un giorno scoprono che anche il direttore di redazione , Walter Robinson, (interpretato da Michael Keaton) aveva già avuto tra le mani materiale che avrebbe potuto far scoppiare il caso anni prima, ma trascurò la cosa. Così come le alte sfere hanno taciuto e le vittime hanno preferito non denunciare.

Questo straordinario gruppo di giornalisti investigativi, aggregati sotto il nome di “Spotlight” riesce a raccogliere prove contro settanta preti pedofili e a dimostrare che da parecchio tempo esisteva la pratica diffusa in base alla quale, quando il vescovo di Boston, Bernard Francis Law, veniva a sapere di denunce fatte dalle famiglie dei ragazzini abusati, patteggiava con i familiari un rimborso, spostava di parrocchia il religioso colpevole, per poi rimetterlo, dopo poco tempo, al suo posto. Senza mai prendere provvedimenti drastici contro il prete pedofilo.

In una città in cui regna il falso perbenismo e in cui si nascondono i misfatti di quelli che dovrebbero essere i portatori della religione cattolica l’inchiesta di qualche giornalista è scomoda per qualcuno ed è un’ impresa veramente ardua che incontra sbarramenti sin dall’inizio: dalle perplessità del capo redazione alle reticenze dell’avvocato che ha trattato tutti i casi. Per non parlare dell’incredulità iniziale della popolazione. I giornalisti infatti si scontrano spesso con numerosi e invisibili ostacoli sociali, politici e burocratici, rappresentati da rinomati avvocati che hanno scelto, sotto scambio di denaro, di nascondere e non denunciare e da familiari che chiudono le porte, impauriti e reticenti.

Per non parlare del cinismo di alti esponenti della Chiesa Cattolica, che, come se niente fosse, fingono che non sia mai successo niente, sprezzanti dei diritti umani e della dignità delle persone che hanno subìto le conseguenze negative dei loro misfatti. Paradossale è anche la loro pretesa di voler insegnare il bene alla comunità.

Tutto parte dalla coraggiosa testimonianza di un giovane che si presenta in redazione deciso a raccontare, finalmente dopo tanti anni, le violenze subìte da bambino, da parte dei preti: fatti che lo avevano disastrosamente scioccato e che lui non aveva mai avuto la forza di raccontare a nessuno. I giornalisti, strabiliati, pensano subito ad un grosso scoop ma contemporaneamente desiderano portare un prezioso servizio alla società, mettendola al corrente dell’esistenza di inquietanti verità.

Dopo la pubblicazione di centinaia di fascicoli colmi di testimonianze di orrori e violenze – anche su bimbi di 10 anni - , nel 2004 il cardinale Bernard Francis Law , arcivescovo di Boston dal 1984 al 2002, fu costretto a dimettersi in seguito allo scandalo per avere sempre fatto insabbiare i fatti e per non aver mai denunciato pubblicamente novanta sacerdoti dei quali quasi sessanta furono costretti poi a lasciare l’incarico. Law venne incredibilmente trasferito a Roma, alla Basilica di Santa Maria Maggiore, da Giovanni Paolo II. E tuttora vive lì indisturbato, a 6437 chilometri dai brutti ricordi.

Non sono mai state erogate delle vere e proprie sanzioni penali, come accade invece per tutti i cittadini che commettono un reato.

“Spotlighi” è un film cinematograficamente molto efficace perchè è sorretto da un cast di attori perfettamente aderenti al ruolo e perché afferma un dato di fatto incontrovertibile: la Chiesa Cattolica, grazie ad alcuni suoi esponenti collocati ai più alti livelli della gerarchia, ha creduto di salvare la fede dei molti nascondendo la perversione di pochi. Ha invece ottenuto l’effetto contrario creando il sospetto nell’opinione pubblica.

Thomas Mc Carthy presenta un film di denuncia, che è anche un omaggio al giornalismo di inchiesta perché vuole riconoscere importanza al giornalismo investigativo. Il film è veloce, d’azione, senza inutili esitazioni, ma essenziale, pregnante e ben costruito. E soprattutto racconta scottanti verità.

Jolanda Dolce

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