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Politics (397)

    Carlotta Caldonazzo

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June 05, 2023

June 04, 2023

Comprendere come si sta configurando la struttura delle relazioni internazionali non è una sfida semplice, considerate anche le vicende relative al conflitto tra Russia e Ucraina che rendono lo scenario mondiale turbolento e incerto. Il libro “Indagine sul multipolarismo” accetta la sfida ed impegna una serie di studiosi internazionali (russi, statunitensi, cinesi, italiani, francesi) nell’analisi del concetto. Infatti, il multipolarismo è la categoria su cui ruota tutto il contenuto del volume. Esso viene disarticolato, quasi vivisezionato, in una miriade di analisi, che richiedono un notevole impegno al lettore per essere ricomposte in un quadro di sintesi tale da fornire una guida interpretativa.

 

Viene dispiegato un vasto armamentario concettuale costituito da modelli e teorie di vario genere che offrono molti interrogativi e qualche risposta che illumina il cammino analitico dei lettori. Per gli esperti di geopolitica e studiosi di relazioni internazionali costituisce una palestra per esercizi teorici rivolti ad irrobustire le loro capacità speculative, per il lettore meno esperto e non aduso ad un linguaggio specialistico rappresenta sicuramente una lettura utile ma particolarmente impegnativa e sfidante. Insomma, il libro non si legge tutto di un fiato comodamente seduti su una poltrona.

 

Il presupposto da cui le analisi contenute nel volume si muovono è la presa d’atto che siamo in una fase storica di progressiva redistribuzione del potere e del prestigio internazionale. Pertanto, è sempre più necessaria una seria riflessione sul multipolarismo anche perché il suo contenuto nel linguaggio corrente è spesso carico di una forte ambiguità come uno degli autori (Alessandro Colombo) riconosce nella ampia prefazione.

Il multipolarismo è una categoria delle scienze politiche, ed in particolare delle relazioni internazionali, la quale unitamente a unipolarismo e bipolarismo descrive la struttura del sistema internazionale e da conto della configurazione del potere a livello mondiale sia esso militare, politico, economico, tecnologico e culturale. Insomma, ci dice come il potere è distribuito nel mondo, a quali attori statali si ascrive e i punti di concentrazione. Il valore è essenzialmente analitico descrittivo. Oggi invece a questo concetto viene attribuita una valenza anche normativa, cioè sarebbe una configurazione secondo alcuni ideale verso cui tendere al fine di avere un ordine mondiale stabile, sicuro e pacifico, ovviamente da preferire alle altre due forme.

Considerata quest’ambiguità concettuale, in cui l’essere si sovrappone al dover essere, è apprezzabile il fatto che gli autori del volume cerchino di dare un contributo per chiarire il significato e l’utilizzo del concetto stesso.  Da un lato si cerca di capire quali sono le tendenze che guidano il sistema mondiale, da un altro invece si ragiona sulla efficacia di un sistema multipolare nelle relazioni internazionali.

L’interrogativo decisivo lo pone Antonio Colombo il quale domanda se ha senso chiedersi se il sistema internazionale sia unipolare, multipolare o bipolare.

Una strada analitica da percorrere è capire – sostiene Colombo – come all’interno di un’area regionale si distribuisce il potere rinunciando a rinchiudere tutte le regioni in una medesima scacchiera diplomatica e strategica dettata da unipolarismo, bipolarismo e multipolarismo.

Se si adotta questa prospettiva si percepisce l’emergere di un ordinamento spaziale alternativo (l’India in Asia meridionale, il Brasile in America Latina, il Sud Africa nell’Africa sub-sahariana, la Cina in Asia orientale, la Russia tra Europa e Asia, l’Unione Europea), edificato sulla capacità di organizzazione delle singole regioni e sulla (progressiva) esclusione di qualunque interferenza esterna nelle proprie dinamiche di pace e di guerra.

Dal 1648 al 1945 il mondo ha visto il susseguirsi di Sistemi Multipolari, dove la distribuzione del potere è a capo di un numero ristretto di attori. Dal 1945 circa in poi, durante la Guerra Fredda si afferma un sistema bipolare dominato dagli Usa e dall’Unione Sovietica. Con il crollo di Berlino emerge un sistema unipolare che intorno al 2007/2008 presenta una configurazione di transizione verso forme differenti che hanno tratti multipolari e bipolari, a seconda della prospettiva di osservazione ed in cui la dimensione regionale assume una sempre maggiore rilevanza come viene messo in evidenza da diversi autori.

In questo contesto assume una particolare rilevanza il fattore “tecnologia”. Il sistema internazionale si sta configurando su un bipolarismo tecnologico in cui gli Usa e la Cina giocano la partita principale. Gli altri attori presenti nell’arena geopolitica politica mondiale ed in particolare l’Europa, relativamente alle piattaforme digitali, infrastrutture di trasmissione, cavi e data store, intelligenza artificiale stanno cercando di recuperare il divario rispetto ai due attori principali. L’Europa gioca una partita rivolta a costruire una propria sovranità tecnologia presupposto di una autonomia strategica che ancora non riesce a sviluppare a pieno e capace di metterla in grado di scalfire la supremazia tecnologica di Pechino e Washington.

Epicentro del libro sono gli articoli dello studioso russo Andrej Kortunov, direttore del Russian International Council di Mosca e autore del saggio “Tra policentrismo e Bipolarismo” e Phil Kelly geopolitico statunitense che si confronta con il russo nell’articolo “La transizione attuale della politica globale”.

Kelly sostiene che la politica globale sta attualmente passando dall’unipolarismo a una costellazione diversa, che sarà, molto probabilmente, bipolare o multipolare. Dove tale transizione giungerà, al momento non è ben chiaro.

La multipolarità è diventata nella concezione di Kortunov- afferma Kelly- «nient’altro che un’immagine dell’ordine mondiale desiderato, tratteggiata con le linee più sottili».

Un’alternativa convincente al multipolarismo sarebbe il multilateralismo, perché si baserebbe più sulla cooperazione e sugli interessi comuni tra tutti gli stati piuttosto che su una gerarchia di potere e privilegio.

Il multilateralismo di Kortunov, sembra tradursi in una focalizzazione sui mercati comuni e sul modello di integrazione regionale.

In definitiva, sostiene Kelly, Kortunov ci offre poco per spiegare perché il suo multilateralismo segni un miglioramento negli affari esteri o come possa essere raggiunto. Una lettura contemporanea dei mercati comuni potrebbe indicare, al contrario, un progresso ritardato verso livelli più elevati di integrazione.

Le previsioni dei due autori divergono in modo sostanziale. Mentre Kelly intravede un’era di disordine e conflitto, Kortunov ipotizza che la terra andrà incontro ad un epoca di integrazione pacifica e stabilizzante. Kelly sostiene la sua tesi utilizzando la teoria dell’equilibrio del potere, il realismo e altre teorie che, come viene ampiamente illustrato, sostengono la previsione di una transizione turbolenta verso un ordine mondiale che ancora deve definire i contorni.

In conclusione, la multipolarità, riprendendo il pensiero di uno degli autori, Côme Carpentier de Gourdon, è uno dei caratteri che sovente si ritiene essere tipico dell’architettura attualmente in evoluzione del mondo moderno; soprattutto dopo la crisi del 2007/08 che ha colpito profondamente le economie occidentali dominanti e stimolato contemporaneamente l’ascesa di Cina, India, Russia e di altre nazioni emergenti.

Rispetto alle tendenze future che disegneranno le configurazioni future del sistema internazionale vale come guida l’affermazione dell’autore francese  ”Le teorie sono come le carte astrologiche. Mappano le configurazioni celesti e delineano le possibili conseguenze, ma non possono fornire certezze sul futuro”.

 

Scheda del libro

INDAGINE SUL MULTIPOLARISMO. Pareri a confronto

A cura di Tiberio Graziani – Prefazione di Alessandro Colombo

Autori: Paolo Bargiacchi, Alberto Bradanini, Côme Carpentier de Gourdon, Aymeric Chauprade, Aleksej Gromyko, Phil Kelly, Andrej V. Kortunov, Zeno Leoni, Andrea Muratore, Igor Pellicciari, Emanuel Pietrobon, Huasheng Zhao.

Collana Giano. Relazioni Internazionali diretta da Tiberio Graziani.

Edizioni Callive, Roma 2023 – ISBN 9788889991749 – Euro 20

 

da Analisidifesa.it

 

 

June 04, 2023

May 29, 2023

May 27, 2023

Non c'è nulla di cui sorprendersi. È tutto scandalosamente normale: una masnada di ignorantoni eterodiretti, rappresenta le istituzioni europee occupandone i più alti Uffici. Costoro non sono sfiorati dalla vergogna perché presi da una condizione di imbarazzante quanto sconcertante inadeguatezza sia culturale sia morale. Ma andiamo per gradi... 

… come alcuni di voi sapranno, gli scontri tra Ucraina e Russia si sono concentrati nell'oblast di Belgorod (di cui è anche toponimo), importante snodo ferroviario a due passi dal confine. Tali scontri hanno impresso una certa stampa ma soprattutto i reparti militari coinvolti a vario titolo. Dunque, tale situazione delicata, ha preteso un chiarimento ufficiale. Chiarimento ufficiale che è stato affidato al cosiddetto “alto rappresentante dell'ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza”, lo spagnolo Josep Borrell. Un giornalista accreditato alla conferenza stampa ufficiale dell'UE ha chiesto a Borrell quale fosse l'attuale situazione nell'oblast di Belgorod. Egli ha risposto di non essere a conoscenza di nulla che riguardasse Belgrado (Serbia).Gelo in sala, il giornalista scandisce il nome B elgorod ma l'

Non sono a conoscenza di nulla. Né di Belgrado né di BelgorF. Non posso commentare cose di cui non sono a conoscenza!

Semplice, no? Lui non ne sa nulla e quindi non ne parla! Lui, la nostra “guida politica estera e di sicurezza comune dell'ue” di cui è pure vicepresidente, grazie alla modifica introdotta nel 2008 dal trattato di Lisbona. E pensare che la guerra in corso è giunta alla fine del quindicesimo mese consecutivo e il fenomeno post-nogheriniano, giusto 24 ore prima di questa figuraccia aveva dichiarato che l'addestramento dei piloti ucraini al pilotaggio degli F-16 è già iniziato in molti  Paesi , come la Polonia. Questo prenderà tempo ma prima si inizia meglio è. All'inizio si discute, i Paesi sono riluttanti, come per i Leopard, ma alla fine ci si arriva. Ed è una misura ulteriore per far sì che l'Ucraina si possa difendere.

 

Alcune malelingue hanno fatto notare che tra l'abborracciato iberico ed il di Maio scorra buon sangue e larga intesa. Ed anche su questa chiosa, non c'è nulla di cui sorprendersi.

PS

Diffidate dell'articolo capzioso apparso sul sito aperto che ancora non è chiaro se sia un sito che si occupa di satira o meno. In quelle righe, si portano i lettori a credere che sia stato un lapsus, avrebbe solo confuso una località con un'altra. La verità invece è che non ne sa nulla perché costui è una zappa. 

PS bis. 

L'unica testata ad aver pubblicato il video – democraticamente fatto sparire di mezzo per evidenti ragioni di alta sicurezza, verrebbe da pensare – è stata quella di Visione TV che ha recuperato e mandato in chiaro l'estratto presente su tiktok: url https:/ /www.youtube.com/watch?v=stUuNNZz9cI&t=713s

 

May 24, 2023

Non so se sia impossibile sconfiggere la Russia sul campo di battaglia, come ha affermato il Presidente della Federazione Russa. Forse sarebbe meglio dire che è molto difficile. In ogni caso, non ho mai visto - e lo dico da studente universitario che ha anche studiato storia delle relazioni internazionali - così tanta miopia e incoerenza e ipocrisia da parte dei Paesi europei e non, che negano l'evidenza storica più recente, dimenticano impegni presi e accordi diplomatici e tentativi di negoziato e di mediazione per fermare una guerra civile pericolosissima (gli Accordi di Minsk sulla guerra in Donbass, disattesi dal Governo di Kiev nonostante avesse firmato), e sostenere una geopolitica strategica che sta precipitando il mondo verso una escalation militare globale, e tutto ciò viene fatto con una narrazione menzognera della verità dei fatti, sostenuta da mass media che violano il loro dovere deontologico di cronaca e di rispetto della verità dei fatti, deformando e manipolando la ricostruzione storica. La decisione della Federazione Russa di sospendere la sua adesione al Trattato New Start sulle armi nucleari è un altro passo di escalation provocato dal progressivo e continuo sostegno militare che l'Occidente garantisce al Governo di Kiev, fornendo non solo sistemi di difesa ma anche armi offensive (aerei caccia e missili a lungo raggio), e istruendo e addestrando il personale militare ucraino. Giocano con cose di cui non hanno coscienza nelle gravi implicazioni di lungo periodo. Una guerra per procura volutamente in Ucraina da forze atlantiste, sta conducendo il mondo a un passo da un conflitto su vasta scala che potrebbe divenire termonucleare anche a causa di un incidente o di un equivoco. Un atteggiamento arrogante, irresponsabile e stolto da parte dell'Occidente - oltre che eticamente censurabile - di cui rischiamo di subire tutte le conseguenze nella nostra vita quotidiana. Prima gli Europei - e in primis gli italiani - apriranno gli occhi e agiranno protestando in modo civile, pacifico ma fermo, e prima usciamo da questa delicata crisi a spirale che rischia di danneggiare tutti e farci pentire amaramente di essere rimasti distratti e indifferenti a guardare . Occidente - oltre che eticamente censurabile - di cui rischiamo di subire tutte le conseguenze nella nostra vita quotidiana. Prima gli Europei - e in primis gli italiani - apriranno gli occhi e agiranno protestando in modo civile, pacifico ma fermo, e prima usciamo da questa delicata crisi a spirale che rischia di danneggiare tutti e farci pentire amaramente di essere rimasti distratti e indifferenti a guardare. 

 

«Questa Nato serve agli Stati Uniti, ai noi europei no». Ad affermarlo è un’autorità assoluta nel campo della politica internazionale: l’ambasciatore Sergio Romano. Nella sua lunga e prestigiosa carriera diplomatica, è stato, tra l’altro, ambasciatore presso la Nato e ambasciatore a Mosca (1985-1989), nell’allora Unione Sovietica. È stato visiting professor all’Università della California e a Harvard, e ha insegnato all’Università di Pavia, a quella di Sassari e alla Bocconi di Milano. Tra i suoi numerosi libri, ricordiamo, Merkel. La cancelliera e i suoi tempi (con Beda Romano, Longanesi, 2021); Processo alla Russia. Un racconto (Longanesi, 2020); Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, 2018); Il rischio americano (Longanesi, 2003); Il declino dell’impero americano (Longanesi, 2014); Trump e la fine dell’American dream (Longanesi, 2017); Il suicidio dell’Urss (Sandro Teti Editore, 2021); La scommessa di Putin. Russia-Ucraina, i motivi di un conflitto nel cuore dell’Europa (Longanesi, 2022). L’ultimo libro ha un titolo che ben si attaglia alla realtà d’oggi: La democrazia militarizzata. Quando la politica cede il passo alle armi (Longanesi, 2023). Con l’Unità, l’ambasciatore Romano sviluppa una riflessione, che molto fa discutere, che concludeva un suo recente articolo sul Corriere della Sera: «L’Alleanza atlantica ha avuto una parte utile e rispettabile. Ma la guerra fredda è finita, il comunismo è sepolto, gli Stati Uniti hanno avuto un presidente come Trump e sarebbe giunto il momento di fare a meno di un’istituzione, la Nato, che ha ormai perduto le ragioni della sua esistenza». Una considerazione che attualizza quanto lo stesso Romano aveva sostenuto nel 2016, quando la guerra d’Ucraina era molto in là a venire: «La sola scelta di sicurezza per l’Europa dovrebbe essere quella della neutralità. L’Europa non può essere una potenza militare interventista e aggressiva. Credo che se l’Europa scegliesse la strada della neutralità metterebbe in discussione l’esistenza della Nato». E ancora: «Oggi i suoi compiti non sono più indispensabili, certi obiettivi non ci sono più e non c’è motivo di cercare di raggiungerli. Il patto è ancora in piedi perché gli Stati Uniti hanno interesse a mantenere la gestione militare di una grande parte del pianeta. L’Alleanza è una conquista americana, alla quale Washington non intende rinunciare. Sarei stato contento se la Nato fosse stata sciolta alla fine della Guerra Fredda».

Ambasciatore Romano, chiunque provi a proporsi come “facilitatore” negoziale – sia esso il Papa, Lula, Xi Jinping viene subito colpito e affondato. Perché?
Una persona può essere detestata, invidiata, considerata un intralcio. Vi sono ragioni che sfuggono all’analisi politica. E ci sono circostanze in cui la politica deve farsi da parte per lasciare spazio alla psicologia.

Esiste a suo avviso uno spazio negoziale oppure tutto è affidato alle armi?
Prima o dopo verrà il momento del negoziato. Ma per ora e per un futuro indeterminabile le armi sono ancora quelle che dettano legge. Vede, questa è una guerra non soltanto tra alcuni Paesi ma è fondamentalmente diventata una guerra fra due grandi personalità – il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelenski, che stanno giocando se stesse. In questa circostanza è molto difficile che uno dei due si abbandoni a un negoziato in cui lui, in questo caso il discorso vale soprattutto per Zelensky, finisce per avere un ruolo minimo perché entreranno in gioco altre persone, altre motivazioni, altri interessi. Questa per il momento rimane una battaglia tra due leader e lo sarà probabilmente fino al momento in cui o i due si renderanno conto di non poter essere vincitori e allora accettano in qualche modo una soluzione finale o addirittura finisce quando finisce fisicamente uno. Non si tratta di essere pessimisti, ma realisti. Immaginare una soluzione diplomatica è uno sforzo titanico destinato per il momento a rimanere tale, non solo per quanto detto prima, lo scontro tra due leader che si stanno giocando il loro futuro, ma anche perché in gioco sono entrati di terze parti, nella fattispecie gli Stati Uniti.

Lei è uno dei pochi in Italia ad aver cercato in questo tempo di guerra di andare oltre lo schema aggredito-aggressore e andare alle radici delle ragioni profonde, che non nascono certo il 24 febbraio 2022, della guerra.
Non c’è dubbio che dietro la vicenda ucraina vi è il desiderio della Russia di riconquistare quella autorevolezza, quel prestigio, quello spazio di potere che aveva quando ancora si parlava di impero russo. Questa aspirazione mi sembra essere una delle grandi motivazioni di questa vicenda. Se un Paese come la Russia aspira a ridiventare la grande potenza che è stata in passato, è inevitabile che molte altre medie potenze o addirittura in qualche caso piccoli Stati possano essere preoccupati e temere che questa grande Russia a un certo punto toglierà loro qualche cosa. Partirei da questa considerazione e cercherei di capire esattamente quali siano le motivazioni nei casi specifici. La ragione fondamentale è quella di un’aspirazione imperiale e questo non può certo piacere agli Stati Uniti che si sono visti coinvolti in una vicenda che teoricamente non avrebbe mai dovuti coinvolgerli. Eppure così è stato.

Perché, ambasciatore Romano?
Se la Russia non ha soltanto un “piccolo” problema da risolvere con l’Ucraina ma vuole approfittare di questa circostanza per diventare nuovamente una potenza imperiale, beh a Washington questo non va giù. Quanto a noi, noi Europa, le ribadisco quanto ho avuto modo di scrivere poco tempo fa sul Corriere: dopo avere avuto in altri tempi ambizioni imperiali ed essere stata anche un nido di nazionalismi prepotenti e aggressivi, l’Europa dovrebbe essere ormai una confederazione di Stati politicamente saggi e maturi, una grande potenza economica e sociale, una “grande Svizzera” composta da amici e reciproci clienti. Per l’efficacia di una tale confederazione tuttavia, la Russia non dovrebbe essere un nemico, ma un compagno di strada nel cammino verso un’Europa sempre più confederale. Non dovremmo vedere nella Russia soltanto un pericoloso concorrente, ma anche un utile interlocutore verso obiettivi che possono essere pacificamente condivisi. So bene che in tempi come questi può apparire un sogno, ma coltivarlo e provare a realizzarlo sarebbe buona cosa.

Quando si fa riferimento all’atteggiamento del mondo nei confronti di questa guerra, sottolineando una avversione condivisa nei confronti dell’aggressore russo, non pecchiamo di “occidentalismo” o di eurocentrismo?
Le confesso che il concetto di “occidentalismo” mi sembra poco rilevante. Se siamo di fronte ad un forte desiderio della Russia di riconquistare un ruolo, quel ruolo non è “occidentale” né “orientale”. Sono delle ambizioni che vanno molto al di là della singola questione regionale.

Ambasciatore Romano, la metto giù seccamente. Perché il solo ragionare di un superamento-scioglimento della Nato sembra essere un’eresia, una bestemmia e chi prova a ragionarci su viene additato come un sodale di Putin?
Sempre continuando a ragionare con la mia tesi: è inevitabile che gli Stati Uniti in questo momento si guardino attorno e vogliano avere ancora quei consensi, quelle amicizie, quelle alleanze che avevano negli anni della Guerra fredda. Noi abbiamo pensato che la Guerra fredda fosse finita, e la Guerra fredda è finita. Ma ne è cominciata un’altra. Questo desiderio imperiale della Russia non ha più nulla a che vedere con i criteri della Guerra fredda, ma è inevitabile che gli Stati Uniti considerino dal loro punto di vista l’ambizione russa inaccettabile, pericolosa. Non mi ha sorpreso la reazione di Washington. Non va dimenticato, peraltro, che anche gli Stati Uniti hanno ambizioni imperiali e forse in questo momento tali ambizioni sono più realistiche di quelle della Russia. Gli Stati Uniti stanno praticando queste ambizioni imperiali e lo fanno utilizzando quegli strumenti che noi consideravamo divenuti inutili, come la Nato, in quanto la Guerra fredda era finita. Ma siccome la Nato è una istituzione in cui gli Stati Uniti hanno un enorme potere, ecco che la Nato diventa lo strumento per praticare queste ambizioni imperiali, al servizio di un Paese – gli Usa – che vuole conservare quello che aveva all’epoca della Nato-Guerra fredda.

Reiterare quella funzione, motivandola come la lotta delle democrazie liberale contro le autocrazie, a cominciare da quella russa. È corretto, ambasciatore Romano?
Non ho avuto l’impressione che questo tema venisse molto frequentemente utilizzato. Detto questo, non sarei sorpreso se gli Stati Uniti facessero appello a questi vecchi concetti che in questo modo possono essere rinfrescati e rimessi sul tavolo. Da un punto di vista europeo, questo non ha più niente a che vedere con la Nato.

Perché?
Perché la Nato serve agli Stati Uniti. Non serve a noi. Poi se qualcuno è più amico degli Stati Uniti di quanto sia necessario esserlo, probabilmente suonerà la musica che piace maggiormente a Washington. Ma io non mi unisco a questo coro.

 

Da L’Unità del 21 maggio ’23   

 

May 21, 2023

May 15, 2023

May 09, 2023

GD – Perugia, 9 mag. 23 - Nell'ambito delle attività del Corso di Laurea magistrale in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo, Dipartimento di Scienze umane e sociali internazionali dell'Università per Stranieri di Perugia, è iniziato un ciclo di eventi dedicati alla politica internazionale, organizzati dal prof. Emidio Diodato. E nel primo incontro, nell'Aula I della Palazzina Valitutti, è stata presentata la rivista di politica internazionale “Geopolitica” delle Edizioni Callive.

“Geopolitica” è una rivista accademica multilingue giunta al suo dodicesimo anno di vita, riconosciuta dall'Anvur Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario per le Aree 11, 13 e 14.

Alla presentazione hanno partecipato il direttore Tiberio Graziani, Emidio Diodato e Giuliano Luongo che hanno discusso gli ultimi tre numeri, dedicati rispettivamente alla Cina, alla Geopolitica delle risorse al tempo della guerra tra l'Occidente e la Russia e all'Asia centrale.

La Cina e il Mondo - Studiare la Repubblica Popolare Cinese non può essere fatto trascurando le relazioni della nazione asiatica con il resto del mondo. Perché nel bene – con il boom economico promosso dalle riforme di Deng Xiaoping – o nel male – con il Secolo dell'Umiliazione – il resto del mondo ha segnato e continua a plasmare l'ascesa della Cina.

Allo stesso tempo, il successo economico e l'espansione militare di Pechino impongono agli altri Paesi, fra i quali quelli dell'Occidente, di imparare lezioni ma anche di reagire a tale ascesa e di praticare nuovi equilibri per il mondo che verrà.

Questo numero di “Geopolitica”, curato da Tiberio Graziani e Zeno Leoni, è uscito in un momento in cui comprendere le relazioni fra la Cina e il mondo è più importante che mai. Numerosi sono gli interrogativi che la nazione asiatica suscita tra gli scienziati e gli osservatori di politica estera, ma anche tra i decisori della sicurezza, della politica, dell'economia e della finanza internazionale.

Pechino vuole integrarsi nell'ordine liberale o costruire una propria rete d'influenza che includa i Paesi in via di sviluppo? Oppure, contribuire alla costruzione di una nuova architettura internazionale multipolare, insieme alla Russia? La Marina dell'Esercito Popolare di Liberazione seguirà l'espansione economica delle rotte commerciali cinesi, sulle orme degli imperi del passato? E poi, Pechino è disposta ad andare in guerra con l'Occidente per Taiwan?

Questo numero di “Geopolitica” aiuta a capire la Cina attraverso le proprie relazioni internazionali.

La Geopolitica delle risorse al tempo della guerra tra l'Occidente e la Russia Il conflitto russo-ucraino del 2022, la cui conclusione sembra ancora lontana, ha riaperto una serie di scenari di opposizione (semi)bipolare tendenti a confermare la mai sopita rivalità tra le grandi sfere di influenza a livello globale. In particolare, questo nuovo scenario bellico – capace di sintetizzare elementi di guerra “guerreggiata” e prassi tipiche della politica dei “blocchi” da guerra “fredda” – ha aperto una serie di nuove prospettive di rilievo sotto il profilo delle transazioni in commodities di vario genere e origine. La Federazione Russa, nonché la Cina, si ergono protagoniste con un ruolo cardine in questo rimescolato scacchiere globale, nel quale la tendenza a ricreare un equilibrio di poteri di matrice vetusta sembra concretizzarsi in maniera sempre più preponderante. Quasi a conferma di uno dei pilastri della riflessione geopolitica, l'ago della bilancia di questa nuova conflittualità globale sono proprio le risorse, energetiche in particolare, i cui movimenti tendono a determinare il posizionamento dell'una o dell'altra forza geopolitica in gioco.

Il volume della rivista, curato da Tiberio Graziani e Giuliano Luongo, fornisce una serie di contenuti provenienti da autori di rilievo che aiutano il lettore ad approfondire i complessi e vari aspetti della geopolitica delle risorse. L’Asia Centrale nella ridefinizione degli equilibri mondiali. Le turbolenze provocate dal conflitto in Ucraina continuano a riverberarsi sull’insieme della “scacchiera eurasiatica”.

In particolare, la situazione nel teatro centrasiatico assume una crescente importanza nel contesto del più ampio confronto fra la Federazione Russa e l’intero Occidente. La regione, infatti, potrebbe rivelarsi tanto un’area di cooperazione russo-cinese quanto un elemento di contraddizione in un partenariato di respiro globale.

L’odierna Asia centrale misura la propria importanza nel mondo del XXI secolo quale elemento di connettività fra l’Asia e l’Europa, snodo fondamentale per le infrastrutture logistiche promosse dalla Cina nel quadro della “Belt and Road Initiative” (BRI o nuove vie della seta), destinate a farne un ponte da e verso il Mediterraneo ed il Medio Oriente. Gli sviluppi in termini di connettività avranno conseguenze di lunga portata tanto in una prospettiva logistica che geoeconomica; soprattutto nel quadro della ridefinizione di equilibri tra le grandi potenze regionali.

Le rivolte in Kazakistan d'inizio 2022, la meno cruenta ma ugualmente inattesa instabilità emersa nella provincia karakalpaka dell'Uzbekistan a luglio, così come gli scontri fra tagiki e kirghizi nell'agosto dello stesso anno, sono eventi che dimostrano come la situazione interna della regione permanga in una condizione magmatica, tale da assorbire ed amplificare le pressioni geopolitiche esterne.

Il fascicolo, curato da Tiberio Graziani e Fabrizio Vielmini, si propone di porre all'attenzione degli addetti ai lavori la valutazione di tali ridefinizioni in atto, mettendo in evidenza le strategie dei principali attori geopolitici così come dei paesi della regione.

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