L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1389)

Free Lance International Press

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La Madonna della Cintola, dipinta intorno al 1450 da Benedetto Gozzoli, allievo prediletto del Beato Angelico può essere ammirata nel suo originale splendore, rappresentata mentre sale al cielo e si volge dolcemente verso l’Apostolo Tommaso per offrirgli la sua cintura, egli che aveva già dubitato della resurrezione di Cristo riceve il dono a testimonianza dell’evento miracoloso dell’assunzione al cielo di Maria in anima e corpo.

Correva l’anno 1848 e precisamente il giorno 9 del mese di Maggio quando Papa Pio IX a “perpetua memoria” concedeva il tanto sospirato titolo di “Città” a Montefalco con il seguente diploma: “Sull’esempio dei nostri predecessori romani pontefici siamo soliti conferire di buon grado il titolo e l’onore di Città a quelle terre che per numero di abitanti, dignità di costumi, lodevoli operosità, e soprattutto per certa ed indiscussa fedeltà ed obbedienza verso la Sede Apostolica si distinguano. Ora, v’è in Umbria una terra, chiamata Montefalco, che veramente non di sol Titolo è adorna. E’ noto infatti che, oltre la sua antichità, essa fu ricca di uomini i quali, o per santità di costumi meritano di essere ascritti ai fasti celesti, o per fortezza d’animo procacciarono a loro stessi e alla patria grande lode in pace e in guerra “.

“Oggi quello stesso amore di patria e la comunità Montefalchese” ci conferma con il consueto entusiasmo  Donatella Tesei, sindaco di Montefalco, “ mi hanno spinto con determinazione a ricercare la strada per riportare a Montefalco, con una mostra straordinaria, quella preziosa pala di Benozzo Gozzoli, che la città riconoscente per il prestigioso titolo ricevuto, donò a Papa Pio IX. Dunque, dopo 167 anni la preziosa Pala della “Madonna della Cintola” torna a Montefalco per congiungersi, seppur temporaneamente, al prezioso ciclo degli affreschi che il maestro Benozzo Gozzoli realizzò nello stesso periodo nella Chiesa Museo di San Francesco.Il risultato raggiunto è per me e per tutta la comunità una gioia immensa.Tutto ciò è stato possibile grazie alla collaborazione e guida del Prof Antonio Paolucci direttore dei Musei Vaticani, di sua Ecc. Renato Boccardo, degli amici dell’Accademia della “Cultura Montefalco” e altre autorità e sponsor , che mi hanno esortata a continuare e “lottare” perché questo desiderio si avverasse … credo che la realizzazione di questo importante progetto sia motivo di vanto per l’intera comunità, non solo per la grande importanza culturale dell’evento ma anche per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico Montefalchese …”.

“Il prestigioso risultato raggiunto nella ristrutturazione dell’opera ” , commenta il Prof. Paolucci, “ è uno dei capolavori del Rinascimento pittorico italiano come il restauro condotto dagli operatori dei Musei Vaticani, Alessandra Zarelli e Massimo Alesi, per la direzione di Arnold Nesselrath coadiuvato da Adele Breda, ha dimostrato: carpenteria lignea di straordinaria qualità, quasi un capolavoro di ingegneria strutturale, arrivato miracolosamente intatto fino ad oggi; cromia tenera e luminosa, sottigliezze fiamminghe degne dell’Angelico, all’altezza del Tabernacolo dei Linaioli e degli affreschi di San Marco.

Ora, portando dal Vaticano a Montefalco la grande pala dell’Assunta, già in San Fortunato, tutti potranno vedere come quell’insegnamento ha fruttificato negli anni fino a diventare lo stile maturo del pittore autore del ciclo del San Francesco.

Per realizzare una impresa come questa, l’amore per la patria, il desiderio di far conoscere e di valorizzare la gloriosa tradizione artistica di Montefalco non erano però da soli sufficienti. Ci volevano, perché il progetto arrivasse al risultato, lungimiranza, pazienza, determinazione, capacità di spiegare e di persuadere.

Sono queste le risorse che solo la buona politica può mettere in campo ed è quello che Donatella Tesei ha saputo fare, attivando e coltivando gli opportuni contatti con i Musei Vaticani, coinvolgendo la comunità, reperendo le risorse necessarie al costoso restauro.

Così a luglio del 2015 Bernozzo Gozzoli è tornato a Montefalco presentando la più bella, la più prestigiosa fra le sue opere di pittura su tavola, mentre la Pinacoteca Vaticana si arricchisce di un prezioso restauro.”

Oltre 11.000 visitatori sono già arrivati ad ammirare lo splendore della eccezionale opera, in continua ascesa di pubblico e di critica richiamati dallo straordinario evento.

… E così, che ci rimane di questa stupenda giornata a Montefalco?

L’avvocato Donatella Tesei, sindaco di Montefalco, che con la forza delle sue idee, con il suo contagioso entusiasmo e carisma ha realizzato questo affascinante evento.

Il Prof. Antonio Paolucci … profondo, al tempo stesso accogliente, sembra prenderti per mano e portarti “dentro” l’opera d’arte; giunto al commiato confessa “si può pensare che Benozzo Gozzoli si fosse innamorato di Montefalco ... e anche io!”

Un affettuoso scroscio di applausi a non finire da una platea attenta, sofisticata e orgogliosa.

Grazie Montefalco!

L’OMS non dice che imputata è solo la carne trattata, ma che la carne trattata è peggio delle altre.

 

Con le ultime dichiarazioni dell’OMS sulla cancerogenicità della carne, macellai e lobby zootecniche, pervasi da un improvviso terrore che possano diminuire i guadagni, si sperticano per attutire il colpo e blandire il problema; senza considerare l’impatto che produce sull’economia personale e collettiva in fatto di cure mediche, e che ad ogni macelleria che chiude si apre inevitabilmente un negozio di frutta e verdura. In modo particolare l’attenzione è posta sulle carni rosse e quelle trattate classificate come cancerogene al pari della Diossina, dell’Amianto, della Formaldeide, del Benzopirene, del Tabacco, etc. Ma per i presentatori televisivi, e compari nutrizionisti di turno, che cercano in ogni modo di ammorbidire le dichiarazioni dell’OMS, la parola d’ordine è evitare allarmismi in modo da lasciare la massa nell’ipnosi programmata dal sistema capitalistico delle grandi lobby interessate a vendere i loro prodotti anche a costo di un’epidemia planetaria; come se i risultati scientifici di 22 esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, provenienti da 10 paesi diversi, e i più degli 800 dossier arrivati da ogni parte del mondo messi a punto negli ultimi 20 anni, siano dei banali risultati senza valore che noi italiani, gente avveduta e parsimoniosa, non è tenuta a rispettare perché non solo consuma poca carne ma dato che i nostri prodotti sono “sicuri”, queste prescrizioni vanno bene per gli americani che consumano 120 kg di carne a testa l’anno, cioè 3,2 etti al giorno, non per noi che ne consumiamo “appena” 78 kg, cioè 2,2 etti al giorno.

E così evitano di dire che una bistecca fa male e che, come le sigarette, molte fanno peggio. Ma Chi è a corto di idee si trincera dietro la stupida, banale, piccina, avvilente, patetica posizione della “moderazione” col “mangiare un pò di tutto”, che è come invitare a moderare il consumo di sigarette, di alcol o di droga non di eliminarle del tutto; che è come dire che la cicuta in dosi modeste è utile all’organismo: ma se un prodotto è nocivo lo è sempre, in poche e in quantità elevate, i cui effetti più o meno gravi, a breve o a lunga scadenza, dipenderanno dalle condizioni dell’organismo.

In sostanza, l’intento è quello di non turbare il sonno della popolazione, ma di convincerla a consumare almeno la carne due volte a settimana, naturalmente con l’aggiunta di pesce, latticini e uova, in modo da non scontentare i buon gustai più disposti a farsi tagliare un braccio che mettere solo in discussione l’eventualità di ridurre o peggio rinunciare alle piacevoli abitudini gastronomiche: praticamente la dieta di sempre, quella responsabile delle più tremende malattie che sta portando l’Occidente verso una popolazione di ammalati cronici, a beneficio di allevatori, macellai e industrie chimico-farmaceutiche.

A chi per sue motivazioni egoistiche, per scarsa percezione, limitata sensibilità umana o interessi economici sostiene la validità del consumo di carne, ricordiamogli che sostenere questa malsana abitudine è da irresponsabili verso se stessi e verso il destino comune; che il consumo di carne è indifendibile perché ad essa sono imputabili i più gravi problemi che attanagliano l’umanità attuale; che i vegetali sono raccomandati in ogni terapia, anche se non biologici, per contro la carne anche se da allevamenti bucolici è portatrice di prodotti nocivi che scaturiscono dagli organismi in via di decomposizione, come la cadaverina, la putrescina, l’ammoniaca, fenoli, indoli ecc. Diciamo che il consumo di carne è insostenibile perché è impossibile per il pianeta nutrire un popolo di carnivori; che la carne è la maggiore imputata nell’inquinamento che ha alterato il clima terrestre con le nefaste conseguenze di alluvioni che stanno devastando il pianeta.

Diciamo che gli allevamenti di animali e le necessarie monocolture sono la maggiore causa della distruzione delle foreste, dello sperpero di energia e acqua potabile e, non ultima, la fame del Terzo mondo.

Il presidente Provinciale (Le) per la Lotta Contro i Tumori Giuseppe Serravezza dice che la società degli oncologi italiani che ha gettato acqua sul fuoco affermando che basta consumare dosi minime di carne rossa per non correre rischi, non hanno competenza in materia, e che spetta invece agli epidemiologici per farlo. E aggiunge che quella della quantità moderata è una sciocchezza, perché tutte le sostanze cancerogene non hanno una soglia minima perché si accumulano nel tempo… i piccoli danni si accumulano e alla fine si scatena il danno grave.

“Da anni e in migliaia di studi ormai si parla delle gravi problematiche legate al consumo di carne, agli allevamenti intensivi, ai problemi ambientali, all’alto contenuto di sostanze tossiche derivanti dall’inquinamento e concentrate in dosi massicce proprio nella carne. Per cui si parla di interferenti endocrini, di “endocrine disruptors” cioè di pesticidi, diserbanti, fungicidi, insetticidi, rodenticidi, fitoregolatori, nitrosamine, diossina, etc. LE DIOSSINE in particolare sono liposolubili, si accumulano e rimangono nei tessuti. L’uomo non può eliminarle, la donna le trasferisce al bambino. Oltre il 90% di esse penetrano nell’organismo tramite: LATTE e derivati, CARNE e PESCE”. (Dr. Maurizio Contem Pediatra).  

Interessanti sono anche le dichiarazioni dell’oncologo Prof. Umberto Veronesi che così si esprime: “La carne è cancerogena. Tutte le persone che consumano prodotti animali si espongono ad un rischio maggiore di contrarre diversi tipi di patologie. Corrono mediamente il 30% di rischio in più di contrarre vari <http://italia-notizie.it/quali-i-tumori-diffusi-in-italia/> tipi di tumori. Le riviste medico scientifiche più accreditate sono sul libro paga delle multinazionali farmaceutiche e pubblicano solo ciò che è consentito loro di pubblicare o ciò che è imposto loro dalle suddette multinazionali. Molti medici e ricercatori sono coscienti degli effetti dannosi del consumo della carne, ma hanno le mani legate. Io che sono uno scienziato di fama internazionale posso prendermi il lusso di fare queste dichiarazioni, se lo facessero loro molto probabilmente non lavorerebbero più. L’industria alimentare e le multinazionali farmaceutiche viaggiano di pari passo, l’una ha bisogno dell’altro e queste due entità insieme generano introiti circa venti volte superiori a tutte le industrie petrolifere del globo messe insieme, potete dunque capire che gli interessi economici sono alla base di questa disinformazione. Ogni malato di cancro negli Stati Uniti fa guadagnare circa 250.000 dollari a suddette multinazionali, capirete che questa disinformazione è voluta ed è volta a farvi ammalare per poi curarvi”.

November 04, 2015

Le “dee indiane arrabbiate” (“Angry indian godesses”), belle ragazze, modelle e fotografe che vivono nel mondo della moda e che disdegnano gli approcci maschili perché non vogliono sentirsi trattate da oggetti, rappresentano una già vista parodia del marketing. Snobbano tutte le sfaccettature del facile successo perché si sentono bellissime ed originali, ma non ne sanno fare a meno. I loro discorsi sono scontati e, aldilà di qualche piccola gag, il film risulta una commedia mediocre. Evidentemente il pubblico italiano del 2015 desidera la commedia facile a lieto fine e non vuole saperne di implicazioni intellettuali e di enigmi da risolvere per capire una storia. Peccato che i registi italiani siano quasi tutti di quest’ultima tendenza. Bisogna scegliere quindi un film che non sia italiano se si vogliono fare delle spensierate risatine.

Ma non c’è bisogno di essere banali per affascinare il pubblico che non vuole impegnare il cervello. Basta guardare il delicato humour di “Distancias cortas”, una commedia messicana che affronta il tema dell’isolamento e della bruttezza fisica con molta ironia ma con molto buon senso. Il regista è Alejandro Guzman Alvarez ed il protagonista (Fede) è il bravissimo Luca Ortega. Fede è gravemente obeso ma prende con filosofia il suo stato disagiato che gli impedisce di uscire, di muoversi, persino di allacciarsi le scarpe. E quando vede la macchina fotografica di suo cognato desidera uscire dal suo torpore che lo ha rinchiuso in casa per tanto tempo. Le fotografie sono il contatto con l’esterno, e spingono la sua curiosità verso una vita nuova. Fa amicizia con il commesso del negozio di foto, ragazzo apparentemente diversissimo da lui, un punk dalla vita scombinata ma inaspettatamente generoso e disponibile. Il film, con pochi attori e poche ambientazioni riesce ad essere veloce, essenziale e gradevole allo stesso tempo e trasmette un chiarissimo quanto profondo messaggio di umanità e sensibilità senza inutili intellettualismi. Originale nella trattazione, è ottimo, da non perdere.

Drammatico, ma fino a un certo punto, e con qualche piccolo tratto di humour, è il film “La delgada linea amarilla”, del regista messicano Celso R. Garcia. La storia comincia con una triste situazione: un guardiano viene licenziato e sostituito con un cane. Ma il problema della disoccupazione e della solitudine non è il nocciolo della storia: ben presto viene sostituito da sentimenti come la solidarietà, la correttezza, la sincerità. Originale il soggetto, che tratta di una avventura di operai della strada che vengono assunti per tracciare una linea gialla di mezzeria , lunga 200 km, nella strada che collega due città. I protagonisti provengono da storie molto diverse e in queste due settimane di lavoro in cui si trovano spesso a fronteggiare spiacevoli imprevisti ed arrabbiature creano dei rapporti umani molto profondi, come la solidarietà e la correttezza. Allora si risvegliano le speranze e i desideri che stanno nel cuore di ogni persona, ed anche brevi momenti di sogno e di felicità. La fine non è scontata: un muro di antiche incomprensioni tra padri e figli viene abbattuto. Film da non perdere.

A proposito del rapporto tra padri e figli, in un ambito di isolamento, il film – documentario “The Wolfpack”, della regista statunitense Crystal Moyselle, racconta la strana storia , vera, di una famiglia in cui sette figli sono costretti da un padre dispotico a vivere segregati in una casa, a New York. Il padre, peruviano e convertito hari krishna , pensa che la sua famiglia non debba subire le impure contaminazioni della metropoli. Ma poi anche lui si ubriaca ed è un violento. La storia è paradossale ma vera ed il documentario ci illustra come questi sette fratelli riescano a conoscere tutto ciò che avviene al di fuori della loro casa soltanto attraverso la televisione e i film.

Il tema dell’isolamento si presenta anche nel film “Room”, del regista irlandese Lenny Abrahanson. Strana storia, quella di una giovane madre con il suo bambino (Jack) che vivono segregati in un capanno per cinque anni, vittime di un rapimento. Ed il bambino non conosce né il mondo esterno né le parole di quel mondo. Conosce solo il lavandino, il lucernaio, il letto e l’armadio. E in quell’armadio si rifugia quando Old Nick (il sequestratore) si mette a letto con la sua mamma. Quando mamma e figlio riescono a scappare da quell’orrido squallore, oltrepassando quella porta blindata con il codice, Jack vede meravigliato il sole, gli alberi ed un intero mondo mai visto prima, con oggetti di cui paradossalmente non sa il nome. Molto lento e poco chiaro nella prima parte, il film riesce a snellirsi e a spiegare il suo significato solo dopo una buona mezz’ora. Ma forse è proprio quella l’intenzione del regista: un’ostinata illustrazione della violenza e della costrizione all’isolamento in un luogo squallido. Molto interessante.

Sempre a proposito del rapporto tra padri e figli, il film “Amama, When a tree falls”, del regista spagnolo Asier Altuna, racconta una storia ambientata in una fattoria rurale nei Paesi Baschi. E’ la storia di una famiglia, del conflitto tra campagna e città, tra passato e presente, genitori e figli, attaccamento alla tradizione e modernità.  Ad ogni componente della famiglia viene associato un albero : e questa piccola superstizione è il filo conduttore del film.

Anche il film “Ville Marie”, del regista canadese Guy Edoin, racconta della spaccatura tra madre e figlio. Lei, un’attrice famosa, interpretata da una inedita Monica Bellucci, va a Montreal per le riprese di un film ed approfitta per rincontrare suo figlio, il quale non è mai riuscito a conoscere la vera identità del padre. La verità è nel film che lei sta girando. La sceneggiatura appare costruita in modo posticcio e lo svolgimento dei fatti risulta frammentario. Inoltre Monica Bellucci , trasformata in una bionda con gli occhi neri, non sembra affatto un personaggio azzeccato né disinvolto.

E che dire dei genitori perduti e ritrovati? Nel film brasiliano “Campo Grande”, (Sezione “Alice nella Città”) di Sandra Kogut, due bambini vengono abbandonati dalla madre alla fermata di un autobus, vicino alla casa di una signora benestante, Regina (Carla Ribas). Regina cerca di accogliere in casa sua questi due bambini piuttosto irrequieti, che si ostinano ad aspettare la loro mamma. Dopo vari tentativi di lasciare i due fratellini in un orfanotrofio decide di ospitarli e di aiutarli a cercare la loro mamma. Ma la mamma non arriva mai. Un giorno Regina si trasferisce, lasciando l’appartamento. Dopo qualche giorno una ragazza suona al citofono di quell’appartamento, dicendo di essere la figlia di una donna di servizio che aveva lavorato da Regina…. Non è chiaro, all’inizio, come si incontrano Regina e i due bambini. E non è chiara la fine. Il film è abbastanza interessante ma poco chiaro in molti punti.

November 03, 2015

Nella complessa galassia di Mafia Capitale sono state già emesse condanne con rito abbreviato: Emilio Gammuto, quello che ingrassava la famosa mucca che poi veniva munta da politici, faccendieri e amministratori, si è preso 5 anni e 4 mesi per corruzione con l’aggravante dell’associazione a delinquere di stampo mafioso (il noto 416 bis).

A Emanuela Salvatori, ex funzionaria del campidoglio e responsabile del campo nomadi di Castel Romano, è andata solo leggermente meglio con 4 anni per corruzione. Secondo i pm avrebbe agevolato un finanziamento di 150mila euro a una delle cooperative di Buzzi in cambio dell’assunzione della figlia.

Fabio Gaudenzi e Raffaele Bracci, sodali di Massimo Carminati, si sono beccati 4 anni a testa per usura. Imponevano interessi del 120% agli imprenditori. Le motivazioni precise saranno note soltanto tra due mesi.

Passando agli altri: Luca Odevaine, finora detenuto nel carcere di Terni, se l’è cavata, per ora, con gli arresti domiciliari per corruzione. Già appartenente al Tavolo di Coordinamento Nazionale che si occupa di richiedenti asilo e immigrati, si intascava una cosa come 20mila euro al mese per favorire La Cascina, che orbitava sempre nella galassia delle cooperative di Buzzi.

Massimo Carminati, ancora in regime di 41 bis (il carcere duro), ex NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), ex sodale della Banda della Magliana e dotato di un curriculum criminale dei peggiori, dovrebbe essere giudicato da giovedì prossimo, inizio del maxiprocesso nell’aula bunker di Rebibbia, insieme allo stesso Buzzi e ad altri 44 imputati.

Dico “dovrebbe”, perché il legale di Buzzi, Alessandro Diddi, con una mossa furba ma abbastanza prevedibile ha chiesto di nuovo un patteggiamento di pena per il suo cliente.

E siamo alla terza volta: già a giugno di quest’anno Buzzi chiese il primo patteggiamento, subito respinto dai PM, poi ci riprovò a settembre. Gli risposero di nuovo picche. Inizialmente chiedeva 3 anni e 6 mesi, ma ora ci ha riprovato con 3 anni e 9 mesi chiedendo l’esclusione dell’aggravante di stampo mafioso, il 416 bis: forse pensa che aggiungere tre mesi alla condanna possa convincere i giudici.

La mossa appare ancora più furba, se consideriamo che in caso di ennesimo, e prevedibile, rifiuto dei PM, il collegio dovrà, per dirla in gergo, spogliarsi del procedimento e trasferirlo a un altro collegio, il che potrebbe causare uno slittamento dell’intero processo e il rischio di scadenza dei termini di custodia cautelare per alcuni imputati.

Eccellenza ovvero il più alto livello qualitativo che si possa raggiungere. Differenza ovvero distinguersi da altro con cui viene raffrontato. Eccellenza e Differenza: ciò che contraddistingue, da sempre, il Merano Wine Festival. Inutile cercare altre definizioni per diminuirne il valore. Lo si deve accettare e giudicare con questo metodo di misura: eccellenza e differenza.

Possiamo usare termini simili come pregevolezza, preziosità, maestria, raffinatezza o diversità, dissomiglianza, difformità. Ma sempre rientriamo nell’Eccellenza e Differenza. Non si scappa. Aggiungerei selezione e maestria. La prima altro non è che il metodo per mantenere l’eccellenza e la seconda la capacità, abilità e bravura a riuscire a mantenere una Manifestazione ad alti livelli per ben ventiquattro anni.

Tutto ha avuto inizio nel 1992 quando Helmuth Köcher, meranese di nascita, ha organizzato la prima edizione del Merano Wine Festival, “prima manifestazione in Italia ad offrire al pubblico solo produttori vitivinicoli selezionati sulla base dell’alto livello dei loro prodotti”. Selezione per proporre Eccellenza e Differenza e la capacità, la maestria è stata nel proporre anno dopo anno, evento dopo evento, quel qualcosa aggiuntivo da renderla sempre e costantemente uno degli appuntamenti irrinunciabili e appetibili non solo dai produttori ma anche dagli appassionati MeranoWineFestival2che raggiungono Merano da ogni parte d’Italia e non solo.

Instancabile ricerca dell’unicità con l’obiettivo di proporre piaceri e impegno a delineare percorsi che puntano all’eccellenza in ogni sua forma”

Nell’edizione che aprirà ufficialmente i battenti tra qualche giorno (6-10 Novembre), oltre ai tradizionali appuntamenti irrinunciabili e riproposti sempre con continuità, assisteremo a due eventi che sicuramente caratterizzeranno la Manifestazione rendendola ancor più invitante e attraente.

Come in un pranzo l’antipasto è l’inizio che deve sbalordire e il dessert quello da ricordare, saranno i due appuntamenti del 6 novembre e del 10 novembre a portare quel pizzico di creatività, contenuti e contenitori per elevare ulteriormente il MWF edizione 2015.

downloadMi riferisco all’antipasto di Cult Oenologist dove assisteremo alla presentazione, da parte dei registi del vino, dei loro prodotti in una retrospettiva sulla produzione vinicola. Tutti insieme, ognuno dietro il proprio banco, con i propri vini, a raccontare la Storia delle eccellenze italiane.

Franco Bernabei (Tenuta di Felsina, Fontodi,Folonari), Maurizio Castelli (Bastianich, Badia a Coltibuono, Grattamacco), Giuseppe Caviola (Albino Rocca, Ca’ Rugate, Petra), Luigi Moio (Marisa Cuomo, Quintodecimo, Cantina del Taburno), Roberto Cipresso (Le Torri, Achaval-Ferrer Argentina, Bueno Wines Brasile), Riccardo Cotarella (Castello di Volpaia, Falesco, Morgante), Luca D’Attoma (Duemani, Tua Rita, Fattoria Le Pupille) e poi Carlo Ferrini e Stefano Chioccioli. Un tutt’uno inscindibile, vitale che ha dell’incredibile. Esprimere e trasmettere emozioni. Un obiettivo ambizioso finalmente raggiunto. Un aspetto di interconnessione tra vino e il suo enologo in un HelmutKocherpercorso decisamente alternativo dell’assaggio.

Mi riferisco al dessert di Catwalk Champagne con la collaborazione del Club Excellence dove assaggeremo l’eccellenza della Champagne ad opera dei suoi maggiori e importanti importatori. Ancora di nuovo tutti insieme (loro ci sono abituati ed hanno capito che l’unione

Helmut Kocher

fa la forza) dietro i loro singoli banchi con Maison da capogiro.

Sagna con diverse bottiglie di Roederer, Balan con Thiénot, Canard-Duchene, Pascal, Arnould, Cuzziol con Bruno Paillard, Mandois, Gonet-Médeville, Monmarthe, Meregalli con Bollinger, Ayala, Gimonnet, Pellegrini con Jacquesson, Agrapart, Pouillon, Sarzi Amade’ con Mailly, De Sousa, Françoise Bedel, Henri Goutorbe, Vino&Design con Palmer, R&L Legras, Stephane Breton. Un punto d’incontro per i professionisti, ristoratori e appassionati per concludere al meglio la Manifestazione dell’Eccellenza e Differenza.

Cuore pulsante rimarranno i tre giorni centrali (7-8-9 novembre) con le realtà vitivinicole e del cibo selezionate con l’esperienza tramandata dalle ventitre edizioni precedenti.

Merano Wine Festival, 24 anni di amore e passione per l’eccellenza enogastronomica che ci circonda.

Urano Cupisti

Ogni pesca è un massacro di anime

Il dissennato prelievo, l’inquinamento e la distruzione dei fondali sta decretando la morte degli oceani

L’universo marino appartiene alla creature del mare; ai volatili appartiene il mondo dell’aria, come la terra appartiene alle creature terricole. La millenaria, consolidata abitudine di  invadere  in modo devastante gli altri mondi naturali appartiene solo alla specie umana. E anche se alcuni uccelli predano pesci e vivono sulla terra ferma contribuiscono, a differenza dell’uomo, all’ordine naturale delle cose. Ma i pesci non invadono la terra, mentre il mondo marino subisce la sistematica quanto criminale predazione da parte dell’uomo per l’ingiustificabile egoistico piacere o per l’infondata convinzione che quel povero corpo martoriato sia necessario alla salute umana.

E avremmo da che recriminare se extraterrestri invadessero lo spazio vitale delle nostre case e portassero via i nostri familiari per divorarli dopo averli straziati mortalmente.

Non solo versiamo i nostri escrementi e gli scarti della nostra civiltà distruttrice nella casa degli abitanti del mare, ma ciò è inaccettabile è il millenario, consolidato falso diritto di fare ciò che ci aggrada della casa altrui, invadere metodicamente, con insaziabile colpevole avidità e furore,  e asportare senza tregua, senza limiti, senza remore, gli abitanti del mare. L’uomo entra come un carro armato in una sala di cristalli e con inammissibile, imperdonabile noncuranza devasta e preleva ciò che ritiene utile ai suoi scopi; come se i pesci fossero cose, non esseri come noi di forma diversa e con l’identico disperato bisogno di vivere.

Rudi pescatori issano reti gonfie di anime spasimanti in un tremendo contorcersi alla ricerca del loro elemento vitale, e non è raro vedere rudi pescatori, mentre pervasi da una gioia maligna, aprire il corpo ancora palpitane dei tonni dall’argentea livrea, o sbattere sull’immondo selciato i sinuosi e intelligenti polpi, staccare le chele dei stupendi crostacei dai colori vermigli, frangere le vongole chiuse nel loro sacro involucro perlaceo.

E mentre in una inimmaginabile agonia, nel vano tentativo di sottrarsi alla morte, ansimano, si contorcono, ed esalano inascoltati verso l’universo l’ultimo anelito di vita, nel loro incomprensibile e ingiustificabile supplizio.

Incapace di percepire la strabiliante bellezza della diversità nel flusso incessante della vita, in mondo che non gli appartiene,   l’uomo perpetua inesausto  il suo macabro carnaio e penetra minaccioso con devastanti  navigli che fendono l’ansimante respiro delle onde che proiettano ombre funeste suo fondali già martirizzati, lasciando raccapriccianti distese di sangue e di dolore.

E così lo splendido universo marino, il mistico silenzio degli oceani, la bellezza  multiforme delle creature mariane, il canto struggente delle balene, l’elegante galoppo dei delfini, le sfavillanti cattedrali di corallo addormentate sui fondali del mare, i policromi colori delle foreste inabissate, sta per diventare una  immensa pozzanghera inanimata. E di questo la vita esigerà inesorabilmente la sua tremenda nemesi karmica.pESC

“Forse i pesci vengono a noi a chiedere le terra  e i suoi frutti? Lasciate le reti e seguitemi, farò di voi pescatori di uomini”. 

(Gesù dalle pergamene del Mar Morto)


 ulivi

Questo l’accorato appello del gruppo di lavoro "Coordinamento Xylella”

 

 

"Bari, lì 23 ottobre 2015

 

                                                                                                 Ill.mo   Presidente della REPUBBLICA ITALIANA

                                                                                                                  Prof. Dr. Sergio MATTARELLA

 

                                                                  E p.c.           Al         Ill.mo Santo Padre "PAPA FRANCESCO"

                                              

                                                                                                      Ill.mo Presidente del Consiglio della U.E.

                                                                                                                 Prof. Jean Claude JUNKER

 

                                                                                                  Ill.mo   Presidente della B.C.E.

                                                                                                                 Prof. Mario DRAGHI

                                              

                                                                                                    Ill.mo   Presidente del Consiglio

                                                                                                                 Dr. Matteo RENZI

 

                                                                                                     Ill.mo   Ministro dell'Agricoltura

                                                                                                                 Dr. Maurizio MARTINA

 

                                                                                                   Ill.mo   Presidente della Regione Puglia

                                                                                                                  Dr. Michele EMILIANO

                                              

                                                                                                                 Commissario Straordinario Xylella

                                                                                                                Col. Giuseppe SILLETTI

 

               Oggetto: Interpello per una immediata sospensione della "MATTANZA ULIVI"

 

                     Sig. Presidente della Republica Mattarella

     a seguito del noto gravissimo procedimento posto in essere nella eradicazione massiva di piante di Ulivo, al riguardo si evidenzia come nella sola giornata del 20 ottobre u.s. ne sono state abbattute 923, di cui moltissimi ulivi secolari e sani, ed attuato senza che vi sia stato alcun presupposto scientifico e/o tecnico che abbia potuto motivare questo ignobile procedimento, per il quale si dovrebbe valutare se la relativa procedura attuativa sia avvenuta nel pieno rispetto delle leggi Italiane oppure si possono intravedersi, anche, profili di violazione dei Diritti Costituzionali dei Cittadini Pugliesi,

             in particolare si interpella la S.V. Ill.ma affinchè possa valutare di

- sospendere immediatamente questa assurda medievale pratica di albericidio inutile e quantomeno lesiva di tutta la Storia, la Cultura, le Tradizioni e le Speranze dell'intero popolo Pugliese, in attesa delle necessarie adeguate definitive risoluzioni;

- procedere ad individuare l'eventuale esistenza delle gravi lamentate lesioni costituzionali dei Cittadini Pugliesi, in uno a tutti gli Italiani, che concordano nel giudicare barbara, iniqua, tolemaica ed irrazionale questa ignobile pratica di eradicazione delle Piante di Ulivo Pugliese (spesso Sane e Secolari).

Al riguardo lo scrivente Gruppo di Lavoro per il "COORDINAMENTO XYLELLA", rappresentato dal Coordinatore l'ing. Roberto de Pascalis e dal Segretario del W.G. l'ADV Natale Ventrella, che sottoscrivono il seguente vibrante interpello, pongono in evidenza la gravità e l'immediato "Stato di Pericolo" connesso all'attivazione del sopra citato procedimento, per il contrasto del quale risulta impossibile articolare, per assenza di relativa tempistica, ogni eventuale immediata procedura di ricorso, di salvaguardia e di tutela, oltre alle possibili consentite azioni di denuncia-querela a protezione di specie vegetali, quali gli Ulivi, che non sono in grado di difendersi.

Al riguardo, nella ulteriore impossibilità temporale di poter predisporre un adeguato "Ricorso alla Presidenza della Repubblica", voglia la S.V. Ill.ma considerare "Ricevibile" la presente istanza, come primo atto di formale informativa, a sostegno del quale si riportano, in allegato, i seguenti documenti:

- lettera del 23 marzo u.s. del Consorzio Mediterrae di cui non si è avuto ad horas alcun riscontro se non dal Prof. Dr. Draghi Presidente della BCE (allegato "A");

- lettera del Consorzio Mediterrae, attraverso la quale si proponeva di sospendere ogni procedura connesa al programma di eradicazione piante ulivo, in attesa, almeno, degli sviluppi delle procedure sperimentali proposte, in via no profit, posta al protocollo della Regione Puglia in data 7 ottobre u.s., indirizzata all'Attenzione del Presidente Regione Puglia il Dr. Michele Emiliano, per la quale, ad horas, non è pervenuto alcun relativo riscontro (allegato "B");

- articolo stampa del 20 ottobre u.s. attraverso il quale si cerca di evidenziare come lo "Affair Xylella" potrebbe essere semplicemente debellato, o comunque non sussiste nelle aree sane e trattate con questi principi, attraverso l'impiego delle buone pratiche agricole; inoltre si pone in evidenza come il Complesso Essiccamento Rapido dell'Ulivo (di cui all'acronimo Co.Di.R.O.) potrebbe dimostrarsi essere causato da fattori climatici e dalla trascuratezza dei fondi agricoli interessati (allegato "C").

Resta inteso che la ove questo vibrante appello non possa essere preso in considerazione dalla S.V. Ill.ma, per i motivi sopra addotti, quale finalizzato alla immediata definitiva sospensione di ogni procedura eradicativa di piantagioni di Ulivo, valuti la S.V. Ill.ma di poter emettere una adeguata sospensiva temporale, all'applicazione del citato procedimento, almeno in tempo utile affinché lo scrivente Gruppo di Lavoro possa provvedere ad avviare le necessarie azioni di salvaguardia e di tutela, compreso il formale Ricorso alla Presidenza della Repubblica, ogni Denuncia -Querela da inviare a tutte le Procure d'Italia, oltre alle azioni di tutela rivolte alla Corte Europea dei Diritti Dell'Uomo ed alla Corte Internazionale di Giustizia, per la valutazione dei profili inerenti a tutti gli eventuali illeciti connessi, in capo a tutti gli eventuali relativi responsabili diretti ed indiretti, nella ideazione, organizzazione ed applicazione di questa ignobile quanto medioevale procedura massiva di eradicazione di piantagione Ulivi (in assenza delle più volte richieste di certificazioni esaustive a corredo di ogni singola eradicazione effettuata).

Gli scriventi, fiduciosi nelle determinazioni che le S. V. Ill.ma intenderà intraprendere nel merito, per quanto di competenza, rimangono a disposizione per qualsiasi eventuale ulteriore chiarimento.

Ossequiosi e Cordiali Saluti.

    

                  Bari, lì 23 ottobre 2015

 

                                                        I rappresentanti del Gruppo di Lavoro        

                                                                 "Coordinamento Xylella"

 

                     ing. Roberto DE PASCALIS                                 adv. Natale VENTRELLA

                                                                                                                            

October 25, 2015

Dopo un incontro con le autorità turche, la famiglia della giornalista Jacky Sutton accetta la versione ufficiale, in attesa di una perizia indipendente

A prescindere da come si concluderanno le indagini, il caso di Jacky Sutton, ex giornalista della BBC e collaboratrice delle Nazioni Unite, trovata morta nei bagni dell'aeroporto Atatürk di İstanbul, impiccata con i lacci delle sue scarpe, apre diversi interrogativi sul presente e soprattutto sul futuro prossimo della Turchia, a pochi giorni dalle elezioni parlamentari del 1 novembre.

Anzitutto, la donna era diretta a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno (KRG, Governo regionale del Kurdistan), dove dirigeva la sezione irachena dell'Institute for War & Peace Reporting, e conduceva inchieste sulla condizione femminile nei territori controllati dai cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico (Isis): quindi, nulla che riguardasse direttamente la Turchia. La sua morte, inoltre, è avvenuta qualche mese dopo quella del suo predecessore nel medesimo istituto, Ammar al-Shahbander (ucciso da un'autobomba a maggio a Baghdad con altre 17 persone). Amici e colleghi, infatti, si sono immediatamente chiesti se la Sutton (in passato arrestata in Eritrea con l'accusa di spionaggio) non fosse stata uccisa a causa del suo impegno per la libertà di espressione in Iraq. Nondimeno, ora che familiari e amici, dopo aver ricevuto informazioni dalle autorità turche, hanno accettato la pista ufficiale in attesa di un'indagine indipendente, restano aperte altre questioni.

A proposito di giornalismo, a giugno il direttore del quotidiano turco in lingua inglese Today's Zaman Bülent Keneş è stato condannato a 21 mesi di carcere con sospensione della pena, per aver insultato sulla rete sociale Twitter il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Today's Zaman è controllato dai seguaci del movimento di Fethullah Gülen, predicatore islamico da anni in esilio volontario negli Stati Uniti, ex alleato di Erdoğan e ora suo acerrimo avversario politico. Prima di   Keneş, era stato il direttore del quotidiano turco di ispirazione socialdemocratica Cumhuriyet, Can Dündar a fare le spese della pubblicazione di un video in cui si potevano vedere funzionari dell'intelligence turca consegnare le armi a “ribelli” siriani. Alla vigilia delle elezioni parlamentari del 7 giugno, il giornalista era stato arrestato inizialmente per alto tradimento, ma Erdoğan (e subito dopo la procura) aveva typarlato di spionaggio politico e militare e propaganda per un'organizzazione terroristica, minacciando la testata per cui lavora che “l'avrebbe pagata cara”. I casi di Dündar e Keneş sono solo due esempi del clima di tensione imposto ai media in Turchia, che nella classifica di Reporters sans frontières per il 2015 sulla libertà di stampa occupa il 147esimo posto su 180 paesi.

La questione di fondo è che Ankara impone le sue strette autoritarie a “bersagli” sbagliati: se i maggiori sospetti (anzi le quasi-certezze) sugli autori degli attentati di Ankara, Suruç e Diyarbakır ricadono sui cartelli del jihad, perché mai concentrare gli attacchi militari e i controlli dell'intelligence su organizzazioni che poco hanno a che vedere con la galassia dell'islam politico radicale? In primo luogo il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), con cui sarebbe il caso di intavolare un dialogo serio invece di sperare invano di risolvere la questione curda manu militari, annoverando il PKK tra le organizzazioni terroristiche e bombardandone le (presunte) postazioni, seminando quindi stragi tra i civili. Anche perché, gli attentati di Ankara Suruç e Diyarbakır hanno preso di mira manifestazioni ed eventi legati alla questione curda, un motivo in più per affrontarla con atteggiamento costruttivo e non solo repressivo.

Peraltro, il partito “filocurdo” HDP (Partito democratico dei popoli) alle ultime elezioni parlamentari era entrato in parlamento, con il suo significativo potenziale democratizzante: i diritti delle minoranze, la parità di genere, la difesa dei diritti di LGBT. Il fatto che Erdoğan (e il suo partito Giustizia e sviluppo - AKP) non abbia colto l'occasione per formare con l'HDP un governo di coalizione suscita interrogativi sul come intenda gestire le questioni interne, in particolare le relazioni con le opposizioni politiche e le libertà individuali dei cittadini. A parte le possibili considerazioni sulla gestione della politica estera, soprattutto per quanto riguarda il conflitto siriano, in cui il presidente turco continua a pretendere categoricamente (e senza la minima considerazione degli equilibri interni alla società siriana) la caduta del presidente Bashar al-Assad e la guerra contro il Partito di unione democratica (PYD) e delle Unità di protezione popolare (YPG) ad esso legate. Eppure sono state queste ultime a costituire il principale baluardo contro i cartelli del jihad, nonché a proporre una società laica e fondata sull'uguaglianza dei diritti di genere (si pensi ad esempio ai battaglioni formati da sole donne). Se dunque il presidente turco teme che un loro eccessivo rafforzamento possa risvegliare le aspirazioni indipendentiste della minoranza curda che vive in Turchia (che proprio minoranza non è, visto che si parla di 16 milioni di persone, oltre il 18% della popolazione totale), di certo la linea repressiva che ha adottato rischia di far scivolare il suo paese in un circolo vizioso di conflitti e autoritarismo. Il rischio maggiore, alle prossime parlamentari del 1 novembre è appunto questo, e di certo non aiuta l'atteggiamento opportunista e utilitarista della comunità internazionale.

Carlotta Caldonazzo

Il Lazio,quella Regione un po’ dimenticata, che nasconde gioielli enoici di ottima levatura. Un percorso aziendale alla riscoperta delle varietà tradizionali e di quelle innovative provenienti da altre Regioni italiane e di origine d’oltralpe (Francia).

Tutto questo nell’assaggio di vini di una importante Azienda vinicola e nel successivo “approfondimento” storico con la ricerca della “filosofia di produzione”.

Gli ingredienti per parlare e far conoscere una realtà del calibro di Castel de Paolis ci sono tutti:

il Castello di origine medievale che a sua volta sorgeva su rovine di epoca Romana,

il microclima tipico dell’Italia Centrale con la posizione dei vigneti compresi nella fascia di altitudine ottimale (mediamente tra i 250-280 mt s.l.m.),

la ricerca clonale con l’ausilio del Prof. Attilio Scienza,

imageslo studio parcellizzato dei terreni (vulcanici con presenza di tufo e pozzolane unite a pomice e altre varie scorie vulcaniche) e

tanta, tanta voglia di riuscire a produrre vini di buona elevatura.

Il Desiderio di riparlare dei Vini del Lazio ovvero il Ritorno del Lazio.

Non solo gli “allegri vini dei Castelli” o quelli legati alla tradizione storica come “Est!Est!Est!”, ma Bianchi ottenuti da vinificazioni accurate e Rossi riconducibili al “taglio bordolese” per renderli importanti o addirittura lanciare sfide agli autorevoli muffati del Sauternes-Balzac, coltivando i loro vitigni Semillon e Sauvignon Blanc in terra laziale. E nel Muffa Nobile di Castel de Paolis ritrovi l’anima di quella terra posta sulla sinistra della Garonne.

Non tutto riesce per caso. Anche affinare i vini, appena nati, nelle botti all’interno della “Cisterna Romana” sono scelte di grande importanza che provengono da “reminescenze storiche”che hanno accompagnato la Storia del Vino nelle varie epoche. Gli antichi Romani non avevano a disposizione vasche termoregolabili o strumenti della nostra epoca e utilizzare le cisterne di loro invenzione significava mantenere il vino alla temperatura ottimale per il suo invecchiamento. L’Azienda Castel de Paolis, utilizzando quanto trovato negli anfratti delle rovine di epoca romana, ha reso la Cisterna ritrovata e recuperata, adatta all’invecchiamento.

Idee chiare e lavoro rigoroso sono alla base della “filosofia” produttiva che guida la Famiglia Santarelli. I loro vini, lineari nel tradurre le scelte effettuate e nell’evidenziare la peculiarità parcellare, alla fine non risultano mai troppo invadenti come spesso accade quando si vuole produrre “a tutti costi” tagli bordolesi.

La scelta non invasiva, biologica lascia comunque apprezzare la loro dinamica gustativa in un crescendo di personalità.

La personalità territoriale la ritrovi abbondantemente nell’essenzialità tradizionale proveniente dai vitigni locali come la Malvasia Puntinata, il Bombino, il Bellone, il Grechetto, il Pecorino, e a seguire Malvasia di Candia, Trebbiano Toscano e Romanesca per i Bianchi. Cesenatico, Montepulciano, Sangiovese per i Rossi. E la beva non più facile ma importante la riscopri nei Frascati Castel de Paolis, Campo Vecchio, Frascati Cannellino e in buona parte nel home03Rosso Campo Vecchio. Ma sono gli internazionali Donna Adriana, I Quatto Mori, Rosathea e Muffa Nobile a riscattare le potenzialità di questo territorio vulcanico convertendolo ad ospitare vitigni come il Syrah e il Viognier della Valle del Rodano, il Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot, Semillon e Sauvignon Blanc della vasta area di Bordeaux.

Quello che serve in un vino è soprattutto l’equilibrio e lo charme. Bere i vini dell’Azienda Castel de Paolis è percepire la voce sottile proveniente dai calici, i profumi che ti preparano a quanto sanno dare al palato. Percepisci un carattere sospeso nel tempo, tra tradizione, nuova eleganza, leggerezza e finezza.

Urano Cupisti

“Al 59”. Ricordi e radici legati alla Dolce Vita di Fellini

“Andar per locande” è sempre stata la mia passione. Per questo mi identifico spesso con Quinto Ennio (200 a.C.), il poeta degli Scipioni, che spesso amava frequentare gli allora famosi Thermopolium e le Tabernae, scrivendo i suoi Hedyphagetica. Unire la poesia ai piaceri della tavola. Scrivere ed insegnare che deve esistere anche una educazione alimentare. Non mangiare per vivere ma valorizzare ed apprezzare i cibi. Come meglio di un poeta poteva, già allora, impersonificare un moderno gourmand?

Oggi è ancora possibile varcare l’ingresso di un ristorante e respirare da subito l’atmosfera della buona cucina in un ambiente gradevole dove noti che ogni dettaglio ne racconta la Storia. Quei ricordi dettati dalle radici in una visione contemporanea.

Mi è successo di recente a Roma presso il Ristorante “Al 59”, in via Angelo Brunetti nel cuore della capitale poco distante dalla centralissima Piazza del Popolo. I ricordi legati al primo locale dalla Cesarina” in via Piemonte, ritrovo e luogo d’incontro di persone legate allo spettacolo e alla cultura e in particolare di tutti i romagnoli romani come il regista Federico Fellini che lo frequentò fin dal suo arrivo nella capitale. “Per tutta la sua vita Fellini fu trattato come un figlio, ave 

va sempre un tavolo riservato, anche quando Cesarina decise di spostare la sua attività a via Brunetti”. Così raccontano i camerieri, tra una portata e l’altra, con estrema cortesia ed efficienza. Le radici della buona cucina romagnola mai negate anche nella nuova gestione di Alberto Colacchio, Immagineromano ma con origini campane e abruzzesi. Un mix di territorialità che oggi influenzano il suo stile di cucina. Un prodotto di quella ITALIAN GENIUS ACADEMY, la scuola professionale di Alta Cucina Italiana, che annovera tra docenti e collaboratori noti chef del calibro di Carlo Cracco, Massimo Bottura, Angelo Dandini e altri.

Cesarina

Quando rilevò “Al 59” capì da subito che il “marchio del ristorante della Dolce Vita” doveva rimanere come riferimento e ripartì da quei piatti che lo resero famoso in quegli anni. Una nuova cucina romagnola sussurata senza osare oltre: il che, a volte risulta un pregio e così è stato. Un passo dopo l’altro verso quella visione di contemporaneità che altro non è che il cambiamento nella tradizione. Ci si ritrova di fronte ad una cucina di indiscussa finezza giocata sull’ottenimento dell’armonia. Concretezza, semplicità, autenticità senza contare quei pizzichi di fantasia, passione ed amore che rendono specia li tutti i suoi piatti.

Ed ecco sfilare davanti a me piatti d’entrée come tartare di spigola, tre volte ostrica, tartare di vera Fassona, i supplì, le tre consistenze di carciofo e la tradizionale passatina di ceci. Assistere al passaggio dei primi piatti come il romano tagliatelle broccoli ed arzilla, tortellini fatti a mano in brodo alla romagnola, tortelloni di zucca, ricotta e spinaci, le immancabili amatriciana, carbonara e gricia della tradizione romana, un rivisitato primo fantasioso come tagliatelle di coda con cioccolato e la gramigna romagnola.

Ma sono i secondi piatti, fatti con sapiente manualità, a riportarci nei ricordi di una esperienza gastronomica mai fuori dagli schemi, condotta dallo chef 43534Alberto con il suo entusiasmo e voglia, allo stesso tempo, di sperimentare. Bollito misto emiliano-romagnolo con le salse tradizionali e nuove, saltimbocca alla romana rivisitati piacevolmente anche nella sostanza, involtini di spigola (a ricordare il Mare Adriatico) con

Passatina di ceci

rosta di patate allo zenzero (la voglia di sperimentare alla ricerca di nuovi equilibri gustativi), baccalà alla trasteverina (il pesce universale alla maniera della borgata romana) e l’immancabile parmigiana della nonna (forse un riferimento a Cesarina, nonna putativa del giovane Alberto).

“Il primo passo verso il miglioramento è non sentirsi mai arrivati”. Nonostante i riflettori della TV, i premi conquistati nei vari concorsi, gli elogi e le pacche sulle spalle con l’inevitabile “sei il migliore”, lo Chef Alberto Colacchio non ha smesso di studiare e confrontarsi con altre tecniche anche fuori dei confini nazionali. Perché misurarsi con altre tecniche di altre realtà rende bene l’idea del suo impegno.

Si sta bene “Al 59” e non è cosa da poco.

Pensiero finale da riportare nei miei hedyphagetica:

“ Lo chef mi ha regalato piatti di alto livello nella sua semplicità; ma esco dal locale con la netta convinzione che Alberto viaggi ancora con il freno a mano tirato”. Chapeau!

Urano Cupisti

(provato in incognito nell’Ottobre 2015)  

 

 

 

 

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