L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Politics (357)

    Carlotta Caldonazzo

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February 05, 2023

January 29, 2023

January 23, 2023

January 16, 2023

January 10, 2023

January 09, 2023

"Ecco perché sull'Ucraina il giornalismo sbaglia. E spinge i lettori verso la corsa al riarmo": lo sfogo degli ex inviati in una lettera aperta.

 

Undici storici corrispondenti di grandi media lanciano l'allarme sui rischi della narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto: "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin". L'ex inviato del Corriere Massimo Alberizzi: "Questa non è più informazione, è propaganda. I fatti sono sommersi da un coro di opinioni". Toni Capuozzo (ex TG5): "Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori. Trattare così il tema vuol dire non conoscere cos'è la guerra".

"Osservando le televisioni e leggendo i giornali che parlano della guerra in Ucraina ci siamo resi conto che qualcosa non funziona, che qualcosa si sta muovendo piuttosto male". Inizia così l'appello pubblico di undici storici invitati di guerra di grandi media nazionali (Corriere, Rai, Ansa, Tg5, Repubblica, Panorama, Sole 24 Ore), che lanciano l'allarme sui rischi di una narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto nel giornalismo italiano (qui il testo integrale sul quotidiano online Africa ExPress). "Noi la guerra l'abbiamo vista davvero e dal di dentro: siamo stati sotto le bombe, alcuni dei nostri colleghi e amici sono caduti", esordiscono Massimo Alberizzi, Remigio Benni, Toni Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano Laruffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, Amedeo Ricucci, Claudia Svampa, Vanna Vannuccini e Angela Virdò. "Proprio per questo – spiegano – non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell'era web avanzata. Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi", notano i firmatari. "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo". Proprio per questo – spiegano – non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell'era web avanzata. Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi", notano i firmatari. "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo". Proprio per questo – spiegano – non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell'era web avanzata. Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi", notano i firmatari. "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo". ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi", notano i firmatari. "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo". ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi", notano i firmatari. "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo". Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo". Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo".

Quegli stessi media che “ci continuano a proporre storie struggenti di dolore e morte che colpiscono in profondità l'opinione pubblica e la preparano a una pericolosissima corsa al riarmo. Per quel che riguarda l'Italia, a un aumento delle spese militari fino a raggiungere il dovuto per cento del Pil. Un investimento di tale portata in costi militari comporterà inevitabilmente una contrazione delle spese destinate al welfare della popolazione. L'emergenza guerra – concludendo – sembra ci abbia fatto accantonare i principi della tolleranza che dovrebbero informare le società liberaldemocratiche come le nostre". Un investimento di tale portata in costi militari comporterà inevitabilmente una contrazione delle spese destinate al welfare della popolazione. L'emergenza guerra – concludendo – sembra ci abbia fatto accantonare i principi della tolleranza che dovrebbero informare le società liberaldemocratiche come le nostre". Un investimento di tale portata in costi militari comporterà inevitabilmente una contrazione delle spese destinate al welfare della popolazione. L'emergenza guerra – concludendo – sembra ci abbia fatto accantonare i principi della tolleranza che dovrebbero informare le società liberaldemocratiche come le nostre".

Alberizzi: “Non è più informazione, è propaganda” – Parole di assoluto buonsenso, che tuttavia nel clima attuale rischiano fortemente di essere considerate estremiste. “Dato che la penso così, in giro mi danno dell’amico di Putin”, dice al fattoquotidiano.it Massimo Alberizzi, per oltre vent’anni corrispondente del Corriere dall’Africa. “Ma a me non frega nulla di Putin: sono preoccupato da giornalista, perché questa guerra sta distruggendo il giornalismo. Nel 1993 raccontai la battaglia del pastificio di Mogadiscio, in cui tre militari italiani in missione furono uccisi dalle milizie somale: il giorno dopo sono andato a parlare con quei miliziani e mi sono fatto spiegare perché, cosa volevano ottenere. E il Corriere ha pubblicato quell’intervista. Oggi sarebbe impossibile“. La narrazione del conflitto sui media italiani, sostiene si fonda su “informazioni a senso unico fornite da fonti considerate “autorevoli” a prescindere. L’esempio più lampante è l’attacco russo al teatro di Mariupol, in cui la narrazione non verificata di una carneficina ha colpito allo stomaco l’opinione pubblica e indirizzandola verso un sostegno acritico al riarmo. Questa non è più informazione, è propaganda. I fatti sono sommersi da un coro di opinioni e nemmeno chi si informa leggendo più quotidiani al giorno riesce a capirci qualcosa”.

Negri: “Fare spettacolo interessa di più che informare” – “Questa guerra è l’occasione per molti giovani giornalisti di farsi conoscere, e alcuni di loro producono materiali davvero straordinari“, premette invece Alberto Negri, trentennale corrispondente del Sole da Medio Oriente, Africa, Asia e Balcani. “Poi ci sono i commentatori seduti sul sofà, che sentenziano su tutto lo scibile umano e non aiutano a capire nulla, ma confondono solo le acque. Quelli mi fanno un po’ pena. D’altronde la maggior parte dei media è molto più interessata a fare spettacolo che a informare”. La vede così anche Toni Capuozzo, iconico volto del Tg5, già vicedirettore e inviato di guerra – tra l’altro – in Somalia, ex Jugoslavia e Afghanistan: “L’influenza della politica da talk show è stata nefasta”, dice al fattoquotidiano.it. “I talk seguono una logica binaria: o sì o no. Le zone grigie, i dubbi, le sfumature annoiano. Nel raccontare le guerre questa logica è deleteria. Se ci facciamo la domanda banale e brutale “chi ha ragione?”, la risposta è semplice: Putin è l’aggressore, l’Ucraina aggredita. Ma una volta data questa risposta inevitabile servirebbe discutere come si è arrivati fin qui: lì verrebbero fuori altre mille questioni molto meno nette, su cui occorrerebbe esercitare l’intelligenza”.

Capuozzo: “In guerra i dubbi sono preziosi” – “Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori”, argomenta Capuozzo. “Invece è proprio in queste circostanze che i dubbi sono preziosi e l’unanimismo pericolosissimo. Credo che questo modo di trattare il tema derivi innanzitutto dalla non conoscenza di cos’è la guerra: la guerra schizza fango dappertutto e nessuno resta innocente, se non i bambini. E ogni guerra è in sè un crimine, come dimostrano la Bosnia, l’Iraq e l’Afghanistan, rassegne di crimini compiute da tutte le parti”. Certo, ci sono le esigenze mediatiche: “È ovvio che non si può fare un telegiornale soltanto con domande senza risposta. Però c’è un minimo sindacale di onestà dovuta agli spettatori: sapere che in guerra tutti fanno propaganda dalla propria parte, e metterlo in chiaro. In situazioni del genere è difficilissimo attenersi ai fatti, perché i fatti non sono quasi mai univoci. Così ad avere la meglio sono simpatie e interpretazioni ideologiche”. Una tendenza che annulla tutte le sfumature anche nel dibattito politico: “La mia sensazione è che una classe dirigente che sente di avere i mesi contati abbia colto l’occasione di scattare sull’attenti nell’ora fatale, tentando di nascondere la propria inadeguatezza. Sentire la parola “eroismo” in bocca a Draghi è straniante, non c’entra niente con il personaggio”, dice. “Siamo diventati tutti tifosi di una parte o dell’altra, mentre dovremmo essere solo tifosi della pace”.

December 26, 2022

December 19, 2022

December 13, 2022

December 02, 2022

«L'Occidente ha la mania dei distinguo», diceva il pianista canadese Glenn Gould, primo artista nordamericano a esibirsi oltre la cortina di ferro; così, nel quadro della sbandierata antinomia tra democrazie e autocrazie, divenuta, dopo l'implosione dell'Unione sovietica, uno degli slogan della globalizzazione neoliberista trionfante, si sono accumulate contraddizioni che si trovano modo di affiorare, a tratti, nelle maglie del riassetto geopolitico in corso

 

Calcio(e)mercato

Mentre le polemiche sull'assegnazione al Qatar del ruolo di paese ospitante dell'edizione 2022 dei campionati mondiali di calcio, una volta iniziata la competizione, si sono concentrate per lo più sulla questione dei diritti della comunità LGBTQ, poco o nulla attivisti e governi del blocco occidentale   hanno obiettato sulla scelta di Doha come uno dei principali fornitori di gas alternativi alla demonizzata Russia, o sulla sua designazione, da parte del presidente statunitense Joe Biden, come uno dei maggiori alleati di Washington al di fuori dell'Organizzazione del trattato dell' Atlantico Nord (OTAN/NATO). Analogamente, da un lato, i calciatori della nazionale tedesca, in occasione della prima partita del mondiale, si sono fatti fotografare con una mano sulla bocca, esprimendo il loro sdegno per la decisione della Federazione internazionale di calcio dell'Association (FIFA) di impedire agli sportivi in ​​campo di indossare simboli della difesa dei diritti LGBTQ; dall'altro, il 29 novembre, la direzione della Qatar Energy ha annunciato di aver stipulato un accordo con Berlino per l'esportazione di due milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto (gnl) ogni anno, a partire dal 2026. Inoltre, il Qatar , uno dei primi paesi al mondo per reddito pro capite e che possiede il più grande giacimento di gas della Terra (il North Field, nel Golfo persico), dai primi anni Duemila ha continuato ad accrescere il proprio potere economico-finanziario in Europa, Germania in primis , senza neanche il bisogno di ricorrere al cosiddetto sportwashing . Ci ha pensato, infatti, il fondo sovrano Qatar Investment Authority , istituito nel 2005 dall'allora emiro Hamad ben Khalifa Al Thani, che, investendo somme di denaro stratosferiche tra Stati uniti ed Europa (si veda, per l'Europa, l'inchiesta Il miraggio dello sceicco , realizzato da Report ). Simili contraddizioni, dunque, hanno dato spunto al presidente della FIFA Gianni Infantino, che nella conferenza di apertura del mondiale a Doha ha aspramente criticato l'ipocrisia e il doppio standard dell'Occidente , ricordando non solo le dure condizioni dei lavoratori stranieri nel vecchio continente (con un riferimento ai suoi ricordi di infanzia, da figlio di migranti italiani in Svizzera), ma anche i disastri causati dalle potenze coloniali «negli ultimi 3500 anni» , per i quali «noi europei dovremmo chiedere perdono per i prossimi 3500 anni, invece di impartire lezioni morali» .

 

Divisioni Europee

Quanto ai diritti dei lavoratori, benché nelle democrazie neoliberiste euroatlantiche non sia formalmente in vigore un istituto simile alla kafala qatariota, non sono mancati studiosi che, come Marco D'Eramo (si leggano, ad esempio, Il maiale e il grattacielo e il più recente Dominio ), hanno evidenziato il tragico impatto sociale e antropologico del tritacarne iperproduttivista del famigerato mercato del lavoro. D'altronde, se, come ha riportato il quotidiano britannico The Guardian , in Qatar sono morti 6500 lavoratori migranti in dieci anni, tra il 2010 e il 2020, secondo il rapporto annualedell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail), nel solo 2021 in Italia le morti accertate sul lavoro sono state 685. Inoltre, prendendo sempre ad esempio l'Italia, numerosi sono state le inchieste diffuse dai media sulle condizioni di sfruttamento dei migranti (come nei casi accertati di caporalato nelle aziende agricole che servono la grande distribuzione organizzata) e sui fenomeni di tratta in cui incappano nel tentativo di sfuggire alle guerre e alla miseria che affliggono i paesi di origine. Per questo, Infantino, nella conferenza stampa sopra citata, ha invitato il vecchio continente , nel caso in cui tenga davvero alle condizioni dei migranti lavoratori, a « creare canali legali con cui possono andare a lavorare in Europa, come ha fatto il Qatar» (sì!). Peraltro, nella gestione dei flussi migratori il doppio standard europeo è stato velatamente messo in luce dal presidente della Commissione delle Nazioni Unite per la Siria Paulo Pinheiro, che, in un'intervista al canale Euronews , ha richiamato l'attenzione sulla disparità di trattamento ricevuto dai rifugiati ucraini e da quelli siriani (cui si potrebbero aggiungere i profughi dall'Afghanistan, dal resto del Medio Oriente e dal continente africano). Differenza che si è riproposta in occasione delle ultime schermaglie franco-italiane esplose in merito all'approdo della nave Ocean Viking , dell'organizzazione non governativa Sos Méditerranée, ma che potrebbero celare dissidi geostrategici più profondi, a partire dalle posizioni di Roma e Parigi sullo scacchiere libico, che coinvolge, oltre alla Russia, anche la Turchia, potenza regionale dalle aspirazioni (o dalle velleità) imperiali crescenti.

 

I dilemmi della globalizzazione

Nondimeno, anche Infantino sembra sfuggire al doppio standard euroatlantico, visto che, pur difendendo il Qatar come ospite dell'edizione 2022 dei mondiali di calcio, ha escluso la Russia dalle qualificazioni alla medesima competizione, cui ha preso parte, di contro, l'Arabia Saudita, spesso bersaglio di critiche su questioni sensibili, come la sua partecipazione in prima linea al conflitto in Yemen o l'uccisione del giornalista Jamal Khashoggi. Dunque, due pesi geopolitici, due misure: una logica che espone all'etichetta di dittatore o invasore capi di Stato e di governo non (più) disposti a servire la superpotenza statunitense ei suoi satelliti europei, che sulla nozione di democraziaappaiono sovente più severi con gli altri che con se stessi. Con conseguenze che, talvolta, rasentano il ridicolo, come nel caso dell'accordo di adesione dell'Italia alle nuove vie della seta cinesi ( Belt and Road Initiative – BRI ), fortemente osteggiato dagli Usa, che, opponendosi agli investimenti di Pechino nel porto di Trieste, hanno, di fatto, aperto la strada a un'iniziativa analoga nel porto di Amburgo (si veda, in proposito, la puntata di Presa Direttadel 14 marzo scorso). A proposito delle relazioni tra sino-europee, inoltre, il presidente francese Emmanuel Macron, nella sua ultima visita a Washington, ha esortato gli Usa a non utilizzare l'Europa nella loro rivalità con Pechino. Un atteggiamento pragmatico ed equidistante, che, tuttavia, nessun paese europeo (e neppure i rappresentanti di Bruxelles) ha consigliato in merito alla rivalità tra Washington e Mosca e che ha permesso alla Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan di acquisire peso geopolitico presentandosi come mediatore, anche in virtù del controllo esercitato sugli stretti strategici che conducono al Mar nero. In altri termini, l'Europa, appiattendosi sugli interessi statunitensi fino ad escludere dalla propria sfera geostrategica due paesi, Russia e Turchia, che storicamente ne hanno sempre fatto parte, ha mancato un'ulteriore occasione di costituirsi come entità geopolitica autonoma, dopo quella clamorosa dell'inizio degli anni '90 del secolo scorso. Una scelta le cui conseguenze rischiano di andare oltre la distruzione dell'Ucraina o le crisi alimentare ed energetica globale.

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