L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1448)

Free Lance International Press

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April 29, 2025

 

Grande successo in tutta Italia della commedia “L’onorevole, il poeta e la signora” di Aldo De Benedetti
Regia di Francesco Branchetti
con Isabella Giannone , Lorenzo Flaherty e lo stesso Francesco Branchetti

     

GLI INTERPRETI

Parliamo dell’ultimo lavoro del regista e attore Francesco Branchetti, che, insieme alla bravissima Isabella Giannone e all’indiscussa professionalità di Lorenzo Flaherty, fa rivivere nei teatri del nostro Paese la commedia di Aldo De Benedetti intitolata L’onorevole, il poeta e la signora.
La commedia è stata rappresentata in numerosi teatri di tutta Italia, a partire dai primi di febbraio. Un tour che ha attraversato il paese da nord a sud, attirando un pubblico numeroso e appassionato.
Lo spettacolo ha riscosso, e sta ancora riscuotendo, un meritato successo.
Un altro grande successo del bravissimo Francesco Branchetti, che non sbaglia mai la scelta della sua compagnia dove lui stesso interpreta ruoli molto complessi, sia dal punto di vista interpretativo che linguistico.Al suo fianco, una splendida Isabella Giannone, che conferma ancora una volta la sua grande bravura anche in altri testi e commedie.Una piacevolissima scoperta è stato Lorenzo Flaherty, già grande professionista di televisione e cinema, che ha saputo recitare in modo magistrale anche a teatro. Ha interpretato un onorevole che, con disinvoltura, si destreggia tra corteggiamenti, simpatici ricatti e il desiderio di emergere attraverso la creatività di un poeta, che si rivela essere più furbo di quanto voglia far credere.La forza di Branchetti, oltre a essere il risultato di tanta esperienza e preparazione nel campo teatrale, deriva anche dalla sua astuzia e dalla sua sagacia, che gli appartengono naturalmente, così come dalla capacità di immedesimarsi pienamente nel personaggio da interpretare.

LA COMMEDIA

      Si tratta di una commedia umoristica e grottesca, scritta dal commediografo romano Aldo De Benedetti (1892-1970). La storia ruota attorno a Leone,( Lorenzo Flaherty) un onorevole molto attratto da Paola, (Isabella Giannone) una giornalista elegante e astuta. Una sera, Leone riesce a invitarla a casa sua, ma non succede nulla di concreto: la donna lo provoca continuamente mettendolo continuamente in imbarazzo, e poi se ne va.
Dopo l’uscita di Paola, Leone scopre che in casa sua si è introdotto un uomo, Piero, (Francesco Branchetti)  un poeta squattrinato che, nascosto dietro un divano ha ascoltato le sue conversazioni. Da questo incontro casuale nasceranno una serie di eventi che cambieranno la vita di entrambi i personaggi. La commedia è un susseguirsi di equivoci, scambi di persona e situazioni esilaranti, con conseguenze imprevedibili.
      Il testo è ricco di allusioni, riferimenti, dispetti e velati ricatti, e mette in luce come l’intelligenza possa essere usata in modo divertente. La commedia, con una costruzione impeccabile, rispecchia quella teatralità tipica di De Benedetti, offrendo uno spaccato dei salotti dell’Italia di allora, che ospitavano  uomini di potere con relazioni complicate, di talenti svenduti e numerose ambizioni. È anche un’immagine di una società ancora molto attuale, fatta di giochi di identità e scambi sociali che rischiano di essere il male dei nostri giorni, in un contesto di caos sociale e politico.La regia mira a restituire la straordinaria capacità dell’autore di analizzare e raccontare la banalità, il quotidiano, l’inutilità delle convenzioni e la retorica spietata dei rapporti umani. Tutto questo si traduce in un balletto esilarante tra i personaggi, che rende questa commedia un vero e proprio spaccato di ironia e riflessione.

      RINGRAZIAMENTO

      Un plauso ovviamente va a chi con grande forza e vitalità ha reso lo spettacolo divertente, curioso, dove non manca l’ estro e la creatività degli attori che hanno reso vivo l’interesse del numeroso pubblico che entusiasta applaude.
      Il teatro è un’arte che rappresenta molto da vicino l’espressione e i riflessi dell’animo umano. L’attore, infatti, deve immedesimarsi completamente nel carattere, nelle movenze, negli spazi e nei respiri del personaggio che interpreta. Gli attori sono come dei corpi pronti ad accogliere le essenze dei personaggi che portano in scena e questa grande compagnia formata da Francesco Branchetti, Lorenzo Flaherty e Isabella Giannone ci sono riusciti in modo mirabile.

April 28, 2025

April 27, 2025

 Ho paura torero, spettacolo andato in scena al Teatro Argentina dal 3 al 17 aprile e tratto dall’opera dello scrittore cileno - nonché difensore dei diritti umani - Pedro Lemebel, trasporta il pubblico all’interno di una narrazione travolgente, in cui l’amore tormentato dei protagonisti si intreccia con le tragiche vicende di una Santiago del 1986 colpita dalla ferocia di Pinochet, succeduto al governo Allende.

Il regista Claudio Longhi dirige uno spettacolo corale, in cui le vicende dei singoli personaggi offrono alla pièce un tono critico e irriverente. Il protagonista, un transgender conosciuto come “la Fata dell’Angolo” - interpretato da Lino Guanciale - vive una relazione sentimentale con Carlos (Francesco Centorame), studente e militante delle forze ribelli guidate dal “Movimento di liberazione Rodrigo Martinez”. Guanciale offre un’interpretazione dotata di profondità, capace di esprimere un’alternanza tra ironia, delicatezza e fragilità. La sua presenza scenica non rende la Fata una caricatura ingombrante, bensì un personaggio dai toni struggenti, sospeso tra fantasia e amarezza.

L’intimità che si percepisce sin dall’inizio nell’incontro tra le loro storie evoca l’unione di due rivoluzioni che “camminano mano nella mano”. C’è chi crede che la libertà si conquisti con la resistenza indefessa o con atti di guerriglia, e chi invece soltanto attraverso la fede incrollabile in un romanticismo “proibito” che sfugge al peso delle convenzioni. La Fata dell’angolo è la “maschera” di questo secondo e silenzioso atto di ribellione. Frivola e a volte beffarda, La Fata è la personificazione di un desiderio sfuggente, fragile ma soprattutto umano. In effetti è proprio questo che fa della protagonista la voce e il volto di un’ingenuità che si annida nell’intimo di chiunque tenti di realizzarsi in un’esistenza semplice, libera da compromessi, miraggi e false promesse. Da parte della Fata non c’è né ideologia né rivendicazioni politiche, bensì la voglia di star bene, condividendo la spensieratezza e il piacere di un brindisi serale, circondati dalle luci soffuse del suo salotto, uno spazio raccolto ricco di elementi simbolici che sottolineano la calda e rassicurante atmosfera dell’appartamento in netto contrasto con le ambientazioni asettiche del mondo esterno. Oppure, godendosi la bellezza mozzafiato di uno scenario montano, durante un picnic, lontano dal caos cittadino e dall’immagine impietosa della realtà.

La fuga non è nient’altro che un modo per rimanere invisibili a un occhio vigile e ossessivo, che stigmatizza inorridito le “anomalie” dell’omosessualità definendola come un mero “amore tra froci”. Ed è qui che entra in scena un Pinochet caricaturale (Mario Pirello) invischiato in un rapporto grottesco con sua moglie, Doña Lucía (Sara Putignano); il dittatore è in un certo senso vittima della sua stessa reputazione, situazione che lo rende del tutto incapace di contegno e quasi sempre avvezzo ad un’isteria surreale, dettata, oltretutto, dalla consapevolezza di un futuro sempre più incerto per il suo regime. La parentesi di Pinochet offre al pubblico un intervallo esplosivo e parodistico, che pone in enfasi il lato quasi tragicomico della personalità del dittatore, e che il più delle volte è destinato a sfociare in un ridicolo battibecco coniugale condotto a suon di frasi sarcastiche e critiche pungenti. Anche qui, al di là delle smisurate sfumature comiche, si è costretti a celare sé stessi alla verità dei fatti con una maschera, ricorrendo disperatamente a quella soggezione senza la quale nessuna forma di potere avrebbe ragion d’essere.

Qui si misura l’incommensurabilità tra l’utopia del controllo assoluto e una società popolata da emarginati, reietti e desaparecidos coinvolti nella drammatica lotta per mettere fine alle vessazioni del regime. Un coro di coscienze diverse che si identificano in un’unica e pulsante volontà, che si leva come un lamento accompagnato da canzoni latinoamericane, languide e malinconiche, che fanno da eco alla resistenza. Musiche che accompagnano anche la Fata nella sua “danza” solitaria, che tra reminiscenze e sogni condivisi col pubblico, emerge l’insofferenza di un’attesa troppo lunga e la tenerezza di chi spera in un lieto fino. Carlos, tuttavia, non sembra ricambiare i sentimenti dell’amante. Nella sua compagnia, non vede nulla più che un rifugio occasionale per lenire le frustrazioni scaturite da un ideale offeso, e nel suo misero appartamento un possibile covo per chi come lui è costretto ad agire nell’ombra;addirittura, un luogo in cui riporre materiali misteriosi, utili nel proseguimento della lotta. Nel corso della narrazione, il disincanto della Fata dell’angolo traspare a mano a mano che le cose si complicano, specialmente dopo che Carlos, insieme ad altri compagni, è costretto ad abbandonare Santiago dopo un attentato non riuscito a Pinochet. È il punto di non ritorno: l’ignara protagonista si ritrova senza volerlo in quell’intrigo dal quale si è sempre tenuta in disparte, protetta dalla calma sacra e confortante del suo appartamento, prima che un frenetico via vai di militanti stravolgesse il suo angolo privato di vita. Così, anche lei è costretta a lasciare Santiago.

La Fata chiede di vedere Carlos un’ultima volta. L’incontro ha luogo, ma la parola d’ordine pronunciata dal giovane - “Ho paura torero!” - sigilla una separazione, un addio definitivo. Ora tutto è chiaro: la Fata dell’Angolo è dentro la realtà stessa, trascinata contro la sua volontà fuori dal suo mondo incantato, in cui qualsiasi elemento esterno – anche se mosso da ideali di giustizia – appariva profano. Ognuno riprenderà la propria personale rivoluzione. La flebile luce di quella favola immaginata sembra essersi spenta per sempre.

Con questo spettacolo, Claudio Longhi e la sua compagnia firmano un’opera che fa leva sulle nostre coscienze con grazia e una buona dose di satira, dando voce a chi la storia ha cercato di mettere a tacere. È un omaggio alla libertà fragile ma caparbia, al desiderio di essere amati e riconosciuti. Ed è anche un monito: che proprio l’amore, in tutte le sue forme, resta il più audace atto rivoluzionario possibile.

 

di Pedro Lemebel
traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi
trasposizione teatrale Alejando Tantanian
regia Claudio Longhi
dramaturg Lino Guanciale

con Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame
Michele Dell’Utri, Lino Guanciale, Diana Manea, Mario Pirrello, Sara Putignano, Giulia Trivero

 Blumarine

Iniziamo con una delle Big four" Parigi"che a sostegno dell'Alta Moda in questa stagione invernale 2025 ha un pubblico alquanto invidiabile invadendo sia la Ville Lumiere

 Mc Queen

che  dintorni. Mai come quest'anno i Vip si sono dati appuntamento da Elton John a Cher, da Carla Bruni alla Ferragni e tanti altri. Vi hanno sfilato le più grandi Maison mondiali,coadiuvate da registi non meno importanti,da location mozzafiato e sceneggiature impagabili. Tra le passerelle piu' applaudite troviamo Schiapparelli che ormai detiene il primato della femminilita', extra lusso e palpabilita' tra  oro  e splendore; Gaultier torna ai bustier, crinoline e lacci in una contesto alquanto marittimo intitolato Naufrage; D&G ha esordito e sbalordito un pubblico ancora non preparato all' inprevedibiIita' di questi grandi couturiers sovrani del bello mozzafiato; Armani festeggia scintillante i suoi 20 anni di regno nell'alta Moda mentre Dior con i suoi balli in maschera e le pantomime crea un atmosfera da fiaba e incalza con una giusta presunzione mentre CHANEL, mistica dottrina del minimalismo chic,infonde curiosità e brame, Valentino oltremodo vertiginoso e sfarzoso domina per eccellenza del gusto e dell'eleganza senza over make up e sobria la sua sfilata vola tra i sospiri.

Atterriamo ora a Milano Incomparabile e superaffollata. Ormai diventata una finalità fluttuante,un monastero di imprevedibili sfaccettature dove prevale il nero castigato e sensualissimo e nello scoprire il nudo qua e là,siamo anche alla riscoperta dell'erotismo,incensurato e troppo ose'.L'Istoire d'O nelle memorie dei giovani aristocratici snob si interpone alle nuove tendenze sadu- woodu, e mistic complimentandosi con riverenza.Dal mondo britannico Energia e Glamour Da Mc Queen con le sue fate del buio attuale alla sfilata di Victoria Secret che crea un orgasmica

 Chanel

eccitazione,con Gigi Hadid che apre in rosa e modelle sia curvy che transgender impregnate da un parvenza evangelica;

fra gli ospiti più ammirati la cantante americana Cher.

 Elie Saab

Se vogliamo tirare le somme per questa stagione come sempre ineguagliabile possiamo percepire e osare anche dire.

 Elton John


Il No Fashion e l'esagerazione spopolano tra una sfilata e l'altra a New York dove la parola Ugly riappare  in quella tendenza di strada e bassifondi; mentre il rivisitato per la maggioranza se si attiene al classico la fa diventare la copia

della copia della copia.Con similitudini di sirene squadrate e squamate l'umore

dell'amore diventa sfacciato e la fornicazione evade dalle spaccature grinzose

 Valentino

degli abiti con civetteria.
Eccezioni e regole nel must e nell'off.
Particolari nei cambi di epoche ed evolute dimensioni dove il black dandy del 

black power ha uno stile e cultura futura e nel sentirsi diversi e contrapposti si rivalgono di un' agenda stilistica culturale e politica: il superstite della schiavitù ora è  schiavo del look. 

Tra le novità si rilancia il brand Fiorucci  e si creano delle strategie imposte dal sovraccarico dei designers.

Anna Wintour e Donatella Versace commentano il tutto.

 Jeans Paul Gaultier
 Schiapparelli


Mancano i grandi nomi del giornalismo ma ormai le piattaforme e gli influencers parlano da soli. E' tutto on line fra opinionisti ed adepti ammiratori del culto delle tendenze.... vaghiamo in un universo fatto di sogni espressi in colori e forme,ormai la moda è  arte,nel puro senso dell'interpretazione,con essa esprimiamo un carattere,la gioia o la tristezza, l'avvenenza o il pudore,il sesso o la fantasia; moda è  la parola chiave per entrare nel nostro io più interiore,nascosto da velature di introspezione e dal mistero che fa scaturire fascino e desiderio. In questo mondo pirotecnico esaltiamo  l'egocentrismo di questi designers che anno dopo anno superano loro stessi affidandosi alle nuove leve della tecnologia e del virtuale, infatti come sappiamo da tempo già ci affidiamo ad una Intelligenza Artificiale che ci fa da timone ma le idee vere e proprie scaturiscono dalla nostra mente. Sempre nel pret newyorchese, il glamstore, l'outwear è  una divisa in tandem con il cappello, camoufflage e tute mimetiche ancora legate al minimalismo baggy da pantaloni cargo a stivali combat.

 Schiapparelli

Quali sono i confini della bellezza e a  che forme si ispirano nella cura dell'immagine è raggiungere la perfezione,e con il  Bisturi sembra diventato un travestimento molto reale creando forme iperboliche che scardinano molti paradigmi del passato ed hanno un fotonico impatto visivo dovuto al desiderio di un Total living.

 

 

 Isabel Marant
 Giorgio Armani

Siamo ormai orfani di Papa Francesco, lo siamo da poche ore e ci sembra già da un lungo tempo. Un Papa indimenticabile, baluardo della pace e non solo di questa. Difficile da sostituire. 

Anche gli atei e gli agnostici, hanno un pensiero positivo nei confronti di Jorge Maria Bergoglio, prima ancora del Papa. Uomo umile, primo pontefice del sud del mondo, primo gesuita, primo vero riformatore nei confronti di alcune “tradizioni secolari” di Santa Romana Chiesa, per renderla al passo dei tempi, più essenziale, più sobria. 

Riformatore di idee e di tradizioni, quindi, ma conservatore su molti temi, cari ai cattolici. 

Il suo pontificato, iniziato nel 2013, è stato segnato da un forte impegno per la giustizia sociale, la lotta alla povertà, alla tutela dell’ambiente. La sua enciclica “Laudato si” ci ha richiamati sull’urgenza di proteggere il nostro pianeta. 

Durante il suo pontificato, ha toccato il cuore di milioni di persone con il suo messaggio di amore e di inclusione. 

Ha sostenuto le cause sociali e ha offerto una voce di speranza in tempi di crisi e di guerra come quello che stiamo vivendo. 

Per molti osservatori è stato per questi temi, un papa di rottura, inclusivo e rivoluzionario. 

A chi lo definiva “anti-papa” o “papa mai eletto”, possiamo rispondere  che è stato un rivoluzionario progressista, un ponte tra WoJtyla e il nuovo millennio ma  su alcuni temi importanti è stato conservatore, talvolta meno conservatore rispetto ad altri. Sarebbe un errore non riconoscerlo. 

Sui diritti civili e sul tema delle donne, ad esempio, è stato conservatore come i suoi predecessori. Sul matrimonio omosessuale e sull’aborto, ha avuto occasione di cambiare le cose ma ha rinunciato a farlo.

Si è più volte scagliato contro l’ideologia gender, definendola “nefasta”, “pericolosissima”, “manifestazione del male” e altre espressioni simili.

Sul sacerdozio femminile, non ha aperto le porte in questi dodici anni di pontificato  anche se sosteneva che la “Chiesa è femminile, a livello grammaticale, simbolico, etico.” 

E’ questa forza di rottura, da una parte, anche solo apparente, e di conservatorismo dall’altra, unita a un sincero desiderio di ecumenismo, ad aver reso Papa Francesco così popolare tra alcuni e così inviso ad altri. 

Il suo papato sarà ricordato, infine, per le sue decise prese di posizione, per i suoi continui e innumerevoli viaggi apostolici, per gli appelli importanti ai leader del mondo. 

Un uomo che si è distinto, nel bene e nel male, dai suoi predecessori per stile e carisma. 

Il conclave prossimo ci dirà chi sarà il suo successore e dalla nomina in poi del nuovo papa, sarà possibile capire che Chiesa sarà e che pastore la guiderà nel prossimo futuro.

 

 

 

 

 

April 22, 2025

April 13, 2025

Non credo si possa dire che il Nonostante con cui Valerio Mastrandrea esordisce in qualità di regista sia un film particolarmente riuscito: piuttosto noioso, scarsamente ironico, con momenti di indubbia debolezza …

Nello stesso tempo, però, al film vanno riconosciuti una nobile eticità di ispirazione, una  non comune originalità ed alcuni  pregi contenutistici di un certo rilievo:

  • ci presenta una realtà pluridimensionale, molto più complessa di quello che, nella prospettiva materialistica imperante, siamo portati a concepire, una realtà in cui si entra e si esce, in cui è possibile passare da un piano ontologico all’altro;
  • ci suggerisce di diffidare delle apparenze, ci induce a non credere che chi è incatenato ad un letto di ospedale, incapace di aprire gli occhi e di parlare, sia diventato una “cosa” (privo di coscienza, di pensiero, di emozioni), un “vegetale” o, peggio, un mero contenitore di organi trapiantabili;
  • ci suggerisce che la coscienza non sa dormire, ma che è sempre in viaggio in continenti inesplorati e dai labili confini;
  • ci guida a pensare che il viaggiare della coscienza sia un eterno nascere e morire, un continuo passaggio da una all’altra dimensione, un perenne aprirsi e chiudersi di porte;
  • ci guida a pensare che tutto sia immerso nel mistero e che, a salvarci dall’angoscia e dall’assenza di senso di questo nostro andare, siano sempre i sentimenti più grandi, quelli che riempiono il cuore, quelli che ci legano all’altro: Amicizia, Solidarietà, Amore;
  • ci fa comprendere che, dentro di noi, questa capacità di aprirci all’altro e di esperire l’incontro amoroso non scompare mai e che questa capacità è ciò che più riempie di significato il nostro grande viaggio, in ogni suo momento … è ciò che più potrà guidarci fra gli infiniti mondi della nascita e della morte, fra tutte le infinite nascite e le infinite morti degli infiniti mondi.

Insomma, un film che, nonostante i suoi limiti,  riesce a farsi apprezzare per l’esprit metafisico e per il delicato afflato lirico …

Sì, certo … Nonostante

 

April 13, 2025

April 12, 2025

Siamo nei giorni che precedono la memoria del genocidio armeno (gli armeni usano l’espressione Metz Yegern, Մեծ Եղեռն, ‘il grande crimine’), celebrato il 24 aprile: in questo giorno si commemorano le vittime di uno degli eventi più crudeli e disumani della storia recente dell’umanità.

Con il termine genocidio armeno, talvolta definito olocausto degli armeni, si identificano le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall'Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, che causarono circa tre milioni di morti. Arresti e deportazioni di civili Armeni furono compiuti in massima parte dai ‘Giovani Turchi’. In quelle che sono state chiamate ‘marce della morte’: 1.200.000 persone furono uccise, centinaia di migliaia di persone morirono per fame, malattia, fatica, percosse, stupri. Vi sono molte prove inoppugnabili sul fatto che ci fosse una volontà determinata della classe dirigente ottomana di eliminare la popolazione armena: è noto che il Ministro dell'Interno turco, Tallat Pascià, disse all’ambasciatore Morgenthau[1] - cosa che Morgenthau ricorda nelle sue Memorie: «Ci siamo liberati di tre quarti degli armeni… L’odio tra armeni e turchi è così grande che dobbiamo farla finita con loro, altrimenti si vendicheranno su di noi».Ricordiamo, per la cronaca, che la Turchia rifiuta di riconoscere il genocidio ai danni degli armeni, causa questa di tensione tra Unione europea e Turchia e anche con la Santa Sede. Il 12 aprile 2015 papa Francesco riferendosi agli avvenimenti ha parlato esplicitamente di genocidio, citando anche una dichiarazione del 2001 di papa Giovanni Paolo II e del patriarca armeno, in occasione della messa di commemorazione del centenario in San Pietro, dichiarando che quello armeno ‘viene definito come il primo genocidio del XX secolo’.

Ho ritenuto necessaria questa ampia premessa sul genocidio armeno, perché evidentemente la verità storica conclamata e le dichiarazioni di due Romani Pontefici, nonché l’approssimarsi della data commemorativa del genocidio armeno, non sono stati sufficienti per scongiurare una vergognosa iniziativa svoltasi il 10 aprile u.s. presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma: si tratta della XII Conferenza Scientifica Internazionale dal titolo ‘Cristianesimo in Azerbaigian: storia e modernità dedicata al patrimonio dell’Albania caucasica’. L’evento è stato organizzato dal Baku International Multiculturalism Center, dall’A.A. Bakikhanov Institute of History and Etnology dell’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Azerbaigian, dall’Ambasciata della Repubblica di Azerbaigian presso la Santa Sede e dalla Comunità religiosa cristiana Alban-Udi. Una iniziativa sconcertante – anche se non ufficialmente promossa dalla Gregoriana, alla quale è stato comunque consentito di svolgersi in una grande aula della Pontificia Università – senza che alcuna organizzazione di studi armeni ne fosse a conoscenza, come ha dichiarato anche il ‘Team di Monitoraggio del patrimonio culturale dell’Artsakh’  con un comunicato che spiega: “Sono stati riuniti e reclutati decine di specialisti provenienti da diversi paesi (Turchia, Kazakistan, Uzbekistan, Corea del Sud, Russia, Polonia, Italia, Georgia, Germania, Francia, Canada, Stati Uniti, Lituania) con l’obiettivo di escludere la storia armena, la cultura armena e la presenza degli Armeni nel territorio dell’Azerbaigian, quindi, in particolare quei monumenti armeni, ricoperti da centinaia di iscrizioni armene, vengono presentati come albanesi. Si tratta di Amaras, Ganadzasar, Dadivank, ecc. Per noi è anche incomprensibile che abbiano partecipato alcuni noti ricercatori del settore, visto che a questa Conferenza non ha partecipato nessun ricercatore Armeno e non è stata pronunciata una sola parola sugli Armeni. Esprimiamo la nostra protesta e preoccupazione alle organizzazioni e alle comunità armene per la conservazione della cultura, alla comunità scientifica internazionale e alle nostre autorità per aver nascosto e ignorato in questo modo la nostra memoria, la nostra storia e la nostra cultura”.

Inutile sottolineare come anche in questo caso, a giustificazione di un evento dannoso e anticulturale, venga invocato un dialogo fra le religioni, che, se basato su menzogna e prevaricazione – come in questo caso – serve a diffondere odio e prevaricazione, non certo conoscenza reciproca e fraternità.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma ha stigmatizzato l’evento con un comunicato stampa: “Il Consiglio per la comunità armena di Roma si unisce allo sgomento e rabbia di tutti gli Armeni per quanto accaduto ieri presso la Pontifica Università Gregoriana di Roma dove l’Ambasciata dell’Azerbaigian presso la Santa Sede ha organizzato un convegno dal titolo Cristianesimo in Azerbaigian, affittando un locale dell’Istituto senza rivelare alla proprietà la vera natura politica dell’iniziativa, come già accaduto anche in passato per concerti organizzati presso parrocchie romane.

Nel corso di questo evento ancora una volta gli oratori hanno ripetuto la falsa teoria sulla Chiesa Cristiana Albana che sarebbe stata spodestata da quella Armena; teoria infondata e ridicola che non ha alcun cultore al di fuori dell’Azerbaigian e che è stata riproposta per giustificare l’occupazione del Nagorno-Karabakh (Artsakh) cancellando secoli di civiltà e storia armena nella regione, dopo aver cacciato da quei territori, sotto la minaccia della pulizia etnica, più di 120 mila Armeni, che oggi, dopo aver perso tutto, persino le tombe dei loro cari, si trovano rifugiati in Armenia.

Ma non solo tali assurdità sono risuonate alla Gregoriana. Vi è stato persino chi ha attaccato gli Armeni, come l’analista politico Fuad Akhundov, accusandoli di distruggere i monumenti e i siti religiosi azeri e arrivando perfino ad affermare che “queste azioni non sono solo atti di vandalismo contro il patrimonio storico e culturale dell’Azerbaigian, ma riflettono anche una politica anticristiana volta a distorcere la vera storia della regione”.

Non possiamo che rilevare che si tratti solo di un patetico tentativo per scaricare sull’inerme popolo armeno le proprie colpe, vista l’opera di distruzione compiuta recentemente in Nagorno-Karabakh e, sul finire del secolo scorso, a Julfa.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma, che ha provveduto ad inviare una missiva al Rettore dell’Università Gregoriana, ritiene inaccettabile che istituzioni pontificie, ancorché in buona fede, ospitino tali eventi caratterizzati da armenofobia, razzismo, intolleranza e basati su teorie prive di qualsiasi valore storico, religioso e scientifico e offensive nei confronti di un popolo che ha versato il proprio sangue per non rinnegare la propria fede Cristiana e che si sta accingendo a commemorare il prossimo 24 aprile il 110° anniversario del Genocidio del 1915 dove persero la vita più di un milione e mezzo di Cristiani Armeni.

Non è tollerabile che università, chiese e parrocchie diventino vittime della politica manipolatrice di un regime che Freedom House colloca tra le dieci peggiori dittature al mondo. Un regime che a suon di soldi e bugie cerca di annientare la millenaria civiltà̀ di un popolo che per primo, nel 301, abbracciò ufficialmente il Cristianesimo.” Il comunicato termina con un appello alla Conferenza Episcopale Italiana e alle Istituzioni vaticane a vigilare con attenzione per prevenire simili atti mistificatori e non rischiare di essere accusate di complicità con il regime dell’Azerbaigian.

Appello che lascia poco sperare in un giusto accoglimento dal momento che è difficile credere che il Rettore della Pontificia Università Gregoriana, che ha dato in affitto la sala la più grande e di rappresentanza della Gregoriana, potesse non sapere che tipo di evento o conferenza era stata organizzata. Lascia poco spazio ad una buona fede delle autorità vaticane il fatto che il  Cardinale Gugerotti Prefetto del Dicastero della Santa Sede per le Chiese Orientali abbia inviato alla conferenza un messaggio sconcertante, a dir poco, di apprezzamento per il convegno.

Visto che, come diceva Andreotti, a pensar male si fa peccato ma ci s’azzecca sempre, potremmo maliziosamente pensare che possa avere a che fare con l’atteggiamento vaticano il fatto che gli azeri stiano finanziando, in occasione del Giubileo, il restauro della basilica di San Paolo fuori le Mura. Ma questa è un’altra storia. O forse la stessa.

Ricordiamo anche, sempre per dovere di cronaca, che questo non è il primo evento che si svolga a Roma, offendendo la verità storica e colpendo gravemente l’Armenia. Si è trattato della mostra del febbraio scorso al Colosseo, “Göbeklitepe: L’enigma di un luogo sacro”, dove la storia viene mistificata e l’Armenia semplicemente cancellata dalla cartina geografica.

In quell’occasione fu inviata una lettera di protesta al Ministro della Cultura Giuli che riteniamo utile riproporre in quest’occasione: 

“Egr. sig. Ministro, stiamo ricevendo da qualche giorno proteste provenienti da varie parti del mondo relative a una mostra, allestita al Colosseo, dal titolo “Göbeklitepe: L’enigma di un luogo sacro”. L’evento è patrocinato dal Suo dicastero, dall’omologo ministero turco e dall’ambasciata di Turchia a Roma.

Ci viene segnalato che l’allestimento è stato utilizzato per manifestare le più deprecabili teorie nazionaliste genocidiarie e anti armene. Nei pannelli illustrativi l’Armenia – la grande Armenia storica che si estendeva dal mar Caspio al Mediterraneo – è stata omessa. Così come l’attuale repubblica di Armenia. Al suo posto i curatori hanno pensato bene di collocare un “grande Azerbaigian”, Paese inesistente fino al 1918 il cui autocratico Presidente continua ancora oggi a minacciare la repubblica di Armenia accampando pretese su fantomatiche “terre storiche azerbaigiane” (sic!).

Anche se l’evento terminerà a breve riteniamo opportuno, anzi indispensabile, un Suo autorevole sollecito intervento per allontanare subito qualsiasi sospetto che la mostra sul sito archeologico sia stato solo un pretesto per dar spazio alle più bieche teorie nazionaliste turche degne di un membro dei “Lupi grigi”.”

Evidentemente non è bastato, il secondo evento è più grave del primo. Dobbiamo aspettare un terzo step di malafede, incultura ed ignoranza storica? Noi pensiamo che possa bastare così. Lo speriamo.

 

E' il 9 aprile e Roma si mostra in tutto il suo splendore; il sole illumina la sua eterna e sempre nuova bellezza. Il Tevere scorre solennemente  accanto allo storico Ospedale Fatebenefratelli, oggi Gemelli Isola. L'Aula Magna è in festa; si ricorda Papa Benedetto XIII Orsini, nell’ambito delle Giornate Orsiniane che vogliono essere un percorso di Fede, Cultura e Carità.

Nate nell’animo desiderante del Principe Domenico Napoleone Orsini - presente - e della Principessa Martine Bernheim Orsini, la rassegna ha preso l’avvio nel 2024 con la Celebrazione Eucaristica nella Basilica Papale di San Giovanni in Laterano in Roma, perenne cattedra dei Papi, in occasione del III Centenario dell' Elevazione a Pontefice del Duca Orsini; in questo 2025 le Giornate si sono incastonate nel Giubileo in onore e per memorare il Giubileo che Papa Orsini celebrò nel 1725. Occasioni, queste Giornate, atte ad  illuminare l’attualità e la visione profetica dell'ultimo Papa venuto dal Sud dell'Italia. Un pomeriggio edificante, grazie ai contributi dei tanti intervenuti e dialoganti sulla magnificenza della Lectio tenuta da S. Ecc.za Rev.ma Mons. Mario Delpini, Arcivescovo di Milano, titolo: “Come asciugherai le lacrime”? La carità di fronte al soffrire: compassione, rivelazione, relazione, organizzazione. Una lectio analitica che ha utilizzato le lacrime quale punto privilegiato di analisi; le lacrime della madre, la duchessa madre del primogenito dei Duchi Orsini -inconsolabile a causa della scelta del figlio di non volersi in alcun modo casare; alle lacrime dello stesso figlio-primogenito destinato al vassallaggio mentre, invece, sceglie di farsi frate domenicano, operando, in tal modo, la cesura della continuità dinastica…cresceva più per Dio che per il mondo! Ebbe a dire il Vescovo, che, pur'Egli, verso lacrime dinanzi alla particolare intensità della devozione del Duca...che lo aveva infervorato e spinto a leggere per ben 24 volte gli Annales ecclesiastici del cardinale e storico Cesare Baronio (1538-1607), la monumentale storia della Chiesa.

Il nobile Orsini tentò disperatamente di opporsi al Galero cardinalizio (anche detto berretta), sulla cui nomina sicuramente ebbe peso sostanziale e determinante la madre, ma dovette accettare e dovette finanche accettare il trasferimento a Roma. Ad ogni modo, il suo fervore non si diluirà, anzi, le sue lacrime saranno fertili, molto fertili, sia per affrontare che per operare, con tutta la determinazione che lo caratterizzava, nel campo della riforma della Chiesa, e non solo, anche per pensare, ideare e  porre in essere il famoso Editto del Monte frumentario. Fu quella la Sua risposta pragmatica alle lacrime dei poveri. Una istituzione di solidarietà che operasse con carità intelligente, un mutuo soccorso che impegnasse, al contempo, chi dava e chi riceveva; non un piccolo sussidio bensì il prestito del frumento quale forma promozionale della persona umana; modalità tutt’altro che assistenziale. In tal modo Egli rivisitava il vecchio concetto secondo il quale, all'accadere delle cose, non si poteva che soccombere in quanto volontà di Dio. Il suo, dunque, ha ben detto l’Arcivescovo di Milano Mons. Mario Delpini, è un approccio all’uomo integrale, cosa che lo stesso Monsignore ha sublimato nella frase che mi ha particolarmente colpito: l’emotività non basta per entrare nel mistero. Affermazione che -insieme al peculiare e originale punto di vista attraverso il quale l'Arcivescovo di Milano ha orchestrato tutta la sua lectio: le lacrime,  quelle di una madre, quelle dello stesso figlio, del vescovo che se ne occupò e le lacrime dei poveri- sono state carezze per l'anima e stimoli intellettuali.

 Una preziosa prolusione analitica e poetica insieme. Lieta, pertanto, d’essere stata coinvolta da Sua Ecc.za Mons. Saverio Paternoster che da tutta la vita, in Gravina, e attraverso la fondazione e la presidenza del Centro Studi invoca l'attenzione di tutti sulla Persona di Papa Benedetto XIII, del quale ama sempre ricordare: è stato al servizio di Dio e della gente. Grazie al Suo generoso invito ho potuto rappresentare quanto mi commuove di questo uomo-Papa, il Suo servizio -e il servizio ha dignità regale- e le modalità del servizio stesso  che sicuramente hanno illuminato l’operato di altri e suggerito modalità di benevolenza intelligente. Ho rammentato, infatti, che in Matera, città ove sono stata fino al mio transito in Roma, gli fece eco Mons. Brancaccio con l’istituzione del 1° Monte frumentario, anche detto Monte granatico che aiutò molti contadini indigenti. Ma Matera registra anche un'altra virtuosa applicazione del principio del monte granatico: alle ragazze indigenti che non potevano sposarsi a causa del non possedere neppure la più piccola dote, veniva loro concesso un sacco contenente le sementi.

E' così che avrebbero potuto avere il proprio raccolto, costituirsi la dote e sposarsi; ma: da quel raccolto avrebbero dovuto ricolmare il sacco e riportarlo al Monte frumentario e contribuire, così, al circolo virtuoso del Monte. Tante sono state le giovani donne degli antichi rioni Sassi che hanno potuto coronare il sogno d'amore e accedere al matrimonio, tutto grazie a un sacchetto di sementi che le ha messe anche nella condizione di  contribuire al progresso di sè e della collettività. Le lacrime così mirabilmente narrate dall'Arcivescovo di Milano sono riuscite ad attraversare tre secoli, arrivare fino a noi, colpire l’uditorio e far arrivare a Roma 21 persone da Gravina -a guida di Mons. Saverio Paternoster- tutte infervorate dall'amore verso il loro Papa, tutte impegnate nel promuoverne la valenza di modello, di luminoso esempio, esempio che riverbera splendidamente in Mons. Paternoster; tante persone da Cesena, da Roma stessa e da tutte le città che sono state toccate dall'opera di Benedetto XIII. Nato come Pietro Francesco dalla nobile famiglia degli Orsini, nel 1650, divenuto frate col nome di Vincenzo Maria, dirà Mons. Paternoster a Gravina nelle grandi celebrazioni che Egli stesso ha organizzato e fortemente voluto per il 300enario della nascita, arcivescovo a soli 25 anni, prima di Manfredonia e poi di Cesena, poi, per 40 anni di Benevento, operò sempre all’insegna dell’umiltà e rese la sua missione pastorale l'operare concreto per i più deboli;  fece costruire e donò a Roma l’Ospedale San Gallicano per le malattie infettive e fece ricostruire Santa Maria della Pietà per i malati di mente. Non dimenticò nessuno ed ebbe grande attenzione verso le condizioni dei carcerati, provvide, infatti, a migliorarle.

 Insomma, questo pomeriggio del 9 aprile di questo anno giubilare 2025 segnerà la storia terrena di Papa Orsini, nato a Gravina in Puglia; a tale riguardo, anche lo Storico del Centro Studi gravinese, il Prof. Andrea Mazzotta, nonchè Vice Presidente dello stesso Centro, ha fatto della celebre frase proferita da Papa Benedetto XIII : Volevo essere solo un frate, lo statuto, il cuore, il fulcro dal quale partire per dire concretamente e nella più perfetta delle verità: la Persona e il Pastore che è stato Papa Orsini. Di Questi, il Professor Mazzotta non si stanca mai di rammentarne il raffinato pragmatismo che lo motivò e lo spinse finanche a farsi materiale estensore del Manuale d’uso dei Monti frumentari, quella straordinaria forma di credito agrario che consentiva ai contadini indigenti la possibilità della semina e del raccolto. Il 29 aprile la Fondazione intitolata a Paga Orsini porrà in essere la Messa a 16 voci, e sarà un Evento imperdibile. Non è questo solo un anno Giubilare, è un anno che vede il pianeta insanguinato da un numero di guerre che il buon senso non accetta. E' un anno che vede scorrere fiumi di lacrime, ma "queste", purtroppo, producono e produrranno solo rabbia e odio. Credo che Papa Orsini gioirebbe se prendessi la sua frase: volevo essere solo un frate e la traducessi con: volevo essere solo un uomo per  continuare a colmare il pianeta di Bellezza,,, non di macerie.

 

 

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