L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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In questi giorni, fra le tante generose iniziative a favore delle popolazioni terremotate di Amatrice e dintorni, si è fatta notare la campagna incentrata sulla “pasta all’amatriciana”, piatto promosso nei ristoranti al fine di devolvere in raccolta fondi una piccola parte del relativo guadagno.
Ora, credo che la cosa richieda qualche breve riflessione.
E’ certamente fuori di dubbio l’encomiabilità dello spirito dell’iniziativa, a cui, tra l’altro, numerosi ristoratori delle più disparate località hanno dato immediata adesione. Essa rientra, in modo esemplare, nel novero di quelle tante piccole cose di facile realizzazione che si possono attuare per dare concretamente aiuto al prossimo, senza richiedere gesti particolarmente impegnativi.
Ma la proposta presenta dei limiti non indifferenti che occorrerebbe cercare di valutare e di superare, al fine di allargare al massimo le possibilità di un felice esito.
La “pasta all’amatriciana” (o “matriciana” che dir si voglia), infatti, comporta l’impiego (seppur in quantità contenute) di carne suina.
Questo implica (e stupisce davvero che non sia stato opportunamente considerato dai promotori e sostenitori della campagna) l’esclusione di una buona parte della popolazione mondiale, quella, cioè, che, per varie ragioni, rifiuta la carne suina o qualsiasi tipo di alimento carneo. Parliamo, insomma, di tutti coloro (buddhisti, induisti, teosofi, nonviolenti, ecc ...) che praticano il vegetarianesimo o il veganismo e di tutti coloro che rispettano regole alimentari ebraiche e islamiche.
A questo punto, allora, perché non cercare, in nome della necessità di creare il massimo consenso intorno all’iniziativa, di allargare il ventaglio delle opzioni in ottica sanamente pluralistica? Ovvero, perché non prevedere di proporre, accanto alla “pasta all’amatriciana”, dei piatti alternativi accettabili anche dalle suddette categorie di individui? Piatti rustici, cioè, che abbiano ugualmente forti legami con la ricca tradizione culinaria delle zone colpite, quali potrebbero essere “tonnarelli a cacio e pepe” o “penne all’arrabbiata”?!
Ricordarsi dell’esistenza delle diversità culturali (e quelle gastronomiche non sono certo irrilevanti o secondarie), provando a rispettarle il più possibile costituisce sempre la strada migliore per poterci sentire veramente vicini fra tutti quanti noi, miseri abitanti di questo irrequieto e sventurato pianeta.
Soprattutto quando ci sentiamo più in pericolo. Soprattutto quando siamo particolarmente immersi nel dolore.
Magari ponendoci anche seriamente il problema se sia giusto o meno, in nome di qualsiasi fine (più o meno nobile) continuare a produrre altra sofferenza nei nostri fratelli minori, eterni dolcissimi bambini ... gli animali ...
Non è solo l’originalità delle immagini che coinvolge lo spettatore ma anche quello sguardo sull’uomo che le stesse suggeriscono, espressione di una storia “dimenticata”. “Storie di vite usate - la diversità in mostra”, rassegna aperta fino al 25 settembre negli spazi del Museo PierMaria Rossi di Berceto, è da leggere in primo luogo per i suoi significati culturali. Ideata e prodottadall’Associazione Culturale Sentieri dell’Arte, realizzata con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, del Comune di Berceto e dell’Associazione Borghi Autentici, in collaborazione con Survival Italia, a sostegno della difesa dei popoli indigeni, e Collezione Radauer di Vienna, la proposta espositiva offre,infatti, materiali storici, una settantina originali, inerenti alle mostre etnologiche del secolo scorso. Al centro gli antichi zoo umani che dalla metà dell’Ottocento fino agli anni ‘40 del Novecento, si diffusero in tutta Europa, venendo a costituire una sorta di rappresentazione del razzismo propagandato dalle teorie scientifiche dell’epoca.
Era stato un commerciante di Amburgo, Carl Hagenbeck che riforniva di animali selvaggi i giardini zoologici di mezza Europa, ad avere l’idea intorno al 1874 di esporre anche alcuni indigeni dell’isola di Samoa presentandoli come individui “puramente naturali”. Si rese presto conto di quanto potesse essere lucroso esporre uomini di etnie differenti da quella europea e inventò di fatto “gli zoo umani”, che divennero presto una delle maggiori attrazioni delle prime Esposizioni Universali.
Al Museo PierMaria Rossi è possibile ripercorrere la vita di intere famiglie alle quali sono state tolte le loro radici. Uomini e donne portati lontano dai paesi d’origine, considerati “diversamente umani”, in alcuni casi spacciati dal mondo scientifico come anelli mancanti tra l’uomo e la scimmia in una logica di darwinismo sociale. Sono immagini e temi delle grandi esposizioni universali, a partire da quella di Torino del 1884.
Manifesto pubblicitario d'epoca del giardino zoologico di Parigi |
Documentate in particolare quelle di Milano (1906), Torino (1911), Parigi (1931), attraverso fonti giornalistiche, letterarie, iconografiche, fotografiche, di costume mentre una grande installazione riproduce la gabbia originale dell’esposizione di Saint Louis (1904). L’esposizione del 1958, la prima post bellica tenuta a Bruxelles, è raccontata nel cortometraggio “Zoo” di Monda Raquel Webb, concesso in esclusiva per la mostra.
Storie avvincenti quelle narrate, coinvolgenti nei testi del catalogo che racconta di “vite rubate” come quella di Sarah, la Venere ottentotta o quella di Ota Benga, Pigmeo africano. Sono solo un esempio di un percorso che si snoda tra una drammatica realtà e le immagini fantastiche delle riproduzioni di poster datati tra il 1870 ed i primi anni Trenta, volti a raffigurare un fenomeno tanto sconvolgente quanto straordinario. “Non riuscivo a credere che una cosa del genere potesse mai essere accaduta” scrive Clemens Radauer che ha prestato gli oggetti della sua collezione perchè “mostre come questa sono molto importanti per la diffusione della
Pigmei - Londra 1884 |
conoscenza sugli zoo umani e la sensibilizzazione del grande pubblico”.
Nonostante siano trascorsi anni dalle storiche grandi esposizioni etnologiche -l’ultima documentata in mostra è quella di Augusta, in Germania, del 2005, ultimo caso europeo - la globalizzazione, nel bene o nel male, mette continuamente a confronto realtà e radici differenti, a volte con scambi culturali di grande respiro che portano ad una nuova consapevolezza collettiva, a volte con risultati di intolleranza perchè il “diverso” incute sempre paura, disagio e pregiudizio. L’obiettivo della mostra è sensibilizzare sulla necessità di considerare “l’Altro” non più come nemico in base alla sua appartenenza etnica, sociale, religiosa e politica nella scoperta di vicende reali che la fotografia, l’oggettistica, i manifesti, i testi possono tramandare.
Dopo il successo ottenuto nella mostra al Museo storico della Lamborghini, a Sant’Agata Bolo-gnese, in occasione delle celebrazioni del 50° Anniversario della Miura, Alfonso Borghi si pre-senta con una nuova mostra, “i quattro quartetti” a cura di Stefania Provinciali, critica d’arte e giornalista, nella splendida cornice del Castello Scaligero di Malcesine. Le opere tutte inedite sono dedicate ai poemetti di T.S. Eliot e ripercorrono con la materia ed il colore, elementi basilari nell’opera dell’artista di Campegine, pensieri e parole del celebre saggista e poeta. Un affa-scinante indagine che unisce parole ed immagini e l’idealità di un pensiero racchiuse nelle quindici tecniche miste che compongono la mostra.
Ancora una volta Alfonso Borghi interpreta con passione e tecnica sapiente l’originalità di un autore sulla tela. Si accosta alla materia con immediatezza, compone un’idea donandole una forma ideale nella assoluta certezza di una pittura informale che affonda le radici nella tradi-zione padana. scrive nella sua introduzione al catalogo Claudio Bertuzzi, Assessore al Turismo di Malcesine.
Il tempo e la campana hanno sepolto il giorno |
Alfonso Borghi, nato nel 1944 nella cittadina di Campegine di Reggio Emilia, si avvicina alla pit-tura a soli 18 anni, ha la possibilità di esporre le sue opere per la prima volta, grazie all’intercessione di un collezionista. Parte per un breve viaggio a Parigi. Da questo soggiorno consegue una ricerca appassionata, che virerà verso l’Espressionismo dopo il suo ritorno in Ita-lia, grazie anche al fortunato incontro con George Pielmann, allievo di Kokoschka. Le sue opere, viaggiano nelle principali città europee e statunitensi. Sono gli anni ’70: Barcellona, Berlino, Madrid, Vienna, Parigi, NewYork, Los Angeles. A partire dagli anni ’80 un susseguirsi di mostre e di eventi importanti costellano l’attività artistica del maestro. Lavora il vetro, la ceramica, ma si dedica anche alla scultura, avvicinandosi ad una pittura di più chiara matrice informale.
Oggi le sue opere trovano spazio in collezioni pubbliche e private e in musei italiani e europei. Tra le mostre più recenti nel 2014 al Museoteatro della Commenda di Prè a Genova, con la mostra Alchimie della realtà e a Palazzo Medici Riccardi a Firenze. Al Centro Espositivo Rocca Paolina, di Perugia presenta l’antologica Sonorità materiche. Nel 2015 e a Milano al Palazzo Giuriconsulti, poi in ottobre sempre a Milano alla Galleria San Carlo, con una personale La pittura sublime alimento dell’anima. Nel 2016 è alla Casa del Mantegna Mantova con la personale L'Olimpo della materia e al Museo Lamborghini a Sant'Agata Bolognese, celebra i 50 anni della Miura con la mostra Velocità e colore.
La mostra “i quattro quartetti” sarà accompagnata da un catalogo in italiano, inglese e tedesco con testi di Stefania Provinciali. Il catalogo sarà presentato sabato1 ottobre a Malcesine.
Il tempo presente e il tempo passato
sono forse presenti nel tempo futuro,
e il futuro è racchiuso nel passato.
(T.S. Eliot “Quattro Quartetti”)
Inaugurazione sabato 3 settembre ore 17,30 Castello Scaligero
Alfonso Borghi “ i quattro quartetti”
Malcesine, Castello Scaligero, Via Castello, 39
Dal 3 settembre 2016 al 30 ottobre 2016
Mostra organizzata da Comune di Malcesine
Orari: tutti i giorni dalle 9,30 alle 18
Per informazioni: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.; This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.; www.alfonsoborghi.com
Ha origini calabresi, è nato a Crotone, ma all’età di sei anni si trasferisce con la famiglia a Reggio Emilia. E’ proprio in terra emiliana che Alfonso Oliver inizia a muovere i primi passi nel mondo della musica. Si iscrive ad una scuola pubblica e si dedica al canto moderno,oltre allo studio della chitarra classica. Per mantenersi lavora come carpentiere, ma la musica lo accompagna sempre e si impegna con determinazione per concretizzare il suo sogno. Arriva il primo album“Hotel del rock”, realizzato con il proprio gruppo “Gli Oliver”, prodotto dall’etichetta romana Terre Sommerse, un esordio che consente al giovane artista di farsi conoscere a livello territoriale. Poi una scelta, un percorso da solista, che lo porterà al primo album da cantautore “Tutta colpa della musica”, un progetto discografico che contiene otto brani particolarmente interessanti. “Giro giro mondo” sarà la track di maggior successo. Tanta radio, diverse trasmissioni televisive, live e concerti, l’incontro con i big. Continua la scia di consensi e dopo il singolo #Blablablasi aggiungonoaltre date in giro per l’Italia e in Ucraina. “30” non è altro che una provocazione rivolta a quei giovani non più ventenni che pensano che non ci sia più spazio per le speranze e per i sogni. E’ un invito a reagire, a credere in se stessi e nel futuro, perché la vita è un viaggio da affrontare con coraggio, privi di rimpianti e paure.
Alfonso Oliver, un percorso artistico fatto di sacrifici ed impegno, che ti ha portato anche in Ucraina. Dall’esordio quali sono state le tappe più importanti? E come hai vissuto l’esperienza fuori dai confini nazionali?
La tappa più importante è stata quello di iniziare questo percorso, poi tutte le volte che scrivo, che salgo su un palco, le considero grandi opportunità. I sacrifici fanno parte del gioco, e bisogna essere disposti a pagare il prezzo che questo lavoro richiede.L'Ucraina è stata una grossa scoperta per me. Grazie al cantautore Andrea Pinto, italiano ma residente a LVIV, ed ai suoi promoter, sono stato per due volte in tour in quella bellissima terra. C'è un amore sfrenato per noi Italiani e soprattutto per la nostra musica.
30, come nasce questo nuovo singolo e come è avvenuta la realizzazione del video? Perché proprio questa cifra?
Questo nuovo singolo nasce dalla voglia di provocare tutti coloro che credono che superando una certa età, i "30", si debba porre fine ai propri sogni e mettersi al sicuro,senza poter rischiare più nulla della propria vita...E' un testo scanzonato, ma se si ascoltano bene le parole c'è anche tanta nostalgia.
Che significato ha per te fare musica nell’era digitale?
Essendo io stesso dell'era digitale, non saprei forse dare una giusta risposta…Ma non mi sono mai posto la domanda devo dire.
Che rapporto hai con la tecnologia e con i social?
Molto buona. I social e la tecnologia sono tutto oggi e ad essere sincero amo la comodità che ti danno.
La vita è fatta di incontri. Quale è stato fondamentale in ambito professionale?
La mia prima scuola di canto.
Che rapporto hai con le persone che ti seguono e come vivi la popolarità?
Amo la gente e l'unica cosa di cui veramente mi preoccupo sempre, è riuscire a toccare i loro punti deboli...perché sono loro che decidono chi può o meno fare questo mestiere…E devi dare tutto quello che puoi e anche di più.
Progetti futuri.
Finirò il mio tour in agosto. Poi si torna in studio!!
Lo dico subito a scanso di equivoci: sto con Aldo Fabrizi e la sua meravigliosa e verace quanto appetitosa poesia “La Matriciana mia” (dissento solo sugli spaghetti, amo i bucatini):
Soffriggete in padella staggionata,
cipolla, ojo, zenzero infocato,
mezz'etto de guanciale affumicato
e mezzo de pancetta arotolata.
Ar punto che 'sta robba è rosolata,
schizzatela d'aceto profumato
e a fiamma viva, quanno è svaporato,
mettete la conserva concentrata.
Appresso er dado che je dà sapore,
li pommidori freschi San Marzano,
co' un ciuffo de basilico pe' odore.
E ammalappena er sugo fa l'occhietti,
assieme a pecorino e parmigiano,
conditece de prescia li spaghetti.
Parto da queste considerazioni finali cercando di ripercorrere in sintesi la storia di un piatto “romano” che è diffuso in tutto il mondo.
Matriciana o Amatriciana?
Il Passetto |
Due linee di pensiero gastronomico che dividono non tanto i cittadini di Roma che rivendicano a pieno titolo (sono schierato con loro) l’originalità della ricetta quanto i laziali e gli abruzzesi. Per ragione di parte i “reatini” sono schierati per l’Amatriciana di Amatrice, così pure gli aquilani, mentre il resto del Lazio è a favore della Matriciana. Altro elemento di divisione è l’utilizzo del formaggio pecorino. I favorevoli all’Amatriciana “spolverano gli spaghetti” con pecorino abruzzese mentre i Matriciani “ con pecorino romano.
Personalmente aggiungo che, se trattasi di ricetta originale romana, meglio usare i “bucatini ”, abbinabili da sempre a condimenti forti.
AMATRICIANA o MATRICIANA?
Versione AMATRICIANA. La cittadina di Amatrice ne rivendica la ricetta. Ricordano i loro abitanti che i pastori quando seguivano al pascolo i loro greggi portassero con se guanciale affumicato da tagliare a cubetti, pecorino fatto da loro e spaghetti. Maiale, formaggio di pecora e pasta per preparare quello che chiamavano “unto e cacio” per una dieta calorica necessaria a sopportare il duro lavoro. Poi l’emigrazione verso la Capitale a causa della crisi della pastorizia e alcuni di loro, trovando occupazione nella ristorazione, fecero conoscere questo piatto tipico. La Storia dei ristoranti romani ci ricorda “Il Passetto” vicino a Piazza Navona aperto da un amatriciano di nome Luigi Sagnotti. Correva l’anno 1860. L’amatriciana di Amatrice era ufficialmente arrivata a Roma. Poi, per dover di cronaca, ricordo che lo stesso Ristorante, nel 2009, finì in prima pagina su tutti i quotidiani nazionali per quel “conticino salato” rifilato a due turisti giapponesi. Ma questa è altra storia.
Versione MATRICIANA. L’origine è sempre legata ai pastori, questa volta dell’Agro romano, che nei tempi dei tempi variarono un’usanza (divenuta ricetta) dal nome di “Gricia”. Sostituirono alcuni ingredienti rendendola “più facile”.
Nel 1855, ben cinque anni prima dell’apertura del “Il Passetto”, il Cavalier Alessandro Rufini, scrittore di cose romane, pubblicò un libro dal titolo molto lungo ma esaudiente “Notizie storiche intorno alla origine dei nomi di alcune osterie, caffè, alberghi e locande esistenti nella Città di Roma”. Nel libro cita “l’Osteria della Matriciana”, via della Pilotta 22, detta della “matriciana” perché condotta da una donna di origine napoletana o meglio “della matrice del Regno di Napoli” E guarda caso preparava spaghetti con sugo composto da guanciale di maiale, formaggio pecorino romano e conserva di pomodoro. Gli spaghetti alla Matriciana, con tanto di cartello pubblicitario fuori dalla porta. Oggi, nella stessa via, nello stesso palazzo c’è un altro Ristorante con nome diverso, Le Lanterne, che offre una variante alla matriciana: non spaghetti o bucatini ma i più richiesti “paccheri”. L’“evoluzione” dei gusti.
Comunque la si pensi, poco importa chi l’abbia inventata. Una cosa è certa: è Roma e la sua cucina che ha fatto conoscere nel mondo il sugo alla Matriciana, pardon all’Amatriciana.
Personalmente sto con Aldo Fabrizi e con i Bucatini.
In questo momento, la democrazia in Brasile è minacciata fortemente, sulla base di un impeachment illegale della presidente Dilma Rouseff.
La accusa è di aver praticato "pedaladas fiscais", pratica comune fatta in diversi governi precedenti, da governatori di diversi stati brasiliani e che mai, precedentemente sono stati inquisiti.
Di recente, alcune perizie promossa dal senato e dal ministero pubblico federale, hanno dimostrato che in realtà, non è esistita nessuna irregolarità.
Il 19 luglio, è stato istituito a Rio de Janeiro, un tribunale internazionale, sul modello del tribunale dell' AIA, per i diritti, dove hanno partecipato diverse autorità che operano nel settore della tutela dei diritti umani, e all' unanimità, la presidente Dilma è stata riconosciuta innocente.
Non esistono prove che la incriminano, vogliono allontanarla per garantirsi l' immunità.
Dilma è stata la politica che ha dato la più grande autonomia per investigare sui crimini legati alla corruzione nella storia del paese.
Il governo illegittimo Michel Temer sta distruggendo in tempo record tutto quanto fatto in precedenza come, per esempio, i benefici sociali raggiunti dai governi precedenti, cercando di attuare un programma neo liberale e ultra conservatore, non approvato dalla popolazione brasiliana.
La stampa mondiale ( le Monde, El país, Der spiegel, the guardian, Washington post, the new York time, al Jazeera, the intercept e molti altri, hanno dimostrato grande interesse nel verificare lo stato reale delle cose, e hanno pubblicato regolarmente articoli in relazione al golpe in corso.
Il popolo brasiliano sta ricevendo crescente attestati di solidarietà, da diversi parlamentari di tutto il mondo ( paese europei, America latina, Stati uniti, Parlamento europeu, ONU e tanti altri) che dimostrano preoccupazione in merito alla crisi democratica brasiliana, giudicata un colpo di stato.
Purtroppo la stampa brasiliana si sta rendendo protagonista di un processo di disinformazione sociale, ovvero non informa i brasiliani secondo il manuale del giornalismo autonomo e independente,facendo da esempio a tutti i giornalisti indepenti, blogs , e ai social media.
Per questo motivo, pensiamo che sia di fondamentale importanza poter contare sul vostro lavoro, per dimostrare in maniera imparziale alla comunità italiana ciò che sta realmente avvenendo in Brasile.
Secondo il ultimi sondaggi, il 70% della popolazione non approva l' operato del signore Temer, un esempio ci viene anche da quanto è avvenuto all'inaugurazione delle olimpiadi del 5 agosto, quando il giorno prima la torcia olimpica è stata spenta dalla popolazione in rivolta contro il golpe.
Il mese di agosto, come anche il periodo precedente all ' allontanamento della presidente Rouseff, sarà un mese di lotta a favore della democrazia, in tutto il Brasile e in tanti altri paesi del mondo, le manifestazioni sono denominate " fora Temer" e " Volta querida".
I movimenti sociali democratici porteranno nuovamente milioni di persone nelle strade , sia in Brasile che all ' estero, dove stiamo organizzando delle attività in almeno venti città.
Siamo sicuri che la comunità italiana non resterà indifferente a quanto sta accadendo , ed abbiamo la certezza che quello che stiamo denunciando sia di grande importanza anche per il popolo italiano.
Siamo a dispozicione per fornire maggiori informazioni e confidiamo nella vostra profissionalita, e nel valore dell vostro lavoro, affinché questi eventi non passino inosservati in Italia, in nome della democravia brasiliana
Brasiliani in Italia contro il Golpe
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Se da una parte l’onnivorismo ha consentito all’uomo di superare tempi di penuria dall’altra è stato ed è la rovina della nostra condizione fisica e morale
Nella comune accezione si considerano onnivori gli animali che usano mangiare di tutto. E anche se l’essere umano non ha alcuna caratteristica degli animali onnivori, lo si ritiene tale, senza considerare che furono estreme necessità di sopravvivenza a costringere la specie umana ad adattarsi a mangiare anche la carne.
Fuorvianti e tendenziose le immagini che in tv mostrano gli uomini primitivi consumare sanguinolenti pezzi di carne di animali abbattuti, come se i nostri progenitori si fossero nutriti solo di carne: in questo caso non sarebbero sopravvissuti un solo mese. Gli animali carnivori mangiano l’animale intero (cosa che l’uomo non può fare), cioè ossa, cartilagini, muscoli e le interiora con il cibo ingerito della preda.
Nei periodi più duri della guerra gli uomini mangiavano pane fatto con cortecce di alberi, segatura di legno e gramigna essiccata. Continuare a farlo anche dopo passato il periodo di penuria porterebbe inevitabilmente a malattie di vario genere. Il leone affamato mangia anche le mele ma se l’eccezione diventa norma ne paga le conseguenze. Oggi l’umanità continua ad adottare un’alimentazione di guerra in tempo di pace.
Col passare del tempo la carne è stata appannaggio delle classi abbienti, e il popolo ha emulato le abitudini dei ricchi, sia perché erroneamente convinto della sua importanza nella dieta e sia perché resa gradevole dalla cottura.
La paura infondata che manchi qualcosa nella nostra dieta, se priva di prodotti carnei, suffragata abbondantemente dalla medicina convenzionale, crea dei dubbi anche nelle persone più inclini al vegetarismo. E nell’incertezza, nel dubbio, la gente è portata se non altro a limitarne il consumo, e soprattutto non farla mancare ai bambini, nella convinzione che questa sia necessaria al loro sviluppo. Se fossimo onnivori avremmo alche la caratteristiche fisiche, anatomiche ed istintuali degli animali onnivori.
Tra gli animali più conosciuti considerati onnivori abbiamo, in ordine alfabetico: babbuino, carpa, cigno, cinghiale, corvo, criceto, formica, gabbiano, gallina, gallo, gorilla, granchio, macaco, maiale, mandrillo, merlo, oca, orango, pesce gatto, piranha, ratto, riccio, scarafaggio, scimpanzé.
Ebbene, l’essere umano archetipo dei primati (non ha nulla in comune con nessuno di questi animali considerati onnivori eccetto babbuino e scimpanzè che raramente mangiano anche insetti ed altri animali) non ha come gli altri animali onnivori gli strumenti naturali per procacciarsi la carne come cibo; non ha artigli, zanne, corna, zoccoli, becco; non ha i denti secodonti adatti a strappare brandelli di carne dal corpo dell’animale; non ha quantitativi necessari di acido cloridrico nello stomaco per digerire le ossa; non ha l’enzima uricasi per neutralizzare gli acidi urici; non ha un intestino corto adatto a smaltire rapidamente le scorie prodotte dagli organismi in via di decomposizione.
Le scimmie antropomorfe, per il 98% vegetariane e per il 2% onnivore, hanno canini corti utilizzati per difesa, mentre nell’uomo sono corti e smussati e non si incrociano. Come le scimmie antropoidi produciamo ptialina salivare che ci consente di digerire i carboidrati. Ma anche se, per assurdo, noi fossimo addirittura carnivori, il nostro senso di giustizia e della nostra ostentata civiltà non dovrebbe indurci ad adottare l’alimentazione etica e ad escludere dalla nostra alimentazione prodotti che non sono necessari al nostro sostentamento ma che urlano di dolore?
Anche se babbuino e scimpanzé, quando scarseggia il loro cibo elettivo, occasionalmente si nutrono anche di carne in modo occasionale (non sistematico come succede negli umani) tutti gli altri componenti della grande famiglia delle scimmie antropoidi, a cui la specie umana appartiene, sono fruttariane. Non solo. Mentre i nostri cugini antropoidi sono provvisti di armi naturali (come denti ben appuntiti e potenti mascelle, di cui noi umani siamo sprovvisti, e che in qualche modo giustificherebbe una dieta a volte onnivora), gli esseri umani, fisiologicamente e anatomicamente risultano essere ancora più marcatamente progettati per nutrirsi esclusivamente di frutta, germogli, bacche, semi e radici. Insomma, la natura non ha previsto che l’uomo consumi prodotti di derivazione animale, pena il subire gli effetti di un cibo incompatibile con la sua salute fisica e soprattutto con la sua dimensione morale e spirituale.
“L'uomo è in grado di mangiare qualsiasi cosa.
Ha la capacità di digerire zampe di cadaveri mummificate, rocce,
miceti e secrezioni irrancidite e fermentate delle ghiandole
mammarie. Ovvero, prosciutto, sale, funghi e formaggio,
se detti così vi piacciono di più”. (Jasmina Trifoni)
La mia campagna si trova a 600 metri sul livello del mare, in linea d'aria, sopra le Fonti del Clitunno, a circa metà strada tra Spoleto e Foligno, Umbria dunque.
La luce del sole estivo filtra tra le foglie degli alberi mosse dal vento, il silenzio è interrotto dalle campane del convento che segnano le ore, facendo riaffiorare la coscienza sopita del tempo che passa. La frenesia dell'attività quotidiana è lontana come il rumore del treno che arriva attutito.
Alle sette di mattina, puntuale, passa lo scoiattolo nero dal petto bianco, percorre la solita via aerea, di ramo in ramo, che la mattina lo porta a lavoro e la sera, a ritroso, a casa.
È un agosto insolitamente freddo, che agevola le passeggiate, a Spoleto per esempio.
La sera, la città è comunque tranquilla e poco popolata. Lungo il corso le vetrine dei negozi sono illuminate e invitano i turisti a tornare di giorno per lo shopping. Diverse gelaterie propongono gelati artigianali, mentre, oltre ai ristoranti con i tavolini su strada, anche luoghi meno strutturati, invogliano a provare cibi e bevande, vari, originali, più o meno veloci, alla moda.
La città sonnecchia, le persone passeggiano rilassate. Le luci del seicentesco Palazzo Ancaiani, che ospita il Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo sono tutte spente. Al suo fianco ci si affaccia sul Teatro Romano.
Salendo ancora, oltrepassato l'Arco di Druso, si entra nella Piazza del Mercato, le norcinerie "storiche" tengono chiuse all'interno le loro prelibatezze. Si prosegue verso il Duomo e la Rocca, con la passeggiata che gira tutto in torno, con vista panoramica e il ponte che collega al Monte Luco.
Di giorno i musei di Spoleto sono una meta interessante, insieme ai monumenti e alle chiese.
A Ferragosto una delle bellissime chiese antiche nei dintorni della città, nella semplicità della messa offre la musica dell’organo. La cura della chiesa che trasuda da tutti i pori e mattoni, commuove, in questo momento di abbandono della fede, della fedeltà, delle tradizioni. Ogni particolare sembra testimoniare la buona, amorosa, amministrazione di un parroco giovane, irradiata dalle lampadine a basso consumo.
A Spoleto la Metamorfosi Art Gallery in Piazza Duomo espone Antonio Canova. Grazia e Bellezza. Inaugurata nei giorni del Festival, si concluderà il 2 ottobre, aperta da martedì a domenica, con chiusura serale alle 23 il fine settimana, mostra disegni, monocromi, gessi, incisioni e 11 lettere che testimoniano il rapporto con l’Umbria.
I paesi vicini, la sera, offrono spettacoli di musica, danza, teatro dialettale e cinema all'aperto, di giorno, sagre dedicate ai piatti e prodotti tipici tradizionali. Sulle strade di paese si incontrano sparuti turisti, viaggiatori col sacco in spalla, appassionati di trekking, pellegrini. Il fine settimana numerosi ciclisti affrontano la salita verso la montagna.
Pietro Ubaldi, nasce a Foligno il 18 agosto 1886; filosofo, scrittore, insegnante di italiano, candidato al premio Nobel nel 1939, che poi fu assegnato a Jean-Paul Sartre. Indaga sull’evoluzione dell'universo partendo dalle leggi dell'evoluzione umana. Il suo testo “La grande sintesi” (messo all' indice nel 1939, poi riammesso da papa Giovanni XXIII), fu giudicato da Enrico Fermi "Un quadro di filosofia scientifica e antropologica etica, che oltrepassa di molto i consimili tentativi dell'ultimo secolo”. Studiò pianoforte, apprese l'inglese, il francese e il tedesco, viaggiò negli Stati Uniti; nel 1912 sposò Maria Antonietta Solfanelli,dalla quale ebbe due figli. Divenne professore di lingua e letteratura inglese, insegnando nelle scuole medie inferiori e superiori, prima a Modica, in Sicilia, e poi a Gubbio.
Nel 1927 fece voto di povertà e gli sarebbe apparso Gesù Cristo.
L'apparizione si sarebbe ripetuta nel 1931, insieme a san Francesco di Assisi. Il giorno dello stesso anno avrebbe ricevuto il primo di numerosi "messaggi".
Quando si trasferì definitivamente a São Vicente, nello stato di São Paulo, scrisse altri quattordici volumi, dichiarando conclusa la sua opera nel giorno di Natale del 1971, esattamente quarant'anni dopo il primo "messaggio" ricevuto.
Nei suoi 24 volumi ed in un notevole numero di articoli e libretti, Pietro Ubaldi con sistema d’indagine intuitivo e un linguaggio chiaro, pulito e logico, parla della nuova Scienza dello Spirito, della Reale Essenza dell’Uomo e dell’Universo, della vera sostanza di tutte le cose come di un’essenza profondamente Spirituale, e rivela il “Metodo” per penetrare il mistero e accedere all’Imponderabile.
Secondo Ubaldi è tempo che si superino le chiusure delle religioni istituzionalizzate, cristallizzate in dogmi e cerimonie, è tempo di amare lo Sposo dell’anima: DIO! Il mondo fenomenico viene decifrato secondo la ferrea Legge di causa e di effetto, ove la Sapienza Divina regna Sovrana.
In un processo di unificazione tra scienza e fede, Pietro Ubaldi chiarisce il rapporto esistente tra involuzione ed evoluzione tra le tre dimensioni della materia, dell' energia e dello spirito. Spiega il senso della vita, la funzione del dolore e la presenza del male. Inoltre ritiene che esiste un'unica "Sostanza", la cui essenza sarebbe il movimento e che si manifesterebbe come " materia" (statica), " energia" (dinamica) e "spirito" (vita). L'essere umano è chiamato ad evolversi ampliando la percezione della sua coscienza, che da individuale deve farsi collettiva, per farsi poi coscienza cosmica. Viene delineato il futuro dell'umanità, permeato da una nuova etica internazionale, come consapevolezza razionale e non emotiva o pacifista, dove l’essere umano attua la sua evoluzione tramite la reincarnazione.
In ogni situazione invita a cercare ciò che unifica. Per questo fare il male significa voler andare contro la corrente del Sistema, perpetuando la separazione, che genera sopraffazione e violenza, sino all'autodistruzione.
Fare il bene, invece, vuol dire cercare di armonizzarsi con tutto e con tutti, in un processo di unificazione che è rappresentato dall'ordine e della giustizia divina. Il segreto della felicità consiste nell'inquadrarsi
nell'ordine cosmico e la preghiera autentica come docile accettazione della Legge.
Il fine dell'esistenza è rappresentato dall'evoluzione etica, iscritta nell'evoluzione dell'universo inteso come un'inestinguibile volontà di amare, di creare, in lotta col principio dell'inerzia, dell'odio e della distruzione. L'etica viene concepita come realtà ascendente a seconda le dimensioni dell'essere lungo la scala evolutiva. Fondamentali sono gli ideali come funzione di orientamento e di guida aventi il compito di proiettare l’essere umano verso la realtà della spiritualizzazione enunciati storicamente delle grandi religioni e dalle leggi morali, in un continuo cammino ascensionale, nella comprensione reciproca e nella fratellanza universale.
Nella legge dell’evoluzione collettiva si tende a sempre più ampie convergenze: dalla coppia alla famiglia, dalle nazioni alle unioni di popoli, sino all'unione di tutti gli esseri viventi del pianeta, pur mantenendo il valore delle diversità. Per questo, la via è quella del superamento di ogni separazione: la separazione da sé stessi, dagli altri, dal mondo.
L'evoluzionismo di Ubaldi, ben diverso da quello di Darwin, guarda all'avvenire come tensione spirituale verso il superuomo che è presente in ognuno di noi, diverso dal superuomo enunciato da Nietzsche caratterizzato dal desiderio di espandere solo le potenzialità dell'io.
Attraverso il metodo intuitivo la coscienza riesce a penetrare l'intima essenza dei fenomeni, diversamente dal metodo obiettivo, anche se giunge a conclusioni più universali perché basato sulla distinzione tra l'io e il non io, tra il soggetto e l'oggetto, tra la coscienza e il mondo esteriore.
I suoi scritti sarebbero passati da una forma ispirata di contatto telepatico con le correnti di pensiero a livello "supercosciente", al controllo razionale dell'ispirazione che consente di esaminare sia la "materia" che lo "spirito" nella loro armonia, unificando scienza e fede, considerate due aspetti della stessa verità.
A Roma succede di sentirsi in vacanza nelle giornate di agosto, quando la mattina, le strade del quartiere sono silenziose e il passaggio delle macchine di chi è rimasto per lavoro, sulla strada principale, ha il ritmo e il suono delle onde che si infrangono sulla battigia. Non c’è l’ansia della ricerca del parcheggio e i pedoni un po’ per la mancanza di traffico, un po’ per il caldo, camminano più lenti e rilassati, senza fretta. Non c’è fila alla posta, i negozi sono quasi tutti chiusi. Sono andati in vacanza anche i vestiti dei manichini del negozio di abbigliamento, lasciati nudi, di schiena e in fila contro il vetro della vetrina, come una barriera contro chi avesse dei dubbi sulla chiusura del negozio o volesse attentare alle sacrosante vacanze.
Chi si sente solo, armandosi di pazienza nell’attesa delle diradate corse d’autobus, potrebbe spostarsi in centro, dove gli stranieri fanno numero.
I musei offrono rifugio dal caldo e l’opportunità di viaggiare nello spazio e nel tempo. Viaggio esotico alle Scuderie del Quirinale con i Capolavori della scultura buddhista giapponese. Al Complesso del Vittoriano, il fascino liberty delle donne di Alphonse Mucha. Ai Mercati di Traiano Made in Roma. Marchi di produzione e di possesso nella società antica permette un confronto tra il consumismo e lusso antico e quello contemporaneo. Contrasto di antico e contemporaneo anche con Ugo Rondinone. Giorni d’oro + notti d’argento, l’installazione ai Mercati di Traiano consiste in 5 calchi di ulivi millenari di Puglia e Basilicata in alluminio verniciato di bianco, l’archeologia industriale dell’ex mattatoio, sede del MACRO Testaccio, accoglie l’altra installazione dell’artista svizzero. Ai Musei Capitolini, le già ricche collezioni permanenti, sono affiancate da due mostre temporanee: La Spina. Dall’Agro Vaticano a Via della Conciliazione. Materiali, Ricordi, Progetti e La Misericordia nell’arte. Itinerario giubilare tra i Capolavori dei grandi Artisti Italiani.
La sera si può andare a spasso nel tempo con le ricostruzioni virtuali dei Fori di Augusto e di Cesare.
Dall'inizio di agosto, gli Stati Uniti hanno rafforzato il loro impegno sul quarto fronte della guerra dichiarata ai cartelli del jihad oltre ad Afghanistan, Iraq e Siria; ma i fattori di divisione più preoccupanti vengono dall'interno dell'Alleanza Atlantica
Dalla morte del colonnello Muammar Gheddafi, il cammino della Libia verso l'instaurazione di uno stato di diritto, e persino verso l'instaurazione di uno stato, si può a buon diritto definire un'Odissea. Odyssey Dawn era il nome dato da Washington alle operazioni militari del 2011, nelle quali un ruolo importante fu giocato da Francia e Gran Bretagna. L'intervento, che ufficialmente avrebbe dovuto proteggere i civili da Gheddafi spianando la via al processo democratico, ha finito per destabilizzare l'intera regione, come dimostra il colpo di stato in Mali del 2012. In Libia, intanto, le milizie un tempo artificialmente alleate per rovesciare il regime, non trovano un accordo: il conflitto si polarizza gradualmente e si arriva alla formazione di due governi rivali, l'uno con sede a Tobruk e riconosciuto dalla comunità internazionale, l'altro con sede a Tripoli e vincitore delle elezioni del 2012. Dall'inizio del 2015 gruppi islamici che si proclamano affiliati ai cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico (Daech) iniziano a prendere il controllo di alcune aree, in particolare a Sirte e Derna. Tutto questo malgrado la presenza in territorio libico (non sempre dichiarata) di truppe speciali statunitensi, britanniche, francesi e italiane. E malgrado l'imposizione, di fatto, da parte della comunità internazionale di un governo di accordo nazionale (GNA), non votato da nessuno dei due parlamenti rivali e non riconosciuto dai due rispettivi presidenti.
Nel 2016 Washington ha messo in atto un piano, con l'obiettivo dichiarato di sostenere il governo di accordo nazionale, favorire la stabilizzazione e combattere i gruppi affiliati a Daech. Anche questa nuova serie di operazioni, coordinata dalla AFRICOM (comando delle truppe USA in Africa) fa riferimento all'Odissea, ma si articola in tre fasi. La prima, Odyssey Resolve, avviata all'inizio di quest'anno, comprende voli di ricognizione e supervisione congiunti a operazioni di intelligence; con la seconda, Junction Serpent, subentra la raccolta informazioni su “eventuali” bersagli da colpire, magari su richiesta del GNA e sotto la copertura della risoluzione ONU 2259 del 2015. I raid contro questi bersagli, infine, fanno parte della terza fase Odyssey Lightning: bombardamenti di supporto all'assedio di Sirte (città natale di Gheddafi, ultimamente sotto il controllo dei cartelli del jihad) da parte dell'esercito che fa riferimento al GNA. Un intervento controverso, definito illegale sia dal governo di Tripoli che dall'ambasciatore russo in Libia, ma soprattutto una mossa rischiosa, visti i risultati delle operazioni internazionali degli ultimi decenni. Come ha osservato il generale Sean MacFarland, comandante USA in Iraq, i successi militari non indeboliscono Daech, ma ne determinano la riorganizzazione in altri luoghi o secondo diverse modalità, come, ad esempio, l'adozione di tattiche di guerriglia. È quanto accaduto ad al-Qaeda in Afghanistan, mentre in Iraq, Siria e Libia i cartelli del jihad sono stati un “rifugio” di molti ex sostenitori dei regimi rovesciati.
Concentrando gli sforzi sulla guerra dichiarata al terrorismo, la comunità internazionale sembra dimenticare che non è questo il principale problema della Libia, ma l'assenza di uno stato e l'estrema difficoltà di fondare istituzioni in grado di gestire il paese. Inoltre, lo stesso aggrava le tensioni internazionali, acuite dagli ultimi sviluppi della situazione politica (e militare) in Turchia e dal recente riavvicinamento tra Ankara e Mosca, essenzialmente economico ma ricco di ripercussioni sul piano geopolitico. Tensioni che si riflettono in conflitti che, sia in Medio Oriente che in Libia, vengono portati avanti da numerosi gruppi che si contendono il controllo di un territorio e hanno, ciascuno da solo o con alleanze posticce, reti di alleanze a livello internazionale. È emblematico il caso del generale libico Khalifa Haftar, che nel 2014 ha lanciato l'operazione “dignità” nell'Est del paese, ufficialmente contro le milizie islamiche, e nel marzo 2015 ha guidato un'offensiva militare per “liberare” Tripoli dai combattenti di Fajr Libia, coalizione di gruppi islamici. Comandante dell'esercito durante il regime di Gheddafi, dopo la sua caduta Haftar ha ottenuto il sostegno di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed è sospettato di avere legami con l'intelligence USA. Infine, lo scorso aprile, guidando una campagna per sottrarre Benghasi e, nelle intenzioni, Sirte da Daech, è arrivato anche il sostegno della Francia. Il suo peso politico in Libia, che va ben oltre la sua carica ufficiale di comandante dell' “esercito nazionale” e ministro della difesa del governo di Tobruk, rappresenta un ostacolo quasi insormontabile per il GNA.
Gli intrecci di alleanze che si sono avvicendati e sovrapposti dopo la fine della guerra fredda si stanno rivelando come altrettanti fattori di destabilizzazione. Si pensi ai privilegi di cui gode l'Arabia Saudita, importante esportatore di petrolio ma anche baluardo contro l'influenza iraniana in Medio Oriente. Il rapporto della Commissione congiunta di inchiesta statunitense, costituita immediatamente dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, oltre a sostenere la possibilità (pur precisando la necessità di prove, quindi di ulteriori ricerche) di contatti tra gli attentatori e “individui connessi al governo saudita”, evidenzia la scarsa collaborazione di Riyadh e il suo rifiuto di condividere informazioni su persone sospette e indagate dall'FBI, in quanto persone a conoscenza di segreti riguardanti la sicurezza nazionale. Nello stesso rapporto (secretato dall'ex presidente USA George W. Bush) si legge, peraltro, che l'FBI non aveva individuato queste reti di contatti prima degli attentati proprio in virtù dell'alleanza tra USA e Arabia Saudita. Ultimamente, poi, è la Turchia a suscitare tensioni. Dopo il “golpe fallito”, il comportamento del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha provocato in Europa dure reazioni, mentre le pressioni di Ankara su Washington per l'estradizione del predicatore islamico Fethullah Gülen hanno aperto un pericoloso contrasto con gli USA. Eppure la NATO ha reso la Turchia (seconda potenza militare dell'alleanza dopo gli USA) indispensabile nella “guerra al terrorismo”, anche se il principale obiettivo turco in Siria sono i Curdi del Partito di Unione Democratica più che i cartelli del jihad. Dal canto suo, l'Europa ha reso la Turchia indispensabile nella gestione del flusso dei profughi dalla Siria, arrivando persino a definirla “paese sicuro”, dimenticando i bombardamenti continui nelle regioni a maggioranza curda. A volte gli alleati possono rappresentare una minaccia più grave dei nemici stessi.
Il 3 e il 5 agosto scorso si sono svolti, il primo ad Anzio e il secondo a Lavinio, ambedue località sul mare vicino Roma, due spettacoli di danza folkloristica indiana, organizzati nell’ambito del Festival dell’India in Italia, “Rhythm of India”, promosso ed organizzato dall’Ambasciata dell’India a Roma e dal Ministero della Cultura Indiano, in collaborazione con AQ International, società di promozione culturale italiana.
Con il microfono in mano (da sinistra) l’ambasciatore dell’India in Italia |
Le manifestazioni sono parte di un Festival itinerante, a carattere nazionale, al quale parecipano 3 gruppi folkloristici che si esibiscono in diverse date e in più località: Anzio, Roma, Cori, Anagni, Assisi.
Dei tre, i “Kalbelia” si sono già esibiti ad Anzio il 3 Agosto scorso, mentre Il 5 Agosto a Lavinio, che è una frazione di Anzio, si è esibito il “Kathak Group”.
I ritmi, le evocazioni religiose, le atmosfere tipiche della vita quotidiana e della tradizione indiana hanno letteralmente coinvolto tutti. Il “contatto diretto e spontaneo” nelle piazze, luoghi deputati alla vita pubblica per eccellenza, ha sortito il suo effetto. Oltre al pubblico, numerosissimo, ovviamente la comunità indiana del litorale laziale al completo.
La perfomance e la danza “Kalbelia” ha origine nelle zone rurali del Rajasthan; i movimenti vogliono ricordare e replicare il movimento dei serpenti e della vita gitana di alcune comunità indiane che vivono in questa regione. Bellissimi i costumi, soprattutto le gonne nere delle danzatrici, finemente ricamate a mano. La forza di queste danze sta nella spontaneità della perfomance: le coreografie sono spesso accompagnate da improvvisazioni, anche musicali.
Nel 2010 l’UNESCO ha riconosciuto il gruppo, le canzoni e i balli della Regione del Rajasthan e quindi il Kalbelia folk, Patrimonio dell’Umanità.
il Kathak Group che, tra l’altro si era esibito il giorno precedente presso l’Auditorium della FAO a Roma, è stato guidato da Shovana Narayan, artista di fama internazionale, onsiderata la più grande danzatrice di Kathak al Mondo. La sua eleganza e forza interpretativa hanno letteralmente incantato il pubblico. Il Kathak è una danza e un genere
il Kathak Group con Shovana Narayan (al centro con veste chiara) |
musicale originario dello Stato dell'Uttar Pradesh.Il nome Kathak deriva dal sanscrito katha, che significa storia, e kathaka ossia colui che narra una storia.
Presenti alle serate l’Ambasciatore dell’India in Italia S.E. Anil Wadhwa, sua moglie Deepa Gopalan Wadhwa ed il consigliere Gianfanco Tondini, in rappresentanza del comune di Anzio.
La proposta di legge dell’onorevole Elvira Savino di Forza Italia, al fine di impedire ai genitori di adottare una dieta vegan per i loro bambini (convinta che l’alimentazione vegetale sarebbe carente di zinco, ferro eme, vitamina D, vitamina B12 e Omega3”) ha del paradossale: è più adatta alle multinazionali di allevatori e macellai che ad un’esponente politico cui sta a cuore il benessere della popolazione giovanile.
Se l’onorevole Elvira Savino non vive sulla luna conosce benissimo la situazione allarmante cui versa la salute dei bambini alimentati nella maniera onnivora convenzionale. Ma dovrebbe anche conoscere lo stato di benessere cui godono i bambini vegan. Le statistiche parlano chiaro: un terzo dei bambini onnivori è in sovrappeso e l’obesità tra i giovanissimi ha raggiunto cifre allarmanti. Il calcolo è presto fatto: dei circa 600.000 vegani in Italia, almeno un terzo di questi sono genitori; sfidiamo chiunque a trovare 200.000 bambini onnivori che godono della stessa ottima salute dei bambini vegan.
A mio avviso, considerata la preoccupante pericolosità di quello che mangiano i bambini onnivori che li espone alla peggiori patologie che vanno manifestandosi in età sempre inferiore, ed essendo la dieta vegan la sola compatibile con l’essere umano, la sola a in grado di garantire salute e benessere, ben venga la proposta della Savino purchè i genitori e che IMPONGONO la dieta onnivora con cibi spazzatura ai loro bambini, siano obbligati non solo ad avere la giusta conoscenza in fatto alimentare, ma a farsi seguire da un nutrizionista, indipendente, libero responsabile e preparato, pena la perdita della patria potestà.
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Mangiare animali è come mangiare i nostri parenti
La superiorità dell’alimentazione vegetale appare immediatamente evidente dal fatto che se nella dieta si escludono tutti i prodotti di derivazione animale si continua a vivere in ottima salute, mentre se si escludono i prodotti vegetali si va incontro inevitabilmente a malattie e a morte
precoce. Se mangi solo carne difficilmente arrivi vivo a fine mese; se invece mangi solo frutta o solo vegetali a fine mese la tua salute sarà eccellente.
Intervista a Madame Bérénice Lurton dello Château Climens, 1er Cru – Barsac
Recentemente ho visitato lo Château Climens, 1er Cru – Barsac, anzi meglio dire la “quintaessenza” del Barsac.
Classificato nel 1855, insieme ai Grandi Vini del Médoc, è rimasto famoso negli anni per quel tocco di eleganza dei suoi vini.
Spesso facciamo confusione con le Denominazioni francesi. Ogni territorio vitivinicolo ha la sua Storia, le sue classificazioni e non sempre risulta facile comprenderle. Come nel caso dei Sautèrnes. Provo a fare un po’ di chiarezza.
Il piccole fiume Ciron attraversa la denominazione Sautérnes limitando a sinistra il territorio del Comune di Barsac e a destra gli altri quattro Comuni facenti parte della Aoc Sautèrnes (Bommes, Fargues, Preignac e Sauternes). Proprio per questa sua particolare posizione il Comune di Barsac detiene una sua “autonomia” e può utilizzare, in etichetta, l’appellation Barsac o Sautèrnes-Barsac. Preciso che non è solo una questione di riva sinistra o destra. Sono i terreni che hanno una composizione dissimile, i venti soffiano da quadranti non omogenei e la botrytis delle prime ore del mattino si posa sopra le vigne in maniera diversa e in tempi disuguali. Tutto questo lo ritrovi nei vini. Tutto questo lo riscontri nei vini di Château Climens: eleganti e diversi. Lo stile Climens.
È iniziata così l’intervista a Madame Bérénice Lurton, attuale proprietaria dello Château Climens.
Definirla solo proprietaria è limitativo. È la Madame della svolta, dell’introduzione a regime della conduzione bio-dinamica. Insomma “la Madame del vino del Barsac”.
- Madame Bérénice, lo Château Climens è ricordato per la sua eleganza e freschezza. Si può parlare di Stile Climens?
R. Climens è un vino sottile, aereo , come nessun altro . Esprime il meglio di Barsac per il suo equilibrio e freschezza . Esprime anche il potere e la magnificenza dei più grandi Sauternes . Climens si definisce in primo luogo, per eleganza e profondità conferite dal suo terroir unico .
- L’appellation Barsac, riva sinistra del fiume Ciron, significa essere diversi dagli altri?
R. All'interno dei Sauternes , Barsac singolo villaggio, situato sulla riva sinistra del Ciron , ha un proprio nome : il suo terreno calcareo dominante dà vini diversi , spesso meno abbienti rispetto a quelli di Sauternes , ma di solito con più freschezza in termini di equilibrio e aromi .
- Climens, ovvero “TERRA INGRATA”. Vitigno Semillon la risposta? Sauvignon Blanc NO? Perché?
R. Abbiamo solo Semillon Climens Castle, uno dei pochi vitigni varietali singoli della regione. La simbiosi perfetta tra vitigno e territorio esigente permette a questo particolare ed unico clone Semillon di trovare qui una espressione aromatica e un equilibrio veramente eccezionali . Il Sauvignon Blanc non è adatto per i terreni dello Chateau Climens.
- Dal 2010 la conduzione è biodinamica. Perché questa scelta di filosofia applicata alla viticoltura?
R. Ho fatto la scelta di convertire l'intero vigneto alla conduzione biodinamica nel gennaio 2010 , con l’assenso incondizionato di Frédéric Nivelle , direttore tecnico di Climens . Stavo cercando da molto tempo una gestione più naturale , preventiva e globale del vigneto ed ho preso, con il pieno appoggio di tutto lo staff di Chateau Climens, la decisione. A dire il vero è maturata in me la scelta dopo aver visitato e seguito da vicino l’evoluzione biodinamica nel vigneto Pontet Canet di Jean - Michel Comme. Questo incontro è stato un rivelazione ! Così i trattamenti chimici sono stati sostituiti da tè vegetali e altro . L' obiettivo non è solo il rispetto dell'ambiente ma trovare un proprio equilibrio e trasmettere meglio le qualità di questo territorio unico .
- Madame Lurton, Sautèrnes è “donna”?
La risposta non è stata immediata. Madame Lurton mi ha guardato fisso negli occhi per capire meglio la domanda. Afferrare se “adulatrice” nei suoi confronti o perché ritenuto dai più un “vino dolce” e conseguentemente più amato dal mondo femminile. Poi accennando un breve sorriso…
R. Je crois qu’il faut demander aux personnes qui le dégustent ce qu’ils en pensent !
Le Donne del Vino nel Mondo : Madame Bérénice Lurton. Chateau Climens, 1er Cru Barsac.
Testo originale dell’intervista in francese e tradotta da Urano Cupisti
Madame Bérénice, le Château Climens est connu pour son élégance et sa fraîcheur. Vous pouvez parler de Style Climens ?
Climens est un vin subtil, aérien, qui ne ressemble à aucun autre. Il exprime le meilleur de l’appellation Barsac par son équilibre et
sa fraîcheur. Il exprime également la puissance et la somptuosité des plus grands Sauternes.
Climens se définit avant tout par un éclat, une élégance et une profondeur, conférés par son terroir unique.
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L' Appellation Barsac , rive gauche du Ciron , cela signifie d'être différent ?
Au sein de l’appellation Sauternes, seul le village de Barsac, situé sur la rive gauche du Ciron, bénéficie de sa propre appellation:
son terroir à dominante calcaire donne des vins différents, souvent moins opulents que ceux de Sauternes mais généralement dotés de plus de fraîcheur en termes d’équilibre et d’arômes.
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Climens ou « terre ingrate» . Sémillon la réponse ? Sauvignon Blanc Non? Pourquoi ?
Planté uniquement en sémillon, le Château Climens est l’un des rares crus monocépages de la région. L’adéquation parfaite entre ce cépage exigeant et ce terroir permet au sémill de trouver ici une expression aromatique et un équilibre véritablement exceptionnel. Le Sauvignon Blanc ne convient pas au terroir si particulier de Climens.
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Depuis 2010 , la course est biodynamique . Pourquoi ce choix de philosophie appliqué à la vinification?
J’ai fait le choix de convertir l’intégralité du vignoble à la biodynamie en janvier 2010, en adhédion totale avec Frédéric Nivelle, le Directeur Technique à Climens. Je suis à la recherche depuis très longtemps d’une gestion plus naturelle, préventive et holistique du vignoble, j’ai décidé de passer à l’action après avoir rencontré Jean-Michel Comme et ses vignes à Pontet Canet : cette rencontre a été une révélation ! C’est ainsi que les traitements chimiques ont été remplacé par des tisanes de plante entre autre. Le but est non seulement de mieux respecter l’environnement, mais aussi de permettre à la vigne de trouver elle-même son équilibre, afin de mieux transmettre les qualités de ce terroir unique.
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Le Vin de Sauternes est femme?
Je crois qu’il faut demander aux personnes qui le dégustent ce qu’ils en pensent !