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In un paese dominato ormai da caos, criminalità, disoccupazione e incertezze, almeno un punto fermo lo abbiamo: in Italia i soldi ci sono, e anche parecchi. Ma sono distribuiti male. Quando non sono in mano alle mafie (ogni giorno vengono sequestrate decine di milioni di euro a boss, politici collusi e criminali), quando non vengono gettati dalla finestra per finanziare appalti truccati o opere inutili (tanto per dirne una: costato finora 470 mln, l’assurdo resort in Sardegna, che avrebbe dovuto ospitare il G8 prima che un Berlusconi già allora in preda al delirio decidesse di spostare tutto all’Aquila, sta ancora lì a marcire).
Per fortuna talvolta salta fuori una voce dal coro, in questo caso Fausto Scandola ha deciso di andare controcorrente, contro l’omertà e l’inerzia tipiche del nostro Paese, e ha iniziato a indicare la luna, anche se poi quasi tutti sono rimasti intontiti a fissare il dito. Già tra i dirigenti della Cisl, Scandola ha rivelato la settimana scorsa un dossier con le esatte cifre degli stipendi delle teste coronate del sindacato: nomi, cognomi e numeri che hanno scosso il popolo e i dirigenti della Cisl, facendo parecchio incavolare il primo e indignare i secondi. Per inviare il dossier, Scandola ha utilizzato delle mail, troppe mail, talmente tante che ai piani alti della Cisl sono caduti dalle nuvole e hanno reagito nel modo tipico delle lobby nostrane: allontanando il sindacalista.
Nell’Italia della disoccupazione e della crisi, Scandola ha pubblicato dei dati che, se non fossero offensivi nei confronti degli italiani che la crisi la sentono eccome, sarebbero quasi tragicomici. Si va da Valeriano Canepari, ex presidente CISL Caf Nazionale, che nel solo 2013 ha preso circa 97 mila euro di pensione. Di pensione, non di stipendio, e visto che non erano sufficienti per affrontare le spese quotidiane ci si aggiungevano i 192 mila euro della Usr Cisl Emilia Romagna, sfiorando in tal modo i 300 mila euro. Passando per Ermenegildo Bonfanti, segretario nazionale Fnp Cisl, che si mette in tasca 225 mila euro in un anno, dei quali 143 mila di sola pensione. Fino ad Antonino Sorgi, presidente nazionale dell’Inas Cisl, che solo lo scorso anno si è preso 78 mila euro di pensione, 100 mila di compenso Inas e 77 mila come compenso di Inas Immobiliare, superando nell’insieme i 250 mila euro. Il tutto da un sindacato che pretende di farsi portavoce dei diritti dei lavoratori, degli immigrati, degli artigiani, della gente comune, e che già in passato aveva dato prova di non essere un ritrovo di santi. Raffaele Bonanni, ex segretario generale della Cisl, lasciò infatti l’incarico tra numerose critiche: sembra si fosse dato una ritoccata allo stipendio poco prima di ritirarsi, allo scopo di far lievitare l’assegno di pensione. Una storia che allora mise la pulce nell’orecchio di Scandola e che, unita alle segnalazioni anonime di alcune persone e al fatto che molti sindacalisti aderiscono al Cnel (dove i redditi sono pubblici), lo ha portato oggi a scoperchiare il vaso di Pandora dei mega stipendi dei colleghi.
Una volta svegliati dal torpore istituzionale grazie alle rivelazioni di Scandola (che nel frattempo ha preso le vie legali contro la sua espulsione), i pezzi grossi della Cisl, visti intaccati i loro privilegi, hanno immediatamente reagito nel modo più elegante e consono alla casta: espellendo il sindacalista, ma anche provando in qualche modo a giustificare gli stipendi. Qualcuno (Canepari) ha anche candidamente affermato che il suo compenso era da considerarsi solo come il costo aziendale finale, che assestava il suo stipendio, poverino, alla pur dignitosa cifra di 5800 euro mensili. La stessa Annamaria Furlan, attuale segretario generale del ritrovo di santi, non ne è uscita indenne: già nel 2008 si portava a casa 99 mila euro l’anno, che ora potrebbero arrivare a un tetto massimo di 114 mila, ai quali si aggiunge, per le spese extra, un 30% di indennità varie. Parliamo della stessa Furlan che sulle pagine de «La Nazione» affermava, in un esercizio di (speriamo involontaria) comicità, che «Per recuperare i livelli occupazionali antecrisi di questo passo impiegheremo almeno vent’anni». Almeno, ma forse anche trenta, o quarant’anni, o forse non ne usciremo mai, finché certa gente continuerà a prendere stipendi tali ai cui nemmeno Barack Obama arriva.
Emiliano Federico Caruso
Dall'ex ministro dell'economia greco Yanis Varoufakis, una critica marxista “atipica” al sistema che regge l'Eurozona
Che le si condivida o meno, le recenti scelte politiche del partito greco al governo Syriza, del primo ministro Alexis Tsipras e dell'ex ministro dell'economia Yanis Varoufakis hanno messo in luce le più gravi contraddizioni che dilaniano l'Eurozona. In particolare l'antinomia tra il carattere essenzialmente economico e monetario dell'Unione e la volontà dei paesi più forti di influenzare le politiche nazionali degli stati più deboli. Sul piano geopolitico, intanto, l'Unione Europea non è riuscita finora a elaborare e ad esprimere una posizione indipendente dagli Stati Uniti, limitandosi ad assistere da spettatrice a conflitti le cui ripercussioni sono ancora in atto. Dalle lacerazioni che hanno travolto i Balcani (attualmente, non a caso, una delle principali sacche di reclutamento dei cartelli del jihad della cosiddetta Organizzazione dello Stato Islamico – ISIS), agli errori strategici commessi nella “guerra al terrorismo” (Afghanistan, Iraq in primis), alla questione israelo-palestinese fino alla guerra civile in Libia e Siria. Ben lungi dall'intraprendere un dibattito serio sulla necessità di cambiare rotta verso una seria politica internazionale del disarmo, tra le conseguenze di questi conflitti si presta maggiore attenzione alle ondate di richiedenti asilo e migranti che ogni giorno tentano la traversata verso i paesi europei di frontiera (Italia, Spagna, Grecia) e ai quali si continua a rispondere innalzando barriere ed elaborando astrusi piani di redistribuzione dei rifugiati. Una simile reazione è sintomatica di un atteggiamento di fondo: curare i sintomi delle crisi, sia pure con effetti disastrosi, senza affrontarne le cause profonde.
Nel breve ma acuto saggio Confessioni di un marxista irregolare (traduzione italiana pubblicata dalla casa editrice Asterios), Varoufakis analizza le cause dell'attuale crisi europea partendo da considerazioni macroeconomiche.
Nel 2008, scrive, il capitalismo ha subito la sua seconda grave contrazione a livello mondiale (la prima era avvenuta nel 1929. NdR), causando una reazione a catena che ha sprofondato l'Europa in una spirale recessiva che sta tuttora minacciando gli europei con un vortice di depressione permanente, cinismo, disintegrazione e misantropia.
L'Unione Europea così com'è, infatti, è antidemocratica e irrazionale, un binomio foriero di conflitti tanto tra gli stati membri quanto all'interno delle loro rispettive società. Il problema dell'Europa dunque non è la crisi economica in sé, bensì la prospettiva adottata per risolverla. Un percorso che conduce verso un progressivo aggravarsi dell'ingiustizia sociale e, di conseguenza, verso una disumanizzazione della società.
L'esempio preso da Varoufakis in merito è eloquente. Nel film del 1953, L'Invasione degli ultracorpi, gli alieni aggrediscono gli umani dall'interno, riducendone i corpi a gusci che attraversano meccanicamente la vita quotidiana. Un processo equivalente, secondo Varoufakis, alla trasformazione del lavoro umano in una fonte di energia non differente dai semi, dall'elettricità e dai robot. Come se nell'espressione “risorse umane” (abbondantemente in uso) si celasse una de-umanizzazione dell'esistenza dei singoli, considerata quasi esclusivamente in termini di capacità produttiva. La crisi economica del 2008 si configura dunque come una crisi di civiltà che sta minando le fondamenta del capitalismo stesso. Impoverimento e de-umanizzazione provocano infatti un brusco calo nei consumi, molla della crescita economica, spingendo le società più fragili verso un sottosviluppo permanente. Secondo l'ex ministro dell'economia greco, è il film Matrix il miglior documentario sulla tendenza attualmente prevalente a cancellare dal lavoro umano tutte quelle caratteristiche che gli impediscono di diventare pienamente flessibile, perfettamente quantificato, infinitamente divisibile. Una linea che si legge nei manuali di management, nelle riviste accademiche di economia e, soprattutto, nei documenti prodotti dall'Unione Europea. Il paradosso tuttavia è che se si arrivasse davvero alla completa mercificazione del lavoro umano, lo si priverebbe al contempo di quella creatività che ne garantisce l'efficacia, generando così una Grande Recessione.
In questo contesto, la sinistra europea ha enormi responsabilità, poiché, rinunciando a una critica radicale e costruttiva al capitalismo, ha permesso ai neoliberisti di usurpare il testimone della libertà e di ottenere un trionfo decisivo in campo culturale e ideologico. Ad esempio, negli ultimi tre decenni di globalizzazione e di finanziarizzazione delle economie, in molti hanno gridato al deficit democratico. Quest'ultimo, in realtà, altro non rappresenta se non il successo del liberalismo nel separare l'economia dalla politica, lasciando la sfera economica al capitale. Una considerazione che dà ragione all'analisi marxiana dell'economia. L'analisi di Varoufakis, dunque, è fortemente ispirata, come lui stesso riconosce, a Marx, cui tuttavia vengono rivolte due critiche fondamentali. Anzitutto, una mancanza di dialettica e di riflessione su come le sue teorie sarebbero state recepite e attuate dai suoi seguaci, che, di fatto, in molti casi le hanno utilizzate per guadagnare potere approfittando della rabbia degli oppressi. In secondo luogo, il filosofo tedesco avrebbe commesso un errore di omissione, che l'ex ministro greco considera particolarmente grave: la convinzione di poter trovare la verità sul capitalismo nei modelli matematici che costituiscono gli schemi di riproduzione. Modelli algebrici teoricamente impeccabili, che tuttavia non tengono conto delle variabili “umane” (quindi imprevedibili) che incidono sui rapporti sociali e di produzione. Una critica simile a quella che il filosofo e scrittore francese Albert Camus rivolgeva a Marx nell'Uomo in rivolta, parlando di chimica delle anime.
Un capitolo a parte viene dedicato alla lezione dell'ex primo ministro britannico Margaret Thatcher per i radicali europei di oggi. Trasferitosi in Inghilterra da studente nel 1978, Varoufakis ha potuto osservare da vicino gli effetti sociali della linea politica della “Lady di ferro”. Inizialmente persuaso che la vittoria della Thatcher avrebbe prodotto lo shock necessario a rinvigorire le politiche progressiste, l'ex ministro greco ha ben presto constatato il ripiegamento della sinistra su se stessa, le profonde divisioni in seno alla classe operaia (tra emarginati e cooptati dal nuovo assetto neoliberista) e la finanziarizzazione estrema, che hanno finito per instillare misantropia nel tessuto sociale. Come la Thatcher si è resa responsabile di disastri economici e sociali, oggi è lo stesso capitalismo europeo che minaccia di smantellare l'Eurozona, l'Unione Europea e persino se stesso. L'uscita di singoli paesi dall'Euro, d'altronde, non provocherebbe altro che recessione nell'Eurozona e stagnazione senza prospettive di risalita per chi ne resta fuori. Un terreno assai fertile per il proliferare di movimenti e forze politiche xenofobi e l'ascesa di gruppi criminali. Ai leader europei Varoufakis rimprovera dunque di aver creato un'unione monetaria priva di strumenti per attutire gli shock, aumentandone dunque l'impatto e la portata delle conseguenze. In tal modo, le misure di austerità imposte dalla trojka non fanno che sprofondare i paesi più deboli in circoli viziosi di involuzione e recessione, difesi agli occhi dell'opinione pubblica attraverso menzogne e omissioni. Un esempio fra tutti, Olli Rehn (responsabile delle questioni economiche e finanziarie nella Commissione Europea), che ha recentemente accusato il Fondo Monetario Internazionale di aver rivelato alcuni errori commessi nei calcoli sui sistemi fiscali dell'Eurozona. Secondo Rehn, infatti, questo avrebbe minato la fiducia dei cittadini europei nelle loro istituzioni.
L'Europa così com'è dunque non funziona, ma uscirne sarebbe gravoso per i singoli. L'unica soluzione è ricostruire l'Unione Europea su basi differenti: politiche, di giustizia sociale, di solidarietà.
Carlotta Caldonazzo
Fascinating Road è un progetto ambizioso che prenderà il via il 26 settembre 2015 all’Elegance Cafè di Roma, un progetto che mira ad un rilancio della musica jazz che va dagli anni 40 agli anni 60, partendo da Sinatra, attraverso un filtro creativo che si avvale della professionalità di musicisti contemporanei uniti alla voce di un interprete che sa avvolgere con uno stile originale chi lo ascolta.
Antonio Marziantonio è un artista multiforme. Nato a Napoli, si è diplomato all'Accademia Internazionale di A.Fersen a Roma e si è perfezionato all'Actor's Studio di New York. Dal 1990 in poi ha lavorato al cinema, in teatro e in televisione in numerose fiction di successo e ha partecipato a famose campagne pubblicitarie. Al percorso di attore ha unito una carriera nel mondo della musica, come cantante e autore, che nel 2005 lo porta alla realizzazione di un album brit-rock ‘A Sunshine Day’, un lavoro discografico con un buon riscontro di critica. La voglia di sperimentare e di elaborare nuovo materiale lo stimola verso un nuovo percorso di rivisitazione jazz e swing. Le esperienze nella musica prima brasiliana, poi nel rock, hanno plasmato la vocalità di Antonio Marziantonio, che ha cercato di dare forma ad una nuova linea artistica in collaborazione con ottimi elementi di estrazione jazz. Il risultato è una sonorità innovativa, che vuole ridare vigore alla bellezza che fu di un tempo straordinario, dove un mito come Sinatra segnò un’epoca. Marziantonio ha in qualche modo assorbito da Sinatra e da altri grandi di quel periodo il meglio della loro produzione, riproponendola sotto una veste nuova, del tutto personale. Un progetto certamente non facile da realizzare, ma che ha il merito di dare alla musica una funzione altamente emotiva e comunicativa. La conferma di ciò è evidente nel video di ‘If I could’ve stopped time’, brano arrangiato e diretto da Massimo Ruocco, che dimostra le capacità vocali di Marziantonio, ma anche la profonda conoscenza di diversi generi musicali, che sono stati minuziosamente studiati e affrontati. E dalle note calde e coinvolgenti di ‘If I could’ve stopped time’, si snoda una dolce malinconia per un rimpianto d’amore, ma non si avverte tristezza, solo la consapevolezza di un momento passato che non può far altro che diventare linfa di una nuova luce per ricominciare ad amare, le parole del testo lasciano intuire il desiderio di ritrovare la strada per la felicità. La musica diventa allora quell’atto di magia che rende vivo ed autentico ogni momento della propria esistenza.
Da attore diplomato all'Accademia Internazionale di A.Fersen a Roma a cantante e autore musicale, cosa ti ha spinto verso la musica e quali sono state le tappe fondamentali per la tua formazione artistica?
“Diciamo che la musica è arrivata prima dell’Accademia, è stato il primo amore perché già da ragazzino, dopo studi privati e al conservatorio, facevo le mie prime composizioni e i primi concertini per i miei compagni di liceo e prima dell’Accademia avevo già avuto esperienze professionali con la musica brasiliana, ma se ti riferisci alla parte più importante della mia carriera musicale dal 2000 in poi, è stata senz’altro la consapevolezza di quanto materiale compositivo, accumulato negli anni, avevo da parte e veniva fuori prepotentemente nei momenti più impensati oltre ad una capacità comunicativa accresciuta dalla mia carriera di attore ed a quella che è stata sempre una mia facilità naturale nel canto. Le tappe, accorciandole all’osso: l’esperienza con la musica brasiliana, oltre che nella bossanova di Jobim e Gilberto, anche in quella di matrice più prettamente bahiana di Caetano Veloso e Djavan, poi l’esperienza negli anni 90’ con il grande teatro classico, Sofocle, Aristofane, Shakespeare, Molière, Pirandello, Beckett, e con i grandi Maestri del cinema come Marco Risi, Marco Bellocchio, Dario Argento e le tante fiction televisive di valore fatte. A seguire la pubblicazione nel 2005 del mio primo album ‘A Sunshine Day’ di ispirazione Brit- Rock, che mi ha portato ad una tournée nazionale che si è protratta per tutto il 2006, l’incontro con Massimo Ruocco che mi ha condotto con maestria verso la svolta stilistica del jazz dietro la valutazione della mia composizione ‘If I Could’ve stopped time’, da lui arrangiata e diretta, l’incontro determinante con il maestro Federico Capranica che, grazie anche all’esperienza con il Coro Altavoce, ha perfezionato (e continua a farlo) con una severissima disciplina la mia tecnica vocale e mi ha incoraggiato sulla strada del jazz e dello swing dei grandi cantanti del passato come Sinatra, riconoscendo in me queste potenzialità. Ricordo che una sera a casa sua dopo una registrazione mi disse che potevo senz’altro continuare su quella strada, previo uno studio ancora più feroce. Conoscendo la sua durezza ed inflessibilità, fu questo per me il segnale che ero sulla strada giusta.”
Hai all'attivo un progetto di diffusione dell'arte poetica italiana. In cosa consiste e cos'è per te la poesia?
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“Parlare di poesia di fronte a una poetessa di grande valore come te è un vero onore. Ritengo che l’Italia abbia il patrimonio poetico più importante del mondo. Basti ricordare Dante, Foscolo, Leopardi, D’annunzio, Pascoli, Montale, Pavese, Ungaretti per capire che è una vergogna la mancata diffusione di questa meraviglia sia tra gli adulti che non hanno avuto tempo e modo ed educazione di potersi avvicinare alla poesia, sia tra i giovani che studiano questi poeti in modo spesso sommario, scolastico e poco avvincente. Ho notato che mettendo la mia arte di attore al servizio della poesia ho dei riscontri di emozione e di partecipazione e di riflessione talmente importanti ed incoraggianti che mi spingono sempre più ad incentivare il mio lavoro in questo senso. Infatti oltre a siti istituzionali, la prossima stagione comincerò pure a svolgere questa attività in alcuni licei della capitale sensibilizzati a questa potenzialità comunicativa. I giovani che crescono educati a questo patrimonio, saranno il vero tesoro di questa nazione, qualunque lavoro svolgeranno nella vita. Dobbiamo salvaguardare le nostre radici culturali, la nostra identità e le nostre arti. Per finire, non è escluso che in qualche concerto non faccia anche qualche escursione poetica per gettare un ponte tra le due arti, visto che per me la Poesia, quando è di grande valore come la tua, è anche meravigliosa musica.”
Dal rock, alla musica brasiliana per arrivare al Jazz, come si è evoluto il tuo modo di fare musica e in cosa consiste il progetto Fascinating Road?
“Intanto colgo l’occasione per comunicarti che il tour Fascinating Road, dopo un periodo di gestazione che è stato più lungo del previsto, prenderà il via ufficialmente il 26 Settembre 2015 con un concerto all’Elegance Cafè prestigioso locale in Via Veneto a Roma con la denominazione di formazione Antonio Marziantonio Quartet, per poi essere ospitato in tante città italiane. Questa è un’esperienza decisiva per completare il mio percorso di cantante e musicista. Non è stato facile, venendo dal rock. Ma il mio rock già in partenza era particolare, la musica che stavo componendo prendeva valenze diverse che si avvicinavano a R.E.M. e Radiohead e poi anche jazz, diciamo jazz-rock. E’ una strada che andava esplorata. Ho cominciato a studiare e il resto è venuto da solo, certo non mi aspettavo neanch’io una adesione così profonda. Ma guarda che esperienze simili le hanno fatte per esempio Rod Stewart e Robbie Williams, addirittura ultimamente Dylan, che ha fatto un disco su Sinatra. Il jazz è una musica popolare colta ed antica, depositaria, di molto di quello che sarebbe venuto poi dopo nei generi musicali.
Fascinating Road è un percorso molto ambizioso che ho intrapreso nella mia vita musicale. Partire dalla grande bellezza di un periodo straordinario degli anni 40-50 e 60, fatto da una sinergia di interpreti meravigliosi come Sinatra, arrangiatori e Direttori musicali straordinari come Nelson Riddle e di autori strabilianti come Cole Porter, solo per citarne alcuni tra gli altri fantastici, farli rivivere con una band compatta di alcuni musicisti di grande spessore e creatività, Stefano Sastro, Flavio Ianiro e Marco Rovinelli, uniti alla mia voce che, a detta di molti addetti ai lavori, è un mediatore perfetto per questa operazione, per filtrare poi questa esperienza nella mia capacità compositiva. ‘If I Could’ve Stopped Time’ è la testa di ponte di questo progetto. Sto accumulando altro materiale, che dopo un autunno ed un inverno “ live” in giro per l’Italia sfocerà spero in sala d’incisione in un album il cui stile e le cui composizioni si chiariscono lentamente giorno dopo giorno, un album per certi versi un po’ misterioso, fatto oltre che di qualche rivisitazione importante del nostro repertorio, di materiale originale con svariate contaminazioni e in cui il jazz sarà senz’altro fondamentale, ma sarà fuso in evocazioni inusitate, frutto delle mie esperienze brazil e soprattutto rock e di quelle dei musicisti che collaborano con me a questo progetto, oltre che jazz, blues e soul. Vorrei infatti coinvolgere, così come negli anni ’40 e 50 la straordinaria competenza musicale degli artisti che in questi anni ho avuto la fortuna di conoscere per un vero lavoro di equipe, che spero riesca a creare uno stile ed un suono originale, così come era stato il mio primo album.”
Parlando di un mito, Frank Sinatra disse: “Progresso vuol dire che per tutto occorre sempre meno tempo e sempre più denaro.” Una tua riflessione.
“Il capo dei capi, come l’ha definito Bono Vox aveva ragione. Ti voglio fare un esempio. Billy Strayhorn, straordinario compositore ed arrangiatore degli anni ’40, primo collaboratore e vera ‘altra’ mente di Duke Ellington lavorò su una sua celeberrima composizione ‘Lush Life’, continuando a perfezionarla, per ben 15 anni. Conosci qualcuno oggi disposto ad un tale lavoro? Le canzoni si elaborano oggi spesso in pochi giorni, sono la cosa meno importante, perché poi quello che conta sono i capitali che ci vogliono per la sua diffusione e commercializzazione. Risultato: le canzoni, anche quando rendono molti soldi alle Majors, vengono dimenticate in fretta, perché senza anima, senza spessore, spesso inutili, sono temporanei strumenti commerciali, mentre ‘Lush Life’ e tanti altri capolavori sono ancora lì a mostrare al mondo come si fa musica, come si entra nel cuore delle persone per sempre. E così è per la musica pop- rock, soul e così via. Pensa alle meraviglie che ci ha regalato Steve Wonder!! Anche ‘If I Could’ve Stopped Time” ha avuto una lunga gestazione, ma sono molto felice del risultato. Al di là del successo commerciale, sono certo che rimarrà, magari ci metterà molto più tempo ad essere conosciuta a livello globale ma sono certo che accadrà e che sarà interpretata da altri artisti. Quando la pubblicai, il giorno prima scrissi: “Scrivere una canzone è un atto creativo, scrivere una bella canzone può anche essere un fatto di fortuna, scrivere una canzone che rimanga nel cuore è un atto di magia.” Bene, da quel giorno, tanti, indistintamente, mi ripetono che l’ascoltano, si emozionano, che gli è entrata dentro. Per me, come quando recito una poesia e vedo i volti grati delle persone, la missione è compiuta!!”
A Roma, mentre al Vittorianoèin corso la mostra dedicata all’artista cinese contemporaneo, Fan Zeng, poco lontano, a Palazzo Venezia, èdi scena la Cina antica con Tesori della Cina Imperale. L’etàdella Rinascita fra gli Han e i Tang (206 a.C.-907 d.C.).
E’la terza delle cinque in programma, dopo La Cina arcaica e Le leggendarie tombe di Mawangdui. Programma che èparte degli accordi presi in occasione della firma del Memorandum d’Intesa sul Partenariato per la Promozione del Patrimonio Culturale tra Italia e Cina a ottobre 2010.
Giàsolo guardando il titolo, ci si rende conto che l’esposizione costituisce un piccolo assaggio della civiltàcinese. L’intervallo temporale èvasto, cosìcome l’estensione territoriale di questo affascinante paese.
Le opere presentate provengono dal Museo Provinciale dello Henan, uno dei piùgrandi della Repubblica Popolare Cinese. Nell’epoca considerata, lo Henan, era creduto il Centro del Mondo adagiato nella Pianura Centrale.
La dinastia degli Han (206 a.C. - 220 d.C.) èimprontata dalla cultura tradizionale del primo impero, ma ha in séanche i fermenti che, piùtardi, troveranno piena espressione con l’etàdell’oro dei Tang (581 d.C. -907 d.C.).
La dinastia Han èconsiderata la continuatrice dell’opera del Primo Imperatore e responsabile dell’aver fatto diventare istituzione lo statuto imperial,e destinato a durare fino al 1911.
La mostra si apre con le riproduzioni in scala di edifici: abitazioni, torri di guardia, pozzi, mulini, granai e porcili,simboli di ricchezza, questi ultimi, che, come gli altri modelli, venivano posti nelle tombe, a continuazione del prestigio oltre la morte. Oltre agli edifici, statuette in terracotta, ma anche preziose vesti funerarie di giada, testimoniavano l’immortalità.
Il passaggio all’epoca Tang si percepisce nella maggiore ricercatezza tecnica delle opere e nel naturalismo espressivo delle figure.
Oltre ai modelli di edifici, sono esposti particolari architettonici, tra questi colpisce l’eleganza delle figure rappresentate nei laterizi dipinti.
Le sezioni in cui èsuddivisa la mostra riguardano “La Vita Quotidiana”, “Le Credenze Religiose”e “La Porcellana dell’Etàdell’Oro”.
La veste funeraria di giada, oltre alla funzione estetica, ne aveva una pratica: si credeva, infatti, che conservasse il corpo dalla corruzione, permettendo cosìanche all’anima di continuare a vivere.
Le testimonianze relative al buddismo, introducono il sapore di altre civiltà. L’Incensiere a tripode in ceramica a tre colori con decorazioni floreali della dinastia Tang (618-907 d.C.), sorprendentemente ricorda manufatti etruschi.
La porcellana colpisce per l’espressivitàdelle figure, il naturalismo dei gesti, la ricercatezza tecnica di materiale, forma e colore.
Tesori della Cina Imperale
L’etàdella Rinascita fra gli Han e i Tang (206 a.C.-907 d.C.)
16 luglio 2015- 28 febbraio 2016
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia
Orari: da martedìa domenica 8.30-19.30
Lunedìchiuso
Ingresso: Intero €.4,00; ridotto €.2,00
Info: www.mondomostre.it
museopalazzovenezia.beniculturali.it
www.tesoridellacinaimperiale.it
Catalogo: Casa Editrice Scienza, Pechino
Dal 5 a l16 agosto si svolgerà la 68esima edizione del Festival di Locarno, con un ricco programma di film indipendenti e pellicole d’autore.La rassegna del Canton Ticino vede la presenza di critici, addetti ai lavori e pubblico nella splendida cornice di Piazza Grande, trasformata per l’occasione in una delle sale proiezioni più grandi del mondo, con uno schermo di 26 metri di lunghezza, 14 di altezza e 8.000 posti in platea.
La figura femminile e le relazioni familiari, sono alcuni dei temi toccati nell’ambito della nuova edizione del Festival svizzero. Duecentocinquanta le opere proposte, tra cui molte anteprime, per una manifestazione ‘eclettica’, come l’ha definita lo stesso direttore artistico, Carlo Chatrian.
In apertura, la proiezione della pellicola di Jonathan Demme Dove eravamo rimasti (Ricki and The Flash), con un’inedita Meryl Streep nei panni di una rock star, nelle sale a partire dal 10 settembre. Presente alla serata l’istrionico Edward Norton che riceverà l’Excellence Award.
Diciotto lavori parteciperanno alconcorso internazionale, tra cui: Cosmos di Andrzej Zulawski; Right Now, Wrong Then del sudcoreano Hong Sang-soo; Chevalier della greca Athina Rachel Tsangari; No Home Movie della belga Chantal Akerman;The Sky Trembles and the Earth Is Afraid and the Two Eyes Are Not Brothers dell’ inglese Ben Rivers; la pellicola-favola dal sapore pasoliniano Bella e perduta di Pietro Marcello; Southpaw di Antoine Fuquacon Jake Gyllenhaal; Amnesia di Barbet Schroeder.
Tra i film italiani fuori concorso: Genitori di Alberto Fasulo, I sogni del lago salato di Andrea Segre e Romeo e Giulietta di Massimo Coppola. E ancora, sventolano bandiera italiana: il documentario L'infinita fabbrica del duomodi Martina Parenti e Massimo D'Anolfi, e Pastorale cilentana di Mario Martone, tra le proiezioni della sezione 'Piazza grande'.
Il regista Marco Bellocchio e il regista, sceneggiatore e produttore statunitense Michael Cimino riceveranno il Pardo d’onore.
Tra gli altri premiati: il montatore e “sound designer” Walter Murch, già vincitore di 3 premi Oscar, a cui verrà assegnato il Vision Award-NescensIl; l'attrice francese Bulle Ogier e Marlen Khutsiev che riceveranno il Pardo alla carriera; infine il Leopard Club Award all’attore Andy Garcia.
Il laboratorio Open Doors, di coproduzione del Festival, dedicato quest’anno a quattro Paesi del Magreb, Algeria, Marocco, Libia e Tunisia, darà l’opportunità ai registi e produttori dei 12 progetti prescelti di presentare i loro lavori a potenziali partner.
Ricki and The Flash
Ma manca ancora un impegno serio e coerente della comunità internazionale per un abbandono definitivo
Test nucleare francese nel deserto algerino
di Carlotta Caldonazzo
A circa sessant'anni dal Manifesto Russell-Einstein, l'accordo sul programma nucleare iraniano tra Tehran e il gruppo 5+1, composto da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania, pone diversi interrogativi. Anzitutto sulle possibili conseguenze geopolitiche, soprattutto se si considerano le reazioni tra sdegno e allarme di Arabia Saudita e Israele, che riportano alla mente la guerra fredda. In secondo luogo, sul fatto che cinque dei sei paesi che si sono seduti al tavolo dei negoziati con l'Iran, esclusa la Germania, possiedono armi nucleari, assieme ad altri quattro. Un elemento tutt'altro che trascurabile, poiché rende paradossale le loro pretese di sentenziare sulla legittimità o meno di qualsiasi programma nucleare. Peraltro, anche se Washington, Pechino, Londra, Parigi e Mosca sono formalmente impegnate a ridurre progressivamente i rispettivi arsenali atomici, il loro impegno reale finora è stato abbastanza trascurabile.
Accordo sul programma nucleare tra Iran e Gruppo 5+1
Le autorità iraniane hanno sempre negato di avere intenzione di procurarsi armi nucleari, ma il loro divieto di accesso ad alcuni siti militari per gli osservatori internazionali ha destato sospetti, in particolare negli Usa e nei loro alleati in Medio Oriente, Arabia Saudita e Israele in testa. Questo accordo si può dunque considerare una vittoria, visto che Tehran ha accettato un monitoraggio da parte della comunità internazionale, ma a livello geopolitico si tratta di uno dei tanti casi della logica dei due pesi e due misure. Si potrebbe infatti obiettare che l'impegno sulla riduzione degli arsenali atomici di cinque dei sei paesi che hanno negoziato l'accordo non è sottoposto ad alcun controllo indipendente. Potrebbe essere quindi motivo di allarme il fatto che, come riporta l'Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), nove paesi (USA, Cina, Gran Bretagna, Francia, Russia, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord) possiedano complessivamente circa 15.850 armi nucleari, di cui 4.300 pronte per l'uso in diverse basi militari e 1.800 mantenute sotto codice di massima allerta. Ad averle ridotte, tra 2014 e 2015, sono stati solo Usa (in misura ridotta) e Russia (in misura più consistente). La Francia, invece, ha mantenuto invariato il suo arsenale, come Pakistan, Israele e Corea del Nord, mentre la Cina lo ha addirittura accresciuto (http://www.sipri.org/media/pressreleases/2015/yb-june-2015). Occorre aggiungere in proposito che le leggi internazionali in materia di armamenti nucleari, non essendo aggiornate, non tengono conto delle armi all'uranio di ultima generazione.
Tra i paesi maggiormente preoccupati dello sviluppo del programma nucleare iraniano, figura l'Arabia Saudita. Eppure questa potente petromonarchia fu tra i maggiori finanziatori del progetto del Pakistan di produrre l'atomica, lanciato nel 1974 dall'allora primo ministro pakistano Zulfikar Ali Bhutto. Al punto che, negli anni '80, un rappresentante di spicco dell'esercito di Islamabad, in visita ufficiale a Riadh, disse al re saudita: “le nostre conquiste sono le vostre”. Nel 1998, inoltre, il primo ministro pakistano Nawaz Sharif, prima di praticare il suo primo test nucleare, si premurò di informare Riyadh, ringraziandola del suo sostegno, soprattutto finanziario. Una cooperazione che ha suscitato nelle diplomazie occidentali il timore che l'Arabia Saudita avesse siglato un accordo segreto con il Pakistan per assicurarsi la fornitura di tecnologie necessarie per fabbricare la bomba atomica, nel caso in cui venisse minacciata la sua sicurezza nazionale. Inquietudini aggravate da quanto riportato dal sito www.globalsecurity.org a proposito di un accordo tra i due paesi su uno scambio di armi nucleari e petrolio (http://www.globalsecurity.org/org/news/2003/031022-pakistan_saudi-arabia.htm).
Quanto a Tel Aviv, secondo il SIPRI è in possesso di circa 80 testate nucleari e, assieme a India, Pakistan e Corea del Nord, è una delle quattro potenze atomiche non riconosciute (dunque non menzionate) nel Trattato di non-proliferazione (NPT). Per Israele la corsa agli armamenti nucleari è iniziata subito dopo la sua fondazione, nel 1948, ed è approdata, alla fine degli anni'50, alla costruzione del primo reattore nucleare a Dimona. Indispensabile in questo è stato il sostegno, ufficialmente segreto, della Francia, paese che ha riconosciuto l'NPT ma non il diritto al risarcimento delle vittime algerine dei suoi esperimenti nucleari. Il primo di questi, del 13 febbraio 1960, avvenne in piena guerra di indipendenza algerina.
Le armi nucleari sono entrate ufficialmente nella strategia militare francese oltre cinquant’anni fa e, alla Corte Internazionale di Giustizia, principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, Parigi ha difeso il proprio diritto-dovere di averle per mantenere la pace e la sicurezza nel mondo. A questo “nobile motivo” sono dovuti i 17 esperimenti effettuati tra il 1960 e il 1966, di cui quattro atmosferici a Reggane (nella provincia di Adrar) e 13 sotterranei a In Ecker (Hoggar, 150 km a Nord di Tamanrasset). I primi facevano parte di un’operazione che prendeva il suo nome da un simpatico topo-canguro del deserto, il Gerboa (gerboa blu, bianco, rosso, verde): quattro esplosioni tra il 13 febbraio del 1960 e il 25 aprile dell’anno successivo, con effetti devastanti e ancora percepibili nell'ambiente. Un'invasione che neppure la decolonizzazione ha saputo fermare, se si considera che 11 dei 17 esperimenti sono stati effettuati nei quattro anni successivi al 5 luglio 1962, data della proclamazione dell’indipendenza. Il 18 marzo 1962, infatti, a margine degli accordi di Evian che ponevano fine alla guerra di liberazione, il Fronte di Liberazione Nazionale ha accettato (all’interno di quelli che vengono chiamati annexes secrets) che la Francia utilizzasse per altri cinque anni i siti del Sahara per test nucleari, chimici e balistici.
A Taouirit, distretto fantasma a 36 km dal punto Zero di Hamoudia (40 km a Sud di Reggane), dove il 13 febbraio del 1960 venne fatta esplodere la bomba A, non resta quasi più alcuna forma di vita. Una potenza tre o quattro volte maggiore di quella dell’atomica di Hiroshima, e ripercussioni registrate anche in Mali, Niger, Sudan e Senegal. Un'intera regione condannata al suo paesaggio lunare per i prossimi 24.000 anni. Chi è sopravvissuto e ha potuto rendere testimonianza mette l’accento sull'irreversibilità dell'impatto degli esperimenti sull'ambiente e sui suoi abitanti. Cancro della pelle, leucemia, malformazioni e danni alla vista sono le conseguenze che per prime si sono manifestate su chi si trovava entro un raggio di 150 km da Hamoudia al momento dell'esplosione del 1960, anche perché il materiale contaminato lasciato sul posto dai Francesi è stato inconsapevolmente riutilizzato per costruire abitazioni di fortuna. Senza considerare la scomparsa della fauna locale (volpi del deserto, dromedari e capre) e l'inquinamento irrimediabile della falda freatica.
Soldati francesi assistono a un test nucleare in Algeria
Le terre del Touat e del Tidikelt un tempo erano fertili, caratterizzate da una cospicua produzione di cereali, datteri, lenticchie, ortaggi e da una fauna numerosa e variegata. Un ecosistema irreparabilmente compromesso dai test nucleari, definiti da Mekki Kaloum, sociologo e ricercatore di Adrar, un crimine contro l’umanità e contro la natura. Da qualche anno, attraverso appelli trasmessi tramite i media, Kaloum tenta di censire tutte le persone direttamente colpite, giungendo finora oltre quota 10.000. Le autorità francesi infatti reclutavano con la forza manodopera algerina: il 40% da Adrar, il 24% da Zaouiet Kounta, il 7% da Fenoughil, l’11% da Reggane, percentuali incerte da Tindouf e Béchar, tutti uomini di età compresa tra 12 e 46 anni. Molti di loro hanno solo costruito gli impianti, credendo di partecipare ad un programma di urbanistica coloniale ordinario. Chi invece ha “lavorato” a Hamoudia come cavia umana durante e dopo l’esplosione è stato munito di collari: uno per l’identificazione, uno per la misurazione delle radiazioni. Salmi Mohamed, uno dei testimoni, racconta che c’erano circa quaranta Algerini nelle tende quel giorno. Alle 16 (poche ore dopo l’esplosione) è stato ordinato loro di uscire e di mettersi proni sotto il sole coprendo il viso. Mohamed Belhacen, un altro testimone, racconta che prima dell’esplosione i Francesi avevano chiesto agli abitanti della zona di lasciare le loro case, temendo che crollassero. Prima una luce, aggiunge, come un sole, un quarto d’ora dopo un rumore assordante e alla fine l’onda che si propagava sottoterra come un terremoto. Disegnando i suoi ricordi nella sabbia, rammenta quel fumo nero, giallo, marrone che saliva verso l’alto, sotto gli occhi increduli della popolazione, che non capiva cosa stesse accadendo. Ancora oggi la produzione agricola è ferma, come gli scambi commerciali (un tempo assai remunerativi) tra i contadini locali e i mercanti del Mali. Il dramma è reso ancor più grave dalla carenza di personale medico: a Adrar, capoluogo della wilaya, non c’è un vero ospedale, ma soltanto uno stabilimento pubblico ospedaliero.
Altre testimonianze arrivano invece dagli ex detenuti del triangolo della morte, come Noureddine Belmouhoub e Abdelkader. In M’guel, Reggane, Oued Namous: tre caserme francesi all’interno del perimetro contaminato dalle radiazioni, riciclate come carceri dal governo algerino. Secondo il Comitato per la Difesa dei Detenuti vi sarebbero stati rinchiusi 24.000 presunti membri del FIS. Tra costoro, Noureddine e Abdelkader, detenuti a In M’guel, ai piedi della montagna di In Ecker, dove, a causa della radioattività, hanno perso l'olfatto. Il Massiccio dell’Ahaggar venne scelto come sito per i test nucleari dopo che, in un'esplosione a cielo aperto, a Reggane le cose non andarono come previsto e 195 soldati furono contaminati, dieci dei quali morirono in brevissimo tempo. Il primo esperimento sotterraneo, nelle gallerie scavate appositamente sotto l'Ahaggar, è del 1 maggio 1962, ma qualcosa anche lì andò storto. La galleria cedette insieme a parte del fianco della montagna, lasciando fuoriuscire una nube di gas, polveri e materiali radioattivi (nel 2005, secondo i rilevamenti dell’AIEA, il livello di radioattività nella zona era ancora molto alto). Negli anni '90, i detenuti delle tre caserme dismesse scavavano buche profonde fino a tre metri, raccogliendo i vecchi picchetti di metallo, senza sapere nulla dei pericoli cui sarebbero andati incontro. Anche di questi test, infatti, nessuno era stato informato e nessuna precauzione era stata presa per la popolazione locale. Al contrario, le autorità coloniali esposero direttamente alle radiazioni, ad un km dal punto zero, 150 prigionieri algerini, per la maggior parte combattenti della resistenza.
Hanno vinto la terza edizione del concorso per band emergenti organizzato ogni anno dall'etichetta indipendente La Fame Dischi “Le Canzoni Migliori Le Aiuta La Fame”, si chiamano Terzo Piano e sono quattro ragazzi giovanissimi provenienti dalla provincia di Salerno. “Abbiamo scelto di iniziare questa nuova avventura, il percorso che porterà al nostro primo disco in uscita ad Ottobre, con una live session, perché è lì che sta l’essenza del nostro lavoro, nel suonare.” Così descrivono questo primo video live di H, brano contenuto nel disco d'esordio che stanno registrando tra Perugia e Cava de'tirreni in questi mesi, la cui uscita è prevista per Ottobre 2015 per l'etichetta La Fame Dischi appunto. “Speriamo di essere convincenti proprio suonando e che, vedendoci dal vivo, la gente capisca il sentimento e la dedizione che mettiamo nella nostra musica.”
GUARDA IL VIDEO “H” LIVE SESSION
https://youtu.be/w0wz62pWEEw
Il pezzo rappresenta al meglio lo stile dei Terzo Piano, il mondo del rock, del pop e dell'elettronica che i quattro cercano di fondere per creare una dimensione tutta loro. Il pezzo dura 7 minuti e passa da un'atmosfera all'altra, culminando in quello che è lo stile dominante dell'album d'esordio previsto per Ottobre: un’elettronica cupa ed intimista con un'attenzione costante alla melodia.
"H" è la lettera muta, ed è per questo che è stata scelta come titolo di un brano in cui si cerca di esprimere (con una certa dose di ironia) le difficoltà del dover dire qualcosa anche quando da dire non c'è nulla. Come scrivere una canzone, come trasmettere un messaggio importante quando spesso i contenuti non ci sono? Come convincere "dicendo tutto e niente"? Ed è proprio questo che ammette ironicamente H, di lasciare nulla alla gente e di vendere "aria su musica", ma nel finale si va a spiegare anche il disagio di questa condizione ed il peso che sente l'autore per cui anche il "niente è così assordante" e che 7 minuti di brano sono troppi per dire nulla.
CREDITS “H”
Registrato da Snail Mobile Studios (https://www.facebook.com/SnailMobileStudios?fref=ts) presso il “Teatro del Giullare” di Salerno.
Audio engineers: Adriano Poledro e Francesco Giuliano
Riprese, montaggio, post produzione: Gigi Reccia
LA BAND / BIOGRAFIA http://www.lafamedischi.com/terzo-piano
https://www.facebook.com/terzopianoband?fref=ts
BOOKING & INFO
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Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
Riflessioni
…e l’EXPO va.
Bicchiere mezzo pieno o vuoto? L’Expo, comunque procede in questa torrida estate con tutte le sue contraddizioni. Tante, veramente tante. Doveva sensibilizzare le coscienze, richiamare le attenzioni sulle risorse del Pianeta ed invece ampia ed estesa incentivazione verso “il bello a tutti i costi”, gli effetti speciali, consacrarlo a “Milanoland” il parco giochi per capire (giocare) la fame nel mondo. E giù numeri, percentuali, affluenze per riempire il Bilancio (stile Grecia) per offrirlo ai media compiacenti. E noi, i “gufi”, a “rosicchiarci il fegato e pronti per essere spennati”. Sarà così?
Frammento n. 1
Numeri, numeri ed ancora numeri
Padiglione Vino. Più di 1360 etichette a rappresentare 750 aziende con i loro vini. Il numero di visitatori stranieri si attesta intorno al 20%. I numeri danno sempre un senso. Ognuno li interpreta per definire l’evento un grande successo, altri limitandosi ad un buon risultato ed infine coloro che aggiungono: “potevano e dovevano essere molti di più.” Altra curiosità: del 20% dei visitatori stranieri, la parte del leone è stata impersonificata dai cinesi. Gli organizzatori istituzionali si dichiarano soddisfatti. Contenti loro…
Frammento n. 2
Il Made in Italy alla conquista dei Mercati Cinesi ed Anglofoni
Lo fanno dal Vinexpo di Bordeaux. Chissà perché.
Novantotto etichette della collettiva organizzata dall’Associazione Italiana Export – AIE si sono presentate al Vinexpò ed hanno messo in campo la produzione di 6 (sei) grandi regioni vinicole italiane con un intenso programma di degustazioni guidate. “Appuntamenti come Vinexpo rappresentano una piazza strategica per lo sviluppo del mercato del vino italiano”. Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Toscana, Umbria e Sardegna con 11 aziende hanno occupato un’area espositiva di 200 mq al centro della prestigiosa Hall n.1. Nomi autorevoli come Saracco, Vie di Romans, Fantinel, Tenuta Sant’Antonio, Arnaldo Caprai, San Filippo, Villa Calcinaia, Aia Vecchia, Santadi, AgriPunica, Giocantinu, a rappresentare Docg, Doc e Igt tra i più famosi. Iniziativa per creare occasioni efficaci d’incontro e promozione là dove sia possibile premiare la qualità dei prodotti italiani.
Frammento n. 3
Vinnatur, l’Associazione dei Viticoltori Naturali Italiani, continua il monitoraggio sulla trasparenza.
Angiolino Maule, fondatore, padre spirituale e presidente VinNatur, commenta con orgoglio i risultati 2015 sulle analisi chimiche effettuate sui vini delle 151 aziende agricole associate. Solo 4 produttori sono stati segnalati per i loro vini risultati positivi ai pesticidi. Anche la presenza della solforosa è risultata limitata a 65 campioni. Rendere concreto il rispetto e la lealtà verso la terra, verso gli associati. “Noi siamo agricoltori e più di altri abbiamo un ruolo importante e una responsabilità: operare in vigna e in cantina nel rispetto della natura”. Aggiungo: poco importa se il vino prodotto è “indecifrabile”, l’importante che sia naturale. Mi chiedo:”ma esiste il vino naturale?. (fonte:Laura Sbalchiero)
Frammento n. 4
Tasting Flights: la nuova tendenza al Vinexpo di Bordeaux
Nel mese di Giugno si è svolta la 18esima edizione del Salone del Vino francese Vinexpo, la manifestazione biennale che ha sede a Bordeaux. Grande novità di questa edizione sono stati i Tasting Flights, spazi intercalati tra gli stand dove il pubblico accreditato ha potuto effettuare assaggi dei vini presenti in quella particolare area espositiva. La tecnologia delle macchine Enomatic, quei distributori automatici di vini a temperatura controllata, ha permesso di scegliere e degustare tantissimi campioni. Il servizio bicchieri è stato svolto dalla Riedel, partner esclusivo del Vinexpo 2015.
Frammento n. 5
Cabina di regia della Pasta.
Che cos’è. Una pronta strategia integrata per valorizzare la pasta e la sua promozione all’estero. La pasta, come sappiamo, è un settore rilevante dell’economia alimentare italiana ma, con la sfida globale, rischiamo di cedere il passo ad altri paesi che, supportati da politiche di governo incentivanti, comprimendo la marginalità dei profitti, bruciano le tappe nella produzione e vendita. Cabina di Regia come finalità di promozione, aggregazione per acquisti comuni della materia prima, agevolazione sulle esportazioni. L’attrazione dei fondi comunitari, ulteriori fondi nazionali, iniziative promozionali a supporto dell’esportazione per nuovi stimoli rivolti a progetti funzionali per la valorizzazione della pasta, unico ed insostituibile alimento della tipicità del primo piatto all’italiana. (fonte: Aidepi)
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
Il Complesso del Vittoriano ospita fino al 27 settembre la mostra Fan Zeng. La sinfonia delle civiltà. L'artista cinese è nato nel 1938. La data di nascita aiuta a capire l'opera. Pur essendo un contemporaneo, egli dà voce alla tradizione culturale cinese nella tecnica e nella composizione. La calligrafia è pure presente nei dipinti. Da non dimenticare neanche l'invenzione cinese della carta.
Sarebbe stato interessante, in mostra, dare più spazio alla spiegazione delle tecniche impiegate, che non sono riportate nelle didascalie. La maggior parte delle opere sono state realizzate con inchiostro su carta.
La sinuosità e la naturalezza del tratto sono, probabilmente, derivate proprio dalla calligrafia. Le figure sembrano fluttuanti e in perenne movimento. Stessa mobilità nell'espressione dei volti, resi intensi dall'indagine psicologica.
Ritratti, animali e paesaggi, sono oggetto delle opere in mostra, con particolare attenzione alle figure storiche importanti della tradizione e artisti e intellettuali anche occidentali.
La tradizione caratterizza anche l'aspetto familiare. Fan Zeng discende, infatti, da una stirpe di letterati. Scrittore lui stesso, ha acquisito un'apertura verso il mondo occidentale.
Oltre che alla scrittura è aperto alla musica, alla storia e alla filosofia.
Alcuni dei ritratti in mostra sono dedicati a grandi figure dell'occidente, del passato, come Michelangelo, ma anche della modernità, come Einstein, di qui la sinfonia di civiltà del titolo.
L'artista insegna all'Università di Pechino, il prestigio personale e familiare e l'importanza che la cultura cinese gli attribuisce, sono perentoriamente affermati dalla gigantografia dell'artista, che accoglie i visitatori all'ingresso in mostra.
L'evento nasce per celebrare il 45º anniversario dell'avvio delle relazioni diplomatiche tra Italia e Repubblica Popolare Cinese. Louis Godart, Consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico del Presidente della Repubblica Italiana, è il curatore.
Tradizione culturale anche per quello che riguarda il main sponsor, il gruppo Sahne, più grande produttore di te Tiguanyin in Cina.
Fan Zeng
La sinfonia delle civiltà
1 luglio- 27 settembre 2015
Roma, Complesso del Vittoriano
Ingresso gratuito
Orari: tutti i giorni 9,30-19.30
Info: 06 6780664
Catalogo: Nankai University Press €.56,00
A conclusione delle quattro giornate di AltaRoma, più che una rassegna della manifestazione, alla conferenza stampa, accanto alla presidente di AltaRoma, Silvia Venturini Fendi ci sono stati il presidente della Camera Nazionale della Moda, Carlo Capasa, il CEO di Pitti Immagine, Raffaello Napoleone e il viceministro, Carlo Calenda, pronti a garantire l’impegno delle istituzioni nel rilancio di Roma come città della moda. Si parla di collaborare tra Milano, Firenze e Roma e puntare sul sistema paese per l’internazionalizzazione del Made in Italy. Con un importante sostegno economico dal governo, in arrivo a settembre, Roma, attraverso AltaRoma, potrebbe rigodere del successo e della fama di cui ha goduto nel periodo della Dolce Vita.
L’evento più atteso della giornata di lunedì, è stato sicuramente Who is on Next?, il progetto di scouting realizzato da AltaRoma e Vogue Italia. In questa 11° edizione, sono stati accordati due premi per la categoria accessori: a Nicolò Beretta per Giannico, per la categoria shoewear, e a Lolita Lorenzo di Carol Oyekunle, per le borse. Per l’abbigliamento ha vinto Lee Wood per L72, che si è aggiudicato anche il premio speciale FASHION VALLEY, attraverso il quale potrà sviluppare una capsule collection, che sarà presentata durante AltaRoma Gennaio 2016. Particolarità di questa anno è, che yoox.com, lo store virtuale leader nel settore offrirà ai vincitori la possibilità di proporre una creazione per il sito.
La Scuola di Moda Ida Ferri ha presentato la sua collettiva, al Palazzo delle Esposizioni. Una collezione haute couture caratterizzata da ombre e luci. Forme costruite ma morbide, seta e lana, rasi, organza, tessuti trasparenti, lavorati e ricamati a mano, paillettes, swarovski e piume hanno dato nascita a un bellissimo gioco di contrasti.
Presso l’Accademia L’Oreal di Piazza di Spagna, Fashion News Magazine ha presentato l'evento Green Inspiration dedicato al mondo “eco-friendly”. Abiti, accessori, riciclo, arte, libri, invenzioni, consigli di bellezza e un servizio gratuito di blow dry e acconciatura con i prodotti Biolage. Durante l’evento è stato accordato anche il premio Green Inspiration alla spazzola Eco Tools, che fa risparmiare energia e tempo, con una tecnologia tutta al naturale.
L’Accademia Nazionale dei Sartori ha aperto le porte della sua sede di Via Boncompagni, per mostrare un laboratorio dal vivo al pubblico di AltaRoma, mentre l’Accademia Altieri Moda e Arte ha sfilato con una collezione total white al Palazzo delle Esposizioni.
Agli Horti Sallustiani, Iuliana Mihai ha presentato una collezione ispirata al Giappone, sulle note della Soprano Ayumi Fujii. 26 outfits illuminati da decori in bianco e nero, dal fitting perfetto e dalle linee nipponiche.
Nella storica boutique di via Frattina, List ha presentato la nuova collezione autunno-inverno, che gioca tra la tradizione bon-ton e l’avanguardia asiatica. Il marchio romano dichiara di aver scelto di presentare la sua collezione durante AltaRoma per ribadire il suo ruolo come leader della moda femminile di qualità.
Due cocktail party in chiusura della kermesse. Nel roof terrace dell’Hotel Bolscolo Exedra, di Piazza Repubblica, dove Romana Busani di RB presenta una borsa dedicata a Sophia Loren e sul Lungotevere, nel atelier di Sandro Ferrone, dove si presenta la collezione autunno inverno del omonimo brand. Una presentazione statica, ispirata agli anni settanta, al mondo hippie delle feste e dell’indipendenza femminile.
In chiusura della kermesse, gli allievi dell’Accademia delle Belle Arti hanno organizzato un percorso espositivo, che ha permesso di visitare i luoghi più significativi della prestigiosa e storica istituzione. Istallazioni artistiche, abiti ed anche una mostra di “figurini” per presentare i lavori di fine anno degli studenti.
di Franco Libero Manco
Il sistema di vita vegan è destinato a tutti ma non è per tutti: è per gente volitiva, dotata di auto discernimento, capace di anteporre il rispetto dell’”altro” ai piaceri personali e superare arcaiche concezioni; è per gente evoluta nella coscienza, lungimirante nelle aspettative, avveduta nei propositi, responsabile verso se stessi e il suo contesto sociale, sensibile alla sofferenza degli uomini come degli animali, aperta all’innovazione dello spirito umano.
Nel sistema vegan gli antichi precetti “Non ammazzare”, “Non fare ad altri ciò che non vorresti ti fosse fatto e “Ama il prossimo tuo come te stesso”, si ampliano fino ad includere ogni essere senziente. Le nostre motivazioni non sono emotive; non ci interessiamo di tutela della natura per un tornaconto ecologico: è la speranza del mondo a venire che ci porta ad essere vegan; è la volontà di non essere complici dello sfruttamento, della tirannia e del massacro giornaliero di milioni di animali.
Essere vegan non è una scelta di comodo, non è una dieta alimentare, non è una moda, non è mero interesse personale per conservare o recuperare la salute: il benessere che ne consegue è la conseguenza della nostra scelta giusta, armonica e positiva.
La persona vegan ha una visione più ampia della vita, una maggiore sensibilità, un’etica più vasta e profonda perché estende la sua compassione dall’uomo a tutte le creature: è apertura all’amore e al rispetto della vita in tutte le sue manifestazioni; la sua dimensione spirituale supera ogni schematismo religioso e si apre sfericamente ad ogni dottrina che considera come a tessere dello stesso grande mosaico della Vita.
Essere vegan non è un punto di partenza ma di arrivo della coscienza umana protesa verso il bene collettivo: è una nuova visione della Vita: è l’anello mancante tra l’uomo arcaico e l’uomo universalista. E’ la scienza del cuore; è la cultura della ragione critica positiva della vera conoscenza che valorizza e integra le differenze formali e sostanziali dello scenario naturale; è la visione che supera ogni parzialismo e integra in modo armonico ogni dottrina, ogni religione e filosofia che per sua essenza è al servizio del Bene e della Vita: è il seme gettato dai Grandi della terra che in noi trova terreno fertile e germoglia: è la logica evoluzione dell’umanità in cammino verso la pace tra gli uomini e la creazione; è la sola realtà possibile per un’umanità sempre più numerosa; è la volontà di superare la visione antropocentrica e incarnare la vitale dimensione del Biocentrismo; è la consapevolezza di poter essere artefici del proprio bene fisico, mentale e spirituale.
Qualunque filosofia, dottrina, religione che non contempli un traguardo vegan è destinata inevitabilmente e perennemente a fallire, perché
sintomatologica, cioè incapace di neutralizzare le cause dei grandi problemi umani.
Essere vegan non è solo uno stile di vita: è la soluzione dei problemi. Nei nostri ideali c’è il germe di un’umanità migliore attraverso una nuova cultura critica e costruttiva ed una nuova coscienza umana più giusta e solidale: strumenti imprescindibili per superare i grandi problemi che da sempre attanagliano il genere umano: l’ignoranza e la mancanza di compassione da cui derivano tutte le ingiustizie e tutte le sofferenze umane.
La nostra filosofia di vita nella sua essenza è causale, cioè mira ad intervenire sulle cause che determinano i problemi non sugli effetti, che tutti risiedono non nei sistemi ma all’interno dell’uomo, nella sua coscienza e nella sua mente: il sistema vegan non mira a modificare i
sistemi, ma a rigenerare l’uomo che li fa e li gestisce.
I grandi problemi (la violenza in tutte le sue manifestazioni, le malattie, la povertà e ora l’inquinamento in tutte le sue implicazioni) attribuibili alla mancanza di sensibilità umana e del senso critico, trovano risoluzione nella bioscienza e nell’etica universale del veganesimo.
L’ignoranza, dalla quale derivano paura, sottomissione, mancanza di autodeterminazione e di senso critico (piedistallo di ogni tirannia),
raggiro, incapacità di analisi sulle cause dei problemi, propensione a delegare altri a tutelare i propri diritti e i propri interessi, malattie,
sofferenza, violenza, guerra, è per noi superabile attraverso l’impegno personale verso la vera conoscenza nella volontà di non delegare altri il proprio bene fisico, mentale, emozionale e spirituale.
La violenza, in tutte le sue manifestazioni ed effetti. è superabile attraverso l’educazione delle masse al rifiuto del predominio in senso lato, la valorizzazione ed il rispetto del “piccolo”, del diverso fisicamente, attraverso l’empatia, la condivisione, l’amore per ogni essere vivente che interagisce con l’umano: il rifiuto di sfruttare, assoggettare, mangiare la carne di un animale per non nuocere ad un essere diverso della nostra specie non può mai indurre l’uomo a nuocere al proprio simile.
Dalla mancanza di compassione deriva l’atrofizzazione dell’animo umano che lo rende incapace di condividere le esigenze vitali dell’altro e lo inclina ad ogni ingiustizia e delitto. La dimensione vegan, attenta al bene di ogni creatura non può che essere aperta al bene integrale anche dell’uomo. Nella valorizzazione del “piccolo” sta il segreto della rigenerazione umana. Il bambino educato a rispettare il filo d’erba non può non rispettare l’albero.
Educato a rispettare la sardina non può non rispettare la balena. Educato a rispettare l’insetto non può non rispettare l’aquila. Educato a rispettare il soldato semplice non può non rispettare il generale.
La malattia, con tutte le sue conseguenze di sofferenza e dispendio di risorse fisiche ed economiche, è superabile attraverso la giusta
alimentazione vegan stabilita per noi umani da madre natura: l’eccellente salute dei vegani conferma questo postulato.
L’inquinamento: l’industria della carne produce più inquinamento di ogni altro settore produttivo: il sistema vegan è la componente fondamentale per disinquinare la terra.
Nel sistema vegan ogni popolo ed ogni essere vivente è per noi membra del nostro stesso organismo; la povertà, le malattie e la fame nel mondo, come conseguenza dell’ingiusta gestione delle risorse naturali, trovano soluzione nel sostegno dei meccanismi improntati alla valorizzazione delle biodiversità geografiche.
La persona vegan è il prototipo della nuova umanità, per questo chiunque si identifichi in tale scienza di vita ha il dovere di essere di esempio in ogni circostanza ed in ogni proposito.
Di Ana Maria Busuioc
Un caldo weekend per AltaRoma, ma con un calendario ricco di sfilate, happening, mostre e presentazioni di libri.
Prima tappa della giornata di sabato, lo St. Regis Hotel, di Via Vittorio Orlando, che ha ospitato l’istallazione Phoular, dell’eclettico ed affermato fotografo Renato Cerisola.
“PHOULAR fotografie da indossare” è un brand d’Alta Gamma, unico nel suo genere, che si pone come dialogo e confronto tra le arti. La ricerca artistica di Renato Cerisola, lo ha portato a liberare la fotografia dall’esigenza di documentare. Attraverso scatti mossi, a lunga esposizione, di soggetti non definiti, avvicina la fotografia alla pittura, emozionando. Le sue fotografie vengono, poi, stampate su sciarpe dai tessuti pregiati, pronte a diventare emozioni da indossare. Un’idea, a dir poco originale! Scatti d’autore, che creano una capsule collection dal forte impatto visivo.
Sempre allo St. Regis, Vittorio Camaiani ha trasferito il suo atelier per un giorno e ha presentato la sua collezione “Egitto d’inverno”. Una reinterpretazione dell'arte, dei simboli e dell’iconografia dell'Antico Egitto, in chiave Vittorio Camaiani. Una collezione pret a porter, dalle linearità piramidali, dai colori seducenti, accompagnata da scenografici accessori in plexiglass.
In via Cola di Rienzo, l'inaugurazione di New Designers at Coin Excelsior. La creatività irrompe nello store, a partire dalle sue vetrine, che si trasformano in uno spazio giocoso ispirato al ‘Luna Park’, dedicato alle idee inedite di: Elena Ghisellini, Federica Berardelli, Giancarlo Petriglia, Paula Cademartori, Sara Battaglia, Zanchetti. Nomi nuovi ma già affermati nel fashion system. In questa edizione, il focus è sulle borse, come accessori indispensabili, che potranno essere ammirate ed acquistate fino al 3 agosto.
Al Palazzo delle Esposizioni, la presentazione dello stilista libanese, Rani Zakhem, della collezione “Per amore di Lola”, ispirata a Marlene Dietrich. Un’interpretazione contemporanea dell’allure della moda della prima metà del ‘900, sospesa tra Art Decò, Ertè, i ruggenti anni venti, il cabaret, il desiderio di glamour e di bellezza nonostante il grigiore delle guerre mondiali.
Di pomeriggio, l’inaugurazione del progetto “5+5” 5 designer di successo sostengono 5 designer emergenti, l’esperimento di mentoring, di Vogue Talents e Altaroma, cofinanziato della Regione Lazio, che conferma la vocazione rivolta al sostegno di giovani creativi. Thomas Tait, Marco De Vincenzo, Nicholas Kirkwood, MGSM Massimo Giorgetti, Paul Andrew, affermati anche grazie alla selezione da parte di importanti concorsi, hanno scelto di supportare e valorizzare Carlo Volpi, Maria Sole Cecchi, Fernando Jorge, Martine Rose e Matteo Lamandini. I loro lavori resteranno in mostra, nello spazio dedicato all’interno del Palazzo delle Esposizioni, fino alla chiusura della kermesse.
L'Accademia di Moda Maiani, stupisce con il défilé di fine anno accademico “Non tutto è quel che sembra”, ma anche con la presenza in passerella della drag queen Daniel Deco, conosciuto per la sua presenza nel programma Forte Forte Forte di Raffaella Carrà. Tema della collettiva è la metamorfosi, capi che si trasformano con un semplice tocco.
La sfilata di Renato Balestra, nel suo villino-atelier, stile liberty, di via Cola di Rienzo. Il leit motiv della sua collezione di Alta Moda Autunno-Inverno 2015-2016 è il grigio, in tutte le sue sfumature, dal pallido perla, all’argento brillante, al platino, fino all’ematite. Dettagli, lusso, tradizione sartoriale, è questo quello che vuole trasmettere lo stilista, che commenta anche la scelta di aprire le sfilate romane ai giovani stilisti: “Sono d'accordo nel sostegno ai giovani stilisti che è nella missione di AltaRoma, ma non vorrei si creasse della confusione perché per fare alta moda bisogna avere tecnica, gusto ed esperienza e queste cose non si improvvisano. Io so di cosa parlo anche perché personalmente sostengo e promuovo il progetto Blu Balestra.”
Il sabato di kermesse si è concluso con un cocktail Dj-Set serale, #TheTalentsBoat in un barcone sul Tevere, nel Rowing Club. Un’evento su invito, dedicato non solo agli addetti ai lavori, ma soprattutto alla clientela romana e agli invitati di Altaroma.
L’edizione estiva di AltaRoma da ampio spazio alle Accademie di moda della città eterna che presentano i loro lavori di fine anno. L’Accademia Koefia, domenica mattina, al Palazzo delle Esposizioni ha defilato con una collezione collettiva dedicata alle prossime Olimpiadi che si svolgeranno a Rio de Janeiro. Road to Rio 2016, ha portato in passerella 45 capi realizzati a mano dagli studenti del terzo anno, che hanno evocato modernità di forme e di contenuti con le loro creazioni sportswear.
Sempre domenica, L’Accademia Costume & Moda ha aperto le sue porte e ha presentato al pubblico di AltaRoma i progetti realizzati durante l’Anno Accademico 2014/2015 nell’evento Accademia Factory. Accessori, abiti e la proiezione di un nuovo film documentario sulla giornalista Anna Piaggi, a cura di Alina Marazzi, prodotto per Ndr/Arte. Sempre all’Accademia di Costume e Moda si è svolta anche la nuova iniziativa Portfolio Review, dove Sara Maino e Alessia Glaviano, di Vogue si sono dedicate alla lettura dei portfolio dei Under 40 del fashion system.
Al Palazzo delle Esposizioni, domenica, per la sezione Atelier hanno presentato le proposte per l'autunno/inverno 15/16 Ettore Bilotta, Luigi Borbone e Sabrina Persechino.
Ettore Bilotta con la sua collezione “Untouchable women", ripropone una donna raffinata e misteriosa, ricca di fascino, una Isadora Duncan o come la Giuditta di Gustav Klimt. Luigi Borbone esalta le silhouette attraverso monocromatismi e colori ai limiti del fluo, per leggere in chiave contemporanea un messaggio che arriva dalla geisha e passa per Dior dei primi anni ’50. Un mix di preziosa contemporaneità con i ricami ottenuti con moderne tecnologie e i cristalli di Swarowski, che disegnano con la luce sulla collezione. Per Sabrina Persechino è forte il legame di tra architettura e moda che propone, come leit motiv della collezione, insolite decorazioni arabeggiante alla maniera del Muqarnas. Sulla passerella sfilano abiti realizzati con orditi di design di interni lavorati e realizzati ad hoc per dare vita ad outfit da giorno, cocktail e da grande soirée.
Il TIME. Contemporary Fashion Award Milano 2015, organizzato da White e dalla Camera Italiana Buyer Moda, con il contributo di Lancia e la collaborazione di Farfetch è arrivato ad AltaRoma con un trunk show, nella boutique Degli Effetti, in piazza Capranica a Roma.
Due presentazioni di libro, al Times Hotel, di Via Palermo, Joan a cura di Valentina Moncada che tratta la carriera di Joan Whelan, modella americana degli anni 50, attraverso la ricostruzione del suo “guardaroba da modella” e “Italian Glamour. L’essenza della moda italiana dal dopoguerra al XXI secolo. La collezione Enrico Quinto e Paolo Tinarelli” edito da Skira. Hanno parlato Enrico Quinto e Paolo Tinarelli coautori del volume ed hanno introdotto Silvia Venturini Fendi e Franca Sozzani la direttrice di Vogue Italia.
Al Palazzo Brancaccio, il defilè di Pasquale Pironti per “Chiaradè” con rose rosse ricamate, che sbocciano su abiti sartoriali, attraverso petali di seta applicati su macramé, broccati e pizzi. Voile leggerissimi, organze e tulle, che avvolgono con maestria la silhouette. Uno show haute couture di eccellenza, in una splendida location.
Al St Regis Hotel, ormai lo storico appuntamento con World of Fashion. Hanno sfilato, come al solito, stilisti da tutto il mondo: Toufic Hatab dal Libano, Michelle Salins dall’India, Tahm Couture dall’Italia, Hendrik Vermeulen dal Sudafrica, Lisbeth Camargo dalla Colombia e Elvio Acevedo dall’Argentina. Vincitrice del premio di questa edizione, Michelle Salins, indiana di origine, new yorkese di adozione, che ha presentato una collezione ispirata alla sua terra d’origine dalle linee moderne con tratti distintivi della moda della Grande Mela.
Una volontà precisa di riaffermare il Made in Italy e rilanciare Roma come città della moda. Altaroma, oggi, è una scomessa, che cerca di definire meglio i contorni della sua futura missione, consolidando e rafforzando il suo ruolo a sostegno di giovani emergenti e nuovi talenti e, allo stesso tempo di innalzare il livello di attenzione internazionale sulle proprie iniziative.
Dopo la strage di Sousse, centinaia di Algerini hanno promesso di trascorrere le vacanze in Tunisia.
Dopo oltre un decennio di sanguinosi fallimenti della “guerra al terrorismo”, alcune reazioni all'attacco di Sousse, rivendicato dai cartelli del jihad dell'organizzazione del cosiddetto Stato Islamico (nota anche come Daesh o ISIS), mostrano che per conciliare “pace, giustizia e prosperità” l'unica via è probabilmente l'elaborazione di un approccio socio-politico radicalmente diverso. Ad esempio, opponendo alla logica dell'azione-reazione armata il tentativo di costruire una società inclusiva, basata sulla partecipazione anziché sulla competitività e la sopraffazione.In molti in Algeria hanno scelto di trascorrere le proprie vacanze in Tunisia per ragioni economiche, altri perché in fondo si sentono “più sicuri” lì che in patria, oppure per ostentare coraggio di fronte a “energumeni come questi”. Nondimeno, altrettanto numerosa è la schiera di chi ha optato per questa meta per dimostrare la propria solidarietà ai fratelli tunisini. “Quaranta milioni di Algerini invaderanno le spiagge tunisine dopo Ramadan”, è uno degli slogan che si leggono sulle reti sociali. C'è addirittura chi ha cambiato appositamente i propri piani, come una ventitreenne di Guelma, “per essere solidali con i nostri fratelli tunisini” e “perché morire in Algeria o in Tunisia è lo stesso”. Un'affermazione, quest'ultima, che lascia intravvedere quella che forse è l'unica vera strategia contro i cartelli del jihad: la prospettiva della solidarietà internazionale. Peraltro, la stessa logica, mutatis mutandis, si potrebbe applicare anche ai conflitti interni ai singoli paesi, puntando all'eliminazione di qualsiasi forma di emarginazione. Il gesto di migliaia di Algerini non è infatti l'unico segnale della necessità di un contratto sociale che ponga fine all'ottica della sopraffazione e dello sfruttamento in vista del profitto. Ve ne sono stati nel passato, dal motto omnia sunt communia, “tutte le cose sono comuni” di Thomas Müntzer, agli appelli lanciati dal primo presidente del Burkina Faso indipendente, Thomas Sankara, fino ad arrivare alle vicende greche o all'impennata di consensi per il Partito Democratico dei Popoli (HDP) alle ultime elezioni parlamentari turche.
Se il colonialismo propriamente detto comportava la dominazione politica e militare diretta da parte delle potenze mondiali su interi continenti (America Latina, Asia, Africa), nell'era post-coloniale governi, multinazionali e centri di potere affini hanno messo in campo strategie più sottili. Un esempio eloquente è l'edonismo reaganiano, il cui fulcro è la competizione. Diffondere in una società il mito del successo sociale inteso come raggiungimento del proprio esclusivo benessere, anche a detrimento di altri, significa esortare implicitamente gli individui a seppellire qualsiasi forma di senso della collettività. Questo, a sua volta, spiana la via a meccanismi di emarginazione che all'interno delle singole società colpiscono le categorie più fragili (a causa della povertà o di disabilità fisiche) o le minoranze, mentre nei rapporti internazionali impediscono la crescita e l'autosufficienza dei paesi meno potenti. Se il Tesoro è fondamentale, la vita umana non lo è, dice Caligola nell'omonimo dramma di Albert Camus, ovvero, se si erge il profitto a cardine dell'esistenza umana, si finisce per disinteressarsi della dignità intrinseca di quest'ultima. Chi accetta una simile mentalità e decide di attuarla può anche ammantarla di altisonanti vesti religiose o ideologiche, la sostanza non cambia. Il risultato sarà sempre distruttivo, perché la competizione è un po' come l'antitesi dell'utopia. Questa infatti, come sosteneva Eduardo Galeano, è all'orizzonte... Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve proprio a questo: a camminare. La competizione sociale invece, a ogni traguardo, spinge a conseguirne di nuovi, trascinandosi affannosamente di vittoria in vittoria, in una corsa alla reciproca distruzione che si configura al contempo come autodistruzione incosciente.
A differenza di al-Qaeda, nella sua forma originaria, i cartelli del jihad che fanno riferimento all'organizzazione dello Stato Islamico (Daish o Isis), portano alle estreme conseguenze su scala internazionale i risultati dell'ottica del profitto e della competitività. Sotto la veste dell'islam radicale, si cela infatti da un lato una forma di economia di stampo criminale (che si alimenta di traffici e contrabbandi di varia natura), dall'altro la volontà di molti di uscire dal mondo globalizzato all'insegna del profitto e della competizione, a partire proprio dall'abbattimento dei confini. Il metodo scelto, tuttavia, è quella stessa sopraffazione, esasperata da una gestione brutale del potere, sulla quale si basa l'attuale assetto mondiale. Molti individui finiti nella lista dei foreign fighters, prima di arruolarsi in Daish, conducevano esistenze apparentemente soddisfacenti, ma nel profondo alienate. Il fascino esercitato dal “califfato” risiede appunto nel voler opporre un modello sociale alternativo a quello attualmente in vigore, aspetto che caratterizza anche altri movimenti estremisti che, dall'inizio dell'ultima crisi economica, sono in crescita in diversi paesi del mondo (basti citare i movimenti e i partiti di estrema destra). All'interno di un tessuto sociale distrutto, nel quale una cattiva congiuntura economica insinua la paura di perdite materiali, molto spazio è lasciato a chi cavalca il terrore generando altro terrore. Un esempio è costituito proprio dalla propaganda di Daish.
In tale contesto, è legittimo definire fallimentare a priori qualsiasi “guerra al terrorismo” concepita come soluzione manu militari. Bombardare i nemici di turno finora non ha portato che circoli viziosi di catastrofi umanitarie e ulteriore dissesto del tessuto sociale. Dunque, ulteriore terreno fertile per la proliferazione dell'estremismo. Basti pensare che in testa alla lista delle aree di provenienza dei foreign fighters di Daish ci sono i Balcani. Similmente fallimentare d'altra parte è la costruzione di muri, come quello voluto dall'Ungheria al confine con la Serbia per fermare i migranti irregolari o quello che la Tunisia sta costruendo lungo parte della frontiera con la Libia per evitare infiltrazioni terroristiche. Fatti piuttosto paradossali, un quarto di secolo dopo l'esultanza mondiale per la caduta del muro di Berlino. Tuttavia, a margine della geopolitica delle grandi potenze (regionali o internazionali), sopravvive un approccio alle relazioni tra individui e tra stati che mira a unire invece che a dividere. Come quello secondo il quale, come dice la giovane di Guelma, morire in Tunisia o in Algeria è lo stesso: un modo di pensare radicalmente opposto (a differenza di quello dei cartelli del jihad) all'attuale ordine mondiale. Secondo Thomas Sankara, per l'imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità. Affermazioni che mostrano l'importanza di piccoli gesti compiuti nei rapporti quotidiani tra individui (come le dimostrazioni di solidarietà degli Algerini verso la Tunisia), come di comportamenti adottati nelle relazioni tra stati (si veda l'ultimo incontro tra Papa Francesco I e il presidente boliviano Evo Morales). Costruire una società inclusiva non significa infatti omologare tendenze, usi o tradizioni. Al contrario, una cittadinanza realmente fondata sulla partecipazione implicherebbe il rispetto e la salvaguardia delle peculiarità di ognuno. Abbattere le frontiere che rendono nemici uomini affini (come auspicava il geografo anarchico francese Élisée Reclus) significa infatti valorizzare l'opera dei singoli in vista della comune prosperità.
C’è un giornalista internazionale che i pacifisti e gli attivisti italiani vogliono ringraziare
“Hai chiamato i media per la manifestazione contro l’ingerenza in Siria?” “Ho chiamato Hamid”.
“Quale radio o tivù ha parlato della protesta a Roma contro le bombe saudite in Yemen?” “Irib di Hamid”.
“Chi potrebbe coprire il convegno sulla nuova architettura finanziaria internazionale?” “Penso proprio che Hamid lo farà”.
“Della stampa chi viene all’evento sulla Palestina?” “Hamid, tornato in tempo da un altro servizio”.
“Ieri hanno intervistato un religioso sul che fare davvero contro il ‘califfato’…” “Sì, è stato Hamid”.
Se siete attivi su qualche buona ma scomoda causa, contro le guerre di aggressione, contro le ingiustizie internazionali, per un Medioriente di pace, non aspettatevi grandi coperture mediatiche. Anche quando un giornalista si presenta, poi magari il suo servizio non va in onda.
Ma qualche eccezione c’è. Accanto al fotoreporter italiano Stefano Montesi – grazie anche a lui! – si può contare sul reporter-giornalista Hamid Masoumi Nejad. Corrispondente della radio-televisione pubblica iraniana in Italia, Hamid è il giornalista che copre gli eventi spostandosi da un capo all’altro dell’Italia in un baleno. Veloce, mai nervoso. Professionale, sempre gentile.
Arriva con la sua telecamera Sony, fa le riprese reggendo anche il microfono. Poi va in redazione e, regista di se stesso, confeziona il reportage; per Irib in farsi e italiano; poi tutto finisce su Youtube, anche in altre lingue, per una circolazione internazionale. Hamid, da 16 anni è iscritto alla Free Lance International Press, associazione internazionale di giornalisti free lance che ha sede a Roma.
Particolarmente grata ad Hamid è la nostra Rete No War, che dal 2011 in questi quattro anni di macello nella generale indifferenza le ha provate tutte. Prima contro il criminale e truffaldino intervento aereo della Nato in Libia. Poi contro la sporchissima guerra coperta in Siria. Infine le indecenti disumane bombe saudite sullo Yemen. Senza dimenticare la campagna che la Rete ha avviato, per l’uscita dalla Nato.
Per le nostre manifestazioni, per i flash mob, per i tentativi di pressione politica, Hamid c’è sempre. E anche il suo sorriso. Tashakor!
Apr 08, 2022 Rate: 5.00