L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

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Andrea Signini
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January 30, 2019

Domenico Fiormonte è ricercatore in Sociologia della comunicazione presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre. Dal 2008 collabora a progetti formativi e culturali fra India e Nepal con la Onlus Centro Studi Platone . Nel 2014 si è diplomato insegnante yoga della tradizione viniyoga di TKV Desikachar con Antonio Olivieri.

Fra i suoi libri: Manuale di scrittura (con F. Cremascoli), Bollati Boringhieri, 1998; Scrittura e filologia nell’era digitale, Bollati Boringhieri, 2003; e con Teresa Numerico e Francesca Tomasi, L’umanista digitale, Il Mulino, 2010. Un’edizione aggiornata e ampliata di questo volume è apparsa in inglese nel 2015 con il titolo The Digital Humanist. A Critical Inquiry.

Come nasce questo libro? E quale è l'obiettivo di questa ricerca?

L’origine di questo libro è una sfida culturale, professionale e personale iniziata più di dieci anni fa. Tra il 2005 e il 2006, constatando l’impossibilità di poter incidere in modo positivo sul corpo agonizzante dell’università (non solo quella italiana), iniziai a interessarmi di pensiero orientale. Grazie a un’amica e collega spagnola, per la quale conservo un’immensa gratitudine, conobbi un personaggio straordinario: Wayne Liquorman. A mio parere Wayne è il massimo rappresentante della tradizione Advaita-Vedanta (il pensiero non-dualista che trae origine dalle Upanishad). Da quel momento la mia vita cambiò. Iniziai un percorso che mi portò non solo ad allargare la frattura con i saperi accademici, ma a tentare di costruire, fra margini e interstizi del sistema, delle “alternative”: punti di fuga, esperimenti ed esplorazioni che riportassero un po’ di speranza e immaginazione nelle mie attività di ricerca. In questo lungo viaggio ho incontrato tantissime persone (oltre agli autori del volume, naturalmente!) che mi hanno ispirato e aiutato a costruire ponti. Senza di loro non avrei mai tentato l’impresa: mettere insieme yoga, fisica quantistica, filosofie orientali, scienze cognitive…

Ma l’occasione per rendere visibile questo percorso venne con la creazione all’Università Roma Tre del gruppo di ricerca interdisciplinare New Humanities. Fu in questo contesto che organizzammo insieme ai colleghi il convegno del settembre 2013 intitolato Il contributo della fisica quantistica all’idea di coscienza: un’ipotesi a cavallo fra le culture. L’obiettivo di New Humanities era ed è tuttora quello di far dialogare insieme scienze umanistiche e scienze naturali su tematiche specifiche: in questo caso la coscienza.

Mi preme infine aggiungere che il libro non nasce solo da uno sforzo intellettuale e di ricerca, ma anche da articolate esperienze “formative” avvenute fuori del contesto universitario. Prima con lo yoga e poi a partire dal 2011 attraverso una collaborazione con un’associazione culturale e azienda agricola biologica nel cuore della Sardegna.

La fisica quantistica sembra essere una disciplina che ultimamente viene citata spesso, anche a sproposito. Da dove viene secondo te questo rinnovato interesse?

Credo che le ragioni di questa riscoperta siano molto complesse e difficili da decifrare senza sconfinare nella superficialità o, al contrario, in un atteggiamento condiscendente nei confronti di sperimentazioni non “canoniche”. Ma non voglio eludere la tua domanda: penso semplicemente che molti si rivolgano alla fisica quantistica perché, in un certo senso, essa è in grado di sostenere

 
 Domenico Fiormonte

punti di vista non incompatibili con la ricerca spirituale e con visioni metafisiche della realtà. Consapevole dei rischi di entrambi gli approcci abbiamo tentato un’operazione prudente, innanzitutto costruendo un dialogo “dal vivo” . La parte centrale di questo incontro fu l’interazione fra due talenti della divulgazione, un fisico quantistico e grande affabulatore come Emilio Del Giudice e un orientalista e psicologo come Mauro Bergonzi. Nel suo saggio ha ampliato e notevolmente approfondito l’intervento orale del 2013, donandoci un lungo e articolato testo che costituisce, oltre che il nucleo portante del volume, anche uno dei primi contributi organici al rapporto fra fisica quantistica e pensiero non-dualista.

Tuttavia chi si aspetta convergenze fra pensiero mistico e fisica leggendo il testo rimarrà deluso. Anche se in modo spesso provocatorio, Emilio del Giudice si dichiarava ateo e razionalista, ma allo stesso tempo sosteneva che “il posto del razionalista è al centro dell’irrazionale”, perché irrazionale non è sinonimo di impossibile, ma è qualcosa che non capiamo con la ragione corrente… e che dunque è compito dello scienziato studiare e spiegare con gli strumenti della razionalità. Questo ragionamento non è per nulla comune negli scienziati e in generale negli intellettuali, perché presuppone un atteggiamento di umiltà nei confronti della realtà che ci circonda. Esattamente il contrario di ciò che fanno oggi la scienza e le accademie, anche quando trattano fenomeni “di moda”, come la fisica quantistica.

Il libro è dedicato ad Emilio Del Giudice e Paolo De Santis. Chi erano?

Emilio è scomparso poco meno di un anno dopo il nostro convegno, privandoci di un sostegno fondamentale. Come Antonella De Ninno, che ha firmato la prefazione, apparteneva alla scuola di Giuliano Preparata che nei primi anni Novanta replicarono nei laboratori dell’Enea di Frascati gli esperimenti sulla cosiddetta “fusione fredda” di Martin Fleischmann e Stanley Pons. Ricordo ancora la gioia incontenibile quando accettò di far parte del nostro gruppo di ricerca. Grazie a lui il progetto New Humanities prese il volo, perché non era solo un grande scienziato e intellettuale, ma cosa estremamente rara nel nostro paese, un pensatore libero. Emilio adottava un metodo di indagine contrario al senso comune perché partiva quasi sempre con un atteggiamento di curiosità nei confronti di ciò che non capiva o che gli era estraneo. Aveva cioè sostituito lo scetticismo con l’ascolto. E sentirsi parte di questo scambio era qualcosa di straordinario. Con  la sua consueta e provocatoria ironia, scrive Antonella De Ninno nella prefazione, Emilio “descrive il percorso della scienza moderna come una serie di inciampi”, di incongruenze che costringono la scienza a mettere in discussione i propri principi. Ed “è proprio con la nascita della meccanica quantistica che la fisica perde il suo principale connotato di ‘misura del mondo’ per confluire (di nuovo direi) nell’ambito della filosofia, ovvero dell’amore per la conoscenza.” Questo era Emilio: amore per la conoscenza. Mentre Paolo… Bè Paolo De Santis era dietro a tutto questo. Era l’eminenza grigia, l’uomo invisibile delle connessioni. Se la scomparsa di Emilio fu un grande dolore, la sua, avvenuta nel novembre 2017, è stata una catastrofe. Paolo De Santis non era solo il collega fisico di Roma Tre che rispettava e ascoltava noi umanisti (cosa che di per sé ci sembrava già un miracolo…), ma ci guidò nei meandri della fisica, presentandoci Emilio, Antonella e più avanti Peppino Vitiello. Paolo non era interessato a mettere la sua intelligenza al servizio dell’ego, ma la travasava, con una virtù quasi magica, negli altri. Era un costruttore di ponti che mediava, connetteva, univa le persone, le idee, i contesti. Mentre tutti salivano sul palco (e non è che lui non ne avesse le capacità, tutt’altro), Paolo era lì, dietro le quinte, che sorrideva silenzioso e pensava, studiava e lavorava al suo prossimo matrimonio fra persone e saperi. Dopo la sua morte ho capito che è solo grazie a uomini come lui se nella nostra vita alcuni dei nostri sogni riescono, con grande sforzo, a diventare realtà.

Uno dei capitoli è sul rapporto il vuoto nella fisica quantistica e nello yoga, disciplina che ha preso molto piede in Occidente e di cui probabilmente c’è un gran bisogno proprio per fermarci e prendere coscienza delle meccaniche interiori ed esteriori. Di che cosa parla la tua ricerca?

Innanzitutto vorrei dire che il mio non è un contributo accademico, ma una riflessione che nasce da una esperienza concreta (la malattia e il recupero) e successivamente dallo studio dello yoga che intrapresi a partire dal 2009 con Antonio Olivieri, insegnante della tradizione Viniyoga di T.K.V. Desikachar. Il vuoto nello yoga è una sorta di interfaccia, un confine dove avviene un passaggio di energie. Collegata alla parte teorica di questo testo vi era originariamente anche una pratica yoga che avevo ideato proprio a partire dalle pause del respiro, cioè le ritenute (a pieno o a vuoto, appunto) che possiamo inserire fra inspiro ed espiro. La ritenuta a vuoto è anche un canalizzatore dell’attenzione, uno spazio dove si attutisce l’attività mentale e si avvia un processo di purificazione energetica. Descrivere che cosa avvenga è molto complesso, forse impossibile. Eppure come ricordiamo nell’introduzione, anche un grande filosofo occidentale come Michel Foucault, alla sua prima esperienza di meditazione, dirà di aver fatto esperienza di “qualcosa”. Foucault non parla di coscienza (una parola che in Occidente si presta a molti fraintendimenti) ma dice: “penso si tratti della possibilità di far esistere dei nuovi rapporti tra lo spirito e il corpo e, oltre a ciò, dei nuovi rapporti tra il corpo e il mondo esteriore.” Bingo! Per lo yoga l’esperienza del corpo è il punto di partenza per arrivare allo spirito, ma soprattutto è il supporto di qualsiasi cambiamento, che deve avvenire necessariamente attraverso la materia. Chissà tale consapevolezza dove avrebbe condotto Foucault, se solo fosse vissuto più a lungo.

Tornando al vuoto, l’ipotesi che faccio nella mia ricerca è che vi sia un legame fra l’emergere della coscienza – intesa nel senso orientale del termine – e il vuoto. Ma che cosa è questo vuoto? Leggendo gli scritti di Del Giudice rimasi colpito proprio dalla sua definizione; in particolare quando scrive che il vuoto quantistico è il luogo dove avverrebbe una sorta di “contrabbando energetico”. Antonella De Ninno nella sua prefazione ha riassunto meglio di me la correlazione che ho tentato di stabilire: “Il nuovo, grande soggetto della meccanica quantistica è proprio il vuoto che viene rivestito di qualità e dinamica (…). È un vuoto creatore molto simile, concettualmente, alla Coscienza divina del prāṇa.”

 

 

La coscienza. Un dialogo interdisciplinare e interculturale
a cura di Domenico Fiormonte

Istituto Italiano di Studi Germanici, Roma, 2019

Disponibile su http://www.liberdomus.it/

 Silvia Pietrovanni

November 27, 2018

Emancipatore di coscienze, il pensiero di Aldo Capitini si può definire con 3 aggettivi: libero, puro e spontaneo. Un punto di vista, il suo, che è anche una presa di posizione più che mai attuale, per ricominciare a ripensare l'uomo prima come singolo e poi come “Noi”, una pluralità oggi più che mai modellabile dai poteri palesi o occulti, siano essi economici, politici o religiosi.

Come ricorda Bobbio, “la ragione per cui, in Capitini, la battaglia contro la chiesa e la battaglia contro lo Stato si confondono, si sovrappongono, è che il nemico è sempre lo stesso: il potere che viene dall’alto, anche se viene esercitato là con la coercizione spirituale, qua con la coazione fisica".

Attraverso l' “atto di unita’ amore”, cellula primaria del suo pensiero, Capitini si fa portavoce di una dimensione sociale non contaminata da aggressione e violenza, un atto d'amore che fa dell'uomo una creatura in connessione non solo con i suoi simili ma anche con il creato.

Nella sua messa in atto di un antifascismo non violento Capitini elenca i suoi 12 “No” più che mai attuali:

NO:

  1. 1.al nazionalismo;
  2. 2.all’imperialismo;
  3. 3.al centralismo assolutistico e burocratico;
  4. 4.al totalitarismo;
  5. 5.al prepotere poliziesco;
  6. 6.all’esaltazione della violenza;
  7. 7.al finto rivoluzionarismo attivista;
  8. 8.all’alleanza con il conservatorismo della chiesa;
  9. 9.al corporativismo;
  10. 10.al rilievo forzato e malsano di un solo tipo di cultura e di educazione;
  11. 11.all’ostentazione delle poche cose fatte, dilapilando immensi capitali, invece di affrontare il rinnovamento del Mezzogiorno;
  12. all’onnipotenza di un uomo, di cui era facile vedere quotidianameute la grossolanità, la mutevolezza, l’egotismo, l’iniziativa brigantesca, la leggerezza nell’affrontare cose serie, gli errori e la irragionevolezza impersuadibile, mentre ero convinto che il governo di un paese deve il piú possibile lasciare operare le altre forze e trarne consigli e collaborazione, ed essere anonimo, grigio anche, perché lo splendore stia nei valori puri della libertà, della giustizia, dell’onestà, della produzione culturale e religiosa, non nelle persone, che in uniforme o no, nel governo o a capo dello Stato, sono semplicemente al servizio di quei valori.

Con questo libro su Aldo Capitini, Roberto Fantini riscopre l'attualità e la necessità del suo pensiero, un sistema filosofico (di prassi filosofica) che è luce nell'oscurità moderna, è bellezza che trasforma.

 

Come hai scoperto Aldo Capitini e che ruolo ha svolto il suo pensiero nella tua formazione?

Sono arrivato a Capitini quasi per caso, quando un mio ex editore mi suggerì di dedicarmici, in vista del cinquantesimo anniversario della morte. Ne sapevo già qualcosa, ma soltanto indirettamente e in maniera frammentaria. Accostandomi alle sue opere, mi si sono aperti orizzonti meravigliosi. La sua produzione filosofica, pedagogica, politica e letteraria è vastissima e ruota intorno ad una ricca gamma di questioni. Ma la cosa più bella e ricorrente è percepire, in ogni sua pagina, uno slancio interiore autentico, una venatura di afflato mistico che ti fa respirare sempre aria fresca del mattino e immergerti in dirompente luce aurorale … Insomma, per me è stato come incontrarmi con un amico che attendeva da tempo che io stendessi una mano. Ed è stata (ed è tuttora) una gioia immensa sentirmi in piena armonia con il pensiero di un’anima così grande.

Critico del cattolicesimo Capitini e’ un “non cristiano” fautore di una religione aperta, capace davvero di cercare e incontrare l'essere vivente nelle sue forme, umana, animale, vegetale. Trovi che ci siano dei punti di contatto tra il pensiero di Aldo Capitini e il riformismo di Papa Francesco?

Il centro profondo del pensiero capitiniano è rappresentato dall’elaborazione di un’ originale religiosità, intesa da lui come un “nuovo modo di sentire”, come una visione della realtà imperniata su quello che viene chiamato Unità-amore, ovvero la consapevolezza del legame indissolubile che tutti ci lega al Tutto e ai Tutti. La sua è una religiosità libera, bruniano-spinoziana, o, ancor meglio, teosofico-gandhiana. Una religiosità che rinnega e combatte tutto ciò che chiude, isola e separa e che ci spinge a instaurare rapporti di collaborazione con tutto ciò che vive e ci circonda, compresi gli esseri non umani e le cose stesse (l’acqua, l’aria, la pietra …)

Sicuramente tanti possono essere i punti di contatto con quanto papa Francesco ci sta proponendo da qualche anno oramai. Ma, nonostante i notevoli e talvolta rivoluzionari passi compiuti da papa Francesco, la dottrina cattolica e l’istituzione ecclesiastica restano pur sempre espressione di quella che Capitini definiva la “parrocchia totalitaria”. Papa Francesco ha scritto cose bellissime sul rispetto che si deve alla natura, ma non mi sembra che stia portando avanti battaglie a favore del vegetarianesimo, del veganismo, o combattendo vivisezione, caccia e ogni tipo di sfruttamento e sofferenza nei confronti del regno animale.

Papa Francesco dice e ridice che Dio è infinitamente misericordioso, ma non ha ancora ripudiato la dottrina dell’eternità delle pene infernali. Dice tante cose - anche imbarazzanti e scabrose per molti credenti - contro il clericalismo e i privilegi della Curia vaticana, ma non mi sembra che abbia sposato le tesi del sacerdozio universale o, almeno, aperto al sacerdozio femminile.

Insomma, Bergoglio sta facendo passi titanici, in un certo senso capitinizzandosi sempre di più (no alla pena di morte, sì alla nonviolenza, condanna ferma della guerra, attenzione verso gli ultimi, ecc.), ma la strada è ancora lunga …

 

Nell'”Atto di educare” Capitini invita ad una pedagogia di ribellione tenedo ben saldi quei valori che dovranno liberare la realtà dalla violenza e dall’oppressione, che la trasformeranno nella “realtà di tutti”. Quali critiche potrebbe muovere il suo pensiero alla realtà scolastica italiana di oggi?

Tutto il pensiero e tutte le innumerevoli iniziative portate avanti da Aldo Capitini sono caratterizzati dalla convinzione viscerale che il mondo “così com’è” non meriti di esistere e che debba, quindi, essere radicalmente cambiato. Andrebbe rifiutata, innanzitutto, la cosiddetta legge del “pesce grande che mangia il pesce piccolo”, la logica, cioè, del dominio della forza, dei privilegi per pochi, delle gerarchie, delle esclusioni, delle disparità dei diritti. Il compito più importante dell’uomo, per lui, dovrebbe essere di rendere la realtà migliore, in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi ambiti, favorendo l’incontro pacifico e costruttivo e valorizzando massimamente le intime risorse che vivono in ciascuno di noi. Per cui, credo che alla nostra scuola molto probabilmente rimprovererebbe di adeguarsi troppo alla realtà contingente, di essere troppo conformista, chiusa ed ubbidiente, di fare troppo poco per affermare una visione del mondo pienamente e concretamente democratica e uno stile di vita alternativo, basato sulla nonviolenza, la nonmenzogna e la noncollaborazione.

 

Immigrazione e accoglienza: quale parte del pensiero politico di Capitini può essere di consiglio su queste tematiche importanti?

Senza alcun dubbio, Capitini può rappresentare una miniera inesauribile di insegnamenti utili ad affrontare le innumerevoli problematiche dei nostri tempi. Capitini ci invita continuamente e insistentemente ad aprirci al “tu”, sempre e in ogni caso, nessuno escluso. Anzi, imparando a scoprire, rispettare ed apprezzare proprio le vite di coloro che sono relegati ai margini della scena, oppressi dai vari poteri, considerati inutili, perdenti e ingombranti.

La strada da seguire è quella dell’”apertura”. Apertura della mente e del cuore. Apertura che ci conduce oltre le barricate ottuse e pavide delle nostre cittadelle psicologiche individuali e collettive, che ci spinge ad un incontro fondato sul sentimento della “compresenza”, del sentirci, cioè, elementi vivi di un’unica realtà vivente, operante e in continua crescita.

Bisogna - scrive - (…) muovere da ogni essere a cui possiamo dire un tu, dargli un’infinita importanza, un suo posto, una sua considerazione, un suo rispetto ed affetto. Finora non si è mai fatta veramente questa apertura ad ogni essere, un singolo essere e un altro singolo essere, con l’animo di non interrompere mai.” (Omnicrazia, ne Il potere di tutti, Guerra edizioni, 1969, p.86).

Questa apertura verso tutti - aggiunge - è un atto libero che nessuno può dare o togliere. Soprattutto è importante, nell’esperienza della vita, non dipendere in questo atto da nessuna istituzione, associazione, organizzazione, setta; che tutti gli Stati e Chiese e sette non contino proprio nulla, perché l’Atto è aperto alla compresenza, e nella compresenza sono tutti in quanto sono nati, in quel Natale che è sempre in atto nel mondo per ogni essere che nasce alla vita.” (ivi, p.88)

 

 

Roberto Fantini è professore di Filosofia e Storia al Liceo, da anni è attivista volontario, di Amnesty International, di cui è, attualmente, referente EDU per il Lazio.

Sui diritti umani ha curato le pubblicazioni: “Pena di morte: parliamone in classe”, EGA Editore, 2006, “Liberarsi dalla paura. Tutela dei diritti umani” e “guerra al terrore”,EGA Editore 2007; in collaborazione con Antonio Marchesi, “Una giornata particolare”, ed.Sinnos, settembre 2010; “Il cielo dentro di noi: conversazioni sui diritti umani (sul mondo che c’è e su quello che verrà)”, ed. Graphe.it 2012.

Pittore, autore e ricercatore poliedrico, ha scritto saggi di filosofia come “La Morte spiegata ai miei figli” (ed. Sensibili alle foglie), aprile 2010, saggi poetici e filsofici come “Odisseo e le onde dell’anima” (Graphe 2013).

Nel 2015, con le Edizioni Efesto, ha pubblicato “Vivi o morti? Morte cerebrale e trapianto di organi: certezze vere e false, dubbi e interrogativi”, “Aldo Capitini. La bellezza della luce. Invito a (ri)scoprire il pensiero di un profeta della nonviolenza, antifascista, eretico, vegetariano”, e, in collaborazione con Cesare Maramici, “Esperienze di Meditazione. 54 praticanti si raccontano.” É responsabile della sezione “Dirittti umani” per la Free Lance International Press.

 

 

Aldo Capitini
La bellezza della luce
Edizioni Efesto

November 06, 2018

La befana vien di notte con le scarpe tutte rotte...

Cosa si cela dietro l'immagine/archetipo contenuto nell'Epifania che tutte le feste porta via?

La Befana è una figura universale, presente pur con notevoli differenze, di forme e di tempi, anche in zone lontanissime rispetto alla cultura indoeuropea e al mondo Mediterraneo.

In questo saggio unico nel suo genere gli autori portano avanti una ricerca approfondita nel tempo e nello spazio, un libro importante per chi studia le origini dei culti antichi, o per chi vuole comprendere meglio quali riti vengono messi in atto, ogni anno, nei momenti di passaggio.

La funzione principale che la Befana svolge da secoli è quella di mediatrice culturale tra il mondo dei vivi e l'aldilà, tra la nostra vita quotidiana e il tempo degli antenati.

Ha una natura complessa e ambivalente, la vecchia sulla scopa, che ha ben poco di infantile e che pone in risalto la funzione protettiva dell'antenato che ritorna nella famiglia portando doni ai bambini.

Le feste antiche di Roma come i Divalia,   i Matronalia, i Compitalia, erano tutte feste dedicate agli antenati che si svolgevano nei momenti di passaggio dell'anno in modo da sottolineare sempre il contatto diretto ma definito nel tempo con lo spirito degli antenati.

Il nucleo originario della figura è antichissimo e va ricercato nel mondo dei cacciatori paleolitici nel quale avevo un ruolo essenziale la grande antenata del clan, che era signora degli animali e delle foreste ma anche la “nonna fuoco”.

Nel tempio di Vesta, a Roma, il fuoco era custodito dalle vergini vestali; il fuoco era un elemento essenziale per la vitalità della tribù antiche e non è un caso che il Dio che parteggia per gli uomini sia Prometeo che ha nascosto una scintilla di fuoco dentro un nartece per donarlo agli uomini.

Il fatto che la Befana esca fuori da un comignolo ricorda l'antico rito della profusio che nell'antica Roma consisteva nel versare cibo e bevande in un canale sotto la casa per nutrire gli antenati.

La figura della Bertha della Germania meridionale ha molte cose in comune con la Befana, a partire dalla scopa come emblema. Bertha ha le spalle coperte da una pelle di mucca, che poi sarà sostituita da rattoppi alla “Arlecchino”.

La mucca è un animale che ritroviamo in moltissime feste agrarie come quella di Bacugno che si svolge il 5 agosto, Festa della Madonna della Neve, nella quale si svolge il rito della genuflessione del bue aratore; con il nome di korovai si indica in Russia il pane natalizio, l'etimologia del nome significa “mucca”: nel Salento si chiama Vaccarella una pagnotta di pane per gli amici, in Calabria Vaccarella è una schiacciata di pane per i bambini.

La befana è la nostra “strega buona”, infatti Babayaga, la strega delle fiabe russe, vola sulla scopa, ha con sé un mortaio di ferro e incita il suo volo con un pestello e spazza via le sue tracce con la scopa.

La scopa è un elemento sciamanico poiché nelle antiche feste greche, come ad esempio nelle Tesmoforie, si usava alla fine della festa spazzare via i resti, implicando così la fuoriuscita delle impurutà.

Una scopa realizzata anticamente con rami di betulla o salice, due alberi legati alla Grande Madre nel suo aspetto di portatrice di vita e di morte.

La calza della befana si ricollega antico rito della tessitura: le tre Parche o Moire, infatti, detenevano il potere sulla vita e sulla morte, la tessitura è strettamente legata quindi sia all'incarnazione dell'anima che alla sua morte.

La vecchia sulla scopa richiama anche l'immagine di Diana – Erodiade, la dea delle streghe che, con il suo volo notturno, raggiungeva luoghi sacri, definiti dalla presenza di un albero come il noce, sotto le cui radici albergavano le tre keres, personificazioni delle Parche o Moire.

La Befana porta il carbone ai bambini che non sono stati diligenti: la cenere è un altro elemento antico presente alla fine di ogni festa agricola che si chiudeva con un falò collettivo, le cui ceneri venivano gettate nei campi per propiziare la fertilità futura.

“Il bambino non può più fare a meno di quel rapporto con la vita che continua anche oltre la morte, di riprendere quel legame con il mondo spirituale degli antenati, lasciando aperte quelle porte che sono in grado di mettere in contatto questi due mondi e lasciandosi ancora incantare dalle fiabe dal mito della befana, da quel millenario patrimonio di tradizioni e conoscenze che da sempre fanno parte della vita dell'uomo nella sua dimensione personale e sociale.”

Claudia e Luigi Manciocco: L'INCANTO E L'ARCANO.
Per una antropologia della Befana
Armando editore 2006

October 26, 2018

 Non è facile parlare della morte. Nessuno sembra volerne più parlare. Il nostro tempo appare sempre più come il tempo dell’avere avido, del continuo rincorrere sogni proibiti, del continuo darsi nuovi inarrivabili obiettivi, del perenne dilatarsi dell’esistenza terrena, del sistematico rinviare al domani ogni pensiero che riguardi il nostro (ineluttabile) andar via da questo mondo, ogni riflessione sul “dopo”, su quello che potrebbe essere la sorte che ci attende e che, magari, ci stiamo preparando. Forse dobbiamo ancora liberarci da secoli di terrori infernali e di visioni cupe e angoscianti dell’oltretomba … O forse siamo semplicemente succubi del dominio delle paranoie consumistiche e di un edonismo volgare e insaziabile …

Fortunatamente, ci sono ancora fra noi pensatori e ricercatori che continuano a ritenere assai utile, se non addirittura necessario, il continuare ad interrogarsi sull’evento della morte e su cosa siamo e saremo mai in grado di sapere o almeno di ipotizzare in merito al mare sconfinato dell’aldilà.

Paolo Ricca, teologo valdese di statura internazionale, dopo essersi cimentato su simili tematiche con un piccolo lavoro, una quarantina di anni fa (Il cristiano davanti alla morte), è tornato sull’argomento con un libro ben più corposo, apparso nella passata estate, sempre per i tipi della torinese Claudiana.

Scrive Paolo Ricca che oggi “il tema dell’aldilà e di un’ipotetica vita futura non interessa più nessuno, o quasi.” (p.9) E ciò perché la speranza sempre più diffusa e condivisa risulta essere quella del prolungamento massimo dell’esistenza terrena. E anche le chiese ne parlano sempre meno, “praticamente mai”, come se la stessa trascendenza fosse stata “autorevolmente declinata come ‘trascendenza nell’al di qua’” (p.15), come se la questione dell’aldilà fosse stata estromessa dagli orizzonti delle problematiche degne di attenzione.

Ricca ci invita, invece, con ragionamenti limpidi e un bell’argomentare privo di pregiudizi ideologici e confessionali, a sentire la questione della morte come uno dei compiti (o addirittura dei doveri) che non andrebbero mai elusi, perché parte sostanziale del nostro essere uomini nel mondo. Perché riflettere sul nostro comune destino mortale ci può permettere di acquisire una più robusta coscienza della nostra finitudine, obbligandoci, in un certo senso, a doverci fare i conti, senza scappatoie o sotterfugi.

La coscienza del limite può dunque svolgere un ruolo decisivo sul modo di impostare e vivere questa nostra vita unica, ma non infinita.” (p. 13)

Occuparci della morte dovrebbe, di conseguenza, indurci ad affrontare il problema della “preparazione alla buona morte”, costringendoci a porci prioritariamente, con la massima serietà e sincerità, il problema della “buona vita”.

In merito, poi, al problema del “dopo”, Paolo Ricca puntualizza che all’impossibilità di tutti noi di dimostrarne l’esistenza corrisponde in maniera antinomica l’impossibilità di dimostrarne la non esistenza. Navigando, pertanto, senza apriorismi di sorta e facendo anche a meno di “prove certe”, servendoci dell’umile ma intraprendente vascello della ragione, ci resterebbe sempre possibile condurre una stimolante opera di esplorazione nell’ambito del pensiero umano, esaminando e valutando con cura le tesi che, nella storia, sono state sostenute. Tesi che vengono ridotte a tre:

               “la prima è che con la morte tutto finisca definitivamente e di chi è morto non rimanga più nulla;

la seconda è che tutto finisca solo provvisoriamente, solo per un tempo più o meno lungo (…). Dopo di che chi è morto tornerà in qualche modo in vita – molto diversa dalla precedente, ma pur sempre ancora vita (…);

la terza è che con la morte non tutto finisca, perché c’è nell’uomo una componente immortale, qualcosa che non finisce con la fine del corpo, qualcosa che non muore perché non può morire.” (p. 17)

E sono proprio la presentazione e l’accurata analisi critica di dette tesi a costituire il vero cuore dell’opera.

L’ A., così procedendo, passa in rassegna una ricca gamma di posizioni filosofiche e teologiche, da Platone ai Padri della Chiesa, da Agostino a Tommaso d’Aquino, da M. Lutero a G. Calvino.

Di particolare interesse l’ampio capitolo dedicato all’ipotesi reincarnazione, in cui, fra l’altro, si affronta il problema della presenza o meno di credenze reincarnazionistiche sia nella Bibbia che nel cristianesimo storico. Capitolo questo particolarmente degno di attenzione perché il Ricca, senza rinunciare affatto alla propria identità culturale e dottrinale, nell’affrontare una teoria tanto convintamente rifiutata dalle varie teologie cristiane, e spesso combattuta con aspra durezza (stile Piolanti) o svilita con grossolana altezzosità (stile Messori), mette in luce grande serenità di giudizio e di chiarezza intellettuale. Della teoria reincarnazionistica, infatti, vengono colti (e anche apprezzati) alcuni aspetti fondamentali, quali la valenza pedagogica e quella emendatrice (la molteplicità delle vite implica molteplicità di occasioni per comprendere, maturare, crescere spiritualmente e liberarsi gradualmente dai propri limiti ed errori) immanente alla dottrina del karma, nonché il forte effetto eticamente responsabilizzante (impossibilità radicale di condoni, indulgenze, assoluzioni e salvazioni vicarie).

Si tratta dunque, - scrive il teologo valdese - sostanzialmente, di un processo di redenzione, di cui l’anima stessa è protagonista. E’ sua la presa di coscienza iniziale (il “risveglio”), è sua la fatica del progressivo apprendimento delle lezioni di vita, è sua la piena assunzione di responsabilità del proprio destino fino alla sua conclusione in Dio. Si tratta dunque di un processo di auto redenzione, nel senso alto e nobile del termine.” (p. 101)

Molto di più e di meglio, invece, si sarebbe potuto fare nel toccare il tema della presenza della teoria della reincarnazione nel moderno Occidente, non limitandosi ad un fugace cenno all’antroposofia steineriana, ma dedicando doverosa attenzione alla fondamentale opera di elaborazione concettuale e di appassionata divulgazione realizzata dalle grandi personalità della Società Teosofica delle origini, prime fra tutte Helena Petrovna Blavatsky e Annie Bésant.

Meritevoli di menzione, infine, sono le suggestive esperienze di pre-morte relative ad un amico e collega e al padre dello stesso autore (intese non come “prove” ma almeno come indizi e spiragli verso l’esistenza di un’altra vita), nonché le preziose appendici, con testi poco noti di Lutero, Calvino e Bonhoeffer.

In conclusione, non abbiamo esitazioni nel riscontrare con piacere come Paolo Ricca sia felicemente riuscito nel suo intento, riuscendo a costruire un libro che, pur approdando fideisticamente alle tesi cristiane incentrate sulla resurrezione di Gesù, sa trattare, esaminare e confrontare altre visioni dell’aldilà con intelligente rispetto e stimolante desiderio di conoscenza, suscitando nel lettore, di qualsiasi fede o di nessuna fede, interesse vivo e sincera voglia di approfondimento.

 

 

Dell’aldilà e dall’aldilà

sottotitolo

Che cosa accade quando si muore?

autore

Paolo Ricca

editore

Claudiana

Indice testuale


Introduzione

1. Che cosa succede quando si muore?
2. Immortalità dell’anima e teologia cristiana
2.1 Giustino Martire (ca 100-165 d.C.)
2.2 Tertulliano (ca 155-dopo il 220)
2.3 Agostino (354-430)
2.4 Tommaso d’Aquino (1225-1274)
2.5 Il Concilio Lateranense V (1512-1517)
2.6 Martin Lutero (1483-1546)
2.7 Giovanni Calvino (1509-1564)
2.8 Karl Barth (1886-1968)
2.9 La voce dell’Ortodossia

3. L’ipotesi «reincarnazione»
3.1 Reincarnazione e Bibbia
3.2 Reincarnazione e cristianesimo storico
3.3 Che cos’è la reincarnazione?

4. Concezioni cristiane
4.1 La risurrezione di Gesù
4.2 Che cos’è la risurrezione?
4.3 Le vie dell’aldilà

Conclusione
Appendici
Martin Lutero, Sermone sulla preparazione alla morte
Giovanni Calvino, Meditazione sulla vita futura
Dietrich Bonhoeffer, Due tipi di morte



Biografia dell'autore

Paolo Ricca
ha insegnato storia del cristianesimo presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma.
Per Claudiana dirige la Collana «Opere scelte – Lutero», di cui ha curato alcuni volumi. Fra le molte pubblicazioni ricordiamo: Le dieci parole di Dio. Le tavole della libertà e dell’amore(Morcelliana, 1998), L’Ultima cena anzi la Prima. La volontà tradita di Gesù (Claudiana, 2014) e Dal battesimo allo “sbattezzo”. La tormentata storia del battesimo cristiano (Claudiana, 2015). 

October 16, 2018

"Strisce di stelle",  raccolta di racconti del  giornalista Dario lo Scalzo sui temi di nonviolenza, solidarietà internazionale, ambiente, dialogo interculturale e interreligioso 

 Alla libreria Feltrinelli di Viale Libia, a Roma,  è stata  presentata  "Strisce di stelle", di Dario Lo Scalzo, giornalista, scrittore e videomaker, redattore dell' agenzia stampa internazionale "Pressenza" , collaboratore della tv svizzera italiana RSI. Una raccolta di racconti (Firenze, Multimage ed., 2018) che - ha rilevato la giornalista e scrittrice Susanna Schimperna - "vuole ricordarci che ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare qualcosa, ogni giorno, per rendere migliore il mondo; cercando di cambiare situazioni anche minime che, in realtà, hanno sempre una loro importanza". Lo fa, l' Autore, con una serie di racconti che, muovendo da una visione di base nonviolenta, olistica, umanistica, affrontano temi come guerra e pace, ambiente, inquinamento, migrazioni, diritti e doveri dell' uomo, evoluzione dei costumi sessuali.

    "Questo libro di Dario Lo Scalzo - ha sottolineato il prof.Foad Aodi, medico fisiatra, presidente dell' AMSI, Associazione Medici di origine Straniera in Italia, e del movimento internazionale e interprofessionale "Uniti per Unire - è in piena sintonia con i fini che da sempre perseguono le nostre associazioni: e cioè anzitutto il dialogo interreligioso e interculturale, e un approccio ai problemi politico-sociali in chiave nonviolenta e solidaristica, volta a valorizzare lo scambio internazionale di esperienze e conoscenze nella medicina e in tutte le altre professioni. E' per questo che, a nome dell' Ufficio di Presidenza di "Uniti per Unire", conferisco a Dario lo Scalzo la nomina di socio onorario di Uniti per Unire: al cui interno abbiamo appena costituito un apposito "Dipartimento Scrittori".  Visto il contributo dei più di 25 scrittori aderenti al movimento U. x U. e l' importanza della scrittura come mezzo di dialogo e conoscenza interculturale e interreligioso, e come cura per la crisi sociale e le guerre tra i poveri, basate sui pregiudizi e sulla  paura della diversità",  conclude Aodi invitando tutti ad investire nella lettura e nella conoscenza della diversità e delle altre civiltà.

"Questa presentazione del mio libro - aggiunge Dario Lo Scalzo - dimostra come siano ancora in tanti a credere nei valori del rispetto, della solidarietà e della dignità umana. E' stato un incontro con la partecipazione di quasi 50 persone, che rincuora e dà un forte segnale di speranza, e sostegno all 'affermazione dei diritti umani. Un libro come questo, che non parla contro qualcuno ma prova ad indicare costruttivamente le vie dell' amore e del risveglio spirituale, trova il consenso  di chi crede proprio in una trasformazione sociale sulla strada della nonviolenza. E accolgo così con fierezza la nomina, da parte del Prof. Aodi, a membro di Uniti per Unire": 

     “L’ iniziativa di creare un dipartimento interamente dedicato agli scrittori , all’interno del movimento Uniti per Unire", commenta Nicola Lofoco, giornalista, portavoce nazionale di U.x U.,   "è senz’altro positiva . Tutti coloro che si sono cimentati nell’ opera della scrittura possono dare un positivo contributo intellettuale all’ interno del movimento, da anni  impegnato nel sensibilizzare l’opinione pubblica su temi  come la solidarietà tra i popoli, il rispetto dei diritti umani e il dialogo inter-religioso. Accolgo quindi con gioia la proposta del presidente Aodi di esserne coordinatore nazionale “.

    "Gli scrittori- aggiunge Salameh Ashour, portavoce della Comunità palestinese in italia, coordinatore del Dipartimento Dialogo interreligioso delle Co-mai, Comunità del Mondo Arabo in Italia - devono sempre esprimere quella che è l'anima e la cultura d'un popolo: portando i lettori a  riflettere sui temi fondamentali della vita e della società. Altrimenti, la letteratura diventa vuota esercitazione, o al massimo narcisistica esternazione della psicologia dell' autore".

October 04, 2018

Fumetto, animazione, games e cinema: attese 200 mila presenze tra ragazzi e famiglie. 100 eventi in calendario in quattro giorni. Anteprima di “Predator” e “Mirai”. Live con lo storico autore di Disney Marco Gervaso.

                                                                                                                                                 

Mancano pochissimi giorni all’inizio della XXIV mostra di Romics dal volto del Dragone sul Colosseo del designer Paolo Barbieri, evento sul fumetto attesissimo dal 4 al 7 ottobre. Una kermesse ricca di rendez-vous trasversali ed emozionanti: cartoni animati, immagini, cinema, games, moda e illustri personaggi per un pubblico adolescente e adulto. Una grande manifestazione fitta di momenti live e laboratori per grandi e piccini. Gli artisti, in duetto, mostreranno la loro arte su dei grandi pannelli giganti. Scoprire attraverso Romics come si muove il mondo attuale, così come ad XFactor cade la pioggia dorata sui premiati, al Comic ci sono i Romics d’Oro, come quello riconosciuto a Charlotte Gastaut, illustratrice tra magia e poesia di progetti e moda o al romano Marco Gervaso, laureato in economia e storico disnelliano, notato dal maestro Carpi viene introdotto nell’accademia Walt Disney Company Italia, diventa disegnatore delle indimenticabili storie di Topolino e Fantomius, dei dollari di Paperone e crea la copertina di Papertotti l’ater ego papero di Francesco Totti, capitano della AS Roma. “Con un titolo di dottore in economia e commercio in tasca, nessuno poteva disegnare meglio di me i dollari di paperone - scherza Gervaso –al Romics sarò presente con 60 tavole di Fantomius , rappresentativo di un grande lavoro svolto fino ad oggi. Metterò in scena anche un comic live per mostrare come nasce un disegno, dal bozzetto a matita – continua il fumettista - alla china fino alle tavole colorate”. Un altro super Gold è Chris Warner 30 anni , carriera fumettista made in USA ,sceneggiatore con competenze trasversali, ha lavorato con grandi brand, Dark Horse, Batman e Predator .

Un saluto particolare arriva da Pietro Piccinetti Direttore Generale della Fiera di Roma che ospita il Romics e dal Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. “Questa 24ma mostra si fortifica di anno in anno – spiega il Direttore - per il talento e la cultura in senso lato”. In piedi tante novità: l’ingresso economico e la fila veloce per le famiglie, gli special guest delle anteprime, la presenza del mondo giornalistico, autori ed editori diversi. Percorsi visivi esperienziali di cinema nei padiglioni (ndr padglione n.5). Omaggio a Sergio Zaniboni autore di Diabolik, scomparso lo scorso anno, con una grande mostra di originali dedicata al ladro più spietato e amante appassionato di Eva. Uno spazio dedicato per omaggiare i 25 anni della Scuola Romana dei Fumetti, un incontro-dialogo tra lo scrittore Marcello Simoni e Stefano Caselli disegnatore di Spider-Man. Gara Cosplay mondiale che coinvolge 40 paesi, due rappresentanti per ogni paese, da Singapore all’Africa. Comic City Romic, la casa del fumetto, dedicato a laboratori di disegni live, murales dedicaces e due enormi padiglioni riservati al game video. Come supporto alla didattica il Miur lancerà nei prossimi giorni la terza edizione del Concorso i linguaggi dell’Immaginario per la Scuola. Con Sci-fi Anime Attack si inaugurano le rassegne per il ventennale del mondo manga e mondo anima prediletto dagli adolescenti. Giornate open con panel sull’ eredità del ‘68 con particolare attenzione al cambiamento del linguaggio, memoria per i giovani su un periodo significativo della storia italiana: 12 artisti internazionali daranno vita a esibizioni in progress come l’incontro con tra gli scrittori Stefano Casini e Gianfranco Manfredi, intervistati da Luca Valtorta di Repubblica. “E’ un momento molto vivace per il fumetto - spiega il direttore artistico di Romics Sabrina Perucca – presente, ormai, nelle librerie made in Usa. L’Italia ha molto da offrire da questo punto di vista, infatti, in aprile ci sarà il concorso Romics sulle grandi opere dell’anno precedente, interventi significativi come quello di Francesco Cattani vincitore del Gran Premio”. Dunque oltre 100 eventi in programma tra i panel e il lancio, a fine ottobre, della terza edizione del concorso sull’immaginario di 700 elaborati degli alunni delle scuole materne, elementari e medie con la narrativa fantasy per i ragazzi. Tante domane e richieste per il cinema il Romics apre, infatti, con i film noir, di genere, horror, fantascienza e new cult. Al cinema Adriano il 4 ottobre esce “The Predator”, IV episodio di Shane Black, il 15 novembre “I Crimini di Grindewald” e il 15,16,17 ottobre arriva l’attesissimo film di animazione “Mirai”. Ma esiste anche il Cinema anni ’80 , per mostrare alle nuove generazione, film cult degli anni ’80: the Wall. Presente al festival anche Alessandro Siani attore comico con la commedia all’italiana, panel speciali A-X-L robot e intelligenza artificiale. Ma la vera novità di questo anno è Yep , biblioteca digitale dedicata a centinaia di fumetti visibili on line o off line su smarthphone e tablet.

www.romics.it

info: 069396007-0693956069

October 01, 2018

Scritto a quattro mani dalla stessa Antonella Lualdi con lo scrittore e regista Diego Verdegiglio, sarà presentato il prossimo 4 ottobre presso la casa del cinema di Roma jl libro “Io Antonella, amata da Franco” edito da Manfredi Edizioni.

Un libro ricco di storia, di aneddoti e di foto che ci riportano a quel meraviglioso quanto complicato Cinema del Novecento. Il libro parte da una giovanissima Antonella Lualdi che si teneva un po’ in disparte rispetto allo star system che già a quei tempi cominciava a serpeggiare tra star come Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Silvana Pampanini, Lucia Bosè. Lei, Antonella, appariva più riservata, più introversa, preferendo l’impegno all’apparenza.

Poi l’incontro con Franco Interlenghi che aveva appena debuttato nel film “Sciuscià” del Maestro Vittorio De Sica, primo film italiano ad aggiudicarsi l’Oscar.

Racconta Antonella: “Dalla mia famiglia di origine sono passata a vivere con mio marito e, quando il nostro matrimonio è entrato in crisi è stato più onesto separarsi. Di lui apprezzavo soprattutto la sincerità. Non mi importava nulla che fosse un divo. Ne ammiravo le qualità umane, quelle che mi hanno fatto compagnia per tanti anni colmando i vuoti d’affetto presenti in me fin dall’infanzia.”

D. Diego Verdegiglio, attore e scrittore anche con esperienze da regista. Come nasce la tua collaborazione con Antonella Lualdi per questo libro?

R. Come scrivo nell'introduzione del volume, l'attrice e giornalista Olga Bisera - con la quale avevo collaborato a tre suoi libri autobiografici - mi propose di incontrare Antonella per raccontare insieme la sua vita. Per me fu un sogno che si realizzava, perché fin da ragazzo ero rimasto letteralmente "stregato" dalle stupende fattezze di un'attrice che era sulle copertine dei rotocalchi. Riviste che io ovviamente acquistavo tutte.

D. Com'è stato il lavoro di scrittura?

R. La vita di Antonella è stata ed è ancora ricchissima di incontri, sorprese, cambiamenti, alti e bassi di tutti i tipi. Un suo amico, Lino Belleggia, aveva raccolto dalla sua voce l'enorme quantità di "materiale grezzo" che ho avuto il compito non facile di riordinare, limare, sistemare cronologicamente. Ci siamo accordati con Antonella nell'eliminare o ridurre episodi e persone della sua esistenza che nulla avrebbero aggiunto di fondamentale alla storia. Particolarmente curata è stata infine la scelta delle tantissime fotografie che arricchiscono i capitoli.

D. Antonella è soddisfatta del risultato che avete raggiunto?

R. Si, molto. E lo sono anch'io. Paola Poponi della Maretti Manfredi Edizioni ci è stata vicina e si è confrontata con noi in ogni fase della scrittura, con suggerimenti, correzioni e idee sempre condivisibili per migliorare il volume.

D. Il libro è dedicato a Franco Interlenghi.

R. E non poteva essere diversamente. Il grande divo del neorealismo italiano, scomparso da alcuni anni, ha lasciato in tutti noi un ricordo indelebile, ma per Antonella è qualcosa di più: è l'amore della sua vita che lei porterà nel suo cuore fino alla fine dei suoi giorni. E quindi credo ancora a lungo, perché Antonella ha fatto sua la massima di Marcello Marchesi che inorridiva all'idea di finire i suoi giorni in un letto di ospedale privo di forze e di memoria: "Bisogna che la morte ci trovi vivi", cioè in piena lucidità e attività.



September 24, 2018

Cosa sarà nel futuro globalizzato e nell’era del cyberspazio dei Servizi informativi? Alcuni sostengono che la Rete sia già uno dei maggiori teatri di guerra esistenti e c’è chi parla di cyber intelligence affidandole il compito di sviluppare competenze e capacità operative in grado di raccogliere, decodificare, analizzare e disseminare i segnali provenienti dalla rete stessa, e che potrebbero rivelarsi di una minaccia (carattere difensivo), oppure di un vantaggio tecnologico, economico o politico (offensivo) agli interessi nazionali.

Per essere davvero funzionale, in un’era d’incertezza quale quella che stiamo vivendo, l’intelligence deve essere in grado di sviluppare e sostenere una strategia per gestire la conoscenza a livello globale, visto che la conoscenza e la copertura informativa costituiscono un’esigenza vitale per la sicurezza e la prosperità di qualsiasi Paese.

September 11, 2018

 
 Aldo Capitini

Una illuminante ricerca di Livia Romano.

 

 

                   Nell’ambito della ormai ricchissima bibliografia relativa ad Aldo Capitini, ritengo meriti un posto di particolare rilievo il bellissimo libro di Livia Romano La pedagogia di Aldo Capitini e la democrazia. Orizzonti di formazione per l’uomo nuovo (Franco Angeli, Milano 2014), illuminante ricerca che ruota intorno alla ferma convinzione che l’intera opera di Capitini sia sorretta da un forte progetto pedagogico e debba essere considerata, pertanto, una vera e propria “filosofia paidetica” (p.13) avente come obiettivo la costruzione di una democrazia capace di spingersi oltre i propri limiti, facendosi “omnicrazia”.

La natura della democrazia - infatti - essendo necessariamente dialogica, implica e impone il rispetto di sé e degli altri, e la democrazia, di conseguenza, per potersi realmente affermare, non dovrà essere semplicemente “insegnata”, bensì occorrerà educare ad essere democratici. La democrazia, infatti, non è cosa su cui potersi limitare a riflettere, bensì cosa da vivere.

Alla base di tutto il pensiero di Capitini   sarebbe possibile riscontrare la presenza di una vigorosa esigenza educativa che, prendendo le mosse da una coscienza appassionata della finitezza, intenda produrre un processo di “crescita eterna” mirante al raggiungimento dell’”omicrazia”, “attraverso la costruzione di una democrazia comunitaria che afferma la centralità di un soggetto relazionale e aperto”, apertura di credito verso chiunque, in quanto ritenuto sempre capace di operare radicali cambiamenti evolutivi (pp.14-15).

Ed educazione democratica, per il filosofo perugino, “ mosso com’è dalla preoccupazione di dare voce agli esclusi dalla storia, alle minoranze che si trovano in una condizione di svantaggio e di emarginazione” significa - sottolinea opportunamente la Romano - innanzitutto educazione alla differenza, “un’educazione che si propone di superare l’angoscia dell’alterità, l’idea che gli altri rappresentino una forza di aggressione di fronte a cui l’individuo si chiude in se stesso come un atomo, non riconoscendosi nella comunione con i tutti” (p.14).

Ma l’educazione democratica è anche vera pratica religiosa e la riforma religiosa rappresenta in Capitini la premessa ineludibile di una efficace riforma sociale e politica. (p.16)

Il mondo intero, infatti, viene sentito come laboratorio in cui il “persuaso” è chiamato a mettere alla prova, realizzandola praticamente, la propria religiosità, in una sorta di “misticismo militante”, in cui l’impegno pratico prevale su quello contemplativo, venendo così ad annullare il dualismo fede-politica.

Quello di Capitini sarebbe un vero “misticismo pratico”, frutto di un attento e meditato confronto fra tradizione mistica occidentale e grandi maestri spirituali orientali.

La democrazia profetizzata da Aldo Capitini è una democrazia planetaria rivolta all’”uomo nuovo”, protagonista di una civiltà cosmica, in un mondo senza confini fondato sull’amore. E ciò sarà reso possibile solo grazie ad una educazione alla democrazia incentrata sul valore della “compresenza” (p.19), intesa come apertura al “tu-tutti” e implicante una conversione del cuore in interiore homine (p.24), “come atto religioso che naturalmente conduce ad una realtà diversa e liberata”, nella prospettiva della creazione di una democrazia pienamente realizzata: l’ “omnicrazia”.

Aprirsi alla compresenza significa che l’io non è più solo, ma con altri, con i tutti, ivi inclusi (ed è senz’altro uno degli elementi più originali del pensiero capitiniano) i morti.

Apritevi e muterete la vostra vita, - scrive il filosofo della nonviolenza - accorgendovi che la compresenza c’è.” (Ed. ap. 1, cit. p.73)

Lo sguardo di Aldo Capitini è quello di un acuto (e scomodo) “maestro del sospetto”, con forti affinità soprattutto con Schopenhauer, per la cruda e onestissima consapevolezza dei limiti, del male e della sofferenza presenti nella natura. Ma la “disperanza” del filosofo tedesco si trasforma, in lui, in luminosa speranza, incentrata sul concetto di compresenza, ovvero nella convinzione di poter ritrovare Dio nell’intimo della coscienza e viverlo nell’incontro corale fra tutti gli esseri.

Riconoscimento della finitezza, quindi, senza rimanerne intrappolati. E coscienza del limite non disperata ma appassionata, facendo sì che la tensione religiosa si aggiunga positivamente sia all’appello leopardiano all’affratellamento solidale che alla nirvanica aspirazione schopenhaueriana (p.32), ricomponendo “nella compresenza la lacerazione tra realtà contingente e realtà trascendente” (p.33), e dando vita ad un movimento continuo e aperto tra finito e infinito. E ben fa la Romano ad evidenziare le non poche affinità, soprattutto per quanto attiene all’apertura verso il pensiero orientale, con Pietro Martinetti, altro grande pensatore del nostro primo Novecento ancora troppo poco conosciuto e studiato. (p.37)

Capitini, in quanto “mistico militante”, si fa quindi continuamente e insistentemente “filosofo della prassi” (p.94) in cui la relazione con Dio si configura come

incontro dinamico che avviene con un tu che è insieme Dio e tutti gli esseri, viventi e non viventi, che partecipano alla stessa comune realtà della compresenza”. (p.96)

Il suo Dio non è un Dio che si rivela, ma un dio che “si dà nella compresenza” e di cui sentiamo la massima vicinanza vivendo la realtà di tutti e l’apertura alla realtà liberata. Dio è infinita possibilità e apertura, “perciò è atto di unità amore con tutti, verso l’intimo, e aggiungente una realtà liberata.”

E il dio capitiniano è un dio deinfernizzato che “salva tutti”, che esclude categoricamente la possibilità di distinguere, separare e contrapporre eletti e dannati. Un dio che potrebbe essere inteso come la raffigurazione suprema della triade di:

libertà – gratuità – amore.

Il “mistico pratico,” - scrive Livia Romano - grazie all’incontro con il divino, sa di appartenere a un’altra dimensione, la realtà della compresenza”.

In Capitini è fermissima e irrinunciabile l’esigenza di affermare una dimensione religiosa liberata da ogni tendenza alla separazione, in modo tale da far coincidere educazione religiosa con educazione democratica. E ciò non in una prospettiva utopica che rinvii ad un domani che potrebbe rivelarsi un “mai”, bensì in quella di una tramutazione che comincia oggi. (p. 101)

Perché Capitini

vuole indicare all’essere umano la via per uscire fuori dalla storia, cioè dall’insieme di tradizioni, guerre, violenze, soprusi, ingiustizie, e creare le condizioni necessarie per fare posto ad un’altra storia, una storia i cui protagonisti non siano più gli eroi, i ricchi e i potenti, ma tutti, anche gli emarginati, gli umili, i folli, i derelitti, i poveri, i malati.” (p.157)

Il principale obiettivo è quindi una formazione “post-egoica” che sappia restituire l’uomo a se stesso.

L’utopia di Capitini - conclude efficacemente la Romano - non è un sogno irrealizzabile, è molto di più, è una profezia per il nostro tempo, che è possibile realizzare attraverso un’ educazione democratica che si concretizzi nel rapporto reciproco e fruttuoso tra religiosità autentica e politicità consapevole. La sua profezia è quindi un’utopia pedagogica. Che ha in sé una progettualità educativa che la apre alla sua futura realizzazione concreta. E’ possibile, credo, nel tempo della liquidità e della post-democrazia, rileggere la compresenza come un principio pedagogico che ha il compito di aprire nuovi orizzonti internazionali: infatti l’omnicrazia, riconducendo tutti all’unità-amore, eleva la coscienza individuale e collettiva, portandola al massimo orizzonte possibile. L’educazione alla post-democrazia dà così vita ad una nuova comprensione e alla necessità di una collaborazione internazionale che, come pensa Capitini, non può limitarsi ad una conoscenza superficiale degli altri e delle istituzioni internazionali, ma deve muovere anche l’animo a sentire l’unità con tutti.”

(p.217)

 

 

Livia Romano

La pedagogia di Aldo Capitini e la democrazia. Orizzonti di formazione per l'uomo nuovo

Franco Angeli, Milano 2014

September 03, 2018

“Ho scritto questo libro con lo scopo di presentare un sistema di insegnamenti e di pratiche dell'occulto che affondano le radici nel contesto della tradizione e della fede cristiana.”

Con questa premessa l'autore compie un vero e coraggioso atto letterario: trovare un collegamento tra occultismo e cristianesimo, considerati spesso incompatibili.

Per capire meglio l'impostazione del libro è di notevole aiuto la prefazione, nella quale si indaga la biografia dell'autore, il suo rapporto con il cristianesimo (il sodalizio con il reverendo Duncan), e dalla quale emerge un concetto di “magia” inteso come sviluppo dell'immaginazione creativa.

I capitoli seguono un percorso ben preciso che segue un cammino personale simbolico, affondando però le conoscenze in situazioni storiche, religiose o letterarie ben precise.

In chiusura ogni capitolo presenta delle meditazioni molto interessanti, che possono essere eseguite anche in pochi minuti, che sostengono la vitalità e la concentrazione.

I primi capitoli offrono un excursus storico che va dal regno alessandrino (Alessandro Magno con le sue conquiste apportò un sincretismo religioso e l'idea dell'unico Dio), al rapporto iniziale tra ebraismo e cristianesimo, passando per Gioacchino da Fiore e l'eresia francescana, i Templari, il ciclo arturiano e l'amor cortese, l'alchimia, la cabala, la Divina Commedia...

Un concentrato di conoscenze che a volte rende difficile la lettura, che deve avere il tempo per “sedimentarsi”.

Un libro per “cercatori”, per chi si pone in un percorso di auto-conoscenza che unisca studio, impegno e creatività, un libro che rispecchia l' impegno editoriale di Spazio Interiore, attento da sempre alle tematiche spirituali affrontate con studio e originalità di punti di vista.

 

 

Gareth Knight

Viaggio iniziatico nei mondi interiori:
un corso in magia cabalistica cristiana
Spazio interiore 2018

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