L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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Diversi e contrastanti i giudizi della critica a proposito di Parthenope, l’ultimo film di Sorrentino. Di intonazione prevalentemente severa quelli della stampa internazionale, mentre fondamentalmente positivi, con impennate di estatico entusiasmo, quelli di casa nostra. Nell’insieme, comunque, nonostante il prevalente quanto ricorrente italico conformismo, la tavolozza delle opinioni fin qui espresse si presenta assai ben variegata:
esaltato come capolavoro di sublime bellezza, considerato uno spottone ridondante e barocco, oppure erotico e seducente, fonte di stupore e commozione, esuberante e magnetico, rassegna di luoghi comuni, dissacrante e blasfemo, spudorato e pieno di dolore.
Qualcuno ha saggiamente consigliato di evitare di mettersi nell’ottica del “che vorrà mai significare”, per lasciarsi invece abbandonare al mero flusso del gioco pirotecnico di un estetismo bizzarro, ricercato e morbosamente intrigante. Forse la spaccatura fra i due fronti scaturisce proprio dalla basilare differenza di atteggiamento e di prospettiva:
chi si pone troppe domande sul cosa potrà mai voler dire questo e cosa quell’altro probabilmente rimane deluso, insoddisfatto e pure infastidito; chi invece si lascia trasportare dalla sarabanda delle immagini, degli sguardi e delle invenzioni scenografiche, probabilmente finirà per sentirsi sommerso da un bombardamento di forti emozioni.
Al di là dei differenti approcci e punti di vista, credo comunque che su alcune cose, almeno, sia possibile non nutrire troppe incertezze.
In Sorrentino, infatti, a dispetto dei ricorrenti e alquanto forzati confronti, ben poco possiamo incontrare dell’ indagatrice religiosità di Federico Fellini, del suo serissimo senso della trascendenza e della sua attenzione-attrazione verso la sfera dell’Oltre. Il mondo ecclesiastico e quello della pietas popolare finiscono, nella Napoli sorrentiniana, per essere grottescamente ridotte e ricondotte ad un variopinto minestrone di molto terrene pulsioni ancorate alla dimensione dell’ ”Avere”.
Nel complesso, il mondo umano rappresentato è un mondo imbevuto di amara infelicità, oscillante fra lusso sconfinato e atavica miseria, immerso in una becera realtà materialistico-edonista, a cui soltanto si riescono a contrapporre, come unica via di salvezza, la forza della cultura e la serietà della ricerca accademica.
Come a dirci che, dal nichilismo etico e dalla rassegnazione alla inesorabilità del male di vivere, potrà salvarci, allora, la sola intelligenza (educata nello studio) capace di “vedere” al di là delle apparenze?
Ma sarà forse questo, poi, il vero (forse l’unico degno) messaggio di Parthenope?
Francesca Anastasi “Sublime” è una nota stilista di abiti e costumi da mare molto chic e di grande impatto visivo. Gli abbigliamenti estivi Francesca li studia, li realizza e li prova personalmente. Il suo percorso lavorativo iniziò all’età di 15 anni come modella e fotomodella e per anni si sottopose a continui trasferimenti in Italia e all’estero. In seguito Francesca decise di lasciare ufficialmente le passerelle per trasformarsi in una creativa, manager di sè stessa: intraprese così una nuova attività, quella della stilista. Iniziò a creare costumi da bagno e gioielli esclusivi. Grande importanza nella sua evoluzione come imprenditrice è stata sua nonna che le insegnò l’arte del filato. Negli anni, svariate sono state le sue collezioni che hanno lasciato un’impronta e tendenza nell’ambito della moda. Francesca Anastasi ha messo in mostra le sue capacità anche come organizzatore di eventi: tra questi ricordiamo il “Luxury Défilé Rome” del quale ha curato anche la Direzione Artistica.
Francesca Anastasi l’abbiamo incontrata per essere al corrente delle novità nell’ambito delle sue creazioni.
Buongiorno Francesca conosco da anni le tue bellissime creazioni. Cosa hai inserito quest’anno di novità?
(1) Quest’anno ho voluto esplorare nuove forme e materiali, puntando su tessuti eco-sostenibili, come il nylon rigenerato, che offrono la stessa eleganza e performance senza impatti negativi sull’ambiente. Ma non è soltanto questione di sostenibilità: le nuove silhouette che propongono celebrano la diversità dei corpi femminili, enfatizzando le firme naturali con tagli sartoriali laser che combinano comodità e lusso .
Come nasce l’idea di una tua ispirazione?
La mia ispirazione nasce dall’idea che un costume non debba essere semplicemente indossato, ma vissuto. Per questo motivo dedico particolare attenzione ai dettagli ed alla comodità, come cuciture B elasticizzate oppure laser, supporto interno, lancieri a interna.
E’ una palette cromatica che richiama il mare e la terra, non soltanto da sfoggiare in spiaggia oppure in yacht per prendere il sole e fare il bagno, ma anche da cocktail essendo costumi gioielli che si prestano per le serate estive. Il tutto deve essere accompagnato da ampie gonne stile Positano. Sono dei veri e propri statement di personalità e consapevolezza di una moda multifunzionale .
Cos’è la femminilità per te?
La femminilità è un modo di essere, è “la donna”. Io amo la femminilità romantica e di classe , mai eccessiva, io credo che non si debba esagerare in un capo. Io studio la femminilità romantica, stanno tornado di moda le bluse, il total withe, l’organza sera e il chiffon che evocano delicatezza e sensualità. Questa tendenza si manifesta in capi stratificati, punti luce, con sovrapposizione di tessuti leggeri che lasciano intravedere la pelle in modo elegante.
Parlando di femminilità il capo più gettonato che credo abbiano tutte le donne nell’armadio, anche le più sportive, è il tubino per le serate speciali ed il tailleur reinterpretato in chiavetta moderna di grande tendenza, gli oversize capi larghi con corpetti in pizzo aderenti il richiamo al vedo non vedo.
Francesca hai un sogno che vorresti realizzare ?
Si ho dei sogni nel cassetto e ci sto lavorando. In questo momento sono in elaborazione, per portare i miei capi su diversi fronti.
Potresti descrivere il tuo carattere?
Sono una donna solare, socievole, positiva, dolce, testarda ed equilibrata.
Credo che essere positivi sia il motore della vita, fa stare bene anche chi ti sta accanto, ti aiuta tutti i giorni a vivere bene. Amo essere felice e se ho un problema , non lo faccio diventare un macigno, ma penso subito a come risolverlo.
Sono una donna piena di idee, creo ogni giorno, mi fa sentire viva e mi dà energia. Credo di creare anche mentre dormo. Ma la cosa che amo di più del mio carattere è che ho dei principi e dei valori ben saldi, la bellezza esteriore passa , sono certa che la bellezza interiore cresca nel tempo e possa spostare il mondo con un sorriso.
Sono empatica sento le emozioni di chi ho di fronte, colgo gli stati d’animo, comprendo gli occhi e amo ascoltare. In poche righe questo è il mio carattere …
Nel concludere la nostra conversazione, cosa vorresti aggiungere?
Il mondo della moda mare sta vivendo una nuova era, caratterizzata da un equilibrio perfetto tra stile, funzionalità e rispetto per l’ambiente. Il 2024 celebra le diversità stilistiche, offrendo infinite possibilità di espressione. Io ritengo sempre importante il buongusto, che non dovrebbe mai passare di moda. E’ necessario essere consapevoli e divertirci per inventare nuovi outfit e sperimentare mentre ci muoviamo verso un futuro sempre più inclusivo .
Invito le donne ad avere più fiducia in se stesse e di indossare una moda che le valorizzi, apportando valore e classe alla propria persona.
Grazie Francesca Anastasi e tanti auguri per la tua attività.
Interno |
Narbonne con i suoi 2500 anni di storia è una città dal ricco e variegato patrimonio storico e culturale: è stata la più antica colonia romana della Gallia.
Si trova nel cuore dell’Occitania. Dominata dalla sua Cattedrale In radioso stile gotico.
La cattedrale di Saint-Just e Saint-Pasteur fu costruita tra il XIII e il XIV secolo rimanendo incompiuta poiché i Consoli si rifiutarono, in quei tempi turbolenti, di distruggere i bastioni per continuare la costruzione. E poi spiagge, vigneti, canali.
Da alcuni anni ha un “all you can eat “ (tutto quello che puoi mangiare) dal nome tipico francese: LES GRANDS BUFFETS, il locale più ricco di Francia (24 milioni di fatturato).
Cascata di astici |
È un concept spiazzante dove i piatti classici e le specialità regionali della cucina francese vengono serviti nella formula tutto quello che puoi mangiare al prezzo fisso di circa € 60,00 escluse le bevande che però hanno ricarichi modesti. Per una bottiglia di Champagne Mercier si spende 25 euro.
Per Michel Guérard, noto cuoco, scrittore e imprenditore francese, uno dei fondatori della nouvelle cuisine e inventore della cuisine minceur, Les Grands Buffets è “il più grande teatro culinario del mondo”, con la lista d’attesa record nel paese.
Quando si pensa e parla di buffets il pensiero ci porta a retaggi del passato: alle colazioni d’hotel , ai party organizzati con servizio catering, piatti sempre uguali ed a volte dominati dalla mediocrità culinaria. Les Grands Buffets di Narbonne è il locale in contro-tendenza; è la reincarnazione contemporanea del seicentesco servizio alla francese (Chaine des Rotisseurs).
Foies-gras |
Ci vogliono mesi per prenotare un tavolo ed è perfino d’obbligo rispettare un codice preciso per l’abbigliamento. La cucina?
Tipicità francesi: lepre à la royale, anatra e oca allo spiedo, boeuf bourguignonne e la blanquette di vitello, acciughe fritte, totani ripieni senza dimenticare lumache e rane.
E poi 9 tipi di foie gras, 5 tipi di pâté inclusi i foies- gras, 111 tipi di formaggio, caviale e trippa a volontà.
L’interno della location? Quattro sale arredate in stili diversi con un comune denominatore: lo sfarzo.
Cremerie |
Aperto 365 giorni all’anno, tre coperti al giorno.
Dimenticavo: In un angolo incombe “minacciosa” una bellissima bilancia d’epoca. Meglio evitarla. Chapeau!
Da Mosca, Mark Bernardini. Centunesimo notiziario settimanale di lunedì 4 novembre 2024 degli italiani di Russia. A Mosca è caduta la prima neve. Buon ascolto e buona visione. Essendo questo un notiziario settimanale, delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti parleremo nell’edizione di lunedì 11 novembre, tuttavia vi invito fin d’ora a seguire lo speciale che andrà in onda mercoledì 6 novembre dalle 7 alle 10 del mattino italiane (dalle nove a mezzogiorno di Mosca) su Cusano News 7, canale 234 del digitale terrestre. La prima o l’ultima mezzora ci sarò anch’io.
* Una ridicola querelle orchestrata dall’eurodeputata del Partito Democratico Pina Picierno, classe 1981, che dice di essere ispirata da Ciriaco De Mita, segretario della Democrazia Cristiana nel 1982-1989. La Picierno all’epoca andava sotto il tavolo.
* Il 2 novembre ricorre la Giornata internazionale per porre fine all’impunità dei crimini contro i giornalisti, istituita con decisione della 68a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2013 per attirare l’attenzione della comunità mondiale su questo grave problema.
* Mia intervista all’agenzia di stampa russa OSN sulle truppe nordcoreane.
* Ennesima mia intervista sul canale televisivo del ministero della difesa russo “Zvezda”. Brevissimo estratto, con sottotitoli italiani, sulle armi nucleari all’Ucraina.
* Fra tre giorni è il 7 novembre, e chi vuole intendere intenda. Ogni tanto, mi piace ricordare che le rivoluzioni, da che mondo è mondo, le fanno i giovani.
* I “Tre carristi” è una popolare canzone militare sovietica. E’ stata scritta nel 1939 ed è un inno informale delle truppe di confine e dei carri armati dell’URSS e della Russia.
Per questa settimana è tutto. A risentirci e rivederci, sui miei canali!
In questo video divulgativo " https://youtu.be/qQv5m7VBTvM?si=QxudsTC3qwb38oqe " si parla di bioetica ed etica della medicina e di cosa può provocare la sua assenza in contesti di guerra e di regimi politici non rispettosi dei diritti umani.
Il video contiene descrizioni esplicite di fatti storici disturbanti e non adatti a un pubblico troppo impressionabile.
La storia di questi crimini di guerra va conosciuta e collocata assieme alle violazioni dei diritti soggettivi commessi dai nazisti, e più recentemente dagli apparati di potere che hanno subordinato il diritto al lavoro e alla inclusione sociale, a sottomettersi a una sperimentazione di massa con sieri genici spacciati per vaccini, contro una malattia similinfluenzale verso la quale questi preparati non avevano alcun beneficio di arresto di contagio.
Sono orrori diversi e compiuti con mezzi diversi e in periodi storici diversi, che hanno provocato comunque sofferenza e morte.
Nel caso dei medici nipponici senza pietà ed etica, l'episodio era circoscritto al territorio cinese occupato.
Nel caso della psicopandemia, il ricatto è la sperimentazione di massa ha avuto luogo ammantata da un potere dolce e pervasivo, camuffato da una veste legale e lecita, con il benestare dei poteri religiosi e politici più alti.
Accomuna queste esperienze storicamente distanti il concepire l'essere umano individuo non come un fine ma come mezzo, strumento subordinato a un ipotetico bene pubblico verso cui tutto si può sacrificare.
Invece l'habeas corpus e la dignità umana sono valori soggettivi perfetti, che appartengono alla sfera soggettiva individuale, un prius su cui i diritti costituzionali liberali hanno fondato gli ordini giuridici.
Oggi élite di potere vogliono rovesciare questi principi e considerare l'individuo non più un prius ma un posterius, sacrificabile per il bene dello Stato.
È il sovvertimento del patto fondativo fra cittadini e Stato che in tante Repubbliche è stato suggellato all'indomani della seconda guerra mondiale, proprio perché i crimini di guerra nazisti e nipponici - che hanno sacrificato tutto in nome di una scienza e una medicina assoluta e padrona delle vite umane - non potessero più ripetersi.
Vitigno antico |
Capire il Prosecco. Già l’invito ad una degustazione con questo titolo è stato stimolante. Ed ha assunto il livello di interessante nelle parole che lo hanno accompagnato.
“Siete sicuri di conoscerlo bene? Sapete la differenza tra Conegliano-Valdobbiadene DOCG e Prosecco DOC? Lo sapete che l’uva glera può essere spumantizzata anche con il metodo classico? Che esiste la versione nature con 0 zuccheri? Li avete mai assaggiati in queste versioni? Se conoscete tutto il mondo Prosecco state tranquillamente a casa. Altrimenti questo è il Banco d’Assaggio Blind Wine Tasting che vi farà ricredere sui tanti giudizi negativi e cancellerà altrettanti pregiudizi”
Secondo voi mi sono lasciato fuggire un’occasione simile?
Puntuale come un cadetto eccomi all’appuntamento del 10 settembre presso il Wine Corner del Ristorante Europa di Lido di Camaiore dove gli amici della Community Vino una Passione hanno dato vita a questo didattico incontro.
Sette bottiglie: risultato eccitante, allettante, provocatorio.
Un po’ di storia.
L'origine del Prosecco è molto antica e il suo vitigno di provenienza , il Glera , era già noto all'epoca degli antichi Romani che lo utilizzavano per produrre un particolare vino bianco denominato “Pucino”.
Le origini del nome Prosecco: tutto parte dal Comune Prosecco che si trova vicino a Trieste rivendicandone la paternità. Vero è che del vino Prosecco abbiamo la certezza della sua presenza, nella versione vino da pasto, nel territorio costituito dal triangolo Asolo-Conegliano-Valdobbiadene, fin del '500. Da vino da pasto a rifermentato in bottiglia (Prosecco con il fondo) per arrivare alla spumantizzazione con il metodo Charmat è risultato il percorso fino al ‘900.
Prosecco: vino
Vitigno: Il vitigno principale da cui si ottiene il Prosecco è il Glera, classificato come semi-aromatico; possono concorrere poi, fino ad un massimo del 15%, altri otto vitigni, dagli autoctoni Bianchetta, Perera, Verdiso, Glera lunga agli internazionali Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio e Pinot nero.
Dal 2009, il mondo del Prosecco è costituito da tre diverse denominazioni: Prosecco DOC, Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG e Asolo Prosecco DOCG.
Il Prosecco spumante nasce principalmente dal Metodo Charmat. Con questo metodo, che prevede la rifermentazione in grandi recipienti (autoclavi), si ottengono sia vini frizzanti, sia spumanti, a seconda della tipologia che le cantine scelgono di creare. Molto usato il Metodo Charmat “lungo” con permanenza in vasca fino a 12 mesi.
Negli ultimi anni si produce Prosecco Metodo Classico (rifermentazione in bottiglia) riducendo lo zucchero quasi a 0.
Uno dei vitigni |
Alcune aziende hanno riscoperto il metodo “ancestrale o Prosecco con il fondo” ovvero fermentazione del mosto e/o vino in bottiglia.
PIRAMIDE del PROSECCO
- Eccellenza cru Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene Superiore di Cartizze DOCG Cartizze 107 ettari;
- Rive (Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene Superiore DOCG) 43 micro aree dette "Rive" (frazioni/località di 12 comuni TV);
- Storico Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene Superiore DOCG 15 comuni TV;
- Asolo Prosecco DOCG 19 comuni TV ;
- Prosecco sottozona trevigiana Prosecco di Treviso DOC 95 comuni TV;
- Prosecco interregionale Prosecco DOC 556 comuni, 9 province, 2 regioni (Friuli e Veneto).
Le classificazioni in riferimento al dosaggio zuccherino:
- Dry: oltre 18 g/l
- Extra Dry: da 12 a 17 g/l
- Brut: da 6 a 11 g/l
- Extra Brut da 0 a 5 g/l
Confesso.
Dopo aver subìto due ore di pesante tribolazione, ero intenzionato a buttare giù, senza stare a perdere troppo tempo, una stroncaturina gelida e perentoria.
Il film di Maura Delpero, infatti, il Vermiglio osannato e premiato dalla critica, mi era apparso, sì, un lavoro costruito con passione, con grande cura ed impegno, certamente un prodotto di indubbia serietà, ma, al contempo, lo avevo patito come una narrazione impregnata di sofferenza atavica, di millenaria pena di vivere, esteticamente attraente solo quando qualche immagine sembrava ricalcare (non certo per caso) le pennellate di Segantini o quando le note di Chopin e di Vivaldi riuscivano a far entrare qualche sprazzo di infinito in quel mondo cupo e dolente di misera vita di montagna.
Confesso.
La tentazione della fuga, già dopo una decina di minuti di massacranti dialoghi dialettali sottotitolati, è stata forte.
Forse arginata soltanto dalle sapienti parole di uno dei protagonisti spese in elogio della “vigliaccheria”, sanamente e santamente apprezzata (forse invocata) come efficacissimo antidoto per tutte le guerre.
Insomma, visti i riconoscimenti e gli elogi apologetici di tanta critica verbosa ed erudita, nella speranza che qualcosa di particolarmente significativo irrompesse, prima o poi, sullo schermo, sono riuscito ad approdare ai titoli di coda.
Rientrato in casa, ho preso fiato, cercando di riflettere meglio in profondità e cercando anche di raccogliere tutte le informazioni utili in circolazione sul web.
Che dire, a questo punto, di Vermiglio?
Dal marasma pirotecnico di tante recensioni raffinatamente cerebrali inneggianti ad un “film dell’incanto”, “ammaliante” e dal “valore universale”, ad un film di “pura poesia”, di “secca poeticità”, anzi addirittura definibile come “sinfonia ipnotica e ascendente”, gli unici aggettivi degni di essere salvati e utilizzati sono:
sincero, onesto, intimo, sentito.
Sì, si tratta di un lavoro fatto con grande sincerità di interessi e di affetti;
onestissimo nel suo volerci parlare di una umanità lontana e dimenticata, senza ricorrere a finzioni, senza abbellimenti e senza alcuna indulgenza;
intimo perché capace di mettere a nudo speranze, sogni e timori di cuori grandi e di cuori piccoli;
sentito perché costruito con autentica empatia e delicata pietas.
Qualità belle che certamente rispecchiano con fedeltà la dimensione interiore di Maura Delpero.
Tutto questo, però, non può bastare a trasformare in un capolavoro un film implacabilmente noioso e mai in grado di suscitare, nel malcapitato spettatore, un vero coinvolgimento emotivo.
Vermiglio, pur con i suoi indubbi meriti culturali di ordine storico-antropologico e nonostante l’ amorevolezza (sincera, onesta, intima e sentita) di cui è impastato, resta un film che si vede e si sopporta a fatica, un film che, soprattutto, non si ha minimamente voglia di ritornare a vedere.
Da Mosca, Mark Bernardini. Centesimo notiziario settimanale di lunedì 28 ottobre 2024 degli italiani di Russia. Ueilà, centesimo. Suona bene. Poi, tra meno di un mese, il 22 novembre, questo notiziario compirà due anni. Pazzesco. Buon ascolto e buona visione.
* I BRICS sono un raggruppamento di Paesi nel quale non esistono “leader” e “seguaci”, e che è privo di quel tipo di apparato burocratico che invece vediamo a Bruxelles, nell’ambito del quale i funzionari europei impongono le proprie decisioni: decisioni che non rispondono alle attese degli elettori di molti dei Paesi.
* Presentazione del libro “Le vere cause del conflitto russo-ucraino” pubblicato da Visione Editore.
* La Stampa: Putin ha avuto un arresto cardiaco, è la fine!
* Il 22 ottobre l’ambasciatore tedesco a Mosca è stato convocato dal Ministero degli Esteri russo per esprimere una forte protesta in relazione alla creazione, su iniziativa di Berlino, del quartier generale regionale del comando navale della NATO sulla base del quartier generale della Marina tedesca a Rostock, nella Germania orientale.
* Beatrice Vitoldi nel 1925 conobbe Ejzenštejn che nella “Corazzata Potëmkin” le assegnò il ruolo della madre che spingeva la carrozzina nella celebre scena della scalinata di Odessa.
Per questa settimana è tutto. A risentirci e rivederci, sui miei canali!
Chiara Françoise Charlotte Mastroianni si è raccontata così, ieri,alla Festa del Cinema di Roma. Il suo racconto è quello di una figlia verso un papà “grande”, scomparso quando lei aveva ventiquattro anni e grande attore di fama internazionale. E non solo. Nelle sue vene scorre il sangue di Catherine Deneuve, ça va sans dire.
Nel centenario dalla nascita del padre, l’attrice si racconta in un dialogo affettuoso, ironico, che va dai racconti delle telefonate che riceveva dal papà, quando era piccola soprattutto, agli incontri a Cinecittà con il grande regista Federico Fellini, amico del padre.
“La vita di mio padre era il lavoro. La vita da set era la sua vera casa, dove si sentiva al sicuro. In vacanza, si annoiava non prendeva il sole, non faceva il bagno, era sempre nervoso”.
E poi, “mi telefonava tanto, troppo, ma non voleva essere rintracciato”.
”Amava il telefono, gli piaceva comprare sacchetti di gettoni perché telefonava sempre. A me anche tre, quattro volte al giorno. Mi chiamava anche per avere una copertura per la sua vita sentimentale complicata. Che tempo fa a Parigi? Piove? Lo faceva per crearsi un alibi. Mi diceva sempre, solo un po’ scocciato: purtroppo bisogna mentire, mentire, sempre mentire anche se è complicato”.
Il padre di Chiara non era un padre qualunque: era uno degli attori italiani più famosi della Dolce Vita, romano di nascita e forse diremo romano nel suo DNA, se la romanità fatta di ironia, del non prendersi troppo sul serio e dell’ indolenza può essere considerata un marchio di fabbrica.
L’indolenza, appunto, “era una specie di grasso che lo proteggeva perché pensava che fosse abbastanza non fare troppo, ed era abitato anche da una certa malinconia per cui il cinema l’ha molto supportato”.
Era rimasto toccato dalla guerra, “c’era in lui l’inquietudine per quello che era successo a mio nonno che aveva avuto una piccola falegnameria, una cosa modesta. Poi arrivò Benito Mussolini, lui non prese la tessera perché era antifascista e perse tutto il poco che aveva”.
Marcello Mastroianni aveva talento, bellezza, fascino e non amava l’idea del mito. Gli davano piacere le cose semplici, che gli ricordavano le sue origini semplici. Modeste.
Il suo legame con Federico Fellini e Sofia Loren restano due costanti della sua vita. Con il regista della Dolce Vita, condivide il tormento, la difficoltà di essere uomini, molto lontani dal mito del maschio italiano. Erano due uomini con vite pazzesche e pieni di malinconia.
Con Sofia Loren, il grande attore condivise, una vera amicizia, la semplicità di mangiare insieme un panino sul set, di ritrovarsi in famiglia. La loro bellezza non li aveva allontanati, anzi, nel loro caso li aveva fatti avvicinare con la semplicità dei loro bisogni, del loro stile di vita, lontano dalle star del cinema americano.
Semplicità e discrezione e gentilezza d’animo, sono state le caratteristiche di quel padre.
Chiara Mastroianni conclude la sua chiacchierata, dicendo che il padre sarebbe stato imbarazzato da tutto questo clamore, da questo gran parlare di lui, per cui, nell’eleganza del suo stile, avrebbe concluso soffermandosi sul rendere omaggio non certo a sé stesso ma alla grandezza del cinema italiano.
Viva il cinema italiano. Grazie.
Io non son nulla eppure tutto mi appartiene…
Una frase, un’asserzione, una citazione che presenta in toto il carattere emozionale e critico di Giancarmine Fiume. E’ una sua presentazione dove non necessiterebbe altro da aggiungere per presentare un autore di grande rilievo culturale e d’immensa sensibilità poetica.
Giancarmine Fiume |
Giancarmine Fiume
Nato a Cantù (CO), l’11/06/1979
Nel 2012 consegue l’attestato di qualifica del corso di perfezionamento per autori di testi, presso il Centro Europeo di Toscolano del maestro Mogol.
A novembre 2020 esce “¡u!” suo libro di esordio per i tipi di Puntoacapo editrice con prefazione di Michelangelo Zizzi.
A giugno 2022 pubblica “Reliquiario carnale” per i tipi di Fallone editore con prefazione di Maurizio Cucchi.
Vive a Rovellasca (CO), è musicista e appassionato di Arte, Storia e Filosofia.
Fiume è un giovane autore che da pochi anni è entrato a fare parte di una contemporaneità poetica di grande spessore emozionale dove i versi contenuti, cantano inquietudini e turbamenti di un uomo che si presenta al mondo con la propria fragilità emotiva ma forte e deciso nella sua ricerca di completezza attraverso l’amore e la passione. “!u! È uscito a novembre del 2020 per Puntoacapo Editrice e “Reliquiario carnale” pubblicato nel 2020 per Fallone Editore.
Il poeta è elegante nell’espressione, padrone nell’uso della figura retorica dove si giostra fra enunciati, analogie, metafore e allegorie e fra poesia e prosastica sa come condurci dove lui vuole facendo sentire il lettore partecipe e testimone del suo vissuto e del suo desiderato.
Entrami i libri di Fiume seguono un filo conduttore, quasi un sequel letterario dove in “!u” l’autore si presenta nella propria quotidianità fatta del suo lavoro immerso fra ombre e sottosuoli da dove con i pensieri assorti vibra nella ricerca di una luce che faccia chiarore a quell’oscurità interiore.
La sua espressività è pura ricercatezza dell’idioma che accarezza e abbraccia quelle emozioni che lo fanno sentire libero di sognare, di respirare e desiderare la sua Sibilla Pavese eterna nei suoi giorni da bramare e da rimembrare. Sibilla diventa immagine incessante, a momenti vicina, altri distante e distaccata. Una simbiosi forse della Sibilla un po’ fata e un po’ profetessa, incantatrice, giovane o matura ma conscia del proprio ascendente su colui che l’ama. Fiume ha la capacità tecnica e letteraria nel descrivere in modo minuzioso ogni attimo, ogni impercettibile sospiro dove la passione, l’amore, il desiderio e il dolore diventano ingredienti di un bisogno interiore di continuità.
L’autore in questo libro ha portato se stesso, così come ha portato l’ombra e il buio che ogni giorno vive nella sua quotidianità lavorativa, quel lavoro che è stato forse l’input di ricerca verso la luce intrinseca nella riflessione e nell’oggettività che non v’è ombra senza un’impercettibile lume.
Sono solo la mia lesa pettorina
nell’incommensurabilità
del buio
dove fate falene scandagliano.
Ecco l’esplosione di vita nella morsa di un buio dove nonostante tutto, le creature della notte danzano e vibrano- Le falene sono gli equivalenti di quegli amori che nessuna ombra potrà mai dissipare perché la vita fluttua nonostante tutto.
Continua Giancarmine Fiume in “Reliquiario carnale” la sua costante ricerca in quell’amore che diventa adesso meta nei viaggi che lui intraprende. L'inconsistenza della perfezione amorosa, la labilità del rapporto, la transitorietà dei legami sono le costanti nelle prosastiche raccolte nel volume. Anche qui come in “¡u!”, impera l’amore come dominante ma è un amore che non dà sempre certezze, un amore che non è perfezione ma ricerca di questa. Di nuovo Sibila Pavese rievocata, quasi come se nel ripetere come un mantra il suo nome in queste nuove pagine, potesse rasentare la perfezione tanto ricercata nell’autore. Quella perfezione fatta di comprensione e di simbiotico sentimento. Sono poesie di passione, di attimi profondi, di disincantato turbamento, sono gioie e dolori, sono di amara consapevolezza . Liriche profonde come l’oceano e delicate come un soffio cherubino ma portatrici di graffi nella mente che Giancarmine non cura ma che invece tortura per non farli cicatrizzare affinché l’enfasi e la speranza cullino quella sua introspezione alla continua ricerca dell’eterno amore.
Eppure non ti ho mai amato a salve,
Sibilla Pavese,
neppure ora che raccolgo amarezza
come una fiera tra le macerie.
Mare lungo i capelli raccolti,
il tuo silenzio una cartolina
dalla fine
quando emergi dall’acqua
e curvi la luce, mi apri dei varchi
con mezzi spargisale
sulle mie arterie scorticate.
Dall’orizzonte ci fissano lampare .
E noi, lettori attenti, ci facciamo osservatori grazie a quelle lampare che portatrici di luce riflettono uno scenario che sa d’amore, di preghiera all’ascolto e di sofferta consapevolezza che non sempre il nostro sentimento è pari al sentimento dell’altro.
Un autore di calibro, un poeta che culla l’idioma con maestria letteraria, un uomo che attraverso la scrittura sa rendere la versificazione voce da ascoltare e da comprendere.
Simona Dascalu è un’attrice di teatro che nel passato ha recitato anche nel cinema. Anni fa ebbe una piccola parte in “ Dolcemente complicate” poi partecipò ad un paio di fiction e di cortometraggi. La sua grande passione è il teatro ed entro breve sarà in scena con il suo nuovo spettacolo, ideato e scritto in collaborazione con lo scrittore Sandro Arista. Si intitola " chi è l'ultimo" e in questa nuova Commedia Simona Dascalu è protagonista oltre che come attrice anche come regista. E’ uno spettacolo dove emergono diverse componenti: dal comico tendente al serio, per poi arrivare al dramma. Ecco la trama in sintesi: Nella sala d’aspetto di uno studio psicoanalitico si incontrano 4 personaggi: Olindo un tipo poco socievole e dal carattere scorbutico, Luciano sentimentale, emotivo e romantico, Teresa una donna avvocato, altolocata e distinta e Ricky dall’aria sfigata anche troppo loquace. L’interazione dei quattro durante l’attesa, scatena una serie di conflitti, tra loro causati dai loro differenti modi di intendere la vita. Con l’arrivo in ritardo di Wanda la psicologa “la più fuori di testa di tutti”, sembra ristabilirsi l’ordine, ma è solo apparenza. La seduta di gruppo farà emergere aspetti in ognuno di loro insospettabili, che capovolgeranno drasticamente ogni cosa.
Ho incontrato Simona Dascalu che ho avuto il piacere di conoscere già da qualche anno ed è sorta una piacevole conversazione.
Simona Dascalu |
Simona quali sono gli aspetti più esilaranti di "chi è l'ultimo?"
La vicenda è tutta nello studio psicoanalitico dove collabora una segretaria un po' distratta e “impicciona” che fornisce lo stesso orario a quattro pazienti. Nella commedia io sono una psicoanalista che amo tanto anche l'arte e cioè cantare, recitare, ballare. Dal momento che arrivo tardi in studio e trovo tutti i pazienti insieme, mi devo inventare una storia, così nascono una serie di battute originali e di grande impatto. Questi personaggi nel loro monologo trattano dei loro problemi, così gli spettatori apprezzeranno uno spettacolo molto divertente dove oltre a recitare si canta e si balla. L'aiuto regia è di Renato Porfido che seguirà la commedia con attenzione dall’esterno e sarà anche lui coinvolto a sorpresa. Alla fine sceglierò di dedicarmi solo all'arte e dal momento che abbandono l'attività, lascio i pazienti nelle mani di un altro collega.
Quali sono le tue sensazioni al momento di presentare la tua nuova commedia teatrale?
Sono emozionata ma nello stesso convinta che il pubblico apprezzerà la commedia che andrà in scena al teatro Anfitrione dal 24 ottobre alla domenica del 27 ottobre. La locandina è molto graziosa e rende l’idea di uno spettacolo divertente.
Come ti sei trovata in questo ruolo, rispetto alla commedia dell'anno precedente “Condominium”?
Sono personaggi diversi, in quella ero un avvocato, sempre un po' in conflitto con il mio compagno, in questa invece, sono una psicanalista e anche un'artista. Noi attori riusciamo spesso a cambiare la nostra personalità e ci immedesimiamo nel giusto ruolo. Nel passato ho fatto avanspettacolo e ho preso parte a ruoli sia comici che drammatici. Nel campo artistico riesco a fare un po' di tutto, ma preferisco il genere comico e questo lo si deve probabilmente, perché nei nostri giorni viviamo un mondo difficile con tanto nervosismo, pertanto ritengo che la gente abbia bisogno di evadere. Questo non significa che se dovessero propormi un ruolo drammatico non mi sentirei ugualmente a mio agio.
Simona quali sono i tuoi prossimi progetti futuri?
Ho pronto nel cassetto la trama di un film o cortometraggio che spero prima o poi di portare a compimento. E' la storia di una donna che ha una serie di disavventure e poi si innamora del suo carnefice. Recentemente ho scoperto che mi piace anche cantare e su You tube si possono trovare alcune mie interpretazioni. Sto completando una canzone, che poi farò ascoltare per la prima volta in teatro insieme ad altre due canzoni composte da me. Quest'anno ho avuto la fortuna di incontrare sul red carpet al Festival del cinema di Roma, questo splendido uomo, Renato Porfido che è poi diventato il mio compagno. A me serviva un attore per i miei video clip, quindi dal momento che abbiamo avuto l'opportunità di frequentarci, si è accesa la scintilla e ci siamo innamorati. E’ bello avere qualcosa da condividere con una persona speciale e noi due abbiamo le stesse passioni.
Grazie Simona Dascalu
Da Mosca, Mark Bernardini. Novantanovesimo notiziario settimanale di lunedì 21 ottobre 2024 degli italiani di Russia. Siamo quasi a cento. Buon ascolto e buona visione.
* Rifiuto dell’Italia di rilasciare i visti alla delegazione russa al 75° Congresso Astronautico Internazionale
* Ho vissuto nel dopo guerra di una Sicilia distrutta dai bombardamenti degli Alleati anglo-americani, governata con la benedizione della mafia e abitata da gente povera, spesso analfabeta e senza speranza di trovare un lavoro qualsiasi. Eppure i ragazzi della mia generazione avevano una grande voglia di cambiamento e di riscatto. Trasferivano il loro coraggio ed entusiasmo a tante persone che, da sole, assillate dalla necessità di sopravvivere, non avrebbero mosso un dito per cambiare le cose. Da giovani abbiamo partecipato attivamente alle proteste anticapitalistiche della fine degli Anni Sessanta insieme con gli operai e con gli studenti. Reclamavamo un nuovo assetto politico, una nuova qualità del lavoro. Una cultura viva in sintonia con uno sviluppo economico-sociale finalizzato ai bisogni e ai diritti inalienabili dell’uomo. Oggi quel mondo non esiste più.
* Il governo italiano invia armi per bombardare il Donbass, l’“opposizione” del PD blocca un dibattito in cui si prevedeva di inviare aiuti economici a un orfanotrofio per bambini malati a Lugansk.
* Non è difficile creare armi nucleari nel mondo moderno. Non so se l’Ucraina sia in grado di farlo adesso. Non è così semplice per l’Ucraina oggi, ma in generale non ci sono grandi difficoltà, tutti sanno come si faccia. <...> Posso dire subito: la Russia non lo consentirà in nessuna circostanza.
* Segreti del complesso militare-industriale europeo: come far combattere i pacifisti?
Per questa settimana è tutto. A risentirci e rivederci, sui miei canali!