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“Forse possono dire che non so cantare, ma nessuno potrà dire che non ho cantato”
Per le feste natalizie arriva nelle sale, dal 22 dicembre 2016, il biopic Florence del regista britannico Stephen Frears (Philomena; The Program) con una straordinaria Meryl Streep. Nel cast anche Hugh Grant, Simon Helberg, Rebecca Ferguson, Nina Arianda.
La pellicola, ambientata a New York nel 1944, racconta l’ultimo anno di vita dell’artista americana Florence Foster Jenkins, ricca ereditiera, ripercorrendone la vita e la bizzarra carriera. Famosa per essere la peggiore cantante lirica che sia mai esistita, tentò di sfondare come soprano senza avere alcun talento.
Dopo la separazione dal marito, Frank Thornton Jenkins, è costretta a smettere le lezioni di musica per via della sifilide. Con la morte del padre, eredita una cospicua somma di denaro che le permette di diventare una mecenate e frequentare i salotti dell’alta società newyorkese. Determinata nella carriera di soprano e assecondata dal marito e manager, l’attore shakespeariano inglese St. Clair Bayfield, interpretato da Hugh Grant, intrattiene l'élite cittadina con discutibili performance canore. A seguito di una prima esibizione al Verdi Club e l’uscita di alcune recensioni positive e “pilotate” da St. Clair, la sua carriera inizia a decollare, accompagnata dal pianista Cosmé McMoon, tanto da spingere Florence ad esibirsi presso la Carnegie Hall. La serata è un fiasco, con risate degli astanti e recensioni negative coperte dal marito e dagli amici della cantante. Ma la verità non tarderà ad arrivare con conseguenze fatali.
Florence è una donna nelle sue diverse sfaccettature, nei diversi ruoli, a cui non manca coraggio, incoscienza e determinazione. Un ruolo non facile per la due volte premio Oscar Meryl Streep, che riesce a rendere con abile maestria tutte le diverse sfumature del personaggio. In un tempo in cui alle donne non era concesso accedere a certe professioni né coltivare sogni, qui troviamo una donna che coltiva con insolita testardaggine un sogno impossibile. Uno spirito infantile, quella limpidezza, autenticità e ingenuità che porta i bambini a sognare senza domande, senza paure, senza inibizioni.
Un’intensa e commovente commedia dagli accenti velatamente drammatici, che ruota attorno alla forza e debolezza di una figura grottesca e inconsapevolmente ironica.
Florence, presentato durante l’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, è distribuito da Lucky Red.
Si è tenuto a San Gimignano l’evento conclusivo dei festeggiamenti per i primi 50 anni della Denominazione d’Origine Controllata (DOC 1966-2016) del suo vino, autenticamente autoctono, la Vernaccia di San Gimignano.
La distinzione con il nome della Città è dovuta per due ordini d’idee: la prima per distinguerla da altre vernacce esistenti sul territorio nazionale (basta ricordarne due, quella di Oristano e l’altra di Serrapetrona), diverse in tutto tranne nel nome, l’altra per ricordare che questo vitigno a bacca bianca si coltiva solo ed unicamente nel territorio collinare circoscritto al Comune di San Gimignano. Coincide con la natura dei terreni unici, del micro-clima esistente, insomma del terroir particolare, atipico, esclusivo.
Il piccolo Teatro dei Leggieri, nel centro di San Gimignano, ha ospitato venerdì 16 dicembre il convegno conclusivo dei primi cinquant’anni. Ugualmente anche i progetti per i prossimi cinquant’anni.
“Vernaccia di San Gimignano. Vino, Territorio, Memoria.”
Il Libro di Armando Castagno
Elemento di modulazione, variazione, di passaggio dal conclusivo al propositivo è stato la presentazione del libro di Armando Castagno che già dal titolo dice molto:” Vernaccia di San Gimignano. Vino, Territorio, Memoria”.
Modulazione,variazione, passaggio; perché?
Perché la sua pubblicazione rappresenta la conclusione di un progetto vuoi rievocativo, vuoi celebrativo. Ma anche la prospettiva di quel “rapporto indissolubile con il territorio, l’arte e la cultura”. Una reale fotografia della Vernaccia oggi, dove viene coltivata, dove cresce e diviene Vino unico al Mondo.
Un libro che accompagna il lettore anche con le immagini, gli scatti del fotografo senese Bruno Bruchi, nei prossimi cinquant’anni ( ha saputo cogliere l’essenza del territorio di San Gimignano in tutta la sua bellezza).
Non è facile riuscire a seguire interventi per circa due ore senza perdere una battuta. La riuscita è dovuta alla bravura degli oratori che hanno parlato a braccio, che sono riusciti a coinvolgere senza frasi fatte, convinti e partecipativi all’evento. Armando Castagno ci ha condotto per mano all’interno delle pagine del libro facendoci capire, comprendere la complessità e la varietà dei territori e la memoria, punto di partenza per il futuro.
“A 50 anni dal riconoscimento della DOC, il Consorzio per la tutela della Denominazione, ha voluto ripercorrere con questo libro la storia secolare del primo vino DOC d’Italia, che è poi la storia di San Gimignano e della sua comunità. Questo libro apre il sipario sulle nostre radici; non si può parlare di Vernaccia senza parlare di San Gimignano, ma non si può neanche parlare di San Gimignano senza parlare della Vernaccia, di chi l’ha coltivata, amata e la ama ancora. Non si tratta perciò di un libro che cristallizza il presente, che narra di una storia che è stata, ma del seme per la Vernaccia di San Gimignano che verrà”.
Questa l’introduzione della Presidente del Consorzio Letizia Cesari che ha fatto intendere che il convegno non sarebbe stato il solito, ripetitivo incontro di quanto siamo bravi, quanto siamo belli.
Preludio al passaggio propositivo, ai 50 anni che verranno, alla presentazione dei progetti che, a mio avviso, pongono San Gimignano fuori dal mondo chiuso della campanilistica frammentazione tipica di altri territori toscani, aperto alla innovazione se pur nella tradizione.
La prima Cité du Vin italiana
Quest’ultimo pensiero riportato in grassetto, aperto alla innovazione se pur nella tradizione sembra la solita frase fatta, ripetitiva, conclusiva. Non è così.
Nello scrivere innovazione, dopo aver seguito le parole che hanno accompagnato un ben preciso progetto firmato dall’Architetto Piero Guicciardini, ho pensato alla Cité du Vin inaugurata nel Giugno scorso a Bordeaux. La città francese non ha storia millenaria come San Gimignano. Ha dovuto esprimere il concetto del futuro del Vino in una costruzione avveniristica posizionata sul fiume Garonne.
A San Gimignano si è pensato ad un luogo che sia il punto di partenza per la comunicazione internazionale della Vernaccia di San Gimignano, dove chiunque voglia avvicinarsi a questo vino , abbia
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ingresso della villa Rocca di Montestaffoli |
l’opportunità di incontrarla, conoscerne la storia, degustarla, discuterne, in un ambiente coinvolgente ed emozionante, multimediale grazie all’utilizzo dei più moderni mezzi tecnologici. Una Cité du Vin di dimensioni più contenute che unisce il passato (il luogo) con il futuro (il percorso, la conoscenza di questo vitigno e del suo vino).
Progetto Rocca di Montestaffoli, ex sede del Museo del Vino, che fa del complesso non solo un luogo contemplativo ma dinamico, partecipativo.
Prestigioso immobile situato all’interno della cerchia urbana posizionato su di un poggio da dove si domina l’intero centro urbano.
Sono già iniziati i lavori di restauro della villa e nell’Aprile 2017 si prevede l’inaugurazione di questo nuovo centro polifunzionale del Vino, anzi della Vernaccia di San Gimignano. Coinvolgimento emozionale, sensoriale, ricordi, conoscenza maggiore. Esperienza unica.
La partenza è quella giusta. I prossimi cinquant’anni della Vernaccia di San Gimignano sono cominciati. Chapeau!
Urano Cupisti
Si è svolta Lunedì 5 Dicembre 2016 alle ore 12, nella suggestiva sala Barile dello storico Palazzo del Consiglio Regionale di Firenze, la conferenza stampa di presentazione del Museo di Arte e Cultura Orientale del Comune di Arcidosso, in provincia di Grosseto. Sono intervenuti: Eugenio Giani, Presidente del Consiglio Regionale della Toscana; dr. Jacopo Marini, Sindaco di Arcidosso, Alex Siedlecki, Direttore del Museo, Fabio Risolo, Presidente Comunità Merigar, Responsabile Relazioni Istituzionali associazione Dzogchen.
Il Presidente Eugenio Giani, dopo i saluti e i ringraziamenti di rito, ha illustrato le caratteristiche culturali del sito in cui sorgerà il Museo: il castello Aldobrandesco, realizzato dalla famiglia Aldobrandeschi nella parte più alta del centro storico dell'omonima località del Monte Amiata, destinato a diventare un importante punto di riferimento culturale e spirituale sul territorio, sia a livello locale che nazionale e internazionale. Ha preso poi la parola il Sindaco Jacopo Marini che ha ribadito l'importanza dei valori insiti nella mission del museo legati alla tolleranza, alla condivisione e alla compassione. È stata poi la volta del Direttore Alex Siedlecki che ha presentato il Museo, il programma di eventi previsto nella settimana successiva all'inaugurazione e l'articolazione interna del Polo Espisitivo, ovvero i 9 spazi della galleria, che intende collegare percorsi artistici alla tecnologia. Infine, Fabio Risolo ha illustrato la storia e le attività svolte dalla comunità Dzogchen, sorta 35 anni fa dalla volontà di persone di diverse nazionalità, età, professioni e culture che avevano iniziato a incontrarsi e condividere studi, pratiche e vita quotidiana. L’insegnamento Dzogchen, per sua stessa natura, si ispira alla compassione, alla non violenza, al rispetto per ogni creatura vivente. Una delle caratteristiche più forti della Comunità Dzogchen è la varietà di nazionalità presenti. Collegata a diversi centri culturali nel mondo, la sede principale è Merigar, nel Comune di Arcidosso, ed è incentrata sulla figura del Prof. Namkhai Norbu, nato nella Regione Autonoma del Tibet, risiede in Italia dagli anni Cinquanta. Sin dalla giovane età è stato riconosciuto come raffinato erudito, ha lavorato presso l’ISMEO di Roma e all’Università Orientale di Napoli. Le sue ricerche, di fama mondiale, sono un riferimento per tutti gli esperti in campo storico e filosofico del mondo orientale. Sono stati poi ringraziati i diversi Patrocini: la Regione Toscana, della Commissione Italiana Nazionale per l'UNESCO, del Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, e del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, dell’Unione dei Comuni Amiatini e dell’UBI, Unione Buddisti Italiani. Infine lo sponsor gastronomico, il Consorzio di Tutela dell'Olio di Seggiano, ha offerto un assaggio dei prodotti di eccellenza del territorio, legati alla produzione dell'olio extravergine d'oliva derivato dalla lavorazione della cultivar locale, l'Olivastra di Seggiano: una cultivar autoctona, particolarmente resistente e selvatica, che copre le pendici del Monte Amiata con uliveti secolari, che si estendono fino ai 600 metri sopra il livello del mare, con un aroma e un gusto singolare, quello dell'"ulivo di montagna", importante per le sue proprietà nutritive e curative, caratterizzate da un alta percentuale di sostanze antissiodanti e vitamina E.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
“Sopra la stessa zolla, sotto la stessa goccia, nello stesso letame”.
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Matilde Poggi, Presidente FIVI |
A Piacenza il grande successo per il Mercato dei Vini della FIVI, la Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti. Oltre le previsioni. Il messaggio? Le piccole realtà ci sono, sono vive, ed hanno intrapreso il cammino giusto. Fare gruppo e sostanza difendendo il valore del Vino italiano.
E non si fermano qui. Matilde Poggi, presidente Fivi, ha annunciato che il 13 e 14 maggio a Roma, zona EUR, si terrà un maxi evento che richiamerà nella Capitale tantissimi vignaioli, in particolare quelli del sud, che per ragioni logistiche non hanno potuto partecipare all’evento piacentino. Ancora una volta Roma al centro del mondo vitivinicolo nazionale.
Frammento n. 1
Testo Unico del Vino. Finalmente è legge
Non riporto le affermazioni del Ministro Martina perché propagandistiche e banali, scontate. Di quelle che ormai ne possiamo tranquillamente fare a meno. Parliamo del Testo che si concentra su di una semplificazione concreta che l’Europa ci chiedeva da anni. Produzione, commercializzazione, gestione, controlli e sistema sanzionatorio. Un’unica legge di riferimento per non continuare a perdersi nei rigoli campanilistici tanto cari ai nostri burocrati e politici locali. Più certezza del diritto e meno contenziosi. Interessante (finalmente) la disposizione sulla salvaguardia dei Vigneti Storici ed Eroici che insistono su aree a rischio dissesto idrogeologico. Adesso il TUV c’è. Per le coperture tempo al tempo.
Frammento n. 2
Lessini Durello. Da uva da taglio a Vino di gran carattere.
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Lessini Durello 60 mesi |
La cantina veneta Marcato ha messo sul mercato il Lessini Durello prodotto con il metodo della rifermentazione in bottiglia dopo una permanenza sui lieviti di 60 mesi (cinque anni). L’uva durella caratterizzata da una buccia spessa, ricca di tannini e da una spiccata acidità spumantizzata con il metodo classico ha dato vita ad un prodotto di armonica eleganza di un controllato equilibrio. Da uno spumante tradizionale, di territorio, con spiccate doti di acidità e vigore adatto per gli aperitivi ad uno brioso ma allo stesso tempo elegante, equilibrato. La durella addomesticata. Lunghissimo nella persistenza, ottimo a tutto pasto.
Frammento n. 3
L’Italia vinicola conquista dieci medaglie. Dove?
All’ottava edizione del Work Bulk Wine Edition. La Fiera del Vino sfuso che, per il 2016, si è tenuta in Olanda ad Amsterdam. Una Gran Medaglia d’oro (Vinicola San Nazaro), una medaglia sempre oro ma declassata e otto d’Argento. Quello che preoccupa è che questi risultati contribuiscono a posizionare l’Italia ai vertici della produzione di Vino di quantità. Dati spesso spacciati come traguardi raggiunti nella qualità. E i francesi se la ridono!
Frammento n. 4
Le mie ultime bottiglie di Pinot Grigio
La Riserva 2006. L’ultimo Pinot Grigio di Joško Gravner. La fine e l’inizio di un nuovo ciclo. “Mi dedicherò solo a vitigni autoctoni di questa zona. Basta
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Josko Gravner e le anfore interrate |
internazionali”. La nuova filosofia di questo produttore che ha rivoluzionato il fare vino. Vigneto Njiva espiantato. Nuovo spazio a Ribolla Gialla e Pignolo. Sarà verità o solo mossa di marketing visto che la produzione di questo Pinot Grigio è stata limitata a 1.500 bottiglie e messe in vendita alla modesta cifra di € 110,00 cadauna? Il tempo ci dirà che…
Frammento n. 5
Nuovo Ristorante “tristellato” in terra di Spagna . Lo chef è italiano.
Per la prima volta nella sua storia la città spagnola di Barcellona ha un Ristorante tristellato. E di per sé fa notizia. Poi se aggiungiamo che lo Chef vero, quello che sfornella dietro insegnamenti dello chef-manager basco Martin Berasategui, è un 36enne veneto che ha potuto indossare la casacca con i tre macaron trapuntati sul petto, fa ancora più notizia. Paolo Casagrande in quattro anni e mezzo ha contribuito a dare un’impronta alla cucina del Lasarte, all’interno del lussuoso Hotel Condes nel centro di Barcellona. È vero che la Catalogna annovera altri tristellati ma per il centro città è la
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Paolo Casagrande indossa la giacca tristellata |
prima volta. Il segreto? Umiltà. “Quando la squadra si pone un obiettivo ben chiaro è più facile perseguirlo”.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
È in atto un nuovo Rinascimento.
Il futuro si gioca e giocherà proprio in quei territori meno conosciuti della grande Regione della Champagne che, usciti dall’isolamento di semplici conferitori d’uve, stanno vivendo il loro Rinascimento.
Grazie a intrepidi, coraggiosi, audaci piccoli vignerons che da coltivatori di vigneti elaborano e commercializzano il proprio vino. Ma che dico: non vino, champagne!
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Paesi che "galleggiano" su di un mare di champagne |
Champagne! Quando ne parli al femminile, la Champagne, il riferimento è al territorio, la vasta area ad est di Parigi, la Regione della Champagne ben 33.564 ettari vitati, quella ben delimitata nei confini all’interno di quanto stabilito dal Disciplinare di riferimento della produzione del Vino più famoso al Mondo: LO CHAMPAGNE, al maschile.
635 Comuni in generale di cui 319 compresi nell’area dell’AOC (Appellation d’Origine Controlée)
Un vino dinamico, sempre in evoluzione sia nei suoi metodi di produzione che di programmazione, marketing, vendita.
Solitamente quando si indica, all’interno della Regione Champagne, le zone più vocate da sempre additate come referenti di produzione d’eccellenze delle più conosciute Maison, i nomi sono sempre quei tre: la Vallée de la Marne, La Montagne de Reims e la Cote des Blancs. Poi a traino, non possiamo fare a meno di indicare l’Aube, il più antico insediamento vitivinicolo nella Champagne.
Non solo. Ma indichiamo per ciascun sito il vitigno maggiormente presente e coltivato. Ed allora parliamo di Vallée de la Marne per il Pinot Meunier, la Montagne de Reims per il Pinot Noir, la Cote des Blancs per lo Chardonnay ed infine un Pinot Noir diverso per l’Aube.
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Mulini ancora funzionanti |
L’Aube risulta anche essere quel territorio dove si coltivano i vitigni meno conosciuti, di minor importanza, chiamati anche vitigni fantasma come l’Arbanne, il Petit Meslier, il Fromenteau, il Pinot Blanc, il Pinot de Juillet, il Pinot Enfumé. Tutti vitigni le cui uve sono permesse per la produzione dello Champagne.
Negli ultimi anni registriamo un fiorente mercato costituito dai piccoli vignerons che non solo continuano a svolgere l’attività di conferitori di uve verso la Grandi Maison e, a volte, dei vins clairs (vini base da rifermentare), ma producono direttamente champagne con proprie etichette facendo conoscere, ogni giorno di più, i territori considerati minori dove non registriamo alcun Comune compreso nella lista dei Grand Cru e Premier Cru.
Da ricordare il proliferare delle Cooperative, più di 150, che rappresentano un variegato mondo divenuto insostituibile nella filiera. Le Coperative de Manipulation (CM). Intervengono nella sola funzione della pressatura dell’uva restituendo il mosto ai vigneron che a loro volta possono commercializzarlo. Oppure preparano i vins clairs (vini base) anch’essi commerciabili o acquistare le uve dai propri soci e produrre con propria etichetta lo Champagne.
Interessante e molto diffuso tra i “piccoli produttori”, che sono più di 3.000, la cooperazione così definita Récoltant Coopérateur (RC). Conferire l’uva alla Cooperativa e ritirare le bottiglie ad elaborazione terminata controllando tutti i procedimenti ed intervenendo sia nei tempi di permanenza sui lieviti, sia nel momento del dégorgement e l’aggiunta della liqueur de dosage o d’expedition.
Abbassare i costi di produzione per essere presenti e competitivi sul mercato.
Il grande sviluppo dello Champagne e la programmazione dell’espansione in quelli che sono e saranno i già definiti territori futuri.
Quanti e quali?
Ben 13 che, unitamente ai 4 ricordati, attualmente formano l’intero territorio viticolo della Champagne.
La Vallée de la Vesle e la Vallée de l’Ardre definite anche nel loro insieme “Petite Montagne de Reims” con 2.500 ettari vitati posti a circondare la città di Reims dalla parte sud-ovest;
La vallée dell'Ardre |
Il Massif de Sainth-Thierry, circa 900 ettari, la parte più a nord dell’intera Champagne. Ci troviamo sul 50° parallelo;
I Monts de Berru, circa 370 ettari, piccolo e isolato territorio a est di Reims;
I Coteaux Sud d’Epernay, circa 1.250 ettari a sud e sud-ovest di Epernay;
La Vallé de la Marne ouest tra Chateau-Thierry e Charly sur Marne, il territorio più occidentale;
Il Terroir de Condé, con 800 ettari, lungo il fiume Surmelin;
Il val du Petit Morin con 900 ettari a ovest e sud-ovest di Vertus, ultimo Comune della Cote des Blancs;
La Cote de Sézanne, 1.450 ettari posta a sud;
Il Vitryat settore isolato a sud-est intorno al Comune di Vitry;
L’area del Montgueux, 200 ettari vicino all’antica città Troyes;
Il Barsuraubois nell’Aube con 2.200 ettari;
Il Barséquanais, molto esteso all’estremo sud della Regione con i suoi 4.700 ettari comprendente anche i territori di Riceys famosi per i Vin Rosé.
Il futuro si gioca qui. Anche le Grandi Maison che attualmente gestiscono circa il 70% dell’intera produzione, lo sanno. Non è difficile infatti, nell’attraversare questi territori, imbattersi lungo le strade in cippi con gli stemmi inconfondibili a ricordare la loro presenza come proprietari, affittuari o semplicemente collaboratori.
Nel mio recente viaggio nella Vallée de l’Asne, per capire dove lo Champagne sta andando, mi sono sentito dire da un piccolo vigneron:” Presto andrò in crisi perché le scorte stanno esaurendosi”.
I vini dei récoltant manipulant (RM, i piccoli) si stanno affermando sul mercato, se ne parla sempre di più anche per l’eccellenze che continuamente registriamo.
Piccolo è bello? No; non è il messaggio che deve passare. Sono i vecchi nuovi territori, quelli del Rinascimento in atto, guidati e gestiti dalla cooperazione vitivinicola che allargano la visione dello Champagne nella Champagne.
IN MOSTRA SINO AL 30 DICEMBRE AL “CUBO” SPAZIO ESPOSITIVO PARMENSE DI GIOVANI CREATIVI
Sino alla fine di dicembre, negli spazi espositivi del “CUBO”, a Parma, da non perdere la rassegna dedicata alle opere di Giulia Conti (Associazione ITZA). Giulia è una giovane ed eclettica creativa- nata a Parma ma da anni residente in Sardegna, a Porto San Paolo (Olbia) – che nel suo alto rispetto per la Natura e del mondo in cui viviamo, ha fatto del “recupero materiali” il fulcro e l’anima delle sue creazioni. Straordinario il risultato : borse, borsoni, pochette , copri calzari ed altri particolari oggetti, forgiati uno ad uno con pazienza certosina, sempre diversi e sempre “inattesi”. Nascono da materiali comunemente definiti “irrecuperabili” ma che lei ha superbamente recuperato : tele di vecchie vele, tessuti plastificati, camere d’aria di camion tutto sapientemente riciclato in raffinate forme, splendidi colori e inaspettate, perfette e funzionali dimensioni. Idee creative che sfiorano i confini dell’arte e che hanno già attirato l’interesse di importanti firme del “made in Italy”.
Giulia Conti racconta, con appassionate vibrazioni, radici e finalità dell’ Associazione ITZA di cui è fondatrice e “pensiero portante”.
“ITZA – spiega – come “Acque Incantate” nasce dal cambiamento della vita quando arriva la vita. L’ idea ITZA è nata quando da navigatrice solitaria mi sono trasformata in mamma, creatrice di nuove forme attraverso vecchie esperienze : un’ evoluzione logica della mia vita,con il rispetto per la Natura guardandola e attraversandola … senza disturbare. Quindi ITZA è nata da una logica evoluzione della mia vita. La prima conquista sono state le vele, giganti bianchi che mi hanno fatto volare con il ritmo del mondo nel mondo stesso, per anni e anni, attraversando culture, colori ed emozioni che mi hanno mutato e forgiato mente ed anima. Vecchie vele, tessuti plastificati, camere d’aria di camion :tutto reinventato e ricreato nel segno del riciclo. Alla fine del viaggio le vele sono diventate borse, pochette, valigie, oggetti d’arredo. I teli plasticati trasformati in pizzi leggeri, le camere d’aria in originali calzari … Idee nate dapprima come piccole evasioni, poi le vecchie vele mi hanno portato a conoscere nuovi (rinnovati) mondi proprio come nei porti si incontrano nuovi personaggi, nuovi “marinai”. Camminando in modo attento e curioso in questo progetto che ho costruito di giorno in giorno – continua Giulia – ho incontrato veri professionisti del settore –pellettieri, disegnatori di tessuti ecc. – ai quali ho “carpito” i segreti del mestiere e con i quali collaboro per il riutilizzo di materiali che per loro diventerebbe scarto inutile. Il mio ruolo è quello di far incontrare idee diverse per renderle armoniosamente d’impatto alla vita di ogni giorno.
Ecco perché L’ “anima” di ITZA è in continuo movimento, un nuovo viaggio che, come nella realizzazione dei suoi singoli pezzi, non si ripete mai due volte in modo eguale. Lo specchio dell’ unicità di ciascuno di noi di non essere eguali a nessuno. Nel segno del rinnovamento o … del riciclaggio. Di corpo ed anima. Andando sempre e solo avanti. Con un sorriso ad ogni passo più bello”””
Dopo il “golpe fallito”, un “dono di Dio” secondo il presidente Recep Tayyip Erdoğan, stampa non allineata e forze politiche di opposizione sono a rischio perenne di passare per nemici pubblici; contro il Partito democratico dei popoli (HDP) utilizzata la consueta accusa di legami con il PKK
Lo scorso 4 novembre, la polizia turca ha arrestato dodici deputati del Partito democratico dei popoli (HDP), il partito che difende i diritti dei curdi e delle minoranze e la parità di genere. Tra questi, i due co-presidenti, l'avvocato e attivista per i diritti umani Selahattin Demirtaş e la giornalista Figen Yüksekdağ. I mandati di arresto, emessi dal tribunale di Diyarbakır per sospetti legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), erano quattordici, tutti ai danni di deputati del'HDP, ma due di loro, che erano all'estero, sono sfuggiti alla cattura. Due giorni prima la stessa sorte era toccata ai due sindaci della città metropolitana di Diyarbakır, Gültan Kışanak e Fırat Anlı, la prima accusata di appartenere a un “gruppo terrorista armato”, il secondo sospettato di aver tentato di “dividere il paese”: al loro posto è stato nominato un commissario straordinario. Assieme a loro è finita in carcere anche Ayla Akat Ata, ex parlamentare del Partito della pace e della democrazia e ora deputata HDP.
Il 14 novembre, la polizia ha arrestato l'avvocato difensore di Demirtaş, Levent Pişkin, (attivista per i diritti umani, militante LGBT e rappresentante dell'HDP nella provincia di İstanbul), con l'accusa di “esercitare pressioni a livello internazionale contro la Turchia”: tutto ciò perché il 6 novembre Pişkin e altri avvocati dell'HDP, di ritorno da una visita ai loro assistiti in carcere, avevano organizzato una conferenza stampa aperta ai media nazionali e internazionali per raccontare quanto visto e sentito da loro. Essendo l'unico a parlare fluentemente l'inglese, Pişkin si è fermato a rispondere alle loro domande e due giornalisti del quotidiano tedesco Der Spiegel gli hanno chiesto se avesse qualche nota scritta da Demirtaş. A quel punto, l'avvocato ha assicurato che avrebbe trasmesso questa richiesta al co-presidente dell'HDP tramite il prossimo che sarebbe andato a visitarlo, ossia l'avvocato Cahit Kırkazak, della città di Bursa. Pişkin e Kırkazak sono stati arrestati qualche giorno dopo in due operazioni separate, per poi essere rilasciati il 14 novembre.
L'Unione Europea ha criticato più volte il giro di vite imposto dal presidente turco alle opposizioni e ha congelato i negoziati per l'adesione della Turchia, ma Erdoğan e il suo fedele primo ministro Binali Yıldırım hanno risposto quasi sempre con minacce più o meno velate di rompere l'accordo (quello con cui Bruxelles definiva la Turchia “paese sicuro”) e spalancare le porte dell'Europa a migranti e rifugiati. Eppure lo stesso Demirtaş, il 26 settembre, aveva invitato l'Europarlamento a prendere “iniziative ufficiali” per il processo di pace tra governo turco e PKK. La scorsa settimana, una delegazione di eurodeputati socialisti ha tentato di incontrare il co-presidente dell'HDP nel carcere di Edirne, nei pressi di İstanbul, ma non è stato loro concesso di accedervi. Da Bruxelles nessuna pressione, né da Washington, anzi le grandi potenze vecchie e nuove osservano con attenzione le mosse di Erdoğan, la sua alleanza con l'Azerbaijan, il suo riavvicinamento alla Russia, la distensione delle relazioni con Israele. Il suo peso geopolitico garantisce a lui quell'immunità che il Sultano postmoderno non intende garantire alle opposizioni, colpevoli in quanto tali di lesa maestà.
“ Si è da più parti mossa a questo progetto di Costituzione la critica che esso rappresenti il frutto di un compromesso (…) Se con questo si vuol dire che il progetto di Costituzione è il frutto di uno sforzo di diversi partiti per trovare un’espressione della volontà della maggioranza degli italiani, questo non è un difetto.”
Lelio Basso
Comunque andrà a finire, tutta questa vicenda della riforma costituzionale e della relativa consultazione referendaria lascerà, nella storia non troppo luminosa del nostro Paese, una ferita profonda e strascichi torrentizi di veleni. Perché tutto si configura malato fin dall’inizio, con caratteri sgradevolmente lesivi della più elementare sensibilità democratica e del più universale sentimento di giustizia.
Un Parlamento di eletti con una legge dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale (composto da gente che, quindi, non avrebbe titolo morale ad occupare il posto che occupa) non avrebbe dovuto mai, per una questione di sano buon senso, venire investito del compito incommensurabilmente gravoso di modificare la Legge fondativa della Repubblica.
E, in particolar modo, un governo guidato da un Presidente mai eletto, composto, di fatto, da forze politiche che rappresentano una parte nettamente minoritaria dello schieramento partitico e, soprattutto, dell’elettorato (il “popolo sovrano”!), non avrebbe mai dovuto pretendere di attribuirsi un compito così impegnativo e solenne.
Perché la nostra Costituzione è scaturita da uno sforzo di titanica saggezza volto a costruire ponti, convergenze e compromessi fra visioni politiche immensamente più antitetiche fra loro di quanto possano esserlo quelle attualmente esistenti (ammesso che si possa ancora parlare di “visioni politiche” …).
Perché i padri costituenti hanno saputo anteporre l’interesse nazionale a quello della propria fazione, hanno saputo imporsi limitazioni e amarezze (anche brucianti) al fine di privilegiare quanto realisticamente
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Lelio Basso |
raggiungibile in vista della costruzione di una stabile e duratura piattaforma comune, che potesse porre dei confini invalicabili alle conflittualità, favorendo al massimo una convivenza democratica sanamente pluralistica. Al fine, soprattutto, di arginare qualsivoglia pericolo di derive autoritarie, garantendo, nell’immediato come nel più remoto futuro, diritti inviolabili a tutti i soggetti politici (soprattutto ai perdenti e minoritari).
L’Assemblea Costituente, eletta con sistema proporzionale “puro” (senza, cioè, gli artificiosi meccanismi del “porcellum” atti a creare maggioranze fittizie), rispecchiava fedelmente la variegata realtà del nostro Paese, al quale ha saputo donare una base solida su cui edificare il proprio futuro, senza che nessuna componente (esclusi i nostalgici del ventennio) potesse sentirsi sconfitta.
Nel caso malaugurato in cui la riforma renziana dovesse superare il banco di prova del 4 dicembre, noi ci troveremmo, invece, con una Costituzione modificata per ben un terzo dei suoi articoli, non ad opera di una larga maggioranza parlamentare e popolare, ma ad opera di “alcuni” contro tutti gli altri. Ad opera di alcuni che, con una arroganza sconfinata stanno tradendo il principio più importante e più nobile di un autentico spirito costituente, l’obbligo categorico, cioè, di lavorare insieme, nel rispetto di tutti, nell’interesse di tutti.
Non c’è cosa, credo, più irrealistica e più irresponsabile del ritenere che, con questi presupposti, una simile riforma possa davvero aiutare la crescita democratica della nostra Nazione, preparandoci un destino migliore …
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
ROMA sempre più centro enogastronomico. Dopo l’exploit di Milano e Verona, piano piano la Capitale diviene luogo di Manifestazioni ed Eventi sia Nazionali che Internazionali. Non solo. La presenza in continua ascesa di ristoranti stellati, etnici, “chiacchierati”, fa di Roma la città n.1 di riferimento a livello nazionale. Senza dimenticare il “boom” dello Street Food, il cibo da strada. Le statistiche parlano chiaro cancellando ogni ombra di dubbio. L’enogastronomia torna a parlare romano!
Frammento n. 1
Rivoluzione Frascati.
Accompagnare il territorio e la produzione dei vini a denominazione Frascati in un percorso di valorizzazione qualitativa. È quanto scritto in un Comunicato del Consorzio Tutela Denominazione Vini Frascati. I numeri: la Doc Frascati ha compiuto i 50 anni, la Docg 5. Partendo da queste verità il nuovo Consiglio e il nuovo Presidente sono fermamente intenzionati a ricostruire quel prezioso tessuto fatto di prodotto e immagine. “Comunicheremo l’identità del Frascati, le storie, le conoscenze, le competenze e le strutture di un territorio secolare”. Parola di Paolo Stramacci, nuovo Presidente del Consorzio Tutela Denominazione Vini Frascati. (Fonte Vinotype)
Frammento n. 2
Lo Sparkle Day 2017: la Guida al Bere Spumante!
Ormai, nella Capitale, è definito il giorno più spumeggiante dell’anno. Sabato 3 Dicembre 2016 nelle eleganti sale dell’Hotel Westin Excelsior, in via Veneto, oltre 70 aziende provenienti da ogni angolo della Penisola, proporranno in degustazione ben 350 etichette. “Sono passati già 15 anni quando proponemmo la prima edizione di Sparkle, allora si chiamava Bere Spumante e in questo lasso di tempo molte cose sono cambiate” così si è espresso Francesco D’Agostino, direttore di Cucina&Vino. Il vino spumante italiano allora era un prodotto di nicchia, con pochi veri amatori e noi abbiamo dato visibilità a quel mondo che stava per esplodere contro ogni previsione”.
Frammento n. 3
A tutta Torba
Roma, ancora una volta, sede di un evento che vede il “mondo dell’Whisky” prepararsi al Spirit of Scotland-Rome Whisky Festival che si terrà nei giorni 4 e 5 marzo 2017. “A tutta Torba”, giornata dedicata interamente ai whisky torbati con centinaia di etichette, bottiglie fuori dal comune. Tutto dalle 15:00 alle 24:00 presoo Chorus Cafè in via della Conciliazione,4. Cibo scozzese da abbinare ai proppri torbati preferiti e possibilità di acquistare le bottiglie. Dimenticavo: ingresso gratuito, è sufficiente registrarsi sul sito www.spiritofscotland.it (Fonte Carlo Dutto)
Frammento n. 4
A Roma apre Mahalo e sei subito tra la vegetazione delle isole Hawaii.
Il panorama dei ristoranti di Roma si arricchisce di una novità assoluta. La realtà quella di Ponte Milvio che ormai è divenuta luogo di mondanità romana. Una presentazione davvero intrigante e insolita. Già il nome: Mahalo ovvero gratitudine, apprezzamento, ringraziamento. Insieme ad Aloha sono le parole più sacre e potenti rappresentando i valori fondamentali di quella cultura. Il menù raffinato e divertente è elaborato partendo dalle migliori ricette hawaiane contaminandole con ingredienti e lavorazioni più adatte al nostro palato. Mahalo, via Flaminia 496/B1 Roma. Interessante: Chiuso Mai. (Fonte Fabiola Pulleri Cronache di Gusto)
Frammento n. 5
Consorzio Franciacorta: sesta modifica del Disciplinare.
L’Erbamatt, vitigno autoctono della Franciacorta chiamato anche Albamatto o Erbamatto, entra ufficialmente tra i vitigni a bacca bianca le cui uve si possono utilizzare nel produrre lo Spumante Franciacorta. Ne è ammesso fino al 10%; l’inizio e chissà se in futuro possa addirittura sostituire lo Chardonnay. È un vitigno neutro caratterizzato dalla maturazione tardiva e dalla spiccata acidità. Proprio il tasso di acidità elevatissimo potrebbe essere la carta vincente per contrastare i danni legati ai cambiamenti climatici. (Fonte Annalucia Galeone Cronache di Gusto)
Frammento n. 6
Le Donne del Vino al Wine2Wine
A Verona durante i lavori di Wine2Wine, l’evento business del vino in programma nei giorni 6 e 7 Dicembre, l’Associazione “Le Donne del Vino” terranno un Convegno che si intitola “Come parlare di Vino alle donne online”. Il 47% di chi compra il vino online sono donne con una percentuale che scende in Italia al 39%. Una tendenza che vede le consumatrici di USA, Giappone e Svezia sempre più protagoniste. Il principale forum italiano sul business del vino, wine2wine, ha accettato la proposta di Donatella Cinelli Colombini, Presidente dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino, di dedicare un focus proprio su questo argomento. (Fonte Anna Pesenti&Fiammetta Mussio Vino e Cibo)
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
Il digiuno, da sempre è stato praticato fin dagli albori della storia da tutti i popoli della terra allo scopo di purificare il corpo, la mente o per penitenza nei percorsi spirituali, per auto-disciplina, per scopi politici o come mezzo di guarigione.
Per i Veda e per la tradizione yogica era un mezzo di elevazione spirituale.
Nelle religioni primitive per propiziarsi la divinità, o per prepararsi a certi cerimoniali. Era usato dagli antichi greci, prima della consultazione degli oracoli, dagli sciamani africani per contattare gli spiriti, dagli indiani d’America per acquisire il proprio animale totemico, dai fenici, dagli egizi, gli assiri, dai babilonesi, dai druidi celtici e in tutti i paesi del Mediterraneo; i farisei erano noti per il loro digiuno. La legge mosaica ordinava agli ebrei il digiuno una volta l‘anno; i primi cristiani lo praticavano con riferimento a Gesù che digiunò per 40 giorni prima della sua missione; veniva consigliato dai medici arabi. In Italia i medici napoletani, fino a circa 150 anni fa erano soliti utilizzare il digiuno che a volte durava 40 giorni nei casi di febbre. All’inizio dell’Ottocento il digiuno venne praticato come terapia per guarire diverse malattie.
La storia del digiuno annovera molti santi: Benedetto, Francesco d’Assisi, Francesco di Paola, Caterina da Genova, Bernardo di Chiaravalle, Romualdo dei Camaldolesi, Tommaso d’Aquino, Ignazio di Loiola, Francesco di Sales e altri. In tempi più recenti sono noti i digiuni di Gandhi, Aurobindo, Krishnamurti.
In particolare i musulmani digiunano per tutto il mese del Ramadan, cioè il 9° mese del calendario lunare, perché celebra la rivelazione dei primi versetti del Corano, che consiste nell’astenersi, dall’alba al tramonto, dal mangiare, bere, fumare o praticare sesso. Il motivo è sostanzialmente l’autocontrollo per liberare l’anima dai desideri in modo da elevarsi verso Dio. Ma aiuta a comprendere il valore dei doni di Dio e permette di aprirsi con più compassione verso i bisognosi.
Per l’ebraismo il digiuno, in vari periodi di digiuno, ha lo scopo di espiare i peccati o innalzare le suppliche a Dio. Durante questo digiuno è proibito lavarsi, indossare scarpe di cuoio, usare oli, acque profumate, o avere rapporti sessuali.
Anche nell’induismo il digiuno è un sistema di purificazione che serve a riappropriarsi di tutta l’energia necessaria per cercare la vicinanza con la divinità.
Nel buddismo, la frugalità, l’essenzialità, la moderazione, l’austerità della vita, ha lo scopo di purificazione del corpo per raggiungere la chiarezza mentale, i poteri nascosti nella mente, la saggezza, e così liberarsi dal karma negativo.
Gandhi praticò innumerevoli digiuni a scopo politico-sociale, per fermare le violenze degli inglesi contro gli indiani, i massacri fra indù e musulmani: se il corpo si poteva depurare con il digiuno anche il corpo della nazione poteva essere liberata tramite lo stesso meccanismo. Per Gandhi il digiuno era una specie di preghiera intensa, slancio dell’anima.
Nel mondo animale gli animali digiunano quando sono feriti, ammalati, nel periodo di ibernazione o di letargo, alcuni digiunano durante il periodo di accoppiamento o di allattamento, durante i periodi di siccità, di nevicate, di freddo intenso, o quando c’è carenza di cibo. Alcuni uccelli digiunano mentre covano le uova, altri subito dopo la nascita.
Ma il vero fondatore della moderna digiunoterapia è l’americano di origine tedesca Herbert M. Schelton, autore di decine di libri, che ha seguito direttamente 45.000 digiuni ed è testimone della guarigione di moltissime patologie attraverso tale pratica.
L’organismo privato dal consueto apporto di alimenti è costretto con il digiuno ad assorbire e smaltire i residui incamerati, liberando l’organismo da scorie, pus, cellule morte, cisti ed anche tumori. Il digiuno costringe il corpo a consumare (per mezzo dell’autolisi) tutti i tessuti superflui e le scorte nutritive: le tossine accumulate vengono immesse nella circolazione per essere portate agli organi escretori e quindi eliminate. Le cellule subiscono una purificazione ed avviene la rimozione dal protoplasma delle sostanze estranee accumulate, le cellule si ringiovaniscono e svolgono le loro funzioni più efficacemente. Non esiste niente altro al pari del digiuno in grado di eliminare le sostanze di rifiuto accumulate nel sangue e nei tessuti e depurare l’organismo consentendogli di recuperare la salute.
Quando si inizia un digiuno ci si astiene dal fare uso di tè, caffè, alcol, sigarette, bevande gasate, condimenti, spezie, additivi alimentari, conservanti, integratori sintetici, medicine ecc., praticamente si interrompe l’abitudine di avvelenarsi. Vi sono testimonianze molto importanti in merito all’efficacia del digiuno attraverso il quale alcune persone hanno vinto anche mali incurabili.
In questi giorni ci siamo “saziati” di Stelle. Abbiamo cominciato con quelle vere; mi correggo, con il nostro satellite, la Luna, fantastica, splendida, straordinaria che ci ha rilasciato emozione, commozione e turbamento nel senso dello smarrimento cosmico. E poi ci sono state quelle “inventate” dall’uomo nel goffo tentativo di paragonarle all’immensità.
Possiamo parlarne per ore, giorni, mesi ed anni senza trovare un punto d’incontro se non nell’oggettività delle nostre abitudini. Detto in termini più semplici “non se ne può fare a meno”.
Mi riferisco a quel “librettino rosso” che ci accompagna nelle scelte dei Ristoranti e non solo quando viaggiamo per lavoro o turismo. E nel “meglio seguire le indicazioni evitando così brutte sorprese” corriamo nelle librerie, edicole ad acquistarne una copia appena uscita. Sto parlando della Guida delle Guide gastronomiche: La Guida Michelin.
Dicendo tutta la verità, oggi se ne acquista meno copie ma si consulta di più la Guida on-line scaricando le pagine che servono al momento. Poi con gli smartphone delle ultime generazioni non serve più nemmeno scaricare; si consulta all’istante e…via.
È di questi giorni la presentazione ufficiale della Guida Michelin 2017 avvenuta a Parma. E via alla corsa per conoscere tutti gli “stellati italiani”, a far tifo per questo o quello o a polemizzare per la mancata assegnazione a qualche ristoratore sponsorizzato durante tutto l’anno.
Che “giramento” di…stelle!
Per la cronaca 8 (otto) i confermati tristellati , 5 (cinque) le new entry con 2 (due) stelle e ben 31 (trentuno) le novità con 1 (una) stella per un totale di 294 (duecentonovantaquattro) 1 stella, 41 (quarantuno) 2 stelle e, come detto, le 8 riconfermate 3 stelle. Il firmamento della cucina premiata del nostro paese conta ben 343 ristoratori e/o ristoranti stellati dalla guida rossa. Se poi ci aggiungiamo i piatti, le forchette, i cucchiai e i baci utilizzati da altre guide superiamo quanto osserviamo ad occhio nudo nel cielo.
È il Lazio la regione che conta maggiori segnalazioni con più di nove stelle grazie ai nuovi stellati della Capitale. A seguire la Lombardia. Evidente la maggiore scelta là dove c’è più richiesta.
Nello scorrere la lista risalta il via vai dei locali che hanno cambiato lo chef, altri che hanno acquisito i già stellati ed infine quelli definitivamente chiusi e sostituiti dalle new entry.
A volte è successo di trovare nell’elenco locali chiusi da alcuni mesi. Possibile per causa della tempistica. Eccellente durante “la visita e prova “ degli ispettori, chiusura del locale prima della stampa della Guida. Comprensibile l’affidarci alla versione on-line.
Un dato significativo e concreto è che “le stelle” attirano turismo. È stato calcolato che il giro d’affari (conto del ristorante escluso) ruota intorno alla rispettabile cifra di circa 300 milioni di euro annui e gli americani made in Usa risultano i principali fruitori della cucina stellata italiana seguiti da inglesi (i lord sì che se ne intendono) e, udite udite, i cugini d’oltralpe a studiarci per capire il fenomeno Made in Italy.
La fonte è autorevole: studio “Taste Tourism” condotto da JFC nel 2016.
Insomma a dirla con le parole del capo-redattore della Guida Michelin, Sergio Lovrinovich, Le stelle della Guida Michelin portano turismo.
Mi sovvien una risposta che un ristoratore, alcuni anni fa, mi diede ad una precisa domanda sulla scelta del locale giusto per un buongustaio. Mi rispose: “Il buongustaio guidato è colui che trova, quello appassionato è colui che cerca.
Facciamocene una ragione!
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
Ripropongo un mio pensiero già pubblicato che sarà da guida, viste le notizie che circolano con insistenza in questi giorni e suffragate (non ne possono fare a meno) dai vari Tg superextraallineati, per il prossimo futuro.
“EXPO. Due frammenti fa scrissi: Expo, i conti non tornano. E terminai con “la verità prima o poi verrà a galla? Basta crederci, come atto di fede”. Sono di questi giorni le notizie che la Magistratura ha ripreso il lavoro “interrotto” due anni fa. Ricordo quella conferenza-stampa di presentazione dell’Expo a Roma e quella domanda di un collega, diretta al Ministro Martina, per avere delucidazioni circa le voci circolanti di appalti truccati, mafia, ‘ndrangheta ecc… La risposta fu:” adesso dobbiamo pensare a salvare la Manifestazione, ne va del prestigio di tutti, dell’Italia nel Mondo”. Vero. La Magistratura fece la sua parte per l’onore dell’Italia. Ma non dimenticò ne dimentica oggi. Ed ecco che riprende il via l’azione sulle responsabilità. Avvisi di garanzia a raffica, arresti importanti. “Milanoland” vacilla nella sua credibilità e il Cibo e il Vino ringraziano (a parte tutto il resto)”.
Integro con le ultime nuove.
Expo, gli imprenditori siciliani attendono ancora i loro soldi: ma il conto è sempre bloccato. Cronache di Gusto l’11 novembre u.s. ha pubblicato: uno dei paradossi dell’Expo e quello dei produttori siciliani che hanno preso parte all’evento milanese. Hanno pagato per essere presenti, hanno messo a disposizione prodotti, uomini e competenze, il tutto da retribuire come concordato e tutt’oggi sono sempre in aspettativa di saldo. Storia che vede coinvolti la Regione Sicilia, il commissario nominato per l’Expo, un conto specifico congelato per mancanza (così dicono loro) di una analisi della solita commissione che non arriva mai. E intanto circa trecento imprenditori siciliani attendono la bellezza di 2,6 milioni di euro e la Magistratura indaga!
Frammento n. 1
In Francia la vendemmia più scarsa degli ultimi 30 anni!
Quella del 2016, causa gelo, grandine, incendi e marciume sarà ricordata in Francia come una delle peggiori vendemmie degli ultimi trent’anni. Non si tratta di diffondere allarmismi. La fonte è quella ufficiale: Ministero dell’Agricoltura francese. È vero che il mosaico di situazioni nell’intero paese ci dona condizioni e contesti diversi tra loro. La Borgogna denuncia la peggiore vendemmia dal 1981 mentre nel Bordeaux è dato di credere ad un incremento della produzione del 7% rispetto al 2015. Champagne e Loira, causa le gelate nella tarda primavera, accusano il colpo. I misteri del clima. Le bottiglie racconteranno! (Fonte: Cronache di Gusto)
Frammento n. 2
Lo Sparkle Day 2017: la Guida al Bere Spumante!
Ormai, nella Capitale, è definito il giorno più spumeggiante dell’anno. Sabato 3 Dicembre 2016 nelle eleganti sale dell’Hotel Westin Excelsior, in via Veneto, oltre 70 aziende provenienti da ogni angolo della Penisola, proporranno in degustazione ben 350 etichette. “Sono passati già 15 anni quando proponemmo la prima edizione di Sparkle, allora si chiamava Bere Spumante e in questo lasso di tempo molte cose sono cambiate” così si è espresso Francesco D’Agostino, direttore di Cucina&Vino. Il vino spumante italiano allora era un prodotto di nicchia, con pochi veri amatori e noi abbiamo dato visibilità a quel mondo che stava per esplodere contro ogni previsione”.
Frammento n. 3
Trentodoc, bollicine sulla città.
Eventi ed incontri per scoprire il primo metodo classico italiano. Torna per il dodicesimo anno consecutivo Trentodoc, bollicine sulla città, che animerà la città di Trento dal 18 novembre all’11 dicembre. Per l’occasione le case spumantistiche trentine apriranno le parti delle proprie cantine per scoprire dove nasce Trentodoc.
Frammento n. 4
Life of Wine: le Vecchie Annate di scena a Roma
A Roma la quinta edizione di un evento unico nel Mondo del Vino interamente dedicato alle vecchie annate. Nell’ambito di Life of Wine, evento ideato e curato da Studio Umami, il giorno 20 novembre nelle accoglienti sale dell’Hotel Radisson Blu, di fronte alla Stazione Termini, oltre sessanta grandi cantine italiane porteranno all’assaggio l’ultima annata in commercio insieme a due vecchie annate della loro etichetta più significativa. Bottiglie spesso introvabili sul mercato per esplorare l’evoluzione del Vino nel tempo. Assaggi aperti e fruibili dalle 11,30 alle 19,30. (Fonte: Studio Umami)
Frammento n. 5
Sangue Blu, quando il sangue nobilita la cucina.
Come disse Plinio”…da nessun altro animale si trae maggior materia per la ghiottoneria cha dal maiale. La carne del maiale dà quasi 50 sapori diversi mentre per gli altri animali il sapore è unico”. Un fine settimana “in odor di sangue”. In concomitanza con la 46° Mostra Mercato del Tartufo Bianco di San Miniato (Pisa), l’Associazione dei Sanguinacci, in collaborazione con Slow Food e il Comune di San Miniato, organizza “Sangue Blu” 2° rassegna nazionale dei Salumi di Sangue (unica rassegna di questo genere in Italia). Mallegato, il più famoso, chiamato anche Sanguinaccio e/o Biroldo inserito nel presidio di tutela costituito da Slow Food. E come potevano mancare chef internazionali come Paolo Fiaschi, Gilberto Rossi, Stefano Pinciaroli a creare piatti ispirati dai salumi di sangue? Sabato 26 e Domenica 27 sotto i loggiati di San Domenico a San Miniato (Pisa). (Fonte: CeG Maxicom Milano)
Frammento n. 6
Ozio Gastronomico: “Qui troverete l’essenza del buon cibo”
Palermo, via Libertà ang. Via Di Blasi. Dario Genova, uno dei più bravi e quotati pizzaioli si è svelato, nei giorni scorsi, nella sua essenza di luogo nel quale gustare del buon cibo in relax. Un aspetto minimal ma con tutti gli elementi essenziali al loro posto. Agli ospiti l’eclettico pizzaiolo proporrà piatti pensati come variazioni su specifici temi: dalle alici alla bruschetta, alle frittelle di farina di ceci, peperoncini ripieni, pane di tumminia e un susseguirsi di pizze sfornate a rotazione. Il tutto innaffiato con spumante siciliano di Tasca d’Almerita. La novità che differenzia questo “strano” locale? Si potranno consumare colazioni mattutine come si faceva una volta, con prodotti da forno preparati all’istante; insomma pane, burro e marmellata. Parlano gli architetti che hanno progettato il locale: Un percorso di comodità incrementale, una via dell’ozio. Si parte in piedi, poi si passa agli sgabelli, per continuare nelle panche, poi finalmente alle sedie ed alla fine nell’ultima stanza, alle poltrone. Un gran piacere parlare di nuove iniziative provenienti dal Sud. Una storia appena iniziata con tante pagine da scrivere. (Fonte: Cronache di Gusto)
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
DOPO IL PUNTO VENDITA PARIGINO, INAUGURATO QUELLO MILANESE
Spirito d’avanguardia, giovane e raffinato, alla costante ricerca “del più” : questi i segni caratteristici delle “emozioni” di Claudia Oddi
Emozioni? Sì, gioielli come emozioni : vissute, filtrate e trasformate in realtà - nella puntigliosa conquista della perfezione - da Claudia Oddi. Nata e vissuta sino a 17 anni a New York, poi alcuni anni a Roma e da decenni tornata a Parma (terra dei suoi avi) Claudia Oddi è una creatrice di gioielli, una designer che le grandi firme del settore da tempo si contendono : grazie alla sua elegante e duttile creatività ha realizzato per loro, nel corso degli anni, molti pezzi di grande successo.
Oggi, in un momento in cui, purtroppo, molte imprese sono costrette a ridimensionare i propri confini, Claudia partita tempo fa, sulle ali del web, ha conquistato i più esigenti mercati mondiali con una linea di gioielli che porta il suo nome. Nel suo sito Internet si possono visionare , e acquistare i suoi splendidi gioielli anche on line. Non solo in Italia ma in ogni Paese del mondo collegato alla Rete.
A Parigi, dal 2014, i gioielli di Claudia Oddi, adorati dalla raffinata clientela francese, splendono nello spazio espositivo di Rue Saint Honoré 316,(boutique Mad Lord) rinomato luogo di incontro di celebrità internazionali.
Da novembre 2016, il grande debutto a Milano con uno punto vendita di alta classe. Nella capitale lombarda Claudia Oddi presenta le sue preziose creazioni in uno spazio espositivo posto nel cuore del prestigioso quadrilatero della moda : in via della Spiga 34.
Le collezioni presentate nello spazio milanese sono talmente “affascinanti” da lasciarci cuore e sentimenti. Creatività allo stato puro che ci coinvolge sino dalla prima occhiata, avvolti nel fiotto di luce che ci accoglie. Metti, ad esempio, la parure “Princess” pensata e disegnata per una donna regale .. ma dallo spirito attuale, che vive con classe la contemporaneità. Eppoi la linea “Rainbow” : un’ esplosione di pietre preziose dai mille riflessi arcobaleno, uniti e “accarezzati” nello splendore di metalli preziosi…
Qual è il segreto di tanta bellezza ?
L’abbiamo chiesto alla giovane creatrice, incontrata nei giorni scorsi nel suo primo negozio diventato a Parma un punto di riferimento per chi desidera un gioiello “unico” al di sopra di immagini, regole e canoni scontati.
“Creare un gioiello – ci ha spiegato Claudia – è quasi come vedere la nascita, e la crescita, di un figlio. Questa mia grande passione, noti bene, non è un “retaggio di famiglia” (i miei si occupavano di ben diversi settori) ma piuttosto un dono inaspettato che, già da quando ero solo una ragazzina, mi ha indicato la mia via. Ora, dopo anni di lavoro come designeri ho lo sguardo puntato al futuro, ai traguardi che sono sicura di raggiungere perché credo e amo fermamente ciò che faccio : è la mia forza e la mia passione.
“Perché – afferma Claudia Oddi – desidero creare collezioni che soddisfino tutte le donne. Collezioni: raffinate, preziose ma soprattutto “duttili”affinché, con lo “spirito” giusto, un mio gioiello si possa indossare sia al mattino per sbrigare le normali commissioni sia alla sera per partecipare ad una cena o ad una Prima importante : è solo questione di stile…”.
Infatti, per avere successo ci vuole l’idea buona e per cogliere l’idea buona si deve saper filtrare gli umori del tempo. E i gioielli di Claudia Oddi precorrono, dominano e danno forma agli umori del tempo. Una sfida vincente nell’elitario mondo della gioielleria.
Se ci si interroga su quanto gli stati esistenti tutelino i diritti fondamentali degli individui e delle collettività, si può osservare quanto le loro strutture siano macchine burocratiche al servizio delle oligarchie finanziarie
Secondo il poeta britannico Percy Bisshe Shelley, il governo è un male, sono solo la sconsideratezza e i vizi degli uomini che ne fanno un male necessario: necessario per evitare l'esplosione di conflitti che metterebbero a rischio la sopravvivenza del genere umano, ma come si può realizzare questo obiettivo se non garantendo a ciascun individuo i diritti inalienabili, e, realizzata questa premessa indispensabile, stabilendo un limite alla libertà individuale per evitare soprusi? Il fatto che, finora, il rispetto di questi diritti non sia stato garantito ha prodotto nel tempo movimenti di riforma che hanno esercitato pressioni interne e movimenti migratori che hanno esercitato pressioni esterne sui singoli sistemi statali. Le spinte dei movimenti di riforma, quando hanno raggiunto le classi dirigenti influenzandone le scelte, hanno diminuito in misura variabile (a seconda dei contesti) le diseguaglianze economiche, sociali e politiche, ma, quando sono state ignorate o represse, hanno causato movimenti regressivi che hanno condotto le società verso diseguaglianze più profonde.
Quando il disagio sociale induce una parte sempre più cospicua di cittadini a disperare di un miglioramento delle proprie condizioni, le istanze individuali tendono a prevalere sull'interesse comune: perché un cittadino relegato ai margini della società dalle difficoltà economiche dovrebbe contribuire al progresso di una società, con un buon margine di probabilità di restarne escluso? Il concetto di stato-nazione si è affermato appunto, oltre che sull'onda della delusione rispetto ai capisaldi del riformismo illuminista, cosmopolita e universale, con il diffondersi dell'idea che una classe dirigente che abbia la stessa identità (lingua, tradizioni, religione, o più in generale cultura) del popolo governato sia più propensa a tutelarne i diritti. In seguito, all'interno dei singoli stati sono emerse fazioni, delle quali alcune rappresentavano gli interessi delle classi “alte”, mentre altre chiedevano maggiore uguaglianza o, almeno, una minore diseguaglianza. Chi sosteneva queste ultime si aspettava che, una volta al governo, esse avrebbero mantenuto i loro propositi dichiarati, vedendo così deluse le proprie attese, a causa di una qualche vera o presunta vis maior, o per mala fede o incompetenza delle classi politiche. Le forze progressiste hanno quindi abdicato al loro impegno, perdendo credibilità e il malcontento dei cittadini non ha trovato altri rappresentanti che demagoghi tanto carismatici quanto privi di spessore politico.
L'elezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti è sintomo di una tendenza in crescita nell'ultimo ventennio, ma che affonda le sue radici nella visione politica ed economica di un suo predecessore, Ronald Reagan. Una competitività demenziale, che, facendo della concorrenza sfrenata un dogma non solo economico ma anche etico, ha reso la competizione l'unico paradigma “vincente” di ogni relazione tra individui. Nessuna solidarietà, solo una religione del successo personale da realizzarsi anche a discapito dell'utilità comune. Una volta sradicati i movimenti di protesta degli anni '60 e '70 e crollato il blocco sovietico, le “democrazie” non più liberali ma solo liberiste hanno probabilmente sottovalutato un elemento: in periodi di crisi economica, l'imperativo sii vincente rischia di essere un'arma a doppio taglio, poiché chi non riesce ad attuarlo tende a sentirsi emarginato dalla società, maturando nei confronti di essa sentimenti negativi. Il pericolo maggiore, dunque, non sono più solo i populismi di stampo patriottico o, persino, xenofobo. Nei discorsi dei demagoghi (che non possono fare altro che favorire gli interessi speculativi delle oligarchie finanziarie, ormai le uniche strutture a dettar legge a livello nazionale e sovranazionale) emergono progressivamente forme di populismo che fanno capo a figure carismatiche, che spesso dal nulla hanno raggiunto quel successo economico che per decenni è stato presentato dalle non-culture di regime come l'unica possibilità di realizzazione esistenziale. Si tratta, il più delle volte, di imprenditori che si mostrano vincenti perché disposti a tutto pur di ottenere il successo, ma che offrono di sé un'immagine distorta, come il Trimalcione del Satyricon dello scrittore latino Petronio: un parvenu arricchito che fa di tutto per sembrare un aristocratico dell'élite dirigente.