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| Martin Lutero |
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“ 20. Dunque il papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende semplicemente di tutte, ma solo di quelle imposte da lui.
21. Sbagliano pertanto quei predicatori d'indulgenze, i quali dicono che per le indulgenze papali l'uomo è sciolto e salvato da ogni pena.
24. È perciò inevitabile che la maggior parte del popolo sia ingannata da tale indiscriminata e pomposa promessa di liberazione dalla pena.”
Martin Lutero (da le 95 Tesi)
L’articolo apparso il 10 luglio* ha suscitato in numerosi lettori un sincero interesse e alcuni di loro hanno avvertito anche il desiderio di esprimere personali commenti in merito alle questioni ivi sollevate.
Ne riportiamo alcuni fra i più stimolanti, con alcune mie ulteriori riflessioni di approfondimento, miranti a mettere meglio in luce quelli che considero gli aspetti maggiormente problematici del pensiero e della prassi giubilari.
“Le cose su cui ci inviti alla riflessione sono importanti e da approfondire senz’altro. Secondo me, il Giubileo è sostanzialmente un business, però, d’altra parte, la grande fiducia riposta da moltitudini in papa Francesco (incluse le proposte giubilari), e mi sembra anche in papa Leone, credo risponda ad un bisogno di leadership positiva, in un mondo che, purtroppo, attualmente non ha più leader degni di questo nome, ma solo governanti che fanno scelte di guerra infinitamente lontane dal cuore della gente …
E, poi, il bisogno di ritualità (vera, profonda) credo sia innato in ognuno/a, ma, purtroppo, non trova spazio nella nostra società consumistica … E, allora, penso che ci siano tantissimi che si aggrappano anche all’Anno santo, nel tentativo di dare spazio a questo bisogno di ritualità, di sacro, di spiritualità …
Ovviamente, concordo con te che questo bisogno dovrebbe trovare risposte più significative e profonde e meno appariscenti!”
CRISTIANA G.
“Mi ritrovo in totale sintonia con te e, non so bene per quale motivo, mi hai fatto pensare a Giovanni Franzoni che, se fosse ancora vivo, ti applaudirebbe (lui, forse, avrebbe usato
| Papa Leone XIV |
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espressioni meno garbate delle tue).
Il filo logico che deve portarci a una linea di comportamenti, ad una direzione “umana”, non può che nascere dal Vangelo che ci indicherebbe di agire con atti concreti e non “acquistando” meriti grazie ad una “lavatrice a gettoni (ovvero a moneta)” che, esageratamente sofisticata, ha programmi in grado di restituirci coscienze pulite anzi immacolate e capace di cancellare anche il passato. Insomma, capace di restituirci, come fossimo ab initio della nostra venuta al mondo, moralmente puri! Sarebbe una immensa pietà da parte del Padre darci una simile opportunità, ma non aver memoria del male fatto in passato è la premessa a reiterare quel male.
Perché arrivare ad una “indulgenza pro business”? No, non credo sia nello spirito del Vangelo.”
CARLO C.
Ha certamente ragione Cristiana nel sottolineare come, per comprendere un fenomeno di massa come quello giubilare, sarebbe necessario far riferimento al grande vuoto culturale della nostra epoca e al grande bisogno di punti di riferimento e di figure carismatiche.
Ma, più che condurre un’analisi di tipo socio-antropologico, a me premeva (e preme tuttora), più di ogni altra cosa, evidenziare il fondamento dottrinale del Giubileo (da molti ignorato) e il suo imprescindibile legame con la questione filosofico-teologica della possibilità-accettabilità della tesi e della prassi delle indulgenze. Ciò nella convinzione che a molti possa sfuggire il fatto che tesi e prassi giubilari (come, d’altronde, tanti dogmi, credenze, cerimonie e tradizionali forme di culto) siano sorte nel corso dei secoli, in base a valutazioni ed obiettivi contingenti (non sempre nobilissimi) e in modo del tutto svincolato dall’insegnamento evangelico incentrato sulla purezza della fede e sulla sincera operosità caritatevole.
E la cosa che continuo a trovare particolarmente fastidiosa è il fatto che la Chiesa di oggi (immersa come quella di ieri nella sua presunzione di assoluta autorità di origine soprannaturale) non appaia minimamente sfiorata da una questione come quella della ammissibilità delle indulgenze, questione a lungo dibattuta e che ha rappresentato una delle cause principali della frantumazione dell’unità cristiana.
Ora, per fare un po’ di chiarezza, è necessario ricordare che quando il monaco agostiniano Martin Lutero, all’inizio del Cinquecento, venne a Roma come semplice pellegrino, nella speranza di potersi immergere in una atmosfera intrisa di profonda cristianità, di contrizione e di voglia di purificazione penitenziale, rimase inorridito e disgustato dallo spettacolo di una Roma godereccia, grossolanamente dedita ad occupazioni terrene e dominata da una casta sacerdotale oltremodo viziosa e lussuriosa.
Ma la sua critica non si è limitata a fustigare la decadenza dei costumi. La sua analisi, infatti, va oltre, va a colpire il cuore dell’enorme macchina ecclesiastica ridotta, come ha ben scritto il nostro amico Carlo, a “lavanderia a gettone”. E Lutero non si è limitato a sottolineare l’aspetto aberrante dell’evidentissimo interesse economico legato alla elargizione delle indulgenze, ma ha messo in luce l’aspetto intrinsecamente immorale e “diabolico” di quella che potremmo definire la “filosofia delle indulgenze”, strettamente connessa a quella della istituzione sacramentale della Confessione dei peccati (altra cosa da lui rifiutata).
In pratica, Lutero ci dice: lo scopo che dovrebbe guidare la vita del vero cristiano non dovrebbe essere quello di cercare di “meritarsi-guadagnarsi-accaparrarsi” la salvezza, bensì quello di cercare di vivere nel modo più coerente possibile la propria scelta di fede, in maniera totalmente disinteressata, senza pensare minimamente ad eventuali vantaggi per il proprio destino terreno ed ultraterreno. La Chiesa romana, invece, con i suoi ingranaggi di assoluzione dei peccati (confessione da parte del prete) e cancellazione dei residui di peccato rimanenti sull’anima, con annesse pene da espiare in terra o nell’aldilà (indulgenza), favorisce una moralità opportunistica, calcolatrice, superficiale, accomodante, irresponsabile e lassista. Ovvero, un’ottica secondo cui, grazie all’intercessione dell’apparato ecclesiastico, sia possibile SEMPRE E IN OGNI CASO, ottenere un salvifico colpo di spugna che possa permetterci di accedere, dopo morti (il più rapidamente e comodamente possibile), alla gloria celeste, pur dopo aver vissuto in terra una vita antitetica ai valori del Vangelo.
Insomma, secondo Lutero, si tratterebbe di un sistema che avrebbe annacquato e intimamente banalizzato il sentimento della gravità della condizione peccaminosa dell’esistenza umana e, di conseguenza, corrotto il senso del dovere, del rigore e della coscienza dell’essere cristiani, creando una mentalità-moralità di orientamento volgarmente materialistico-mercantilistico, totalmente svuotata di autenticità evangelica.
Da questo tipo di analisi, e dal desiderio di recuperare un approccio alla fede liberato dai veleni delle anticristiane sovrastrutture createsi nella storia (la Chiesa di Roma, con le sue caste sacerdotali, apparati sacramentali, culti di Maria, di Santi, ecc., sempre disposti ad intercedere e a procurare “grazie” e miracoli a richiesta, ecc.), è nato il movimento della cosiddetta Riforma protestante che ha spaccato in due il mondo cristiano, dando vita ad un’ ampia gamma di chiese non cattoliche.
Ora, una delle cose che più sconcertano della Chiesa cattolica attuale, sistematicamente impegnata nello sfornare Giubilei, è il non tenere in alcunissima considerazione le posizioni (cristiane) emerse nel corso del tempo (anche prima dello stesso Lutero), divergenti da quelle da essa ribadite nel Concilio tridentino, e il fatto di continuare ad agire come se, dal corso della storia non le fosse minimamente giunto alcun insegnamento.
Insomma, ci si domanda:
come non capire ancora, dopo più di 500 anni di discussioni, dibattiti, scontri, scismi e sanguinose guerre di religione, che il desiderio di ottenere una “indulgenza plenaria” si basa psicologicamente su una prospettiva di tipo egocentrico ed utilitaristico, che presuppone la tesi aberrante, palesemente illogica e sacrilega, che le pene ultraterrene stabilite dal Giudizio divino siano annullabili grazie ad un potere (quello della Chiesa) capace di modificare qualcosa di decretato dall’infinita sapienza e dalla giustizia assoluta di Dio stesso?
E come non capire che questa filosofia dell’impunità portata irrazionalmente alle estreme conseguenze abbia comportato effetti moralmente e socialmente degradanti e devastanti sul modo di concepire la giustizia (terrena oltre che ultraterrena) e, soprattutto, sul senso di responsabilità individuale?
Non dovrebbe, forse, un sincero spirito cristiano, onestamente conscio della propria peccaminosa inadeguatezza, limitarsi ad affidarsi incondizionatamente all’autorità del giudizio divino, confidando, senza alcuna incertezza, nella sua assoluta bontà ed equanimità, senza nulla pretendere, semplicemente con il cuore colmo di pentimento e di speranza?
“Ora dico questo: chi semina scarsamente mieterà altresì scarsamente;
e chi semina abbondantemente mieterà altresì abbondantemente”
SAN PAOLO (Seconda lettera ai Corinzi 9:6)
“Non vi ingannate, non ci si può beffare di Dio;
perché quello che l'uomo avrà seminato, quello pure mieterà.”
SAN PAOLO (Lettera ai Galati 6:7)
| La galleria |
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Nasce all'estremità orientale delle Landes de Gascogne, forma le gole del Ciron di Préchac a Villandraut, poi si getta nella Garonne a Barsac, a valle di Langon.
| Etichetta Chateau d'Yquem |
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La lunghezza del suo corso, dalla sorgente allo sfocio nella Garonna, è di 97 km. Ha nove affluenti, piccoli ruscelli con sorgenti, più o meno polle d’acqua in un territorio lacustre, come lo stesso Ciron, che lo alimentano nella sua limitata portata.
| grappolo attaccato dalla Botrytis Cinerea |
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Descritto così sembrerebbe un corso d’acqua insignificante, senza storia. Non è così.
Il Ciron è un fiume “magico”. Sotto le fronde del bosco che formano una galleria, l'acqua rimane fresca e protetta dal sole, favorendo la formazione di una nebbia mattutina in autunno, che deposita sull'uva un microscopico fungo, la Botrytis Cinerea, o "muffa nobile". Questo fenomeno naturale viene accolto con gioia, poiché aumenta il contenuto di zucchero del frutto e conferisce ai Sauternes, i vini bianchi dolci più famosi al mondo, la loro miracolosa dolcezza.
Ecco svelato il segreto del Ciron, un fiume che sa di vino!
Il nome Ciron trae la sua origine dal latino Sirio, Sirione, Cirone, Ciron (in guascone).
L'umidità portata dal fiume determina la comparsa di brume mattutine, che favoriscono lo sviluppo sulle vigne del Botrytis cinerea. È grazie a questo fungo che i vigneti del Sauternes e del Barsac devono la loro qualità e la loro reputazione.
Un microclima e idroclima perfetti che avvolgono non solo i vigneti di Sauternes e Barsac ma anche Fargues e Preignac tutti facenti parte dell’AOC Sautèrnes.
La Botrytis cinerea, agendo sugli acini maturi, ne perfora la buccia, favorendo l’evaporazione dell’acqua e la concentrazione di zuccheri, acidità e aromi.
I vini prodotti in questa zona sono ricavati principalmente da Sémillon (che dona rotondità e struttura), Sauvignon blanc (che conferisce freschezza e nervatura acida) e una piccola percentuale di Muscadelle (che arricchisce il bouquet floreale). Il mosto ottenuto è estremamente ricco e viene vinificato lentamente, spesso in barrique nuove, con affinamenti che possono durare anni.
| Fiume Ciron |
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Il risultato è un vino di una complessità straordinaria: miele, albicocca secca, zafferano, arancia candita, fiori bianchi e spezie dolci convivono in un equilibrio perfetto tra dolcezza e acidità. Il vertice qualitativo è rappresentato dal leggendario Château d’Yquem, unico Sauternes classificato come Premier Cru Supérieur nel 1855.
| Chateau d'Yquem |
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Accanto al Sauternes AOC troviamo Barsac AOC, che condivide terroir e vitigni ma può anche etichettare i propri vini come Sauternes. In genere,
E pensare che a me avevano insegnato, qualche lustro fa, che la botrytis cinerea altro non era che il marciume grigio, che si verificava in corrispondenza alla maturazione in condizioni di un elevato grado di umidità atmosferica, nel caso del Sauternes, dovuta dalla vicinanza dell’Oceano Atlantico. Insegnanti (o docenti come amavano definirsi) da rimandare immediatamente a scuola!
Poi, il calpestare le vigne, mi ha portato nel territorio del Sautèrnes nel mese di novembre ad assistere al mattino al fenomeno della bruma avvolgente sui vigneti ed attendere i raggi solari del mezzogiorno, dello zenit, ed assistere all’asciugamento ovvero evaporazione dell’umidità. Tutto dovuto alla presenza del Ciron, il fiume che sa di muffa!
Nel cuore del Sannio, tra le colline che custodiscono la spiritualità di Padre Pio e l’autenticità della cultura contadina, Pietrelcina si conferma, per il ventunesimo anno, come capitale campana del jazz. Il Jazz Sotto le Stelle Pietrelcina Festival 2025, in programma dal 28 al 31 luglio, nella suggestiva cornice del Parco Colesanti (in caso di pioggia, concerti al Palavetro), non è solo il più importante appuntamento jazzistico della Regione, ma è ormai un simbolo di resistenza culturale, bellezza condivisa e musica che unisce. Organizzato dalla Pro Loco di Pietrelcina con il patrocinio del Comune, della Regione Campania e la direzione artistica di Giovanni Russo, il festival si conferma punto di riferimento nazionale per la musica jazz e le contaminazioni artistiche. L’edizione 2025, dedicata al tema “Bellezze Connesse”, pone l’accento sulla necessità di riconnettere persone e territori attraverso la musica dal vivo e la bellezza condivisa, suona come un invito esplicito a ricucire i fili delle relazioni umane, troppo spesso smarrite nei ritmi scomposti del nostro presente.
In un’epoca di legami digitali e di contatti liquidi, tali espressioni si riferiscono alla condizione in cui le relazioni umane, sia online che offline, tendono a diventare più fluide, instabili e meno durature rispetto al passato. Il filosofo britannico-polacco, Zygmunt Bauman, usa l’aggettivo “liquido” per descrivere la società contemporanea, che è caratterizzata da rapidi cambiamenti, incertezza e precarietà in tutti gli ambiti della vita, compresi i rapporti interpersonali, il festival sceglie la via opposta: musica dal vivo, silenzio rispettoso, incontro reale, comunità fisica. La direzione artistica di Giovanni Russo, costruisce un cartellone che unisce qualità e apertura popolare. Dai virtuosismi di Danilo Rea alla forza narrativa di Peppe Lanzetta, passando per l’energia del progetto Transleit 2.0 delle Ebbanesis, ogni serata è un viaggio tra poesia, jazz econtaminazioni. Peraltro, Jazz Sotto le Stelle è anche altro: è identità territoriale, grazie agli stand enogastronomici che raccontano il Sannio con sapori e profumi veri; è memoria visiva, con la celebrazione del lavoro del fotografo Angelo Masone e la pubblicazione del volume “PHOTO JAZZ”; è riconoscimentosimbolico a personalità di spicco del panorama musicale italiano, con il “Premio Pietrelcina In Jazz”, l’opera in ceramica è firmata dall’artista Sabrina de Ieso di Pesco Sannita, la rassegna artistica ogni anno omaggia artisti distintisi per passione e qualità. In un’Italia che spesso si affida alla musica come semplice intrattenimento, Pietrelcina fa un passo in più: trasforma il jazz in linguaggio civile, in pedagogia collettiva, in atto culturale e politico. Senza clamori, sponsor invasivi, biglietterie chiuse: i concerti sono gratuiti, i luoghi sono aperti, il pubblico è partecipe e misto, tra turisti curiosi, residenti affezionati e appassionati, venuti da ogni angolo del Mezzogiorno. In un momento storico in cui i festival e le rassegne vengono spesso sacrificati sull’altare dei tagli o ridotti a vetrine commerciali, Jazz Sotto le Stelle è un esempio virtuoso di come si possa fare cultura senza perdere l’anima, anzi, valorizzando le radici e coltivando il futuro. Peraltro, Pietrelcina non è solo terra di devozione: è anche una terra di visione. E da vent’anni a questa parte, ogni fine luglio e qualche volta inizio di agosto, accende sotto le stelle una musica che non consola, ma interroga, eleva e connette.
Se l’illuminazione è uno stato che è raggiunto da pochi studiosi e ricercatori dello spirito, considerati privilegiati nella loro elevazione, la possibilità di entrare in contatto con un’atmosfera che predisponga al raggiungimento di stati evoluti della propria coscienza, ognuno con il proprio punto di partenza e la propria gradualità di percorso, può essere offerta a tutti.
E il film IL MONACO CHE VINSE L’APOCALISSE, che affronta coraggiosamente l’interpretazione della visione profetica di Gioacchino da Fiore, abate e teologo, filosofo, pensatore rivoluzionario e visionario tra le menti più influenti del Medioevo, fa proprio questo. Con la sapiente regia di Jordan River, da sempre affezionato testimone di introspezione animica, la pellicola accompagna lo spettatore in un viaggio storico e spirituale che accarezza i presupposti per cambiamenti epocali,
auspicabili anche per i nostri tempi.
Muovendosi tra i sovrani Riccardo I° d’Inghilterra (Nikolay Moss) e Costanza d’Altavilla (Elisabetta Pellini), l’abate florense (Francesco Turbanti), mantiene un’autorità che i poteri temporali non possono scalfire, e che diventa una pratica da mantenere per affrontare anche i mostruosi controllori dell’aldilà, una volta superato il guardiano della soglia (Yoon C. Joyce).
Lontano dal voler essere una pellicola di stampo religioso, tutti gli aspetti che concorrono alla realizzazione dell’opera, dall’uso delle sfumature della cromoterapia nelle immagini, all’altissima definizione a 12k, e l’uso di onde Theta gestite da Bruno Gioffrè nella colonna sonora di Michele Josia, che stimolano le frequenze creative e intuitive del cervello, trasportano la sala in una dimensione che invita a un approfondimento spirituale per qualsiasi provenienza. Al di là di barriere ideologiche, si è portati a una riflessione interiore attraverso il percorso di esplorazione della teoria gioachimita della Trinità: “Ognuno dei tre cerchi attraversa gli altri due; come la Trinità”, che sembra ti dica che la risposta va cercata nell’annullamento della dualità, verso una terza via che è quella che lui definisce dello Spirito Santo.
“Si dice che i film debbano lasciare delle domande”, afferma il regista Jordan River, “ma io ho cercato anche di dare delle risposte. L’illusione e il male si annidano dentro di noi e impediscono l’evoluzione umana. Non è la persona che bisogna colpire ma il male che c’è nelle persone. Tutto nasce da un’idea che si muove; e se si riesce a superare quell’idea, si arriva al divino”. Come ci insegna Gioacchino quando tratta il tema del Terzo Tempo della Storia della Salvezza: “La prima fu l’età della paura; La seconda è stata l’età della fede; La terza, dovrà essere l’età dell’Amore”.
Staccatosi dalle linee tradizionali della Chiesa e degli ordini monastici del suo tempo, fonda con pochi suoi compagni l’ordine florense in un eremo concepito come il “fiore”; non come traguardo ultimo, ma come presupposto di speranza della ricerca da cui dovrà nascere il frutto. La sua missione è di identificare i nemici degli imminenti tempi apocalittici finali descritti nella Bibbia, e risvegliare il popolo cristiano addormentato verso la salvezza.
Sembra di ascoltare una cronaca odierna che denuncia l’inerzia passiva degli animi dei cittadini, ma sopraggiunto dal XII° secolo, Gioacchino ci
dice che i passi della Bibbia devono essere compresi e interpretati:
“Il libro dell’apocalisse di Giovanni è stato fatto come una ruota interna che si protende fino alla fine dei tempi, e che attraversando la fine rivela la profondità dei misteri”, così detta a un suo discepolo nel film. E se il destino degli uomini, risiede tra due mondi paralleli, quello umano e quello trascendentale, comunque ci svela che tale destino può essere cambiato.
Oltre ad essere definito da Dante “il gran calavrese abate Gioacchino di spirito profetico dotato”, e collocato dal padre dei poeti nel quarto cielo del Paradiso, riservato alle anime sapienti, il suo pensiero ha ispirato artisti e filosofi come Montaigne, Hegel, Joyce e Michelangelo nel dipingere il Giudizio Universale e la Cappella Sistina.
Certamente non conosciuto come meriterebbe, la pellicola fa giustizia al fondatore dell’Ordine florense inducendo a una riflessione sulla vita oltre la vita, e la possibilità di creare una realtà di luce e pace interiore anche in questa dimensione umana. “Ognuno di noi ha tante vite”, spiega River. “Ho voluto raccontare una grande storia che mancava, e questa è la storia della nostra salvezza, non della sua”.
Ognuno è accolto dal film in una frequenza fatta di luce, suoni e spunti di riflessione che predispone all’ampliamento della coscienza. Ma al di là dell’aspetto trascendente, anche la dimensione umana apprezzerà l’atmosfera ammaliante delle riprese, la bellezza inevitabilmente contagiosa delle scene, della musica e dello stato d’essere che crea e dalla quale non si può uscire senza esserne contaminati.
Jordan River lo esprime così: “Ho pensato di fare qualcosa di positivo e lasciarlo ai quattro venti. Se lo spettatore è distratto potrebbe perdersi il senso; ma se è attento coglie il messaggio ed esce dalla sala che ha una forza, perché il monaco vince l’Apocalisse!”.
| Andrea Scanzi |
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| Marzia Carocci con Marco Giallini |
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Ho scelto di iniziare il “mio” viaggio di degustazione di sapori e non solo, dalla bottega Mariani che dagli anni ’50 è aperta a Roma in Viale del Vignola107, vi spiego perché.
Avendo da qualche anno cambiato identità, la Bottega rispecchia oggi ancora di più il senso del suo nome di origine greca “apotheca”. Il significato della parola è evoluto nel tempo valorizzando l’artefatto, il prodotto artigianale non seriale, concetto che la Bottega Mariani ben interpreta oggi trasformata in un laboratorio gastronomico multidimensionale, capace di coniugare in modo ottimale la cucina da asporto e la spesa di prodotti naturali del territorio con il pranzo e la cena servita sul posto, il tutto in un mix unico e vincente.
Questa sfida, non da poco, è superata grazie alla bontà dei piatti preparati con ingredienti di alta qualità dalla maestria di chef che in cucina “a vista” ogni giorno “mettono le mani in pasta “realizzando ricette legate alle stagioni personalizzate anche da sfumature di contrasti di gusto coniugati con competenza e creatività.
I prodotti venduti al banco o consumati al tavolo hanno il comune denominatore dell’eccellenza della materia prima con cui sono preparati.
Paste fresche fatte ogni giorno.
Formaggi di filiere del territorio secondo tradizione aggiornata nelle tecniche di produzione e stagionatura.
Mozzarella apprezzatissima dalla clientela proveniente dagli allevamenti incontaminati di Amaseno, preparata senza l’ausilio di macchinari.
Olio extravergine di zone limitrofe spremuto a freddo utilizzato sempre in ogni ricetta cruda o cotta.
Salumi dop come il Prosciutto di Langhirano stagionato 30 mesi.
Vino eccellente prodotto da piccole aziende a km 0
oltre che il top di altre regioni italiane.
Tra i piatti in menu vorrei evidenziare un primo semplicemente speciale: i ravioli fatti in casa, pardon, in bottega, con uova di fattoria. La pasta accuratamente lavorata nel giusto spessore racchiude un ripieno di parmigiano reggiano stagionato 24 mesi, coulis di basilico e salsa di datterini infornati, un amalgama delicato con abbinamenti che creano un sapore davvero piacevole.
Che dire poi della zuppetta fresca di melone con prosciutto di Langhirano croccante, menta e gamberi cotti al vapore.
Confesso la difficoltà di scelta visto la bontà generale, ma merita un 10 e lode il baccalà con babaganoush, lattuga arrostita e semi di zucca con cottura a bassa temperatura che consente di preservare i liquidi interni conferendo al baccalà morbidezza e consistenza e un taglio senza sbriciolature con succulenza nel gusto e nell’aroma.
Tra i dessert la mia preferenza è va al sapore racchiuso in una crema pasticciera ai frutti rossi equilibrato connubio di dolce e acidulo che ti cattura e ti fa chiudere il pranzo o la cena con i complimenti allo
chef Alessandro Russo.
Ma non è solo il savoir faire dello chef a rendere vincente il locale, determinante è la sapiente gestione di Roberto e Jacopo che dà alla Bottega una marcia in più
perché guarda all’innovazione non dimenticando il valore della tradizione. L’elevato livello di ristorazione si avvale di un ambiente curato, dall’atmosfera “Free”, con scelta di ordinazioni non condizionata da cliché, vincente per il cliente che si sente libero di degustare, secondo tempi e modi individuali, se desidera non seguire formalità nelle ordinazioni.
Valore ultimo ma non per importanza è il ruolo della comunicazione, sia dal punto di vista relazionale che dell’informazione sui prodotti.
Questo aspetto è rafforzato dalla presenza di personale che non cambia, disponibile e competente, merce rara oggi. Qualità che hanno contribuito alla costruzione di rapporti funzionali a dare continuità alla frequentazione dei clienti che con il loro passa parola hanno ampliato la rete di conoscenza della bottega Mariani in modo fisiologico, considerato anche l’indotto prodotto dal pubblico del Teatro Olimpico e di altre strutture vicine.
Il tutto ha dato vita ad un ambiente ristorativo molto frequentato, dove sai di potere fare diverse cose bene:
la spesa di prodotti di qualità, comprarli già preparati ogni giorno dallo chef ma anche degustarli nel locale in relax con un aperitivo oppure a pranzo o a cena il tutto ad un prezzo proporzionato, questo in Bottega Mariani ti fa sentire a casa.
Martellati dal tambureggiare mediatico conformisticamente osannante nei confronti di tutto ciò che attiene all’operato del papa e di Santa Madre Chiesa, ben pochi sono coloro che, credenti o meno, mossi da volontà di sapere e di capire, si vanno interrogando in merito a cosa veramente sia il Giubileo o Anno Santo, chiedendosi anche, magari, quanto questa istituzione sia autenticamente “cristiana”, ovvero quanto abbia a che vedere con il messaggio evangelico, quanto possa realisticamente fungere da elemento di concordia e di riunificazione con le altre chiese cristiane, quanto possa rappresentare una opportunità di affratellamento con i non credenti e con i credenti di altre Fedi.
Una cosa appare più che evidente: il fiume di retorica proveniente dalla cittadella vaticana inonda ogni canale televisivo e impregna ogni momento di comunicazione dedicato a tale evento, non favorendo in alcun modo qualcosa che assomigli ad un aperto confronto di opinioni, anzi, facendo in modo che non si venga minimamente sfiorati dal pensiero che potrebbero (addirittura!) esistere, sia dentro che fuori della cristianità, diverse opinioni in merito. E che, perché no, potrebbe risultare di un qualche interesse discuterne insieme.
Tutto è orrendamente ridotto a spettacolo, a statistiche, a mercato, a sensazionalismo, a palpiti di cuore, a gesti teatrali ed emozioni forti. Raffinate discussioni dottrinali e polemiche laicheggianti sono relegate aprioristicamente nelle polverose soffitte del passato.
La cosa che sconcerta ed amareggia maggiormente è che la Chiesa Cattolica continui a comportarsi come se, all’interno della cristianità, non si fosse dibattuto per secoli, anche assai aspramente, su questioni come quelle del valore della “grazia” (e delle sue differenti tipologie), della fede in rapporto alle opere, delle reali competenze e dei reali poteri attribuibili alla figura del papa, delle effettive possibilità, dunque, di un intervento papale che possa modificare i decreti del Giudizio divino nell’aldiquà ed anche nell’aldilà, ecc.
E sconcerta immensamente il fatto che la Chiesa di Roma, dopo tante critiche e polemiche, dopo secoli e secoli di grandi controversie, concili, anatemi, roghi, scomuniche e scismi (vedi, in particolare, la Riforma di Martin Lutero), insista nel promuovere e nell’ esaltare credenze e pratiche religiose nate nel cuore del periodo medioevale, tanto lontane dall’autentico spirito evangelico e tanto poco condivise dalle numerose comunità cristiane che, nel tempo, hanno messo in discussione l’autorità assoluta dell’istituzione papale e le numerose forme di culto presenti nella tradizione cattolica, considerate imbevute di logica e sensibilità superstiziose e paganeggianti. Fra cui, sia la possibilità di “cancellare” i peccati attraverso il sacramento della Confessione o della Penitenza e Riconciliazione, sia quella di “cancellare” quanto resterebbe impresso sull’anima del peccatore dopo l’avvenuta assoluzione, nonché le pene purificatrici a cui essa dovrebbe, di conseguenza, essere sottoposta nell’aldilà secondo il divino volere. Proprio a ciò, infatti, si riferisce il concetto di “indulgenza” in generale e di “indulgenza plenaria” in particolare.
Quando, nell’anno 1300, da parte di Bonifacio VIII (pontefice fra i più criminali della storia della Chiesa) venne indetto il primo Giubileo, folle di pellegrini giunsero a Roma con il preciso e agognatissimo
| Bonifacio VIII |
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obiettivo di poter “lucrare”, per pietosa concessione papale, l’indulgenza plenaria, ovvero una indulgenza intesa nella sua massima estensione, superiore, quindi, a tutte le altre forme di indulgenza (parziale) esistenti, caratterizzate da una efficacia circoscritta, più o meno ampia.
E parlare di indulgenza ha senso perché, come ci spiega papa Francesco nella Bolla di Indizione del Giubileo, secondo la dottrina cattolica, “il peccato “lascia il segno”, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male commesso, ma anche interiori, in quanto «ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio». Dunque permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del peccato”. Essi vengono rimossi dall’indulgenza …” (cap. 23)
L’indulgenza, quindi, ci spiega sempre Bergoglio, permetterebbe “di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio”, in quanto l’”indulgenza del Padre”, “attraverso la Sposa di Cristo” raggiungerebbe il peccatore perdonato, liberandolo da ogni residuo peccaminoso.
Illimitata misericordia divina o - chiediamoci - illimitata presunzione del Sommo Pontefice e della sua Chiesa?!
Fatte queste brevi premesse, non dovrebbe risultare troppo difficoltoso intravedere nel Giubileo un vero concentrato di pratiche tipicamente cattoliche, in evidente antitesi con i princìpi etici del messaggio evangelico, incentrato sui valori della purezza della fede libera da calcoli mercantilistici e dell’amore altruisticamente sincero e disinteressato.
Giubilei, indulgenze, assoluzioni, pellegrinaggi, culto delle reliquie e dei luoghi sacri, ecc., mentre esaltano trionfalisticamente il potere dell’istituzione ecclesiastica e della sua casta sacerdotale, attaccano gravemente il senso di responsabilità individuale, fornendo accomodanti e rassicuranti strumenti di facilitazione dell’impegno etico di autopurificazione e autoredenzione.
Ricorrendo a simili strategie, è stata generata (nei paesi cattolici e diffusa poi in tutto il mondo, attraverso l’opera missionaria) una religiosità meschina che ha inquinato la moralità e la psicologia di intere società, dando vita ad un’umanità priva di fiducia nelle proprie facoltà spirituali e, di conseguenza, dotata di bassissimo senso di consapevole rigore morale, sempre certa di poter ottenere, grazie all’opera infinitamente misericordiosa dell’intercessione di Santa Madre Chiesa, un bel perdono a buon mercato per qualsiasi colpa, per qualsiasi peccato, per qualsiasi crimine.
Ora, riassumendo, il Giubileo ha senso in funzione dell’Indulgenza plenaria, la quale presuppone la convinzione che la Chiesa abbia il potere di operare una oggettiva azione catartica sull’anima del credente, sia in terra che nell’oltretomba. Per fare ciò, l’autorità ecclesiastica verrebbe ad attingere “al tesoro della Chiesa, costituito dai meriti satisfattori di Gesù Cristo, ai quali vanno aggiunti quelli della Vergine e dei Santi.” (Enciclopedia Cattolica)
Ovviamente, cosa che sfugge ai più, tutto l’ingranaggio presuppone alcune credenze dottrinali irrinunciabili, assai ardue da accogliere su un piano serenamente razionale:
Quanti, viene da chiedersi, fra coloro che partecipano festosamente ai riti giubilari, e quanti, fra coloro che contribuiscono alla loro narrazione apologetica, hanno reale consapevolezza del significato teologico di tali credenze e pratiche (e delle relative implicazioni etico-culturali), e magari anche una qualche minima conoscenza dei complessi processi storici che le hanno prodotte?
“Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. (Matteo, 5,6)
La Moda è stile, forma, creatività innovazione,sono le idee che prendono forma e diventano realtà. Rebel Art,è il coraggio di fare Arte fuori dagli schemi e dall'ordinario,è una filosofia di vita rapportata alla Moda. Questa è l'idea che è nella collezione Serena Pizzo, opere pittoriche dipinte su giacche di eco pelle,vestiti,accessori,scarpe, ha creato un nuovo modo di fare tendenza.
Il progetto Rebel non è solo un concetto di libertà emozionale,ma una necessità di condividere tali sentimenti attraverso un look d'arte glamour,ma
allo stesso tempo affascinante e irriverente. La fashion blogger designer Donna Serena Pizzo ha creato, a giugno, un evento di Arte e Moda “Rebel Art Exhibition” allo spazio arte Plus Arte Puls Roma, che a Settembre diventerà anche il suo showroom d'arte
e moda,che si distinguerà per essere innovativo.
L'evento “Rebel” apprezzato dal pubblico presente, per i quadri che spiccavano sulle pareti circostanti e dalle modelle che sfilavano con gli abiti dipinti a mano dalla creatrice.
Presenta l'evento la curatrice d'arte e giornalista Sabina Fattibene,in programma tre sfilate accompagnate da note musicali di canzoni di successo. La prima sfilata inizia sulle note di “Psycho Killer”(Talking Haeds) con la linea Chic Chic Bon Bon Art Collection. Tra le modelle la bravissima ballerina Special Guest Eleonora Pedini da vita ad una coreografia, sulle note dei Doors “Love me two Times” che affascina il pubblico con un balletto che riflette la passione e l'energia della Musica.
Prima della seconda sfilata Serena Pizzo vuole evidenziare come il progetto Rebel sia un modo di essere una forma di ribellione, al sistema condizionante verso il pensare la creatività, per non uniformarsi al sistema, ma venirne fuori con la propria personalità e un bisogno di libertà individuale.
Si parte con la seconda sfilata dove le modelle si muovono e ballano sulle note di un medley musicale da “Mio fratello è figlio unico” di Rino Gaetano a “In Italia “ di Fabri Fibra. Eleonora Pedrini crea un una coreografia sulla musica di Rino Gaetano,che rappresenti l'idea di individualità e ribellione. Si giunge ad un momento magico di riflessione con l'esibizione dell'attrice Chiara Pavoni, mentre Donna Serena Pizzo da vita al live Painting, performance pittorica su un giubetto Rebel, in una cornice onirica e metafisica in cui si fondano colori,suoni,movimenti e parole.
Nell'evento Rebel è inserito un artista storico, Paolo Dorazio, nipote di Piero Dorazio grande artista del XX secolo ,astrattista che si distingue per l'uso attento del colore seguendo la scia di artisti come Isaac Newton. Detentore delle opere di Dorazio è l'avvocato Paolo Melchionna che è presidente della Fondazione Paolo Dorazio. Le opere del maestro sono state esposte nella sala della mostra,insieme alle opere della Serena Pizzo.
Si conclude la manifestazione con la terza sfilata che parte con le modelle che sfilano gli abiti personalizzati stile Rebel e Chic Chic Bon Bon,sulle note di “Per Elisa” di Battiato, mentre la coreografa Eleonora Bedini chiude interpretando Per Elisa con movimenti fluidi che esprimono l'atmosfera malinconica della canzone.
| a sn. la prof Sabina Fattibene e Donna Serena Pizzo |
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Nell'ultimo defilè con abiti da sposa sulle note di “Huricane” di Bob Dylan Si ringraziano gli ospiti e chi è stato protagonista dell'evento,l'Agenzia di modelle e spettacolo di Stefania Appugliese, il giornalista Virgilio Violo, il musicista Umberto Mori per aver recitato una delle sue splendide poesie.
La solennità! Il Teatro merita e deve riguadagnare solennità. C’è troppo teatro irriverente mentre -di anno in anno e da ben 29 anni- il Maestro Marcello Amici -con La Bottega delle Arti- va a colmare un prezioso spazio di cielo con le Opere di Pirandello. E’ così che anche quest’anno la Prima della rassegna, che dura dal 1° al 26 luglio, ha avuto la sua solenne celebrazione. L’inestimabile fondale della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio con i due maestosissimi Pini marittimi hanno retto voce e
gesti di quel magico capocomico che è Marcello Amici. Il firmamento dell’Aventino, che a perdita d’occhio si spinge fino alle massime cupole romane, ha veicolato le voci degli attori narrando la magnificenza della parola teatrale d’Autore che è letteraria. Incipit della Rassegna l’Opera: “Tutto per bene”, e ne è valsa la pena! Le denunce che il Maestro Amici ha fatto in chiusura della serata, da vecchio nobile Padre del teatro e con la forza partorita dalla passione vivissima e indomita riguardo i ritardi e le disattenzioni della burocrazia verso la più alta forma di pedagogia sociale, sono arrivate al cuore dei tanti accorsi all’appuntamento annuale lacerando il loro profondo senso di riverenza e spingendosi anche oltre, a tutti gli italiani che tale senso nutrono verso la parola drammaturgica.
Tutto “non molto” per bene in questa nostra Nazione che pare attardarsi nel recupero della sua millenaria nobiltà. La serata è stata deliziosa, Roma adagiata e bella, le stelle, lo skyline mozzafiato, il profumo, il Tevere, il giardino, la pergola, i reperti, il pubblico e gli attori emozionati della sostanza che tutte le Prime iniettano-. Tutto e tutti sono stati meravigliosi, stupendi i costumi, bella la scenografia, la regia e le luci che, dipingendo sui volti, stigmatizzavano vieppiù i tratti della mimica. E se, come Proust anche Pirandello ha conferito sostanza drammatica al sentimento del tempo quando esso fa virar la tragedia in farsa…nel tempo eterno del cielo romano s’è potuto comprendere ancora una volta come il Tempo cambi gli spiriti e i destini. Essere, esistere! Beh, Pirandello seppe darne magistrale parola; la guerra dell’uomo con se stesso, quel difficile, acuto, spinoso rapporto di ogni uomo con se stesso, che Pirandello ha messo in scena e insegnato ai futuri, futuri drammaturghi, futuri attori, futuri spettatori, vale a spingerci a fare tutto per bene, a recuperare il fare ad arte; ed è proprio il Fare d’Opera d’Arte che vorrei sottolineare. Il Fare a Regola d’Arte che Marcello Amici con Maurizio Sparano, Francesca Di Gaetani, Marco Sicari, Emilia Guariglia, Luca Guido, Beatrice Picariello e Marco Bellizi hanno donato al cielo d’una sempre magnifica Roma perché continui ad eternare la parte migliore di sé.
