L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
In questi ultimi decenni, l’attenzione verso le filosofie e le religioni orientali è andato continuamente crescendo, con una particolare cura rivolta a quell’insieme composito e variopinto di teorie e di pratiche che va sotto il nome di “yoga”.
E, come sempre, anche in questa forma di innamoramento verso altre esperienze culturali, è possibile incontrare sia tanta egocentrica curiosità, sia tanto sincero e genuino interesse.
Cesare Maramici rappresenta, senza alcun dubbio, un chiaro esempio di come sia possibile procedere dall’uno all’altro livello, in modo decisamente felice.
Sì per me lo yoga è molto importante, è un' arte di vivere, rappresenta la nota di colore della mia giornata, quando ho un po' di spleen faccio yoga e riparto.
Comunque, tengo a precisare che lo yoga non è solo una pratica per il benessere o antistress. Lo yoga è il cammino spirituale che conduce il praticante al ricongiungimento del sé con il Sè cosmico, a percepire questa energia cosmica eterna, divina che compone l'universo, di cui tutti gli individui che esistono - inclusi gli essere umani - sono una estensione; Un percorso che porta all'eliminazione della sofferenza e al raggiungimento della beatitudine.
Mi considero un praticante ateo che fa yoga classico tutti i giorni da 25 anni, senza aspettarsi niente.
Non sono, cioè, alla pressante ricerca dell'illuminazione (quello stato in cui ti senti di far parte del Tutto) o altro. Secondo me, non esiste un percorso o una tecnica ben precisa per arrivarci. Talvolta accade, e accade sia se hai iniziato yoga il giorno prima oppure 30 anni prima, o la vita precedente.
Comunque, con lo yoga è possibile ottenere indubbi benefici dal punto di vista fisico e mentale, riuscendo a migliorare l' approccio con la realtà esterna, e riuscendo a prendere le distanze da questo mondo sempre più complicato col quale interagiamo.
Recentemente uno dei miei Maestri yoga di riferimento mi ha detto “Non devi provare a cambiare gli altri e il mondo, gli eventi della vita ai quali parteciperai devi viverli completamente distaccato e vivere la tua vita come semplice testimone. La tua vita scorrerà come un fiume e se ti lascerai andare la vedrai come una spiaggia che vede scorrere il fiume, la natura starà semplicemente realizzando ogni cosa. Tu accetterai semplicemente quello che accade.“
Come ti dicevo, ho iniziato a praticare yoga 25 anni fa. Per me rappresentava l'ultima spiaggia per risolvere un atroce mal di schiena. L'aspetto esoterico e spirituale non mi interessava affatto. Dopo un mese di pratica quotidiana il mal di schiena era passato, ed ho continuato senza aspettative.
Poi, col passare del tempo, succede che lo yoga ti prende, ti cattura, e tu cambi senza accorgertene: più mantieni le posizioni, più riesci a prendere le distanze, più cambia la tua personalità. Lo yoga è una sorta di psico-terapia junghiana.
Lo yoga, a differenza dello sport o altre attività fisiche come trekking, ecc., agisce nel tuo subconscio, e scioglie nodi ancestrali. Questo è l'aspetto dello yoga che ha spinto gli occidentali ad interessarsi di questa disciplina qualche decennio fa.
Oggi, purtroppo, gli interessi prevalenti degli occidentali per lo yoga sono altri: lo yoga è diventato "borghese" e alla moda, è diventato un oggetto di consumo come un altro. Lo yoga come si pratica oggi è veramente lontano dallo yoga praticato alle origini!
Non dimentichiamo poi, che lo yoga è anche un percorso spirituale e morale, in quanto propugna la nonviolenza, l'onestà, il non attaccamento, il rispetto per l’altro, ecc., producendo benessere e tranquillità, ma senza che ci si debba estraniare dal mondo.
Bisogna trovare, secondo il Maestro Antonio Nuzzo, “l’equilibrio tra immanenza e trascendenza”, visto che oggi è difficile isolarci nella nostra caverna.
- Immanenza significa svolgere il nostro ruolo attivo (docente, genitore, coniuge, ecc) in questa società in modo etico ed onesto.
- Trascendenza significa riuscire a trovare attimi di eternità sul tappetino, durante la pratica.
André Van Lisebeth, la persona che ha portato lo yoga in occidente, sul tappetino riusciva a trovare una serenità assoluta, ma era un instancabile fucina di idee e attività nella vita quotidiana.
Considerando che esistono già migliaia di trattati sullo yoga, scritti da grandi maestri, mi è sembrato del tutto inutile aggiungere un altro trattato o un catalogo di posizioni con i relativi vantaggi e svantaggi. Per cui ho preferito limitarmi a riportare la mia esperienza personale, sottolineando le riflessioni scaturite dall'incontro con questa nobile disciplina e con grandi personaggi con cui mi sono confrontato nel mio individuale percorso.
L'idea della forma di dialogo è nata proprio parlando con mia figlia di yoga quando ci siamo incontrati in Toscana un anno prima della pubblicazione del libro. Credo che sia una forma più semplice e sobria per far passare un messaggio.
Sì confermo,questa è certamente una delle motivazioni che spingono gli occidentali allo yoga, inteso come alternativa al vuoto spirituale della religione tradizionale: poi, però, lo yoga può diventare un percorso individuale. Devi trovare il maestro che c'è in te.
E devi anche stare attento a non ritrovarti prigioniero di una comunità o di un ashram.
Mi ha colpito molto una frase di una persona della comunità di Ananda che ha detto “Quando le energie negative che ti circondano nella vita quotidiana sono troppo forti e tu non sei in grado di affrontarle, è meglio che abbracci una comunità per ritemprarti e rafforzarti, per poi, in seguito, riaffrontare la vita”.
Però poi, spesso, la persona rimane nel conforto della comunità.
Non penso che tutti dovrebbero praticare yoga. Ma, ad una certa età, quando cominci a guardarti indietro, può essere uno strumento utilissimo per prepararti ad affrontare il dolore e la morte.
Lo yoga poliedrico che vediamo oggi in occidente è il prodotto della storia e della mondializzazione, che lo hanno modificato nel corso dei secoli, uno yoga molto lontano dalle sue origini indiane, che, passando per gli Stati Uniti è stato deprivato da tutti i riferimenti spirituali e religiosi.
L’ultima tappa di questa mondializzazione è stata l’istituzione della “Giornata mondiale dello yoga” nel 2015 dall’ONU sull’iniziativa del Premier indiano M. Modi.
Modi ha fatto dello yoga uno strumento di “Soft power”, proiettando l’immagine di un Paese in armonia con la natura, che contribuisce alla pace e al benessere degli abitanti del pianeta. Ma in effetti associa lo yoga ad una pratica religiosa ed utilizza lo yoga come un progetto per determinare l’egemonia degli indù in India.
Oggi, in Occidente, ci troviamo di fronte a realtà variegate che mettono in scena il folclore della saggezza orientale, unendo forme di ginnastica tonica, canti di mantra, massaggi, ecc. ed il rapporto tra Maestro e discepolo è stato sostituito dal rapporto Insegnante – allievo.
La globalizzazione dello yoga ha portato a vari eccessi: mercificazione eccessiva, proletarizzazione degli insegnanti, turismo di massa …
Oggi la pratica yoga unisce destinazioni soleggiate, hotel a cinque stelle e attività varie: escursionismo, iniziazione alla meditazione, cucina vegetariana, massaggi, ecc…
L'immagine del guru indiano si è quindi dissolta ed è stata sostituita dalla giovane donna tonica che si contorce indossando una tuta alla moda, sul bordo di una piscina.
C'è chi, purista come me, resta fedele agli ashram aperti negli anni '70 e trova difficile accettare questa follia che si è sviluppata intorno allo yoga.
Durante la formazione che ho ricevuto in vari ashram, sono stato formato all’umiltà, alla soppressione dell’ego, all’etica, al silenzio, al percorso individuale e all'azione disinteressata, e sono sempre più sorpreso di scoprire quando, dopo un breve anno di formazione, ci sono persone che cominciano ad atteggiarsi come un guru e a chiedere parcelle astronomiche. Questo rischia di provocare molta disillusione.
Inoltre, è odiosa questa attuale competizione tra insegnanti, sempre più numerosi e sempre più giovani (la maggior parte ha tra i 25 e i 40 anni)!
Scegliere fra tante proposte potrebbe non essere, tutto sommato, così difficile. Basterebbe applicare due semplici criteri (il primo dei quali indicato da Antonio Nuzzo uno dei pochi Maestri che si trovano a Roma):
- “Lo yoga oltre la forma”.
Il che significa che lo yoga non è il pilates o mero esercizio fisico, quello che conta è l'intenzione del perché si fa yoga: se siamo proiettati alla ricerca del Sé superiore siamo nello yoga, altrimenti siamo nel pilates. Fondamentale è esserne consapevoli.
- “Denaro e spiritualità sono inconciliabili”.
Il che significa che il praticante che frequenta lezioni a 35 euro in ambienti eleganti non è pronto per la rinuncia e il ‘ritiro dei sensi’ a cui lo yoga ci invita.
MA UN SIMILE RISULTATO NON POTREBBE ESSERE CONSEGUITO CON SUCCESSO ANCHE PRESCINDENDO TOTALMENTE DALLO YOGA, SIA SEGUENDO FEDELMENTE UNA QUALCHE RELIGIONE O, PIÙ SEMPLICEMENTE, SULLA BASE DI UNA LAICISSIMA VOLONTÀ DI IMPEGNO SOCIALE?
Tengo a precisare che lo yoga non è solo una filosofia, né una religione, è una scienza e un percorso spirituale, il suo successo è, d’altronde, parallelo alla messa in discussione della religione.
Uno dei sentieri importanti dello yoga è il karma yoga, l’azione disinteressata al servizio degli altri, il più alto grado dello yoga espresso dal canto VI della Bhagvad Gita.
La meditazione e lo yoga ci permettono di acquisire una forza e una libertà interiore sempre più grandi: le nostre angosce e paure saranno ammorbidite e la fiducia e la gioia di vivere sostituirà l'insicurezza, mentre l'altruismo appassionato andrà a sostituire l'individualismo cronico. Le persone equilibrate e felici sono anche naturalmente persone altruiste.
Per rispondere alla tua domanda, sì, certo, si può' benissimo intraprendere un impegno sociale prescindendo dallo yoga, ma spesso si finisce per usare l’attività di volontariato per trarne un beneficio personale, per aumentare la propria autostima, ridurre un sentimento di disagio, ecc …
Mentre un volontario che pratica yoga svolgerà con maggiore facilità un'attività totalmente disinteressata.
Praticando yoga, ci sarà possibile preservare una certa forza interiore, gentilezza, e pace interiore, mantenendo una certa distanza dall'esterno.
Più siamo lucidi circa il mondo, più accettiamo di vedere come realmente è, più è facile accettare che non possiamo fare fronte a tutte le sofferenze che incontriamo nella nostra vita.
Al di là delle differenze tra Oriente e Occidente, religione, spiritualità, ateismo e laicità, si dovrebbe cercare di riformulare una nuova etica per ottenere un mondo migliore alla quale, credo fortemente che lo yoga possa dare un contributo significativo.
*In uno dei suoi lavori, nati sempre da grande entusiasmo, ho finito anche per essere trascinato in qualità di coautore:
Esperienze di Meditazione. 54 praticanti si raccontano, Edizioni Efesto, Roma 2016.
Cesare Maramici |
Nota bio-bibliografica
Cesare Maramici ha insegnato informatica dal 1984 al 2020 e ha ricoperto il ruolo di consulente (dal 2003 al 2012) nell'ambito del progetto internazionale
"Education for rural people" gestito da FAO ed UNESCO.
In questi ultimi anni ha svolto l’attività di facilitatore in corsi di yoga e quella di volontario con Amnesty International, il VIS ( Volontariato Internazionale per lo sviluppo) e la ONLUS Ostia per l'Africa. Attualmente è volontario della Croce Rossa Italiana.
Principali pubblicazioni:
2019 |
Libro: Lo yoga spiegato a mia figlia, Ed. Simple, |
|
|||
2016 |
Libro: Esperienze di meditazione. 54 praticanti si raccontano, Editore: Efesto, coautore Roberto Fantini |
|
|||
2016 |
E-book: I rischi della rete, Editore: Società Dante Aligheri |
|
|||
2015 |
Libro: Educazione Interculturale attraverso le nuove tecnologie, Editore:EAI |
|
|||
|
|||||
2014 |
Libro: La meditazione in azione, Edizioni Simple |
|
|||
|
|||||
Chi siamo? Cosa sono la natura e la società? Quale rivoluzione culturale ci può salvare? Cosa sono oggi l'autorealizzazione e la crescita personale? Come può ciascuno perseguirle in un modo più rapido ed efficace di un "Intensivo di Illuminazione"? In questo saggio di carattere filosofico e di psicologia umanistico esistenziale, troverete le risposte. Gli esistenzialisti si sono preoccupati del "sentimento esistenziale", della nausea e dell'angoscia, gli Esistenzisti invece considerano l'Esistenza come una possibile opera d'arte, secondo una nuova prospettiva Ontica che tenga conto della complessità della natura, della sua "imperfezione creatrice" e del nostro ruolo dentro tale armonia.Noi utilizziamo la ragione, la logica, la matematica e l'ontologia scientifica per conoscere, ma la natura non pensa, eppure è capace, nella sua armonia, di creare dei soggetti pensanti e autoconsapevoli. Noi cerchiamo di "spiegare" la natura secondo la nostra immaginazione e secondo l'ordine logico razionale, ma la natura crea secondo la sua armonia ontica e complessa. Perciò occorre pensare Onticamente, andando oltre la logica, per capire finalmente la complessità di noi stessi, della natura, della società e della cultura, per creare una nuova civiltà che ci conduca all'autorealizzazione individuale e collettiva sapendo prenderci cura della nostra Esistenza, della convivenza con le altre specie e della coesistenza pacifica e felice degli "Homo Sapiens".
Scaricabile da Amazon
In questa sua ultima fatica Roberto Fantini analizza il dogma della chiesa cattolica relativo all’Inferno e mette in evidenza come il credere che un Dio, Padre creatore, il suo stesso Figlio, l’intera comunità dei Santi potessero eternamente vivere, immersi nella condizione di felicità assoluta, mentre i dannati verrebbero destinati a sofferenze eterne, abbia prodotto la più radicale svalutazione della compassione, abbia legittimato la società del privilegio, la società delle élites , il rifiuto dell’empatia, del sentimento di solidarietà. Si è creata una psicologia personale e collettiva indecente, un modo di pensare, di sentire, di essere impermeabilizzati alla sofferenza di chi “merita” di soffrire (del proprio prossimo, cioè, non più classificato come tale). In questi quasi duemila anni la corrente cristiana ha prodotto una morale che ha esaltato la virtù soprattutto (se non soltanto) come “mezzo” per “guadagnarsi” la salvezza e sfuggire all’inferno (moralità meschinamente fondata sulla paura e su calcoli utilitaristici) e che ha quindi prodotto la concezione di una umanità irrimediabilmente divisa tra il bene e il male. Che ha favorito proselitismo e opera missionaria intesa e praticata molto spesso in maniera invasiva, impositiva, coercitiva e umiliante. Favorendo anche l’uso delle maniere“forti” , considerate legittime, pur di strappare qualche anima al diavolo. Soprattutto ha conferito all’istituzione ecclesiastica un potere illimitato, assolutamente incomparabile con quello di qualsiasi altra istituzione politica, civile o religiosa. La Chiesa, infatti, dichiarandosi erede unica dell’unico Dio, si è proclamata unico intermediario tra uomo e Dio, nonché unico strumento terreno voluto da Dio per consentire la salvezza delle anime. Ha innalzato la propria autorità al di sopra di tutto, attribuendosi proprietà e privilegi unici e ritenendosi immune da ogni possibilità di essere giudicata. Si è creata un’umanità servile, sottomessa ad una casta sacerdotale,forse la più nefasta. A sostegno di questa tesi del terrore il riferimento a molti santi: Agostino, spietato teorico dell’eterno supplizio. Scrive il vescovo di Ippona: vi sarà soltanto”miseria eterna, la quale si chiama anche “seconda morte” perché non si può dire che viva l’anima separata dalla vita di Dio, né che viva il corpo condannato ai tormenti eterni”. Vi sarà, cioè, una seconda”morte” che si rivelerà infinitamente più penosa della prima”perché non potrà finire con la morte”. “Il loro verme non morrà e il loro fuoco non si estinguerà”….”Ma quella Geenna, chiamata anche “stagno di zolfo e di fuoco”, “sarà un fuoco corporeo e tormenterà i corpi dei dannati”.
Per il nostro autore la tesi della eternità delle pene infernali è una proiezione nell’aldilà di un modo di concepire la pena nei termini dell’imperdonabilità, dell’irreversibilità e della pura vendicatività. L”Inferno” viene descritto nel Dizionario di Teologia dogmatica per i laici: “ lo stato e il luogo dei dannati ossia quelli che, morti in peccato mortale, subiscono una pena eterna…..” e nell’Enciclopedia ecclesiastica del 1950 è “ il luogo e lo stato di punizione eterna inflitta da Dio infinitamente giusto all’anima e, dopo la risurrezione finale, anche al corpo di chi muore reo sia pure di un solo peccato mortale” .
Per il nostro la concezione cristiana dell’inferno, imponendo “all’intelligenza impenetrabili misteri”, non potrebbe che risultare razionalmente incomprensibile e inaccettabile. Ciononostante – ma senza che ci sia un adeguato passaggio logico- si afferma che sarebbe “una delle più certe”, come poter affermare la “certezza” di qualcosa di incomprensibile resta un mistero per Fantini. Anzi, è questa la più chiaramente espressa ed esibita ad opera della presunzione della teologia e della strategia ecclesiastica di controllo e di assoggettamento delle coscienze. Nessun’altra religione ha avuto modo di dedicare tanta attenzione alla definizione dottrinale e al suo sistematico ed imperativamente ossessivo insegnamento. L’esistenza dell’Inferno e dell’eternità delle “ pene che vi si soffrono”sono da ritenersi come “dogma di fede”.
Ancora ai giorni nostri un editoriale di Civiltà cattolica del 1999 precisa che l’Infermo esiste, che non è un luogo ma è uno “stato”, un modo di essere della persona perché privata di Dio, che è la “fonte di felicità di tutto l’essere umano” e che l’Inferno è eterno, non per il fatto che così voglia Dio, ma per il fatto della decisione che l’uomo prende coscientemente nella sua vita e che conferma in punto di morte. Dopo di questa l’essere umano non può pentirsi o tornare indietro. Nel catechismo sempre della chiesa cattolica viene quindi confermata l’esistenza dell’Inferno e della sua eternità. Da ciò ne deriva, per il nostro autore, che pur con tanti cambiamenti di carattere formale, volti ad accantonare secoli di deliri vergognosi, la sostanza dottrinale resti tutt’ora fondamentalmente immutata. Si tratta soltanto di un’abile operazione volta a rendere meno palesemente assurda e ridicola (e quindi meno attaccabile) l’immagine tradizionale. La rende solo formalmente meno indecente, ma ciò non ha comportato affatto una revisione di carattere dottrinale: il pensiero teologico e i documenti ufficiali post-conciliari (pur con una innovativa sobrietà) continuano a ribadire la natura eterna dell’Inferno e delle sue pene e ciò, sebbene gli ultimi papi abbiano tentato di rendere meno terrorizzante l’assunto: “Dio -scrive papa Bergoglio- non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”, “ Dio dinanzi alla gravità del peccato risponde con la pienezza del perdono”in quanto “la misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato”.
Di contrapposto al concetto della dannazione eterna o della salvezza eterna propagandata dalla chiesa per millenni quale strumento di terrore, Fantini fa riferimento ad Origene, tra i principali scrittori e teologi cristiani dei primi tre secoli, il quale propugnò la teoria dell”Apocatastasi”: in essa Dio prima di tutto è bontà (la quale si manifesta già nell’Incarnazione). L’opera redentrice del Cristo è stata compiuta per tutti; Cristo è morto volontariamente, compiendo un particolare sacrificio espiatorio per tutta l’umanità, per Origene la morte è una penitenza, e ogni penitenza è solo disciplinare, ha una motivazione altamente pedagogica e risanatrice, perciò nella restaurazione finale di tutte le cose, peccatori e santi saranno redenti allo stesso modo perché gli “spiriti immortali” non possono essere dannati eternamente. Anche il Diavolo si riconvertirà e saranno reintegrati con lui tutti i dannati, Dio sarà tutto in tutti.
Il nostro cita anche il pensiero di altri intellettuali e filosofi, Aldo Capitini in primis: “I tutti esistono, ci sono: e qui è Dio come fonte del loro essere, creatore, Unità che si estende a tutti in quanto apparsi alla vita”. Giovanni Franzoni: “a ogni singolo uomo, ridare il volo a questo uccello con le ali bagnate. All’uomo tocca tendere la mano al fratello maggiore caduto. All’uomo, a ogni uomo, tocca con l’amore resuscitare l’amore”. Luigi Lombardi Vallauri: l’Inferno è indiscutibilmente esistito e continua ad esistere, con effetti dolorosamente deleteri nelle menti (assai numerose) di coloro che lo hanno creduto e che continuano a crederlo “esistente”. Sia la concezione cattolica del peccato originale sia quella dell’Inferno meritano di essere definite “antigiuridiche”. “Antigiuridiche e anticostituzionali anche sotto il profilo della natura della pena”e ciò perché, rifiutando la cultura giuridica di Beccaria e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, l’uso della tortura e di “pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti e tormenti che non avranno mai termine” risulta del tutto impensabile destinarlo ad un’anima . Vito Mancuso: le posizioni sostenibili sono solo due: l’apocatastasi origeniana e l’annichilazione animica, la dissoluzione definitiva dell’entità personale; l’Inferno, in tal caso non sarebbe altro che “il simbolo vuoto di questo oscuro destino”.
Nell'opera di Fantini aleggia la fragranza della vita, fondamento della società, quasi un modo di pensare rivolto essenzialmente all’essere umano; in altre parole una filosofia basata sulla dignità della vita. Una rinascita dell’essere umano è impossibile se si dimentica questo tipo di pensiero. Ciò vuol dire non sfruttare mai, per nessun motivo, la vita, l’individualità o la felicità delle persone. L’obiettivo è quello di promuovere e preservare la vita, l’individualità e la felicità degli esseri umani, affinché gli uomini non vengano mai ridotti a meri strumenti per raggiungere altri scopi.
LA MENZOGNA DELL'INFERNO - Roberto Fantini
Contro la concezione dell'eternità
delle pene infernali
Edizioni Efeso - €16.00
"Molti aspetti nascosti della psiche femminile si svelano e si attivano con la maternità che può essere un momento di Rivelazione un'esperienza trascendentale se la accettiamo come tale Se riceviamo il sostegno necessario per affrontarla".
Laura Gutman, argentina, è psicoterapeuta junghiana specializzata in relazioni parentali. Ha fondato “Crianza”, istituzione che comprende la Scuola di Formazione Professionale di Crescita. Autrice di numerosi best-seller su nascita e puerperio, offre in questo libro importanti spunti di riflessione per chi si appresta a diventare madre.
Il parto, lungi dall'essere una separazione instaura invece una vera e propria fusione emozionale tra madre e bambino, una comunicazione basata su energie sottili e in contatto continuo con l'ombra.
La vera separazione si attua con la fine della fusione emozionale eavviene intorno ai 2 anni e mezzo del bambino, che coincide con l'inizio dello sviluppo del linguaggio verbale e con l'utilizzo della prima persona singolare.
Che cos'è l'ombra?
In psicoterapia è il terreno del' inconscio, si riferisce alle parti ignote della nostra coscienza. Robert Bly, nel “Il piccolo libro dell'ombra” paragona il nostro vissuto ad uno zaino che tendiamo a riempire i modo compulsivo con ogni tipo di esperienza, finché lo zaino si fa più pesante e diventa sempre più difficile e doloroso aprirlo e fare spazio.
Il neonato, per una madre, diventa un maestro, una guida perché non ha ancora la possibilità di relegare nell'ombra aspetti che l'adulto cosciente rifiuta.
"La maternità apre il cuore lo espone alla miseria, all'allegria, alle insicurezze, alle situazioni ancora da risolvere, da comprendere e ci consente di mostrarci fragili".
Dopo il parto, per due anni, la mamma non può considerarsi un individuo ma una diade, una mamma- bambino.
Si ritrova la madre con la sensazione di perdere i propri riferimenti, la propria razionalità, vivendo come se fosse uscita dal mondo: un'emozione che viene etichettata spesso come “depressione puerperale”, in realtà sta avvenendo un necessario e non rimandabile incontro con la propria ombra.
L'autrice alterna alle parti teoriche casi esplicativi con le quali entra in contatto nel suo lavoro di psicoterapeuta.
Il parto diventa una vera e propria “destrutturazione spirituale”, una rottura emozionale che permettere il passaggio alla realtà di due persone. Purtroppo c'è scarsa consapevolezza rispetto al parto e a questo “rompersi pienamente”:
le nascite vengono sempre di più indotte, le anestesie e la fretta di sbrigare la pratica lascia la donna lacerata e stordita come un vulcano che appena eruttato. Si ritrova con le sue macerie, e con i suoi lapilli ancora incandescenti.
Purtroppo aumentano i casi di violenza ostetrica, indicatori della poca sensibilità che la società di oggi ha attuato verso questo importante momento di passaggio: ricovero precoce, rasatura, clistere, flebo, ossitocina sintetica, episiotomia, anestesia epidurale, sono tutte situazioni che vengono vissute come prassi medica spesso non richiesta e che rendono questo momento meno naturale possibile.
Un'altra fase importante che merita di essere sostenuta è quella dell'allattamento che l'autrice definisce “incontro amoroso” che presuppone tempo dedicato e intimità, proprio come un atto sessuale.
"Il parto e l'allattamento sono le migliori opportunità affinché una donna si connetta con gli aspetti più naturali del suo essere essenziale"
Le difficoltà incontrate dalle madri nell'allattamento spesso hanno origine nella mancata comprensione che si tratta appunto di un atto d'amore e non solo di una somministrazione di cibo: per allattare è necessario avere introspezione e equilibrio, entrare nel mondo dell'ascolto profondo e dell'intuizione affinché il bambino non solo si nutra del latte ma anche del contatto permanente e corporeo con la madre.
Una figura interessante che sostiene la donna in questo momento di passaggio è la doula, termine proviene dal greco, che significa “schiava della donna” e indica le operatrici che accompagnano le puerpere in questa nuova identità.
Uno spunto interessante riguarda la capacità di comprensione dei neonati: l'autrice invita le persone a parlare con loro perché essi comprendono tutto, anche ciò che non si vede. Un , infatti, comprende il linguaggio verbale anche se non lo sa usare e reagiscono con violenza quando non vengono considerati esseri capaci di comprendere; quindi l'autrice invita i genitori a parlare loro, a spiegargli come sarà la giornata, chi si prenderà cura di loro e perché, spiegando cosa il genitore farà in questa assenza; è importante non negare mai quello che sentiamo, e comunicarglielo, fosse anche l'origine delle nostre preoccupazioni o delle nostre allegrie, il bambino che sa rimane distante dall'ansia. Parlare al neonato in prima persona, dunque, nel modo più diretto, dire la verità senza emettere giudizi: questi i consigli dell'autrice, perchè quando una persona parla partendo da se stessa e da quello che prova non crea conflitti ma genera comprensione, esprimersi risulta più semplice.
Che ruolo ha il padre?
"La funzione paterna è fondamentale in due precisi momenti: il primo tra la nascita e due anni coincide con il sostegno attribuito alla diade madre-bambino; il secondo, dopo i due anni, si riferisce alla separazione che corrisponde alla strutturazione del proprio io da parte del bambino insieme al distacco emozionale della mamma".
Il padre, dunque, oltre ad offrire un aiuto concreto, accompagna la madre al contatto con l'ombra, appoggiando attivamente l'introspezione; è auspicabile che la mamma riconosca e comunichi al bambino la funzione svolta dal padre. Anche le madri single hanno bisogno di trovare dei separatori emozionali che permettano loro di rompere la fusione; tale separazione può arrivare tramite un lavoro, un'attività artistica o sportiva, per loro sarà necessario creare una rete di aiuto e incontro con le altre madri.
I sintomi del bambino trasmettono informazioni sul cammino di introspezione della madre: la malattia porta luce e consapevolezza sugli aspetti che abbiamo rilegato nell'ombra, pertanto non va vista solo da un punto di vista fisico, ma è importante comprenderne il linguaggio.
L'autrice porta l'empio di malattie come i raffreddori o alterazioni della mucosità: respirare ci unisce alla vita e agli altri, questo tipo di sintomi sono indice di relazioni: quando non possiamo respirare vuol dire che stiamo respingendo la vicinanza degli altri e desideriamo solitudine; lo starnuto diventa di segnale di allontanarsi e bisogno di un contatto più profondo con se stessi. I bambini asmatici sentono forte l'esigenza di contatto fisico e della presenza della madre; l'allergia è il rifiuto e la difficoltà a riconoscere l'aggressività; le infezioni indicano una rabbia contro qualcosa o qualcuno;i problemi digestivi indicano scontenti emozionali legati a cosa voglio e come posso rifiutare qualcosa che non mi piace.
Un libro importante, per prepararsi con consapevolezza ad un momento di passaggio che trascende l'aspetto di luce e positività che siamoabituati a vedere e offre importanti occasioni di comprensione della propria trasformazione emotiva e fisica.
Maternità tra estasi e inquietudine - Laura Gutman
Terra nuova edizioni
Ci sono libri che hai bisogno di rileggere quando la poesia della vita sembra perdersi dietro una quotidianità ritmata da esigenze estranee alla propria fame di bellezza.
Ci sono libri che nutrono dimensioni sottili della accorgersi.
Le specie del sonno è uno di questi libri: con l'introduzione da Italo Calvino e chiuso dalla penna di Giorgio Agamben, è dedicato ad Anna Maria Ortese e a José Bergamin.
Il libro di Ginevra Bompiani parte dal mito, visto con gli occhi illuminati di chi riesce a calarlo nel presente per farne azione creativa.
Una mitologia che parte dalla lontananza per poi avvicinarsi e percorrerti dentro, che ti fa volteggiare tra le parole, capaci di dare voce al proprio sentire, al proprio pensare.
nella prima l'autrice tesse le storie della natura di esseri mitologici come gli ermafroditi, i Centauri, le Amazzoni, Eros e Psiche, Pan, e lo fa andando a scandagliare aspetti dell'animo umano alle quali il mito silenziosamente si rivolge.
Nella seconda parte il protagonista è Eracle e le sue fatiche, all'interno delle azioni dell'eroe emerge il senso della vita, del proprio cammino e della comprensione del mondo.
È una scrittura maestra, quella di Ginevra Bompiani, raffinata ed elegante, evocativa e mai scontata.
È un vero repertorio delle umane emozioni raccontate attraverso storie che accaddero un tempo che continuano ad accadere: un ventaglio di toni che vanno dalla malinconia alla stanchezza, dalla disperazione al pianto, dall'allegria alla spinta decisionale.
È un libro che cura e lo fa accarezzando con storie antiche vestite di poesia di poesia
“Niente è per l’uomo più difficile che guardare un albero senza amore, una campagna senza gelosia, un brandello di schiuma senza desiderio; niente gli è più alieno che l’assenza di lacerazione tra diverse specie di amore; voglie e nostalgie si contendono i suoi passi come mendicanti spagnoli appesi alle vesti; e se, con un gesto negligente, li scrolla da sé, ecco apparire all’orizzonte un nugolo di polvere (cavalieri? bufali? mulinelli?) che subito affretta il suo passo e lo trascina, innocente, verso una morte perversa”.
GINEVRA BOMPIANI
Le specie del sonno
Quodlibet
Emiliano Federico Caruso, giornalista, fotoreporter professionista e scrittore di viaggio, in 22 anni di questo mestiere ha collaborato anche con “Il Fatto Quotidiano” e altre testate nazionali. Attualmente scrive per “Antimafia Duemila”, “Kmetro0” e “Terre Incognite”, dove si occupa di reportage su luoghi insoliti, inchieste sulla criminalità organizzata, geopolitica, cronaca e religioni. Vicedirettore del periodico “L’Attualità”, considera Enzo Biagi e Tiziano Terzani i maestri a cui ispirarsi, e da sempre è un convinto difensore del giornalismo da strada fatto di scarpe consumate, taccuini, persone e luoghi vissuti dal vivo.
Partendo dai ricordi di un viaggio in treno sulla rotta Slavutych-Semykhody, al confine tra Ucraina e Bielorussia, in questo libro, arricchito da una prefazione di Giorgio Fornoni, l’autore attraversa alcuni dei suoi reportage pubblicati negli ultimi anni. Dalle sale dei reattori della centrale di Chernobyl fino alle manifestazioni dei Gilet Gialli a Parigi, dagli incontri con i pescatori pugliesi fino agli avamposti della Seconda guerra mondiale in remote isole del nord della Scozia, senza dimenticare la geopolitica dell’est Europa, le religioni, il traffico di droga, la criminalità organizzata e il terrorismo.
Anni di notizie, avventure e qualche rischio, sempre con una forte passione per il mestiere di giornalista e con la voglia di scendere in strada, per vedere le cose con i propri occhi e sentirle con il proprio cuore prima di scriverle.
Nato a Roma nel 1976, Emiliano Federico Caruso è cresciuto divorando i romanzi di Michael Ende, Jules Verne, Tolkien, Ray Bradbury e la narrativa horror/fantasy in generale.
Da sempre fortemente appassionato di H.P.Lovecraft, George Orwell ed Edgar Allan Poe, dopo 22 anni di carriera nel giornalismo ha iniziato a dedicarsi seriamente alle numerose bozze di racconti che, da anni, riposavano nel suo cassetto, pubblicando con Amazon Edizioni il racconto "Il sepolto di Ghar'Strag" e la raccolta "Tre racconti nel buio", che include le storie horror "La scomparsa di Alexander Taylor", "La madre eterna" e "Il parassita di pietra".
Nei suoi racconti, dove si avverte forte l'influenza di Lovecraft, Caruso ci accompagna tra le nebbie della Scozia, nella quale si è già recato più volte come reporter, per raccontarci storie di demoni, vichinghi, mutazioni, antiche tombe e culti proibiti.
Nel "Il sepolto di Ghar'Strag" un gruppo di vichinghi decide di recarsi in una misteriosa isola circondata da nebbie e tempeste per dare una degna sepoltura al loro thane. Guidati da una strana creatura, scopriranno ben presto che esistono destini peggiori della morte per un guerriero.
"La scomparsa di Alexander Taylor" narra di agente letterario che inizia a indagare sull'insolito ricovero in ospedale del suo vicino di casa, un celebre botanico ossessionato dalle particolari proprietà di alcune piante, e ben presto capirà fino a che punto si sia spinto il dottore nelle sue ricerche.
Ne "La madre eterna" due giovani amici che vivono in un vecchio palazzo della zona portuale di Granton si dedicano alle ricerche sulla storia di una famiglia che viveva nello stesso edificio quarant'anni prima. Scopriranno che qualcosa del passato doloroso di quella famiglia risale periodicamente dai sotterranei di Edimburgo.
https://www.amazon.com/-/e/B088K6VWTQ?ref_=pe_1724030_132998070
Stefano Mancuso è il direttore del laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell'Università degli Studi di Firenze e autore di saggi sull'intelligenza vegetale come L'incredibile viaggio delle piante (Laterza 2018), Plant revoluction (Giunti editore 2017), Botanica. Viaggio nell'universo vegetale (Aboca edizioni 2017), Verde brillante, sensibilità e intelligenza del mondo vegetale con Alessandra Viola (Giunti editore 2015), Biodiversi con Carlo Petrini ( Slow Food 2015), Uomini che amano le piante (Giunti editore 2014).
Il libro si si apre invitando il lettore a avere gli stessi occhi degli astronauti della missione Apollo 8 che nel 1968 scattarono la foto Earthrise: ci fornirono l'immagine di "un pianeta verde per la vegetazione bianco per le nuvole, blu per l'acqua".
In questo libro l'autore dà voce alle piante, che vengono viste come una nazione a tutti gli effetti, la cui bandiera è verde, bianca e blu, ed consta di una popolazione che è la più numerosa e diffusa sulla terra (basti pensare che sono gli alberi sono oltre 3000 miliardi), una nazione che comprende ogni singolo essere vegetale presente sul pianeta; una vera potenza planetaria, insomma, senza la quale non esisterebbe la vita.
L'articolo 1 stabilisce che "la terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene ad ogni essere vivente": in questo primo articolo l'autore si domanda che cosa realmente noi percepiamo come “normale” poiché viviamo la nostra quotidianità dentro una bolla che ci collega solo con i nostri simili, con gusti conformi ai nostri. L'uomo si sente il padrone del pianeta quando in realtà" la sua quantità di biomassa è pari a un decimillesimo dell'intera biomassa del pianeta".
Il secondo articolo ci mostra come la specie predatoria umana possa creare dei profondi squilibri nell'ecosistema; viene citato l'esempio dell'affare del colore rosso, una tinta utilizzata dagli Aztechi che derivava da una coccinella che viveva sulle pianta del fico d'india. Molto richiesta, questa produzione rimase monopolio della Spagna, finché spie britanniche non ne capirono il segreto. Per iniziare la produzione di cocciniglia in Australia, fu trapiantato anche il fico d'India e il risultato fu che gli insetti tanto desiderati morirono subito mentre i fichi d'india conquistarono il loro territorio australiano.
Per fermare l'avanzata del fico d'india l'uomo immette nell'ecosistema un lepidottero parassita dell'opuntia: questo parassita, però, comincia a minacciare interi ecosistemi durante il suo cammino andando ad attaccare i fichi d'india di San Salvador delle Bahamas, una delle principali fonti di vita e di cibo per le popolazioni del luogo.
L'articolo 3 della Nazione delle piante si basa sul principio della democrazia vegetale, caratterizzata da un aspetto decentralizzato e diffuso, che non riconosce alcun tipo di gerarchia. Le piante, lungi dall'essere inferiori, hanno attuato strategie di sopravvivenza (anche detta intelligenza) che ha permesso loro, seppur non dotati di un movimento effettivo, di sopravvivere. La loro particolarità si realizza nella distribuzione, a differenza dell'uomo che, invece, concentra le funzioni vitali in singoli organi. L'uomo replica questa organizzazione centralizzata e verticistica (propria del suo corpo) anche nella sua società: hanno strutture piramidali aziende, uffici, scuole, associazioni, eserciti, e questo tipo di organizzazione ha come unico, blando vantaggio la velocità, proprio perché, essendo una persona sola a decider le azioni da compiere questo permette una rapidità maggiore.
Una rapidità che, però, presuppone una burocrazia che ricalca di nuovo un' impostazione gerarchica. Qualsiasi organizzazione centralizzata e gerarchica è fragile. Le piante, invece, sono esseri modulari costituite, appunto, da singoli moduli che si ripetono infinite volte e formano strutture sempre più complesse ma che non hanno un centro fondamentale, quindi nessuna parte è fondamentale o più importante rispetto alle altre.
L'articolo 4 vede la Nazione delle piante rispettare i diritti di ogni essere vivente ma anche delle generazioni future.
Nel suo percorso la Terra subito 5 estinzioni di massa e altrettante estinzioni minori, prima di arrivare ad un Era definita “antropocene”, che vede come predominante l'azione tellurica dell'attività umana.
Peccato che un gruppo di ricerca nel 2014 ha stimato il tasso di l'estinzione della terra 1000 volte superiore rispetto a prima dell'apparizione dell'uomo: la distruttività umana influenza le altre specie viventi e nello stesso momento si condanna a morte da sola.
Le piante sono l'anello di congiunzione tra il sole e la terra (grazie ai cloroplasti) e sono state loro a rendere ospitale e possibile la vita sul nostro pianeta.
Stefano Mancuso |
Le piante sono in grado di ridurre la quantità di CO2 nell'atmosfera permettendo agli altri esseri viventi di conquistare le terre emerse: è per questo che è importante bloccare ogni deforestazione e sarebbe auspicabile che le nostre città fossero coperte di piante ed alberi per permetterci un'aria respirabile e il diritto ad un'atmosfera pulita.
L'articolo successivo vieta di predare qualsiasi risorsa che non si possa ricostituire mentre il settimo articolo si schiera contro i confini e le barriere, e garantisce ad ogni essere vivente la possibilità di vivere e trasferirsi senza limitazioni.
L'ottavo articolo riconosce il mutuo appoggio fra le comunità naturali come strumento reale di progresso evoluzione: un'affermazione che va contro i principi darwiniani, mentre si dimostra più vicino all'idea anarchiche di Kropotkin sul mutuo appoggio come fattore di evoluzione. A partire dai rapporti simbiotici fra batteri per arrivare ai reciproci vantaggi delle fusioni tra fungo e alga, l'autore tesse un elogio della cooperazione, attraverso la quale la vita ha imparato ad ottenere risultati che non sarebbe stato possibile raggiungere in modo competitivo ed egoistico.
Un libro che si presenta come un “inchino” a queste anime silenziose e generose grazie alle quali siamo vivi, e continueremo ad esserlo. Solo da specie così evolute possiamo apprendere le lezioni di vita più importanti che la Costituzione delle piante ha descritto.
Stefano Mancuso
La Nazione delle piante
Laterza
Una storia poco conosciuta ma che merita di essere raccontata è quella di Giulia Tofana che visse nel XVII secolo tra Palermo e Roma, narrata dalla penna di Adriana Assini, scrittrice a acquarellista romana, autrice di diversi romanzi storici come Le rose di Cordova, 2007, Un caffè con Robespierre, 2016, Agnese, una Visconti, 2018.
Giulia, “figlia di cento padri” tanti sono stati clienti della madre, nasce a Palermo in una condizione di estrema povertà e sin da quando era adolescente inizia l'arte antica della meretrice; il suo merito (o forse quello di sua madre) è quello di aver inventato una pozione capace di dare la morte senza destare sospetti di avvelenamento.
Grazie all'amicizia con un frate speziale che la riforniva delle “polveri” necessarie, mise a punto la sua miscela che rimase nella storia con il nome di “acqua tofana”:
“...in una pignatta otturata col sapone per impedire che sfiatasse, non bolliva la solida brodaglia servita a pranzo e a cena, bensì un composto che richiedeva mano esperta, precisione nelle dosi e una certa perizia nel mescolare due once di arsenico, un mezzo tari d'antimonio con una foglietta d'acqua chiara”.
I suoi servigi erano per clienti di diverse estrazioni sociali: c'era chi pagava “100 doppie d'oro”, mentre, a chi non poteva permetterselo, Giulia chiedeva in cambio un paniere di uova fresche o un boccale di farina.
Giulia scelse di usare questa capacità farmacologica per metterla a servizio delle donne che avevano subito abusi da parte dei mariti.
Bastavano poche gocce da mettere nella zuppa o nel vino mantenendo però rigore e regolarità e “ci si poteva liberare dei nemici nel giro di poche settimane senza correre il rischio di essere scoperti”.
Infatti l'abilità di Giulia è stata quella di essersi esercitata nella creazione di un liquido insapore, trasparente e senza odore. Nei primi giorni l'effetto era quello comune a molto malanni come febbre o vomito per arrivare poi all'attacco di cuore ma mantenendo un colorito roseo che allontanava ogni sospetto di omicidio.
Giulia si raccomandava alla donna di non dare nell'occhio e di mantenere un atteggiamento consono alla malattia prima e al lutto poi.
“Io sono la speranza di tante sventurate che nessun giudice difende, che nessun Santo protegge: ci oltraggiano ma non ci domandano perdono, ci uccidono e se la cavano con una ammenda; di fronte a simili ingiustizie non posso che vantarmi della mia invenzione”.
La giustizia è questione di maschi, e Giulia lo sa.
“...Se i magistrati avessero più a cuore la giustizia di Giulia Tofana non ce ne sarebbe alcun bisogno, ma nei tribunali sono tutti uomini e gli uomini vogliono il male delle donne, nonostante siano carne della loro carne”.
Costretta a lasciare Palermo insieme alla sorella Gerolama per alcuni ombre inquisitoriali che aleggiavano su di lei, portandosi dietro le quattro sante protettrici della città (Agata, Ninfa, Cristina e Oliva) arrivò a Roma seguendo frate Girolamo, dove continuò la sua missione di assassina di mariti violenti e non voluti. La sua acqua tofana porterà alla morte 600 vittime, e l'inquisizione murerà a vita le mogli a palazzo Pucci a Porta Cavalleggeri.
Due amori si intrecciano nella vita della protagonista: il barone Manfredi che arriverà fino a Roma per cercarla e quello di Frate Girolamo, che nonostante i suoi abiti religiosi, la amerà e si dedicherà al suo benessere intercedendo per la sua salvezza fino alla fine.
Un romanzo scorrevole, che ben delinea e tratteggia la forza della protagonista, sottolineando la sua assertività e la sua sicurezza. Giulia, infatti, non ha mai calpestato se stessa e fino all'ultima pagina la vediamo rifiutare situazioni di comodità per mantenere fede alla sua libertà di donna.
ADRIANA ASSINI
GIULIA TOFANA
Gli amori, i veleni
Scrittura e Scritture editore
"Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone" - J. Steinbeck.
Era una bellissima giornata di primavera, ho spalancato le finestre della mia stanza ed ho alzato gli occhi al cielo ed il sole ha iniziato a scaldare il mio viso regalandomi una magnifica sensazione di benessere. Da quell'istante ho capito che grande dono avevo avuto ed ho ricominciato a vivere ...
Il mio libro è una raccolta di storie della città di Roma. Attraverso racconti tramandati da alternativi sarà possibile visitare luoghi e monumenti sconosciuti collegati a leggende risalenti al periodo della vecchia, bella Roma.
«Nel 1652 il Papa inaugurò la consuetudine del Lago di Piazza Navona. La grande piazza completamente allestita donando al popolo romano, un po 'di affresco dalla calura estiva »...
«Le ragazze romane portavano i loro fidanzati a bere alla Fontanella, la sera prima della partenza dei loro uomini» ...
«... San Domenico, il fondatore dell'ordine dei padri, fu colui che piantò il primo albero di arance su questo terreno e da otto secoli la stessa pianta fiorisce puntualmente ogni anno ad agosto, nel pieno dell'estate» ...
Ho voluto regalare un'immaginaria visione della città di Roma a tutte le persone che non hanno la possibilità di poter «vivere» la storia della Città Eterna. A volte sussistono impedimenti fisici che considerano una chiusura mentale, oltre che fisica, nella quale tutto può divenire buio e freddo. Il mio desiderio è quello di riuscire a scaldare il cuore delle persone, regalando un po 'di sole un chi non lo sente più da tanto tempo ... Dono i miei occhi a chi non può vedere.
acquistabile su Amazon.it formato Kindle
L'ultimo libro di Marina Valcarenghi pubblicato dalla Moretti & Vitali nella preziosa collana “Amore e Psiche” è un lavoro appassionato sul desiderio.
La collana, diretta da Carla Stroppa da Marta Tebaldi ha come caratteristica peculiare quella di partire dai miti antichi per attualizzarli e calarli in situazioni psicologiche attuali.
Il mito da cui parte l'autrice del “L'aggressività femminile” è proprio quello di Amore e Psiche, un mito che ci condce nei nei tortuosi sentieri del desiderio e della passione; la storia di Psiche, infatti, e' la possibile storia di un'anima che trascende ogni età e tempo.
I moti turbolenti dell'animo di Psiche la portano a fuggire il ritmo quotidiano caratterizzato da una malinconia che oggi potrebbe essere definita “depressione”. Una depressione che può incanalarsi nella demotivazione, nel disinteresse verso ciò che un proprio desiderio può iniziare a mostrare, nella delegittimazione, ovvero nella sfiducia in se stessi e nel divieto che ci auto-imponiamo nel dare concretezza al nostro desiderio.
I lacci che ci frenano dal seguire questa spinta desiderante possono essere chiamati anche vittimismo, dipendenza relazionale, immobilità, dettata anche da traumi antichi.
Ad attivare la trasformazione di Psiche in quella che realmente poi lei diventerà, saranno le molte prove che Afrodite presenterà alla fanciulla, e che la porteranno a diventare un anima "infinita, magica collettiva perché la sua energia può andare oltre la vita mortale".
Ma per arrivare ad essere la propria potenza, la ragazzina dipendente dalla famiglia e infelice dovrà necessariamente passare per degli stadi di consapevolezza.
La prima scelta per porsi nel cammino della passione e del desiderio implica il coraggio e la trasgressione (che non è così sinonimo di disobbedienza ma si volge verso una scelta che rompe un equilibrio).
Una trasformazione alimentata da Eros, che la tradizione avvicina più a un demone che un Dio, una forza capace di spalancare nuovi orizzonti all'anima, così come solo il figlio di Afrodite e di Caos sa fare.
A salvare Psiche del suo primo tentativo di suicidio è Pan che rappresenta un selvaggio e primordiale istinto di vita, Pan è un essere ibrido tra un bambino e una capra, vive nei boschi, regna in quel confine tra umano e animale ed è emblema della dimensione selvatica e incivile di ognuno di noi.
Pan invita psiche a pregare... E subito dopo Psiche riconosce le proprie ombre e chiude i conti con il suo passato rappresentato dalle sue sorelle avide e diffidenti; da questo momento le sue compagne, nella ricerca di Eros, saranno solitudine speranza.
Le prime prove che Psiche deve affrontare riguardano la minuzia, come quella di separare semi ammucchiati alla rinfusa: un esercizio di pazienza che implica organizzazione, distinzione, separazione, attenzione al piccolo,al dettaglio.
"Temprare la nostra anima ci ricorda il mito e prima di tutto mettere ordine, distinguere per strutturare un sistema personale di pensieri, di emozioni e anche di valori morali".
Le peripezie di Psiche la porteranno fin nell'oltretomba, sempre sostenuta da piccoli aiutanti.
Un viaggio nel profondo, un una dimensione legata al buio, al chiuso, condizione imprescindibile per la vita umana: la sua ultima avventura la porterà davanti a Persefone, regina del mondo sotterraneo, depositaria del mistero all'origine della vita e della morte.
Si ritroveranno e si ricongiungeranno Anima e Passione: "comincia il tempo della gioia che non è un dono ma il risultato di una ricerca, un tempo di armonia, di pienezza che può solo essere provvisorio,ma lascia luce nel suo passaggio".
Marina Valcarenghi
La passione necessaria
Moretti e Vitali
Perchè gli esseri umani sono così attratti dal narrare?
È una domanda a cui risponde Jerome Brune nei suoi libri, soprattutto ne “La mente a più dimensioni” e nel “La fabbrica delle storie”.
Jerome Bruner, psicologo stantunitense, è stato un pioniere della psicologia cognitiva e culturale, andando ad integrare e ampliare le ricerche di Piaget e Vygotskij e divenendo interprete dello strutturalismo pedagogico.
Essere un “animale narrativo” ha consegnato alla specie umana un vantaggio evolutivo e Bruner nei suoi libri ci spiega perchè.
Narrare deriva etimologicamente dalla radice gna-, che significa “rendere noto”, “consapevole”- ma può anche includere la definizione “Chi sa in un determinato modo”[1] a cui si aggiunge il suffisso -zione, connesso all'azione. Narrare quindi presuppone consapevolezza e punto di vista, ed è, quindi, un'operazione mai innocente, ma che ingloba sempre dei fini più o meno espliciti.
In La mente a più dimensioni, Bruner descrive due modalità cognitive diverse e complementari: la comprensione paradigmatica e la comprensione narrativa.
La prima organizza la conoscenza in modo geometrico: categorizzando, mettendo in relazione la causa con l’effetto, comparando, calcolando: può essere definita una forma di conoscenza di tipo scientifico che, seguendo un tracciato lineare basato sul criterio logico, consente una sola rappresentazione alla volta della realtà, utilizzando, per la validazione dell’esperienza, il principio fondato sul binomio vero/falso. Il suo linguaggio è disciplinato dai requisiti della coerenza e della non contraddizione.
Diversamente la modalità narrativa consente una pluralità di ricostruzioni/rappresentazioni contemporanee, avvalendosi non della logica causa-effetto ma dei diversi e numerosi piani di realtà che conducono il pensiero verso rotte infinite, come infinite sono le interpretazioni e le logiche possibili. Il pensiero narrativo interpreta i fatti umani mettendoli in relazione fra di loro e costruendo storie connesse al contesto, che non possono presciendere dalll' intenzionalità (voler fare qualcosa) e dalla soggettività (il proprio punto di vista) dei protagonisti.
In La fabbrica delle storie, Bruner offre un’interessante lettura comparata della relazione tra il Sé e la narrazione:
il Sé è teleologico, pieno di desideri e di aspirazioni, intento a perseguire scopi ed è di conseguenza sensibile agli ostacoli, risponde al successo o al fallimento: ed è vacillante nell’affrontare esiti incerti; il Sè ricorre alla memoria selettiva per adattare il passato alle esigenze del presente e alle attese future ed è orientato su “gruppi di riferimento” e su “altre persone importanti” che forniscono criteri culturali mediante i quali giudica se stesso; può rendere ragione e assumersi la responsabilità delle parole con cui formula se stesso e prova fastidio se non trova le parole; è capriccioso, emotivo, sensibile alle situazioni ma tende a ricercare e difendere la coerenza, evitando la dissonanza e la contraddizione mediante procedure psichiche altamente evolute.
Sul piano narrativo, le stesse peculiarità del Sé possono diventare regole per scrivere un buon racconto, coscienti del fatto che un racconto vuole una trama e per avere una trama interessante sono necessari ostacoli per il conseguimento di un fine; gli ostacoli fanno riflettere le persone e dotano i propri personaggi di alleati e relazioni.
Una storia apre porte, sprona a riflettere su infinite possibil interpretazioni, instilla il dubbio laddove la logica, consolidata dall’abitudine, condurrebbe sempre alla stessa risposta: crea disordine dove c’è ordine; infrange regole e si sviluppa nelle crepe dell’ovvio e del prevedibile. Una storia è vita.
Bruner J. La fabbrica delle storie, Laterza, pg 31
Lorenza Mazzetti, Lory per i tanti che le sono stati amici, ha da pochi giorni portato a termine il suo cammino terreno iniziato 92 anni fa.
Lorenza è stata originale regista d’avanguardia, scrittrice di travolgente talento e pittrice dalla delicatissima sensibilità.
La sua esistenza è rimasta segnata dalla tragedia abbattutasi sulla famiglia degli zii che, rimasta orfana, l’avevano accolta con loro, insieme alla sorella gemella Paola. Nella strage della famiglia Einstein (nota anche come strage di Rignano o del Focardo), verificatasi il 3 agosto 1944, nel territorio di Rignano sull’Arno, ad opera delle milizie naziste, morirono tre donne: Cesarina (Nina) Mazzetti, Luce e Annamaria Einstein, moglie e figlie di Robert Einstein (cugino di Albert), il quale si diede la morte nell’anno successivo. Dalla strage (destinata certamente a colpire il grande scienziato fuggito negli USA), Lorenza e Paola si salvarono perché “di un’altra razza”.
Da questa terribile esperienza nascerà, molti anni dopo, Il cielo cade, il libro più bello di Lorenza e uno dei libri più belli del nostro intero panorama letterario del XX secolo.
Con lei, esce dal piccolo palcoscenico di questo incomprensibile e misterioso mondo una donna di intelligenza rara, eterna bimba-monella, sempre bramosa di nuove monellerie.
In campo cinematografico è stata una pioniera. In campo letterario ci ha regalato gioielli di brio narrativo e di straordinaria intensità lirica. In campo pittorico, ci ha continuamente stupito per la ricchezza della sua zampillante creatività.
Sul piano umano, ci ha lasciato dentro il suo immenso bisogno di amare e di essere amata, la sua insaziata e insaziabile voglia di scoprire e di inventare; la sua impertinente capacità di riuscire a sorridere alla vita, anzi, di far sorridere la vita; la sua mai spenta volontà di aiutare il mondo ad essere un po’ meno folle, ad essere un po’ meno crudele, ad essere un po’ più in grado di desiderare il Bello e il Vero, rivolgendo lo sguardo, sempre, a chi ha mani fragili e cuore grande, voce debole e diritti negati.
Lorenza Mazzetti viene perlopiù amata, ammirata e ricordata per essere stata vittima e testimone delle atrocità delle persecuzioni razziali naziste, ma non andrebbe assolutamente dimenticato il fatto che essa abbia saputo farsi anche analista lucidissima del fenomeno della Shoah, riuscendo come pochi a cogliere i legami profondi tra antisemitismo moderno e antigiudaismo cristiano.
In una intervista di qualche anno fa, dopo aver messo in luce come l’odio verso gli ebrei “fosse legato al disprezzo e alimentato e ‘giustificato’ dal disprezzo”, sottolineava come odio e disprezzo non fossero una creatura di Hitler, bensì una pesante eredità pervenutagli da un lontano passato in cui la civiltà cristiana si è insistentemente prodigata nella costruzione teologica dell’ “immagine demonizzata di un intero popolo colpevole di ‘deicidio’, macchiato da una colpa, cioè, di una gravità unica e incommensurabile, da una colpa capace di contaminarlo indelebilmente e per sempre, senza possibilità di perdono.”
Nella stessa intervista, poi, facendo riferimento al Saggio sul dono dell’antropologo francese Marcel Mauss, mi colpì anche la sua capacità di farsi pensatrice interprete-terapeuta dei mali del mondo contemporaneo. Nel confrontare, infatti, la sensibilità arcaica di un’umanità “primitiva”, legata al culto degli antenati e al sacro rispetto nei confronti della natura, con quella oggi imperante, giungeva a rimproverare noi moderni (schiacciati “dall’orrenda logica dominante del profitto”) di aver smarrito la capacità di “guardare a tutto ciò che ci circonda come a un immenso ‘dono’”, venendo ad infrangere, in tal modo, “il circolo virtuoso del dare-ricevere-ricambiare”, con la tragica ineluttabile conseguenza di non riuscire più a “coltivare in noi un profondo, inesauribile sentimento di riconoscenza”.
“Chi sa dare e chi sa accettare - aggiungeva poi - sa che non può vivere solo, sa che non può vivere senza restituire la solidarietà umana.”
E, con solare saggezza, concluse la chiacchierata esprimendo la speranza che ai giovani si potesse riuscire ad insegnare la “cosa più importante”:
“la bellezza della riconoscenza e il suo sorriso risanatore”.*
-------------------------------
*Roberto Fantini, Il cielo dentro di noi, Graphe.it, Perugia 2012, pp. 22 e 26.
Lorenza Mazzetti, di famiglia valdese, ha vissuto l’infanzia in Toscana con la zia Nina Mazzetti sposata a Robert Einstein, cugino di Albert, che l’aveva adottata insieme alla gemella. Il trauma dell’assassinio politico della sua famiglia adottiva, perpetrato dalle SS per rivalsa contro Einstein che si era rifugiato in America, ha segnato tutta la sua vita. Su questo tema e su questi ricordi ha scritto : Il cielo cade (Premio Viareggio 1962), Uccidi il padre e la madre (ripubblicato da La nave di Teseo con il titolo Mi può prestare la sua pistola per favore?), Con rabbia, Diario Londinese e Album di famiglia.
È stata una delle fondatrici del Free Cinema Movement. Ha realizzato due film: K e Together, entrato nel palmarès del Festival di Cannes come miglior film d’avanguardia.
La sua mostra “Album di famiglia” è stata presentata in molte città italiane ed europee.
Sempre desiderosa di fare conoscere la tragedia della sua famiglia e di favorire una giusta memoria e una attenta e responsabile coscienza etica e civile, anche in età avanzata, ha preso parte a innumerevoli iniziative culturali, con particolare interesse al mondo dei giovani.
La sua ricca esperienza terrena si è conclusa lo scorso 4 gennaio.
Il 20 di dicembre del 2014 ci ha lasciato un amico caro: una bella persona, come si dice nel linguaggio corrente. Lo conobbi frequentando il corso di filosofia presso l’Università Salesiana e conseguimmo insieme il diploma superiore. Studiammo insieme tutte le materie e condividemmo idee e principi filosofici che ci aprirono orizzonti sconfinati. È stata un’esperienza indimenticabile perché ci fece trascendere il grigiore della vita quotidiana. La sua cultura era straordinariamente eclettica e tutto il suo scibile confluiva nella scrittura delle poesie. Era autore di diversi libri: “sogno dopo sogno” , “c’era un domani” , “gorgheggi d’amore”, “pioggia di cenere” e ultimo “bussano i tempi” dove condensò in versi tutto ciò che avevamo imparato durante il corso di filosofia. D’altra parte fu Heidegger che diceva che il miglior modo per esprimere la filosofia era proprio la poesia. Un comune amico, Roberto, ha detto nella sua lettera di commiato delle cose che condivido pienamente e qui riporto : “Avevi una vena nostalgica e intimista. Poesie eleganti, belle, passavi dall’amore, alla storia, all’attualità politica. Sullo sfondo le suggestioni dei nostri studi liceali, il mondo dei miti greci, Omero, Virgilio, Seneca, Sant’Agostino, l’antica Roma, la filosofia con le sue risposte insoddisfacenti, lo smarrimento di fronte all’Entità suprema, al mistero. Avevi talento, profondità, ragione e sentimento. Il verso, elegante, facile, armonioso. Eri una persona per bene, un uomo onesto, un signore. Ti indignavi per le ingiustizie, per le squallide figure dell’Italia di mezzo, avevi una tua idea personale per cambiare, aderire al “partito del non voto”.” E ancora il comune amico di cui, ripeto, condivido il pensiero e il profondo sentire nei confronti di Gianmanlio così continua : “ …. Con il tuo modo ironico e signorile dicevi che quando fossi morto, finalmente la gente avrebbe apprezzato la tua opera letteraria. Avevi in mente Foscolo, i grandi che vivono anche dopo la morte. Protagonista di questi tuoi messaggi era proprio la morte, avvertivi che si avvicinava, la chiamavi “la luminosa signora”, quella morte in cui tutto si ricompone e che a tutto infine da senso. Mi brucia la tua perdita. Ho perso un compagno di viaggio, un confidente senza segreti, un fratello d’elezione, ti voglio bene e mi mancherai. Roberto” .
Sposo in pieno i sentimenti e i pensieri del comune amico e aggiungo che mi mancherà soprattutto la sua garbata ironia con la quale sapeva prendere le distanze dalle miserie di questo mondo e quando ero triste e arrabbiato, con una battuta, mi faceva cambiare subito di umore. Ci siamo scambiati centinaia di sms dove si prendeva in giro rispettosamente la condizione umana. Dopo la morte di mia mamma, caro Gianmanlio, sei stato uno delle persone a me più vicino e mi hai aiutato a superare, con la cultura e l’ironia, quel momento difficile. Mi piace citare anche il pensiero di don Mauro Mantovani, ex-decano della Facoltà di Filosofia e ex decano della Facoltà di Comunicazione Sociale, ora Rettore Magnifico della Università Pontificia Salesiana, che, ha sempre apprezzato i contenuti altamente filosofici delle sue poesie e nella prefazione di “Bussano i tempi” dice : “ I tempi veramente bussano: per essere capaci di aprire loro, dobbiamo educarci ed educare a saperci aprire a nostra volta: in profondità, attorno a noi, in avanti ed in alto.” Rimane da pubblicare postuma una raccolta di Gianmanlio “Dio ed io” dove il nostro caro amico ci lascia il suo testamento spirituale ed estrapolando solo pochi versi di questa raccolta inedita, mi piace citare questi : “Dio tu sei vertice di ogni prospettiva/di te si farebbe bene a tacere/solo pregare ciò che si può fare /senza neanche la certezza/che tu sia lì disposto ad ascoltare./ Quel minimo che da te mi aspetto/lo sai mio Dio è la beata nullitudine/ quel tornare racchiuso in Te/sgombro d’ogni perché/ignaro persino di me stesso/in Te completamente perso/bimbo ancora dentro la sua mamma…/.
In questa raccolta c’è condensata l’idea che ha caratterizzato tutta la vita di Gianmanlio: il desiderio di Dio e la difficoltà a raggiungerlo. Esperienza questa che, peraltro, è comune a tanti uomini. In quest’opera Gianmanlio Gianturco ha sintetizzato un po’ le tematiche che avevamo svolto durante il corso di Metafisica dell’Assoluto e fondamentalmente questo desiderio di conoscere Dio, i suoi attributi e cioè la Bontà insieme alla Bellezza, l’Unità e la Verità. Questa tensione veniva fuori spontaneamente dai suoi versi tesi principalmente a togliere quel velo con cui la materia avvolge l’invisibile. In queste righe introduttive mi sembra significativo citare un ampio stralcio del discorso del nostro amato Papa Emerito Benedetto XVI, quello che pronunciò mercoledì 7 novembre 2012 in Piazza San Pietro in occasione dell’apertura dell’Anno della Fede. Non ci sono migliori parole per esprimere ed esemplificare il concetto del desiderio di Dio iscritto nel cuore dell’uomo che Gianmanlio Gianturco, in questa raccolta ha dimostrato ampiamente : “….Dunque, l’esperienza umana dell’amore ha in sé un dinamismo che rimanda oltre se stessi, è esperienza di un bene che porta ad uscire da sé e a trovarsi di fronte al mistero che avvolge l’intera esistenza.
Considerazioni analoghe si potrebbero fare anche a proposito di altre esperienze umane, quali l’amicizia, l’esperienza del bello, l’amore per la conoscenza: ogni bene sperimentato dall’uomo protende verso il mistero che avvolge l’uomo stesso; ogni desiderio che si affaccia al cuore umano si fa eco di un desiderio fondamentale che non è mai pienamente saziato. Indubbiamente da tale desiderio profondo, che nasconde anche qualcosa di enigmatico, non si può arrivare direttamente alla fede. L’uomo, in definitiva, conosce bene ciò che non lo sazia, ma non può immaginare o definire ciò che gli farebbe sperimentare quella felicità di cui porta nel cuore la nostalgia. Non si può conoscere Dio a partire soltanto dal desiderio dell’uomo. Da questo punto di vista rimane il mistero: l’uomo è cercatore dell’Assoluto, un cercatore a passi piccoli e incerti. E tuttavia, già l’esperienza del desiderio, del «cuore inquieto» come lo chiamava sant’Agostino, è assai significativa. Essa ci attesta che l’uomo è, nel profondo, un essere religioso.”
E dopo questa ampia estrapolazione ringraziamo Gianmanlio Gianturco che ha saputo tradurre in versi ciò che Benedetto XVI ci ha spiegato nel Suo discorso. Siamo sicuri che Gianmanlio sta già contemplando il volto di Dio e ci sta preparando un posto in paradiso.
Gian Manlio Gianturco, poeta e scrittore, nacque a Santa Maria Capua Vetere (CE) il 10 settembre 1945 ed è tornato alla Casa del Padre il 20 dicembre 2014 a Roma.
Raccolta di poesie “DIO ED IO”
– Edizioni Screenpress 2015