L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1357)

Free Lance International Press

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In questi giorni, fra le tante generose iniziative a favore delle popolazioni terremotate di Amatrice e dintorni, si è fatta notare la campagna incentrata sulla “pasta all’amatriciana”, piatto promosso nei ristoranti al fine di devolvere in raccolta fondi una piccola parte del relativo guadagno.
Ora, credo che la cosa richieda qualche breve riflessione.

E’ certamente fuori di dubbio l’encomiabilità dello spirito dell’iniziativa, a cui, tra l’altro, numerosi ristoratori delle più disparate località hanno dato immediata adesione. Essa rientra, in modo esemplare, nel novero di quelle tante piccole cose di facile realizzazione che si possono attuare per dare concretamente aiuto al prossimo, senza richiedere gesti particolarmente impegnativi.
Ma la proposta presenta dei limiti non indifferenti che occorrerebbe cercare di valutare e di superare, al fine di allargare al massimo le possibilità di un felice esito.
La “pasta all’amatriciana” (o “matriciana” che dir si voglia), infatti, comporta l’impiego (seppur in quantità contenute) di carne suina.
Questo implica (e stupisce davvero che non sia stato opportunamente considerato dai promotori e sostenitori della campagna) l’esclusione di una buona parte della popolazione mondiale, quella, cioè, che, per varie ragioni, rifiuta la carne suina o qualsiasi tipo di alimento carneo. Parliamo, insomma, di tutti coloro (buddhisti, induisti, teosofi, nonviolenti, ecc ...) che praticano il vegetarianesimo o il veganismo e di tutti coloro che rispettano regole alimentari ebraiche e islamiche.

kjlA questo punto, allora, perché non cercare, in nome della necessità di creare il massimo consenso intorno all’iniziativa, di allargare il ventaglio delle opzioni in ottica sanamente pluralistica? Ovvero, perché non prevedere di proporre, accanto alla “pasta all’amatriciana”, dei piatti alternativi accettabili anche dalle suddette categorie di individui? Piatti rustici, cioè, che abbiano ugualmente forti legami con la ricca tradizione culinaria delle zone colpite, quali potrebbero essere “tonnarelli a cacio e pepe” o “penne all’arrabbiata”?!
Ricordarsi dell’esistenza delle diversità culturali (e quelle gastronomiche non sono certo irrilevanti o secondarie), provando a rispettarle il più possibile costituisce sempre la strada migliore per poterci sentire veramente vicini fra tutti quanti noi, miseri abitanti di questo irrequieto e sventurato pianeta.
Soprattutto quando ci sentiamo più in pericolo. Soprattutto quando siamo particolarmente immersi nel dolore.
Magari ponendoci anche seriamente il problema se sia giusto o meno, in nome di qualsiasi fine (più o meno nobile) continuare a produrre altra sofferenza nei nostri fratelli minori, eterni dolcissimi bambini ... gli animali ...

Non è solo l’originalità delle immagini che coinvolge lo spettatore ma anche quello sguardo sull’uomo che le stesse suggeriscono, espressione di una storia “dimenticata”. “Storie di vite usate - la diversità in mostra”, rassegna aperta fino al 25 settembre negli spazi del Museo PierMaria Rossi di Berceto, è da leggere in primo luogo per i suoi significati culturali. Ideata e prodottadall’Associazione Culturale Sentieri dell’Arte, realizzata con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, del Comune di Berceto e dell’Associazione Borghi Autentici, in collaborazione con Survival Italia, a sostegno della difesa dei popoli indigeni, e Collezione Radauer di Vienna, la proposta espositiva offre,infatti, materiali storici, una settantina originali, inerenti alle mostre etnologiche del secolo scorso. Al centro gli antichi zoo umani che dalla metà dell’Ottocento fino agli anni ‘40 del Novecento, si diffusero in cannibalitutta Europa, venendo a costituire una sorta di rappresentazione del razzismo propagandato dalle teorie scientifiche dell’epoca.

Era stato un commerciante di Amburgo, Carl Hagenbeck che riforniva di animali selvaggi i giardini zoologici di mezza Europa, ad avere l’idea intorno al 1874 di esporre anche alcuni indigeni dell’isola di Samoa presentandoli come individui “puramente naturali”. Si rese presto conto di quanto potesse essere lucroso esporre uomini di etnie differenti da quella europea e inventò di fatto “gli zoo umani”, che divennero presto una delle maggiori attrazioni delle prime Esposizioni Universali.

Al Museo PierMaria Rossi è possibile ripercorrere la vita di intere famiglie alle quali sono state tolte le loro radici. Uomini e donne portati lontano dai paesi d’origine, considerati “diversamente umani”, in alcuni casi spacciati dal mondo scientifico come anelli mancanti tra l’uomo e la scimmia in una logica di darwinismo sociale. Sono immagini e temi delle grandi esposizioni universali, a partire da quella di Torino del 1884.

Manifesto pubblicitario dellepoca del giardino zoologico di Parigi Copia 54811 
 Manifesto pubblicitario d'epoca del giardino zoologico di Parigi

Documentate in particolare quelle di Milano (1906), Torino (1911), Parigi (1931), attraverso fonti giornalistiche, letterarie, iconografiche, fotografiche, di costume mentre una grande installazione riproduce la gabbia originale dell’esposizione di Saint Louis (1904). L’esposizione del 1958, la prima post bellica tenuta a Bruxelles, è raccontata nel cortometraggio “Zoo” di Monda Raquel Webb, concesso in esclusiva per la mostra.
Storie avvincenti quelle narrate, coinvolgenti nei testi del catalogo che racconta di “vite rubate” come quella di Sarah, la Venere ottentotta o quella di Ota Benga, Pigmeo africano. Sono solo un esempio di un percorso che si snoda tra una drammatica realtà e le immagini fantastiche delle riproduzioni di poster datati tra il 1870 ed i primi anni Trenta, volti a raffigurare un fenomeno tanto sconvolgente quanto straordinario. “Non riuscivo a credere che una cosa del genere potesse mai essere accaduta” scrive Clemens Radauer che ha prestato gli oggetti della sua collezione perchè “mostre come questa sono molto importanti per la diffusione della

Pigmei Londra 1884 Copia 54671 
 Pigmei - Londra 1884

conoscenza sugli zoo umani e la sensibilizzazione del grande pubblico”.

Nonostante siano trascorsi anni dalle storiche grandi esposizioni etnologiche -l’ultima documentata in mostra è quella di Augusta, in Germania, del 2005, ultimo caso europeo - la globalizzazione, nel bene o nel male, mette continuamente a confronto realtà e radici differenti, a volte con scambi culturali di grande respiro che portano ad una nuova consapevolezza collettiva, a volte con risultati di intolleranza perchè il “diverso” incute sempre paura, disagio e pregiudizio. L’obiettivo della mostra è sensibilizzare sulla necessità di considerare “l’Altro” non più come nemico in base alla sua appartenenza etnica, sociale, religiosa e politica nella scoperta di vicende reali che la fotografia, l’oggettistica, i manifesti, i testi possono tramandare.

Dopo il successo ottenuto nella mostra al Museo storico della Lamborghini, a Sant’Agata Bolo-gnese, in occasione delle celebrazioni del 50° Anniversario della Miura, Alfonso Borghi si pre-senta con una nuova mostra, “i quattro quartetti” a cura di Stefania Provinciali, critica d’arte e giornalista, nella splendida cornice del Castello Scaligero di Malcesine. Le opere tutte inedite sono dedicate ai poemetti di T.S. Eliot e ripercorrono con la materia ed il colore, elementi basilari nell’opera dell’artista di Campegine, pensieri e parole del celebre saggista e poeta. Un affa-scinante indagine che unisce parole ed immagini e l’idealità di un pensiero racchiuse nelle quindici tecniche miste che compongono la mostra.
Ancora una volta Alfonso Borghi interpreta con passione e tecnica sapiente l’originalità di un autore sulla tela. Si accosta alla materia con immediatezza, compone un’idea donandole una forma ideale nella assoluta certezza di una pittura informale che affonda le radici nella tradi-zione padana. scrive nella sua introduzione al catalogo Claudio Bertuzzi, Assessore al Turismo di Malcesine.

Il tempo e la campana hanno sepolto il giorno T.S. Eliot 2016 tecnica mista su tela cm 50x50 

Il tempo e la campana hanno sepolto il giorno
(T.S. Eliot), 2016,tecnica mista su tela, cm 50x50

Alfonso Borghi, nato nel 1944 nella cittadina di Campegine di Reggio Emilia, si avvicina alla pit-tura a soli 18 anni, ha la possibilità di esporre le sue opere per la prima volta, grazie all’intercessione di un collezionista. Parte per un breve viaggio a Parigi. Da questo soggiorno consegue una ricerca appassionata, che virerà verso l’Espressionismo dopo il suo ritorno in Ita-lia, grazie anche al fortunato incontro con George Pielmann, allievo di Kokoschka. Le sue opere, viaggiano nelle principali città europee e statunitensi. Sono gli anni ’70: Barcellona, Berlino, Madrid, Vienna, Parigi, NewYork, Los Angeles. A partire dagli anni ’80 un susseguirsi di mostre e di eventi importanti costellano l’attività artistica del maestro. Lavora il vetro, la ceramica, ma si dedica anche alla scultura, avvicinandosi ad una pittura di più chiara matrice informale.
Oggi le sue opere trovano spazio in collezioni pubbliche e private e in musei italiani e europei. Tra le mostre più recenti nel 2014 al Museoteatro della Commenda di Prè a Genova, con la mostra Alchimie della realtà e a Palazzo Medici Riccardi a Firenze. Al Centro Espositivo Rocca Paolina, di Perugia presenta l’antologica Sonorità materiche. Nel 2015 e a Milano al Palazzo Giuriconsulti, poi in ottobre sempre a Milano alla Galleria San Carlo, con una personale La pittura sublime alimento dell’anima. Nel 2016 è alla Casa del Mantegna Mantova con la personale L'Olimpo della materia e al Museo Lamborghini a Sant'Agata Bolognese, celebra i 50 anni della Miura con la mostra Velocità e colore.
La mostra “i quattro quartetti” sarà accompagnata da un catalogo in italiano, inglese e tedesco con testi di Stefania Provinciali. Il catalogo sarà presentato sabato1 ottobre a Malcesine.


Il tempo presente e il tempo passato
sono forse presenti nel tempo futuro,
e il futuro è racchiuso nel passato.
(T.S. Eliot “Quattro Quartetti”)


Inaugurazione sabato 3 settembre ore 17,30 Castello Scaligero
Alfonso Borghi “ i quattro quartetti”
Malcesine, Castello Scaligero, Via Castello, 39
Dal 3 settembre 2016 al 30 ottobre 2016
Mostra organizzata da Comune di Malcesine
Orari: tutti i giorni dalle 9,30 alle 18
Per informazioni: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.; This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.; www.alfonsoborghi.com

Ha origini calabresi, è nato a Crotone, ma all’età di sei anni si trasferisce con la famiglia a Reggio Emilia. E’ proprio in terra emiliana che Alfonso Oliver inizia a muovere i primi passi nel mondo della musica. Si iscrive ad una scuola pubblica e si dedica al canto moderno,oltre allo studio della chitarra classica. Per mantenersi lavora come carpentiere, ma la musica lo accompagna sempre e si impegna con determinazione per concretizzare il suo sogno. Arriva il primo album“Hotel del rock”, realizzato con il proprio gruppo “Gli Oliver”, prodotto dall’etichetta romana Terre Sommerse, un esordio che consente al giovane artista di farsi conoscere a livello territoriale. Poi una scelta, un percorso da solista, che lo porterà al primo album da cantautore “Tutta colpa della musica”, un progetto discografico che contiene otto brani particolarmente interessanti. “Giro giro mondo” sarà la track di maggior successo. Tanta radio, diverse trasmissioni televisive, live e concerti, l’incontro con i big. Continua la scia di consensi e dopo il singolo #Blablablasi aggiungonoaltre date in giro per l’Italia e in Ucraina. “30” non è altro che una provocazione rivolta a quei giovani non più ventenni che pensano che non ci sia più spazio per le speranze e per i sogni. E’ un invito a reagire, a credere in se stessi e nel futuro, perché la vita è un viaggio da affrontare con coraggio, privi di rimpianti e paure.

Alfonso Oliver, un percorso artistico fatto di sacrifici ed impegno, che ti ha portato anche in Ucraina. Dall’esordio quali sono state le tappe più importanti? E come hai vissuto l’esperienza fuori dai confini nazionali?

La tappa più importante è stata quello di iniziare questo percorso, poi tutte le volte che scrivo, che salgo su un palco, le considero grandi opportunità. I sacrifici fanno parte del gioco, e bisogna essere disposti a pagare il prezzo che questo lavoro richiede.L'Ucraina è stata una grossa scoperta per me. Grazie al cantautore Andrea Pinto, italiano ma residente a LVIV, ed ai suoi promoter, sono stato per due volte in tour in quella bellissima terra. C'è un amore sfrenato per noi Italiani e soprattutto per la nostra musica.

30, come nasce questo nuovo singolo e come è avvenuta la realizzazione del video? Perché proprio questa cifra?

Questo nuovo singolo nasce dalla voglia di provocare tutti coloro che credono che superando una certa età, i "30", si debba porre fine ai propri sogni e mettersi al sicuro,senza poter rischiare più nulla della propria vita...E' un testo scanzonato, ma se si ascoltano bene le parole c'è anche tanta nostalgia.

Che significato ha per te fare musica nell’era digitale?

Essendo io stesso dell'era digitale, non saprei forse dare una giusta risposta…Ma non mi sono mai posto la domanda devo dire.

Che rapporto hai con la tecnologia e con i social?

Molto buona. I social e la tecnologia sono tutto oggi e ad essere sincero amo la comodità che ti danno.

La vita è fatta di incontri. Quale è stato fondamentale in ambito professionale?

La mia prima scuola di canto.

Che rapporto hai con le persone che ti seguono e come vivi la popolarità?

Amo la gente e l'unica cosa di cui veramente mi preoccupo sempre, è riuscire a toccare i loro punti deboli...perché sono loro che decidono chi può o meno fare questo mestiere…E devi dare tutto quello che puoi e anche di più.

Progetti futuri.

Finirò il mio tour in agosto. Poi si torna in studio!!

Lo dico subito a scanso di equivoci: sto con Aldo Fabrizi e la sua meravigliosa e verace quanto appetitosa poesia “La Matriciana mia” (dissento solo sugli spaghetti, amo i bucatini):


Soffriggete in padella staggionata, 
cipolla, ojo, zenzero infocato, 
mezz'etto de guanciale affumicato 
e mezzo de pancetta arotolata.

Ar punto che 'sta robba è rosolata, 
schizzatela d'aceto profumato 
e a fiamma viva, quanno è svaporato, 
mettete la conserva concentrata.

Appresso er dado che je dà sapore, 
li pommidori freschi San Marzano,
co' un ciuffo de basilico pe' odore.

E ammalappena er sugo fa l'occhietti, 
assieme a pecorino e parmigiano, 
conditece de prescia li spaghetti.

Parto da queste considerazioni finali cercando di ripercorrere in sintesi la storia di un piatto “romano” che è diffuso in tutto il mondo.

Matriciana o Amatriciana?

 ilpassetto1
 Il Passetto

Due linee di pensiero gastronomico che dividono non tanto i cittadini di Roma che rivendicano a pieno titolo (sono schierato con loro) l’originalità della ricetta quanto i laziali e gli abruzzesi. Per ragione di parte i “reatini” sono schierati per l’Amatriciana di Amatrice, così pure gli aquilani, mentre il resto del Lazio è a favore della Matriciana. Altro elemento di divisione è l’utilizzo del formaggio pecorino. I favorevoli all’Amatriciana “spolverano gli spaghetti” con pecorino abruzzese mentre i Matriciani “ con pecorino romano.

Personalmente aggiungo che, se trattasi di ricetta originale romana, meglio usare i “bucatini ”, abbinabili da sempre a condimenti forti.

AMATRICIANA o MATRICIANA?

Versione AMATRICIANA. La cittadina di Amatrice ne rivendica la ricetta. Ricordano i loro abitanti che i pastori quando seguivano al pascolo i loro greggi portassero con se guanciale affumicato da tagliare a cubetti, pecorino fatto da loro e spaghetti. Maiale, formaggio di pecora e pasta per preparare quello che chiamavano “unto e cacio” per una dieta calorica necessaria a sopportare il duro lavoro. Poi l’emigrazione verso la Capitale a causa della crisi della pastorizia e alcuni di loro, trovando occupazione nella ristorazione, fecero conoscere questo piatto tipico. La Storia dei ristoranti romani ci ricorda “Il Passetto” vicino a Piazza Navona aperto da un amatriciano di nome Luigi Sagnotti. Correva l’anno 1860. L’amatriciana di Amatrice era ufficialmente arrivata a Roma. Poi, per dover di cronaca, ricordo che lo stesso Ristorante, nel 2009, finì in prima pagina su tutti i quotidiani nazionali per quel “conticino salato” rifilato a due turisti giapponesi. Ma questa è altra storia.

Versione MATRICIANA. L’origine è sempre legata ai pastori, questa volta dell’Agro romano, che nei tempi dei tempi variarono un’usanza (divenuta ricetta) dal nome di “Gricia”. Sostituirono alcuni ingredienti rendendola “più facile”.

Nel 1855, ben cinque anni prima dell’apertura del “Il Passetto”, il Cavalier Alessandro Rufini, scrittore di cose romane, pubblicò un libro dal titolo molto lungo ma esaudiente “Notizie storiche intorno alla origine dei nomi di alcune osterie, caffè, alberghi e locande esistenti nella Città di Roma”. Nel libro cita “l’Osteria della Matriciana”, via della Pilotta 22, detta della “matriciana” perché condotta da una donna di origine napoletana o meglio “della matrice del Regno di Napoli” E guarda caso preparava spaghetti con sugo composto da guanciale di maiale, formaggio pecorino romano e conserva di pomodoro. Gli spaghetti alla Matriciana, con tanto di cartello pubblicitario fuori dalla porta. Oggi, nella stessa via, nello stesso palazzo c’è un altro Ristorante con nome diverso, Le Lanterne, che offre una variante alla matriciana: non spaghetti o bucatini ma i più richiesti “paccheri”. L’“evoluzione” dei gusti.

Comunque la si pensi, poco importa chi l’abbia inventata. Una cosa è certa: è Roma e la sua cucina che ha fatto conoscere nel mondo il sugo alla Matriciana, pardon all’Amatriciana.

Personalmente sto con Aldo Fabrizi e con i Bucatini.

August 26, 2016

In questo momento, la democrazia in Brasile è minacciata fortemente, sulla base di un impeachment illegale della presidente Dilma Rouseff.
La accusa è di aver praticato "pedaladas fiscais", pratica comune fatta in diversi governi precedenti, da governatori di diversi stati brasiliani e che mai, precedentemente sono stati inquisiti.

Di recente, alcune perizie promossa dal senato e dal ministero pubblico federale, hanno dimostrato  che in realtà, non è esistita  nessuna irregolarità.
Il 19 luglio, è stato istituito a Rio de Janeiro, un tribunale internazionale, sul  modello del tribunale dell' AIA, per i diritti, dove hanno partecipato diverse autorità che operano nel  settore della tutela dei diritti umani, e all' unanimità, la presidente Dilma  è stata riconosciuta innocente.

Non esistono  prove che la incriminano, vogliono allontanarla  per garantirsi l' immunità.

Dilma è stata la politica che ha dato la più grande autonomia per investigare sui crimini legati alla corruzione nella storia del paese.
Il governo illegittimo Michel Temer  sta distruggendo in tempo record tutto quanto fatto in precedenza come, per esempio, i benefici sociali raggiunti dai governi precedenti, cercando di attuare un programma neo liberale e ultra conservatore, non approvato dalla popolazione brasiliana.

La stampa mondiale ( le Monde, El país, Der spiegel, the guardian, Washington post, the new York time, al Jazeera, the intercept e molti altri, hanno dimostrato grande interesse nel verificare lo stato reale delle cose, e hanno pubblicato regolarmente articoli in relazione al golpe in corso.

Il popolo brasiliano sta ricevendo crescente attestati di solidarietà, da diversi parlamentari di tutto il mondo ( paese europei, America latina, Stati uniti, Parlamento europeu, ONU e tanti altri) che dimostrano preoccupazione in merito alla crisi democratica brasiliana, giudicata un colpo di stato.
Purtroppo la stampa brasiliana si sta rendendo protagonista di un processo di disinformazione sociale, ovvero non informa i brasiliani secondo il manuale del giornalismo autonomo e independente,facendo da esempio a tutti i giornalisti indepenti, blogs , e ai social media.

Per questo motivo, pensiamo che sia di fondamentale importanza poter contare sul  vostro lavoro, per dimostrare in maniera imparziale alla comunità italiana ciò che sta realmente avvenendo in Brasile.


Secondo il ultimi sondaggi, il 70% della popolazione non approva l' operato del signore Temer, un esempio ci viene anche da quanto è avvenuto all'inaugurazione delle olimpiadi del 5 agosto, quando il giorno prima la torcia olimpica  è stata spenta dalla popolazione in rivolta contro il golpe.

Il mese di agosto, come anche il periodo precedente  all ' allontanamento della presidente Rouseff, sarà un mese di lotta a favore della democrazia, in tutto il Brasile e in tanti altri paesi del mondo, le manifestazioni sono  denominate " fora Temer" e " Volta querida".
I movimenti  sociali democratici porteranno nuovamente milioni di persone nelle strade , sia in Brasile che all ' estero, dove stiamo organizzando delle attività in almeno venti città.
Siamo sicuri che la comunità italiana non resterà indifferente a quanto sta accadendo , ed abbiamo la certezza che quello che stiamo denunciando  sia di grande importanza anche per il popolo italiano.

Siamo a dispozicione per fornire maggiori informazioni e confidiamo nella vostra profissionalita, e nel  valore dell vostro lavoro, affinché questi eventi non  passino inosservati in Italia, in nome della democravia brasiliana

Brasiliani in Italia contro il Golpe

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Se da una parte l’onnivorismo ha consentito all’uomo di superare tempi di penuria dall’altra è stato ed è la rovina della nostra condizione fisica e morale

Nella comune accezione si considerano onnivori gli animali che usano mangiare di tutto. E anche se l’essere umano non ha alcuna caratteristica degli animali onnivori, lo si ritiene tale, senza considerare che furono estreme necessità di sopravvivenza a costringere la specie umana ad adattarsi a mangiare anche la carne.
Fuorvianti e tendenziose le immagini che in tv mostrano gli uomini primitivi consumare sanguinolenti pezzi di carne di animali abbattuti, come se i nostri progenitori si fossero nutriti solo di carne: in questo caso non sarebbero sopravvissuti un solo mese. Gli animali carnivori mangiano l’animale intero (cosa che l’uomo non può fare), cioè ossa, cartilagini, muscoli e le interiora con il cibo ingerito della preda.

Nei periodi più duri della guerra gli uomini mangiavano pane fatto con cortecce di alberi, segatura di legno e gramigna essiccata. Continuare a farlo anche dopo passato il periodo di penuria porterebbe inevitabilmente a malattie di vario genere. Il leone affamato mangia anche le mele ma se l’eccezione diventa norma ne paga le conseguenze. Oggi l’umanità continua ad adottare un’alimentazione di guerra in tempo di pace.
Col passare del tempo la carne è stata appannaggio delle classi abbienti, e il popolo ha emulato le abitudini dei ricchi, sia perché erroneamente convinto della sua importanza nella dieta e sia perché resa gradevole dalla cottura.

La paura infondata che manchi qualcosa nella nostra dieta, se priva di prodotti carnei, suffragata abbondantemente dalla medicina convenzionale, crea dei dubbi anche nelle persone più inclini al vegetarismo. E nell’incertezza, nel dubbio, la gente è portata se non altro a limitarne il consumo, e soprattutto non farla mancare ai bambini, nella convinzione che questa sia necessaria al loro sviluppo. Se fossimo onnivori avremmo alche la caratteristiche fisiche, anatomiche ed istintuali degli animali onnivori.
Tra gli animali più conosciuti considerati onnivori abbiamo, in ordine alfabetico: babbuino, carpa, cigno, cinghiale, corvo, criceto, formica, gabbiano, gallina, gallo, gorilla, granchio, macaco, maiale, mandrillo, merlo, oca, orango, pesce gatto, piranha, ratto, riccio, scarafaggio, scimpanzé.

Ebbene, l’essere umano archetipo dei primati (non ha nulla in comune con nessuno di questi animali considerati onnivori eccetto babbuino e scimpanzè che raramente mangiano anche insetti ed altri animali) non ha come gli altri animali onnivori gli strumenti naturali per procacciarsi la carne come cibo; non ha artigli, zanne, corna, zoccoli, becco; non ha i denti secodonti adatti a strappare brandelli di carne dal corpo dell’animale; non ha quantitativi necessari di acido cloridrico nello stomaco per digerire le ossa; non ha l’enzima uricasi per neutralizzare gli acidi urici; non ha un intestino corto adatto a smaltire rapidamente le scorie prodotte dagli organismi in via di decomposizione.
Le scimmie antropomorfe, per il 98% vegetariane e per il 2% onnivore, hanno canini corti utilizzati per difesa, mentre nell’uomo sono corti e smussati e non si incrociano. Come le scimmie antropoidi produciamo ptialina salivare che ci consente di digerire i carboidrati. Ma anche se, per assurdo, noi fossimo addirittura carnivori, il nostro senso di giustizia e della nostra ostentata civiltà non dovrebbe indurci ad adottare l’alimentazione etica e ad escludere dalla nostra alimentazione prodotti che non sono necessari al nostro sostentamento ma che urlano di dolore?
Anche se babbuino e scimpanzé, quando scarseggia il loro cibo elettivo, occasionalmente si nutrono anche di carne in modo occasionale (non sistematico come succede negli umani) tutti gli altri componenti della grande famiglia delle scimmie antropoidi, a cui la specie umana appartiene, sono fruttariane. Non solo. Mentre i nostri cugini antropoidi sono provvisti di armi naturali (come denti ben appuntiti e potenti mascelle, di cui noi umani siamo sprovvisti, e che in qualche modo giustificherebbe una dieta a volte onnivora), gli esseri umani, fisiologicamente e anatomicamente risultano essere ancora più marcatamente progettati per nutrirsi esclusivamente di frutta, germogli, bacche, semi e radici. Insomma, la natura non ha previsto che l’uomo consumi prodotti di derivazione animale, pena il subire gli effetti di un cibo incompatibile con la sua salute fisica e soprattutto con la sua dimensione morale e spirituale.

“L'uomo è in grado di mangiare qualsiasi cosa.
Ha la capacità di digerire zampe di cadaveri mummificate, rocce,
miceti e secrezioni irrancidite e fermentate delle ghiandole
mammarie. Ovvero, prosciutto, sale, funghi e formaggio,
se detti così vi piacciono di più”. (Jasmina Trifoni)

La mia campagna si trova a 600 metri sul livello del mare, in linea d'aria, sopra le Fonti del Clitunno, a circa metà strada tra Spoleto e Foligno, Umbria dunque.
La luce del sole estivo filtra tra le foglie degli alberi mosse dal vento, il silenzio è interrotto dalle campane del convento che segnano le ore, facendo riaffiorare la coscienza sopita del tempo che passa. La frenesia dell'attività quotidiana è lontana come il rumore del treno che arriva attutito.

Alle sette di mattina, puntuale, passa lo scoiattolo nero dal petto bianco, percorre la solita via aerea, di ramo in ramo, che la mattina lo porta a lavoro e la sera, a ritroso, a casa.
È un agosto insolitamente freddo, che agevola le passeggiate, a Spoleto per esempio.
La sera, la città è comunque tranquilla e poco popolata. Lungo il corso le vetrine dei negozi sono illuminate e invitano i turisti a tornare di giorno per lo shopping. Diverse gelaterie propongono gelati artigianali, mentre, oltre ai ristoranti con i tavolini su strada, anche luoghi meno strutturati, invogliano a provare cibi e bevande, vari, originali, più o meno veloci, alla moda.
La città sonnecchia, le persone passeggiano rilassate. Le luci del seicentesco Palazzo Ancaiani, che ospita il Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo sono tutte spente. Al suo fianco ci si affaccia sul Teatro Romano.

Salendo ancora, oltrepassato l'Arco di Druso, si entra nella Piazza del Mercato, le norcinerie "storiche" tengono chiuse all'interno le loro prelibatezze. Si prosegue verso il Duomo e la Rocca, con la passeggiata che gira tutto in torno, con vista panoramica e il ponte che collega al Monte Luco.
Di giorno i musei di Spoleto sono una meta interessante, insieme ai monumenti e alle chiese.
A Ferragosto una delle bellissime chiese antiche nei dintorni della città, nella semplicità della messa offre la musica dell’organo. La cura della chiesa che trasuda da tutti i pori e mattoni, commuove, in questo momento di abbandono della fede, della fedeltà, delle tradizioni. Ogni particolare sembra testimoniare la buona, amorosa, amministrazione di un parroco giovane, irradiata dalle lampadine a basso consumo.
A Spoleto la Metamorfosi Art Gallery in Piazza Duomo espone Antonio Canova. Grazia e Bellezza. Inaugurata nei giorni del Festival, si concluderà il 2 ottobre, aperta da martedì a domenica, con chiusura serale alle 23 il fine settimana, mostra disegni, monocromi, gessi, incisioni e 11 lettere che testimoniano il rapporto con l’Umbria.
I paesi vicini, la sera, offrono spettacoli di musica, danza, teatro dialettale e cinema all'aperto, di giorno, sagre dedicate ai piatti e prodotti tipici tradizionali. Sulle strade di paese si incontrano sparuti turisti, viaggiatori col sacco in spalla, appassionati di trekking, pellegrini. Il fine settimana numerosi ciclisti affrontano la salita verso la montagna.

Pietro Ubaldi, nasce a Foligno il 18 agosto 1886; filosofo, scrittore, insegnante di italiano, candidato al premio Nobel nel 1939, che poi fu assegnato a Jean-Paul Sartre. Indaga sull’evoluzione dell'universo partendo dalle leggi dell'evoluzione umana. Il suo testo “La grande sintesi” (messo all' indice nel 1939, poi riammesso da papa Giovanni XXIII), fu giudicato da Enrico Fermi "Un quadro di filosofia scientifica e antropologica etica, che oltrepassa di molto i consimili tentativi dell'ultimo secolo”. Studiò pianoforte, apprese l'inglese, il francese e il tedesco, viaggiò negli Stati Uniti; nel 1912 sposò Maria Antonietta Solfanelli,dalla quale ebbe due figli. Divenne professore di lingua e letteratura inglese, insegnando nelle scuole medie inferiori e superiori, prima a Modica, in Sicilia, e poi a Gubbio.

Nel 1927 fece voto di povertà e gli sarebbe apparso Gesù Cristo.
L'apparizione si sarebbe ripetuta nel 1931, insieme a san Francesco di Assisi. Il giorno dello stesso anno avrebbe ricevuto il primo di numerosi "messaggi".
Quando si trasferì definitivamente a São Vicente, nello stato di São Paulo, scrisse altri quattordici volumi, dichiarando conclusa la sua opera nel giorno di Natale del 1971, esattamente quarant'anni dopo il primo "messaggio" ricevuto.

Nei suoi 24 volumi ed in un notevole numero di articoli e libretti, Pietro Ubaldi con sistema d’indagine intuitivo e un linguaggio chiaro, pulito e logico, parla della nuova Scienza dello Spirito, della Reale Essenza dell’Uomo e dell’Universo, della vera sostanza di tutte le cose come di un’essenza profondamente Spirituale, e rivela il “Metodo” per penetrare il mistero e accedere all’Imponderabile.

Secondo Ubaldi è tempo che si superino le chiusure delle religioni istituzionalizzate, cristallizzate in dogmi e cerimonie, è tempo di amare lo Sposo dell’anima: DIO! Il mondo fenomenico viene decifrato secondo la ferrea Legge di causa e di effetto, ove la Sapienza Divina regna Sovrana.

In un processo di unificazione tra scienza e fede, Pietro Ubaldi chiarisce il rapporto esistente tra involuzione ed evoluzione tra le tre dimensioni della materia, dell' energia e dello spirito. Spiega il senso della vita, la funzione del dolore e la presenza del male. Inoltre ritiene che esiste un'unica "Sostanza", la cui essenza sarebbe il movimento e che si manifesterebbe come " materia" (statica), " energia" (dinamica) e "spirito" (vita). L'essere umano è chiamato ad evolversi ampliando la percezione della sua coscienza, che da individuale deve farsi collettiva, per farsi poi coscienza cosmica. Viene delineato il futuro dell'umanità, permeato da una nuova etica internazionale, come consapevolezza razionale e non emotiva o pacifista, dove l’essere umano attua la sua evoluzione tramite la reincarnazione.

In ogni situazione invita a cercare ciò che unifica. Per questo fare il male significa voler andare contro la corrente del Sistema, perpetuando la separazione, che genera sopraffazione e violenza, sino   all'autodistruzione.
Fare il bene, invece, vuol dire cercare di armonizzarsi con tutto e con tutti, in un processo di unificazione che è rappresentato dall'ordine e della giustizia divina. Il segreto della felicità consiste nell'inquadrarsi
nell'ordine cosmico e la preghiera autentica come docile accettazione della Legge.

Il fine dell'esistenza è rappresentato dall'evoluzione etica, iscritta nell'evoluzione dell'universo inteso come un'inestinguibile volontà di amare, di creare, in lotta col principio dell'inerzia, dell'odio e della distruzione. L'etica viene concepita come realtà ascendente a seconda le dimensioni dell'essere lungo la scala evolutiva. Fondamentali sono gli ideali come funzione di orientamento e di guida aventi il compito di proiettare l’essere umano verso la realtà della spiritualizzazione enunciati storicamente delle grandi religioni e dalle leggi morali, in un continuo cammino ascensionale, nella comprensione reciproca e nella fratellanza  universale.

Nella legge dell’evoluzione collettiva si tende a sempre più ampie convergenze: dalla coppia alla famiglia, dalle nazioni alle unioni di popoli, sino all'unione di tutti gli esseri viventi del pianeta, pur mantenendo il valore delle diversità. Per questo, la via è quella del superamento di ogni separazione: la separazione da sé stessi, dagli altri, dal mondo.

L'evoluzionismo di Ubaldi, ben diverso da quello di Darwin, guarda all'avvenire come tensione spirituale verso il superuomo che è presente in ognuno di noi, diverso dal superuomo enunciato da Nietzsche  caratterizzato dal desiderio di espandere solo le potenzialità dell'io.

Attraverso il metodo intuitivo la coscienza riesce a penetrare l'intima essenza dei fenomeni, diversamente dal metodo obiettivo, anche se giunge a conclusioni più universali perché basato sulla distinzione tra l'io e il non io, tra il soggetto e l'oggetto, tra la coscienza e il mondo esteriore.

I suoi scritti sarebbero passati da una forma ispirata di contatto telepatico con le correnti di pensiero a livello "supercosciente", al controllo razionale dell'ispirazione che consente di esaminare sia la "materia" che lo "spirito" nella loro armonia, unificando scienza e fede, considerate due aspetti della stessa verità.

A Roma succede di sentirsi in vacanza nelle giornate di agosto, quando la mattina, le strade del quartiere sono silenziose e il passaggio delle macchine di chi è rimasto per lavoro, sulla strada principale, ha il ritmo e il suono delle onde che si infrangono sulla battigia. Non c’è l’ansia della ricerca del parcheggio e i pedoni un po’ per la mancanza di traffico, un po’ per il caldo, camminano più lenti e rilassati, senza fretta. Non c’è fila alla posta, i negozi sono quasi tutti chiusi. Sono andati in vacanza anche i vestiti dei manichini del negozio di abbigliamento, lasciati nudi, di schiena e in fila contro il vetro della vetrina, come una barriera contro chi avesse dei dubbi sulla chiusura del negozio o volesse attentare alle sacrosante vacanze.
Chi si sente solo, armandosi di pazienza nell’attesa delle diradate corse d’autobus, potrebbe spostarsi in centro, dove gli stranieri fanno numero.
I musei offrono rifugio dal caldo e l’opportunità di viaggiare nello spazio e nel tempo. Viaggio esotico alle Scuderie del Quirinale con i Capolavori della scultura buddhista giapponese. Al Complesso del Vittoriano, il fascino liberty delle donne di Alphonse Mucha. Ai Mercati di Traiano Made in Roma. Marchi di produzione e di possesso nella società antica permette un confronto tra il consumismo e lusso antico e quello contemporaneo. Contrasto di antico e contemporaneo anche con Ugo Rondinone. Giorni d’oro + notti d’argento, l’installazione ai Mercati di Traiano consiste in 5 calchi di ulivi millenari di Puglia e Basilicata in alluminio verniciato di bianco, l’archeologia industriale dell’ex mattatoio, sede del MACRO Testaccio, accoglie l’altra installazione dell’artista svizzero. Ai Musei Capitolini, le già ricche collezioni permanenti, sono affiancate da due mostre temporanee: La Spina. Dall’Agro Vaticano a Via della Conciliazione. Materiali, Ricordi, Progetti e La Misericordia nell’arte. Itinerario giubilare tra i Capolavori dei grandi Artisti Italiani.
La sera si può andare a spasso nel tempo con le ricostruzioni virtuali dei Fori di Augusto e di Cesare.

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