L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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Una risposta ai dubbi d’amore negli insediamenti alpini può darla il lancio di una cidulina ardente, un rituale la cui origine si vuole fare risalire al culto per il dio Beleno, una divinità celtica assimilabile ad Apollo. Secondo quanto risulta dalle fonti letterarie ed epigrafiche, Beleno era venerato in Carnia e in Venezia Giulia nel III secolo dopo Cristo.
Nelle località nelle quali il rituale è in uso le ciduline assumono denominazioni diverse: pirulas in Val d’Incarojo, cidules nel resto della Carnia, fideles nel Cadore, scheiben-schagen nel Tirolo.
Le ciduline sono sezioni di ramo (o di tronco non sviluppato) di circa 10 cm, con un buco praticato al centro. Lo spessore della cidula è di circa 1 cm al centro e di 5 mm ai lati. Il legno usato è prevalentemente il faggio, perché è leggero, di facile intaglio e una volta acceso mantiene a lungo la brace. A officiare il rito in passato era prerogativa dei coscritti. Al momento, come conseguenza dello spopolamento degli insediamenti alpini, al lancio provvedono le persone di buona volontà, sempre, comunque, di sesso maschile.
In date stabilite le ciduline vengono gettate un po’ alla volta su un fuoco di sterpaglie appositamente acceso. Il luogo scelto per questo falò è solitamente uno spiazzo ubicato su una altura che sovrasta l’abitato, in maniera che lo spettacolo sia ben visibile.
Le fiamme non consumano i dischi di legno ma li trasformano in palle di fuoco. A questo punto le ciduline vengono prese con un’asta flessibile, di solito un bastone di nocciolo, che in Val d’Incarojo è denominato sdombli, e, dopo essere roteate con moto vorticoso, vengono lanciate giù per il pendio. Questo avviene perché l’operatore sbatte l’asta su una tavola inclinata in modo tale che la palla di fuoco si stacca dal bastone ed inizia la sua traiettoria. L’operazione si svolge dopo il tramonto, quando le ciduline incandescenti nell’oscurità risultano ben visibili.
Quando il dischetto infuocato inizia il suo volo il lanciatore grida la dedica, che può riguardare, al primo lancio, il santo patrono (“par un pin e par un pan, angna kest an è la vea di San Giuan", par un pin e par un pan, anche quest’anno è la veglia di San Giovanni) e nei successivi qualche volta (ma sempre più raramente) le autorità del posto e cioè il sindaco e il parroco. Quando, come nei casi che ci interessano, la motivazione del lancio è di natura sentimentale, l’operatore grida il nome della donna amata o della coppia per la quale si fa l’accertamento. Con le ciduline l’accertamento sentimentale si può infatti condurre in conto proprio o in conto terzi.
Naturalmente possono variare, secondo disponibilità, da località a località, il tipo di legno, la forma, la tecnica usata per il lancio: a Cercivento la cidula viene lanciata con una mazza, come fosse una palla di golf. Quando l’operazione non è promossa a fini turistici, identica è invece la funzione rituale svolta, l’accertamento cioè di un amore.
Il lancio delle ciduline ha un suo calendario, e la motivazione del rito, pur avendo una costante, l’amore, presenta, una serie di varianti. A Cleulis il lancio intende prevalentemente accertare se l’unione del lanciatore con la donna amata sarà duratura, a Canali, Salârs e Zovello se l’amore è ricambiato.
A Paularo il lancio di una cidulina avviene, a discrezione dell’operatore, con varie finalità: con il lancio il giovane mira ad accertare:
- se quello dichiarato dalla propria fidanzata è un amore sincero;
- la consistenza dell’amore di una coppia amica;
- le prospettive dell’amore della coppia amica.
La risposta al quesito formulato la fornisce, dopo il lancio, il punto di arrivo della cidulina. Il lanciatore ad esempio può stabilire che la palla di fuoco arrivi a un determinato posto. Se la cidulina arriva lì, la risposta al quesito è positiva. Se la palla di fuoco non arriva lì, la risposta è negativa. Ma non è il caso di drammatizzare: la sentenza non è senza appello, il quesito si può ripresentare l’anno successivo.
Per una cognizione dei luoghi, ove non citati, cui vanno riferiti i comportamenti esposti vedasi pag 52 e segg. di “Il mondo magico dell’amore”, di Nino Modugno, La Mandragora, Imola.
Nino Modugno
È di questi giorni la notizia “Cercasi cibo da strada Italiano” diffusa e messa in risalto, tanto da essere ospitata nei Tg di prima sera, anche dai canali televisivi RAI.
L’invasione dei Kebab, Sushi, frutta esotica e perfino caldarroste congelate provenienti dai mercati asiatici, è sotto l’occhio di tutti. Tutto quanto permesso nella logica della globalizzazione e integrazione multirazziale.
Non è compito di questa pagina Food&Wine scendere in approfondimenti sociologici ma segnalare, comunicare, evidenziare e far conoscere quanto sta avvenendo, sicuramente sì.
Difendere il cibo da strada, autenticamente Made in Italy, non rappresenta non accettare il diverso, ma difendere l’identità alimentare nazionale che da sempre è presente nelle strade, fiere e sagre che rischia di sparire facendo perdere un patrimonio della nostra cultura.
Fuori il Pala Tiziano a Roma, migliaia di agricoltori della Coldiretti insieme agli ambulanti del Street Food, con i loro automezzi trasformati in cucine itineranti, hanno manifestato per evidenziare il problema che investe anche settori importanti come il turismo, il ritorno economico e occupazionale.
Non solo ambulanti. Nei centri storici di alcune città, particolarmente quelle battute dal grande movimento turistico, si è diffusa una serie di piccoli locali che preparano e vendono, take away, cibo da consumare per strada. Un mangiare più informale (informal food sector), più rapido e meno costoso (da non sottovalutare di questi tempi).
Il cibo da strada non ha limiti. Basta ricordare gli snack, gli spuntini, il fast-food, il pranzo a sacco senza dimenticarci i distributori automatici che garantiscono un servizio ininterrotto su 24 ore. La nostra e non solo nostra attenzione però è nella messa in gioco dei valori culturali ed identitari.
Lo Street Food italiano è rappresentativo della tradizione Regionale. Il panino di chianina umbra, le olive ripiene ascolane, gli arancini siciliani, gli arrosticini abruzzesi, i peperoni lucani, la pasta al dente, baccalà, trippa e lampredotto. Un trionfo di specialità, niente a che vedere con il Junk food, il cibo spazzatura.
Uno degli aspetti considerati di criticità è quello legato alla sicurezza e qualità nutrizionale. In Italia non si scherza; andate a domandarlo agli operatori su aree pubbliche, soggetti e sottoposti ai numerosi controlli da parte delle varie Asl locali e Nas dei Carabinieri, agli obblighi antincendio e conservazione dei cibi nonché preparazioni all’istante.
Un fenomeno sempre più in crescita è quello legato alla comunicazione ed informazione. Sono state pubblicate di recente delle vere e proprie Guide locali (in particolare nelle grandi città, Roma in testa) dove trovare i punti per consumare Street Food specializzato e di eccellenza. Ne cito alcuni della Capitale ormai arcinoti che rappresentano i luoghi per comprare e consumare per strada:Antico Forno Roscioli a Campo de’ Fiori dove la Pizza Bianca è un’istituzione.Dar Filettaro a Santa Barbara, Campo de’ Fiori dove trovi il baccalà in pastella, da consumare sotto il monumento di Giordano Bruno. Street Food al Testaccio, panini di ogni tipo e dove trovi la trippa alla toscana.
E quando parli di Trippa non puoi fare a meno di ricordare i Trippai Fiorentini, già corporazione importante eletta a rango gentilizio nel ‘500. Trippa e Lampredotto nel mercato centrale di San Lorenzo, imperdibile in una visita della città.
Lo stret food cammina su ruote. Piccoli furgoncini, Ape car, o automezzi trasformati, Food Truck, che ammiriamo per la loro grandezza e funzionalità in particolare nelle Sagre e Fiere. Brigidinai (dolciumi), porchettai, girarrosti: dispensatori di cibi regionali e tradizioni paesane. Famiglie che si tramandano il mestiere e provvedono alla ricerca della materia prima come la Famiglia Chiarello della Val di Nievole (Pt) , i porchettai maggiormente famosi e presenti nelle Sagre e Fiere più importanti italiane. E il Food Truck di Alessandro Vecchio che gira dalle parti di Fiumicino che prepara all’istante “la pasta come se fosse a casa”.
Percorri la Riviera Marchigiana e ti imbatti in un chiosco itinerante dall’apparenza futuristica, inventiva, genio in pieno stile street food, frutto di un investimento non di poco conto. E soprattutto crederci. Capire che esiste un’altra cucina e le “stelle” possono scendere in strada a premiare l’amore per quella di tutti i giorni: piatti tradizionali cucinati con l’attenzione di un grande chef stellato: Mauro Uliassi a Senigallia.
Infine non dimentichiamoci di organizzare un week-End ad Assisi per il Festival del Cibo da Strada. Oltre 20 food truck provenienti da tutta Italia per contendersi “Assisi Food Truck Award” e partecipare così al prestigioso Stree Food Festival di Parigi.
Altro che Kebab!
Ama Fabio Concato e questa affinità si percepisce ascoltandolo. I suoi testi parlano di vita vera, di storie e realtà che appartengono a molti. Alfredo Tagliavia è un giovane cantautore, musicista e insegnante. Guarda il mondo e lo racconta in modo semplice ma diretto. Da anni si esibisce nei locali romani portando in giro le sue canzoni. Nel 2013 ha pubblicato il cd autoprodotto "Sogni di carta" che ha presentato in diversi centri culturali e biblioteche di Roma e Napoli. E’ uscito nel 2015 il secondo album “Frammenti di versi”. Lo incontriamo per una breve intervista.
Un progetto discografico che fonde musica e poesia, perché Frammenti di versi?
In realtà dietro al titolo del cd c’è un aneddoto personale. “Frammenti di versi” era il nome di un gruppo musicale che avevo da adolescente o poco più con quattro amici del quartiere, il primo in cui mi sono cimentato con musica cantautorale di mia composizione. Posso dire quindi che è un titolo “nostalgico”, un po’ come le atmosfere di tutto il cd.
Nel brano “Sprazzi di campagna” diventi un attento osservatore degli angoli della città e descrivi minuziosamente il tuo quartiere, come è nata questa canzone?
Dico spesso che non scrivo le canzoni, sono le canzoni che “mi scrivono”. Le mie canzoni sono piccoli segnali inconsapevoli che arrivano all’improvviso, dopo una giornata particolare, un giro in macchina al mare o, appunto, una passeggiata nelle strade che percorro da quando sono nato. Spesso arrivano già pronte, con parole e musica fatte, come se qualcuno me le avesse suggerite.
Stai promuovendo il cd in diversi locali di Roma, come vivi il contatto con il pubblico?
Non sono certo un animale da palcoscenico. Ho cominciato a suonare dal vivo le mie canzoni più di dieci anni dopo che ho cominciato a scriverle. Mi trovo bene nei luoghi piccoli e “culturali” : biblioteche, associazioni, piccoli teatri, ecc., dove trovo il pubblico più attento. Non mi piace invece la dimensione del pub, che considero dispersiva e poco indicata per chi vuole ascoltare attivamente la musica (anche se non si può generalizzare).
Per un artista oggi è fondamentale farsi conoscere anche attraverso i social, è così?
Credo che i social network abbiano più effetti collaterali che lati positivi. L’unico lato positivo che trovo nei social (e non dico che sia poco) è la comodità nel poter pubblicizzare i propri eventi a tante persone contemporaneamente. Il rischio maggiore è la sopravvalutazione dell’immagine di un artista a discapito dell’essenza della sua arte.
Da cantautore, che significato ha per te interpretare il testo che scrivi?
Mi ritengo, più che un poeta, un “canzonettaro”, e non credo di essere in grado di lanciare messaggi precisi attraverso le mie canzoni. Forse è così anche perché prima di diventare cantautore sono stato chitarrista per tanti anni, quindi valorizzo molto l’aspetto musicale delle mie creazioni, a volte magari curandolo anche un po’ più delle parole, che arrivano sempre di getto e che nemmeno io so facilmente interpretare.
Quali sono stati gli artisti di riferimento per il tuo percorso musicale?
I cantautori che apprezzo di più e che più mi hanno influenzato sono Fabio Concato, Pino Daniele e Samuele Bersani. Mi piacciono moltissimo anche l’autore brasiliano Joao Gilberto, inventore della bossa nova, e il chitarrista jazz americano Pat Metheny. Adoro anche le colonne sonore di Nicola Piovani.
Ambizioni e progetti per il futuro.
Il cd “Frammenti di versi” verrà presentato alla fine del mese a Napoli e a luglio un’altra volta a Roma. Parallelamente porto avanti il progetto “Cantautori tra Italia e Brasile”, insieme ad amici musicisti con i quali cerchiamo di far incontrare la tradizione cantautorale italiana e quella sudamericana. In futuro mi piacerebbe realizzare un nuovo cd in uno studio di registrazione di alto livello, magari anche con un’etichetta, ma c’è ancora tempo per scrivere e per pensarci su.
- perché contiene ptomaine, sostanze tossiche che si sviluppano dagli organismi in via di decomposizione: cadaverina, putrescina, istamina, indolo, scatolo, fenoli, ammoniaca ecc.
- perché la carne genera radicali liberi (a questi sono collegati ad almeno 50 diverse gravi patologie);
- perché le proteine della carne bloccano l’utilizzo della vitamina D, provocano concentrazione di calcio e di ossalati nei reni e questo favorisce la formazione di calcoli;
- perché la carne genera carenza di enzimi e di vitamine, aumento di colesterolo, acidificazione della matrice extracellulare, prelazione di calcio, uricemia, ipertensione, gotta, abbassamento delle difese immunitarie;
- perché le proteine della carne sono altamente acidificanti e l’acidità riduce la capacità dell’organismo di produrre enzimi ed ormoni, e senza enzimi non si digerisce: nessuna attività biochimica è possibile;
- più proteine si ingeriscono più l’organismo ha necessità di vitamina B12;
- la putrefazione della carne nell’intestino impedisce il fattore intrinseco e ritarda la formazione della vitamina B12;
- perché carne e pesci risultano inquinati da 10 a 70 volte più dei vegetali;
- perché la carne genera leucocitosi digestiva, cioè aumento anomalo di globuli bianchi nel sangue, situazione che si verifica in ogni infiammazione, segno che l’organismo considera la carne ed il cibo cotto come un aggressore;
- perché la carne genera aumento di colesterolo;
- perché ha effetto dopante: stimola e poi causa successiva depressione di Energia;
- l’omocisteina aumenta con le proteine e può essere causa di demenza, depressione, malattie cardiovascolari, cancro;
- perché per digerire la carne l’organismo sottrae minerali e vitamine;
- perché gli aminoacidi solforati della carne sottraggono calcio, potassio e magnesio all’organismo;
- perché il 70% delle fratture ossee è dovuto ad un eccesso di proteine (che sottraggono calcio ed altri minerali alcalinizzanti);
- Gilbert e Dominicé, due ricercatori belgi, affermano che la carne fa aumentare i germi patogeni nell’intestino portandoli da 2.000 a 70.000 per millimetro cubo;
- perché la carne fa aumentare i livelli dell’aminoacido tirosina e l’accumulo nel cervello dopamina e adrenalina, neurotrasmettitor responsabili della grinta e dell’aggressività tipica degli animali predatori, con conseguente nascita di un comportamento energico, aggressivo e violento;
- perché abitua alla logica della violenza, della soppressione del più debole, al disprezzo della vita e dell’altrui sofferenza;
- perché spegne il senso della pietà, della compassione e preclude L’evoluzione dello spirito.
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“Coloro che uccidono gli animali e ne mangiano le carni saranno più inclini dei vegetariani a massacrare i propri simili”. (Pitagora)
L'ordinamento democratico antico, appena restaurato dopo un colpo di stato oligarchico, ha condannato a morte Socrate; così, la democrazia nella sua forma attuale ha avuto le sue vittime illustri: giornalisti, intellettuali, artisti.
La condanna a morte di Socrate, nel 399 a.C., avvenne in un'Atene da poco tornata alla democrazia dopo il regime dei trenta tiranni. Allora non esistevano sondaggi, ma il teatro comico ci lascia interessanti testimonianze sulle posizioni prevalenti all'interno di quell'opinione pubblica che proprio Pericle, celebrato come il fondatore della democrazia, aveva contribuito a rendere così influente sulla scena politica. Ma Atene era soprattutto a capo di un “impero”, la lega di Delo, nata ufficialmente per proseguire il conflitto contro i Persiani e presto divenuta strumento dell'egemonia ateniese sulle città alleate. A permettere la nascita e il consolidamento di questo impero è stata la strategia del dominio sui mari (detto talassocrazia), che ha al contempo favorito sia un notevole sviluppo economico, sia l'accesso alla rappresentanza politica dei ceti più poveri del demos. Nell'Atene di Pericle, i nullatenenti venivano reclutati come rematori sulle navi da guerra, sottraendo il primato nella difesa della città alla fanteria dei ceti medio-alti (gli opliti) e, soprattutto, alla cavalleria dell'aristocrazia fondiaria (qui era lo zoccolo duro della fazione oligarchica, quindi degli oppositori politici di Pericle). Nel primo anno della guerra del Peloponneso, che vede opposte Atene e Sparta, le due grandi potenze greche, il sistema democratico ateniese inizia a vacillare, a partire dalla devastante pestilenza del 429 a.C., durante la quale morì lo stesso Pericle e i suoi due figli legittimi. In seguito, secondo lo storico greco Tucidide (testimone diretto degli eventi), la democrazia e l'impero di Atene iniziano un lento declino e, contestualmente, un progressivo irrigidimento. Nell'ultimo discorso all'assemblea popolare ateniese, Pericle presenta il conflitto come una guerra “giusta”: E' giusto che alla condizione onorevole in cui, grazie al suo impero, si trova la nostra città voi portiate aiuto (dato che di tale condizione voi tutti vi vantate)... Né dovete credere che ora si lotti per una cosa sola, per la libertà o la schiavitù: al contrario anche riguardo alla perdita dell'impero... Dal comandare voi non potete più tirarvi indietro, anche se qualcuno spaventato dalla presente situazione per ignavia vorrebbe farlo, sostenendo la parte dell'uomo onesto. Voi possedete in questo potere quasi una tirannide (Tucidide, La guerra del Peloponneso, II, 63; ). I successori di Pericle alla guida della fazione democratica non sono “alla sua altezza” e l'ordinamento che dirigono vira verso la demagogia. Attraverso quest'ultima viene appunto convinta l'assemblea popolare ad approvare la disastrosa spedizione in Sicilia del 415 a.C.
Anche il sistema democratico contemporaneo, minacciato dai sistemi totalitari del Novecento, ha vissuto, a partire dalla guerra fredda, brusche virate autoritarie, nelle quali il potere per mantenersi ha “sacrificato” diverse vittime sull'altare della democrazia da difendere. Si pensi al maccartismo, all'operazione Ajax in Iran, all'operazione Condor in America Latina. Fino ad arrivare alle guerre “umanitarie”, quasi sempre combattute sotto l'egida dell'Alleanza Atlantica (NATO) nel mondo monopolare uscito dalla guerra fredda dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Conflitti dettati da una ferrea logica di potenza, che non ammette diritto di replica considerando ogni forma di dialettica una minaccia. Anche questo sistema, dunque, come quello antico, ha mietuto vittime. Anzitutto tra le popolazioni afflitte dalla corruzione e dalla spietatezza delle dittature (più o meno mascherate) che ha contribuito a imporre. In secondo luogo tra le voci critiche come il primo ministro svedese Olof Palme, assassinato nel 1986 (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/27/olof-palme-caso-ancora-aperto/514605/), e il “Che africano”, Thomas Sankara, ucciso nel 1987. In terzo luogo tra i testimoni scomodi, come la giornalista Ilaria Alpi, morta insieme all'operatore Miran Hrovatin nel 1994, a Mogadiscio, in un agguato organizzato dall'intelligence statunitense con l'aiuto di Gladio e dei servizi segreti italiani (http://www.repubblicaonline.it/2016/03/24/ora-e-ufficiale-ilaria-alpi-fu-uccisa-dalla-cia-il-vergognoso-silenzio-generale/).
Se sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin è stata fatta (parzialmente) luce, non si può dire lo stesso per quelle di Enzo Baldoni in Iraq nel 2006 (http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/28/enzo-baldoni-ucciso-in-iraq-e-insultato-in-italia/1101209/), di Vittorio Arrigoni nella striscia di Gaza nel 2011 (http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/15/vittorio-arrigoni-5-anni-dalla-morte-la-madre-egidia-oggi-non-riconoscerebbe-questa-europa-disumana-manca-la-sua-voce/2639329/) e di Giulio Regeni in Egitto nel 2016 (http://www.flipnews.org/component/k2/stop-alla-tortura-e-verita-per-giulio-regeni.html). Se la democrazia non può prescindere dalla responsabilità e dalla consapevolezza collettive, come nell'“impero” ateniese del V secolo a.C., così anche nell'imperialismo democratico contemporaneo la responsabilità ricade sullo stesso corpo civico cui spetta la sovranità. Con una differenza: mentre l'antica democrazia ateniese era diretta, oggi il demos si esprime attraverso i suoi rappresentanti. Dunque, all'assemblea popolare abbiamo sostituito il parlamento, ma i meccanismi di repressione (talvolta soppressione) del dissenso e della critica sono rimasti invariati, come anche la propaganda che presenta i conflitti come guerre di difesa della “cultura” e dei “valori” democratici.
La condanna a morte di Socrate apre il IV secolo a.C., che è quello della crisi del modello democratico ateniese. Anche se la sua è stata un'“esecuzione politica” (oltre ad essere una voce critica, Socrate era stato maestro di Alcibiade e Crizia, considerati fonte di innumerevoli mali per la loro città), l'accusa che gli veniva rivolta era essenzialmente religiosa e oscurantista: non credere negli dei e corrompere i giovani, un'astuta operazione di propaganda demagogica, impossibile da conciliare, a livello teorico, con l'autentica tradizione democratica. In modo analogo, è probabile che la crisi che le istituzioni democratiche stanno vivendo (di cui uno dei sintomi è l'emergere della cosiddetta “anti-politica”) sia legata alla spregiudicatezza con cui voltano le spalle di fronte alle vittime degli imperi attuali.
Chi di noi da piccolo (confesso: anche da grande) non ha letto Topolino? E quel OPS! continuo, garbato, educato, ossequioso, signorile pronunciato da Mickey Mouse ?.
Dall’inglese Oops, come espressione di scusa o di sorpresa. Nella letteratura anglosassone lo troviamo anche nella dizione “americana” Whoops” fino a riscontrare, da noi, un uso sempre più ricorrente dopo la pubblicazione del disco “Oops!...I did it again” di Britney Spears.
In Italia, nel comune parlare, cerca di sostituire, soprattutto nel significato di sorpresa, il Voilà francese. Ecco a Voi, ecco fatto.
Direte: ma che c’azzecca tutto questo ragionamento con una rubrica di food&wine?
Recentemente nel mio vagare tra Manifestazioni ed Eventi mi è capitato di curiosare (la sorpresa) intorno ad un banco espositivo di uno strano oggetto, alla prima apparenza, fatto di cartone. E soprattutto mi ha incuriosito il nome dell’oggetto: Oops!
“Le tue bottiglie raccontano la tua storia, la tua passione, il sacrificio e l’unicità del tuo vino”. Una frase che arriva diritta al cuore particolarmente ad un Wine lover come mi ritengo.
“Armonia, stile, professionalità accompagnano sempre le degustazioni, senza imbarazzanti incidenti di percorso”. Questo è vero perché molte volte è spiacevole, antipatico e fastidioso (per il sottoscritto in particolare) vedere gocce di vino, al momento del servizio, finire su tovaglie se non addirittura sugli abiti. “Perché la bellezza e l’eleganza delle nostre tavole sono parte integrante della nostra cultura”. Così non vale! Mi si prende dal lato della classe, stile, gusto e distinzione.
E Voilà, anzi Oops; ho scoperto che si trattava di un salva goccia innovativo, non un semplice drops. Disegnato da Stefano Giovacchini di Disegno Design per conto di GRIX srl. Facile da usare, fatto di materiale compostabile e quindi, dopo diversi e innumerevoli utilizzi, facilmente riciclabile. Pratico, efficace, sicuro, discreto (viene prodotto in due colori, nero e sabbia) ed elegante.
Un accessorio semplice ma prezioso, frutto di ricerche partendo dai filtri enologici per arrivare ad un prodotto dove stile e design rivelano l’intuito Made in Italy. Le invenzioni semplici ma efficaci che risolvono i piccoli problemi quotidiani.
Dopo la sorpresa e la scoperta è emerso, per l’attento cronista, la ricerca dell’utilizzo. Strumento di marketing come gadget personalizzato ma anche pratico ed efficace sulle nostre tavole. Non più macchie di vino sulle tovaglie!
Insomma sorpresa, scoperta e utilizzo. Sono stato convinto. Ne ho preso qualche campione per provare. Funziona davvero!
Voilà, ecco fatto. Anzi OOPS, una semplice invenzione che semplifica la vita.
(fonte di ricerca: Grix srl Altopascio (Lu). Foto: genau.it)
Per Rai, Mediaset e le altre televisioni pubbliche, i risultati scientifici dei 22 esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, provenienti da 10 diversi paesi e gli 800 dossier prodotti, sono carta straccia, dati senza
valore: tempo e risorse spesi inutilmente. Loro continuano a fare quello che vogliono, perché il dio denaro versato nelle loro casse dalle lobby degli allevatori, macellatori di animali e dall’industria chimico-farmaceutica, è più forte di qualunque senso di onesta responsabilità verso il sociale.
Come può essere permesso che la televisione di Stato, e le televisioni pubbliche, sponsorizzino prodotti scientificamente causa delle peggiori patologie umane? Come è possibile che si dica, giustamente, ogni male
possibile del fumo di sigaretta, delle droghe e dell’alcol mentre per il consumo di carne, che causa più malattie e morti dei tre precedenti imputati messi assieme, se ne favorisca addirittura il consumo?
Se ne infischiano Rai e Mediaset di quanto dice sia l’art.32 della nostra Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”; sia l’art. 444 del CP che recita: “Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica, è punito...”
Tutto questo è scandaloso. Non è tollerabile che i media stimolino, con i loro spot pubblicitari, la popolazione a consumare insaccati, carni rosse e lavorate, come prosciutti, mortadelle, carne in scatola, wurstel ecc., pur avendo la certezza del danno che producono. Come può la Magistratura permettere tutto questo? Possibile che nessun magistrato abbia il coraggio di prendere provvedimenti contro i generatori di malattie,
sofferenze e morte e impedire la pubblicizzazione non solo di prodotti carnei ma di ogni altro prodotto scientificamente riconosciuto nocivo per la vita delle persone e dell’ambiente?
Dopo Amatrice, è ora la volta dell’Abbazia di Farfa, di presentare il volume dedicato agli Spazi della Preghiera, Spazi della Bellezza, come spiega il complemento del titolo. Il volume su Ama-trice è stato presentato a Roma ai Musei Capitolini. Questo di Farfa, invece, proprio presso l’Abbazia oggetto della trattazione.
È un sabato di sole e arrivando si gode lo spazio della bellezza naturale della Sabina laziale, nella provincia di Rieti e in particolare nel territorio del Comune di Fara Sabina, che ha spinto i monaci a fermarsi qui: la bellezza del creato che spinge alla preghiera, una preghiera di rin-graziamento per tanta felice armonia. In più, questo è il fine settimana dedicato alla manife-stazione Farfa in fiore, nel campo- giardino che introduce al borgo abbaziale, sono allestiti gli stands con il caleidoscopio di colori delle piante comuni e non. La natura coltivata, intervento dell’uomo sul dono che ha ricevuto. Con il biglietto d’ingresso si riceve la Guida ai Comuni Fioriti d’Italia, ottava edizione del 2015.
L’armonia continua nel borgo, dove la preghiera si è unita all’operosità nelle botteghe, un tempo dedicate ai mercanti che arrivavano in occasione della fiera, ora sede di negozi affascinanti per il loro sapore antico, conferito non solo dalla struttura architettonica, caratterizzata dall'ar-chitrave ligneo che connota ognuno degli ingressi, ma anche dalle “merci”. La tradizione della fiera è in qualche modo conservata dal mercatino che si tiene ogni prima domenica del mese. Tra i negozi più affascinanti e particolari, quello dei tessuti artigianali, con un antico telaio all’interno.
Nel cortile antistante alla Chiesa di Santa Maria di Farfa che dà il nome al Complesso Abbaziale, si stanno raccogliendo, davanti alla facciata, dove gli elementi decorativi sono costituiti da frammenti di sarcofagi, gli invitati dell’imminente matrimonio.
La presentazione ha luogo nel refettorio seicentesco. All’interno di una imponente struttura ar-chitettonica dipinta, si svolgono le scene pittoriche attribuite, in modo “abbastanza concorde” dalla letteratura artistica, a Vincenzo Manenti. In centro, La cena di Cristo in casa del Fariseo, è inquadrata in un’ampia cornice semplice, evidenziata da un drappo rosso, come una tenda ancorata al fastigio superiore, aperta per lasciar vedere la scena: Cristo, seduto in primo piano all’estrema destra, in tunica rossa e avvolto nel mantello azzurro, sporge il busto in avanti verso la Maddalena prostrata ai suoi piedi, adorante e penitente. All’estremità opposta si anima il banchetto, al di qua dell’angolo formato dalla tavola, coperta da una tovaglia bianca che arriva fino al pavimento, un personaggio ci volge le spalle. L’architettura classica sullo sfondo si apre in un arco, che conduce lo sguardo dello spettatore in profondità, su un paesaggio sfumato, con i volumi degli edifici disposti sulla diagonale. Ai lati, inquadrate da colonne e terminanti in una superficie stondata, caratteristica delle pale d’altare, le due scene raffiguranti rispettivamente, episodi della vita di San Benedetto e San Tommaso di Morienne.
Il Padre Priore Dom Eugenio Gargiulo, ha presentato il volume, come primo di una collana, che, tra le prime pubblicazioni, vedrà quella degli atti dei convegni tenutisi nell’Abbazia. Sono seguiti i saluti delle autorità e del rappresentante del Fondo Edifici Culto, proprietario della chiesa abbaziale, dall’epoca degli espropri post unitari. La storia dell’Abbazia è lunga e complessa, vi risiedono i monaci benedettini, fino a qualche tempo fa il Complesso dipendeva dai monaci dell’Abbazia della Basilica di S. Paolo fuori le Mura a Roma, dove importanti manoscritti provenienti da Farfa sono tuttora conservati. Anche a Roma i monaci stanno valorizzando e a-prendo il patrimonio che conservano, favorendo gli studi nel campo archivistico e bibliotecario, di recente è stato presentato il nuovo allestimento del giardino interno, accessibile con visita guidata.
Il professor Umberto Longo ha illustrato la composizione del volume che non si limita all’importante e determinante storia medievale del complesso, ma anche ai periodi storici suc-cessivi che hanno lasciato tracce importanti nell’Abbazia.
L’architetto Antonio Bureca, Soprintendente alle Belle Arti e Paesaggio per Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, ha ribadito l’importanza dei restauri come preziose occasioni di approfondimento e aggiornamento degli studi. Ha tracciato anche, a grandi linee, la storia della Soprintendenza, che si trova in piena riforma, con l’espansione della cura anche ai beni archeologici che, in precedenza, venivano gestiti da una differente soprintendenza. Accorpamento che se da un lato, si auspica, favorirà la comunicazione tra professionisti di aree diverse, dall’altro, si teme per la mole di interventi congiunti che dovrà essere operata, sperando di non lasciare indietro niente di determinante.
La curatrice della pubblicazione, Isabella del Frate, ha sottolineato la collaborazione tra istituzioni e studiosi di aree diverse e le nuove scoperte e attribuzioni. In particolare lo spostamento dai fratelli Zuccari a Girolamo Muziano delle opere manieriste.
L’affascinante intervento del professor Bruno Toscano ha concluso la presentazione. Il profes-sore ha condotto l’uditorio nel vivo della storia dell’arte, nell’apertura di orizzonti che caratte-rizza la disciplina negli ultimi tempi. Apertura di fatto geografica, testimoniata dal confluire di esperienze e collegamenti insospettabili da luoghi disparati e lontani fra loro, non solo geogra-ficamente. Farfa ne è un esempio, come territorio dove confluiscono suggestioni non solo dalle vicine Umbria e Abruzzo, ma anche d’oltralpe. L’importanza dell’aver esteso oltre il medioevo gli studi è rafforzata dal fatto che, proprio dalle opere presenti nel territorio, possiamo farci un’idea della pittura del Quattrocento, quasi del tutto perduta a Roma. Testimonianza delle in-fluenze d’oltralpe, l’Ecce Homo scolpito nel frammento architettonico di difficile individuazione di appartenenza dell’opera d’origine e soprattutto il Giudizio Finale nella controfacciata della chiesa, di mano fiamminga. Il Professore ipotizza che la mancanza di documentazione relativa all’esecuzione dell’opera, grande e imponente, per bellezza e per l’estensione della superficie coperta dalla pittura, sia dovuta ai bellissimi e potenti nudi, presenti in una chiesa abbaziale in epoca di Controriforma. Riprendendo il discorso sugli accorpamenti delle soprintendenze si la-menta il fatto che, a livello istituzionale, continuino a occupare energie e risorse i centri come Venezia, Firenze, Pompei, quando ormai, la separazione tra centro e periferia, appare una ac-quisizione superata. Sopratutto, incredibile, è pensare di continuare a considerare periferiche entità come la Reggia di Caserta.
Unico appunto che è stato mosso al volume e che apre un’altra questione dibattuta, è sulla qualità delle foto. Ma è possibile muovere una critica in tal senso, con la crisi dell’editoria, in una società che sta perdendo il gusto di molte cose e tra queste la bellezza del libro come oggetto d’arte?
Spazi della Preghiera, Spazi della Bellezza. Il Complesso Abbaziale di Santa Maria di Farfa,
Palombi Editori, Roma 2015, 243 pp., ill. €. 35,00
La vita romanzata di una delle più grandi attrici di tutti i tempi, Adriana Lecouvreur, ha ispirato drammi, opere liriche e cinematografiche. Eugène Scribe nel 1849 le dedicò un dramma, Francesco Cilea nel 1092 un’opera lirica, nel secondo dopoguerra in Italia è stato prodotto un film con Valentina Cortese, Olga Villi e Gabriele Ferzetti. L’epistolario fra Adriana e Maurizio di Sassonia sacrifica il romanzo alla verità storica, ma mostra la sensibilità e l’intelligenza proprie di una grande artista, come lo è stata, in vita, la mitica Adriana.
Adriana Lecouvreur aveva esordito in teatro nel 1706, all’eta di quattordi anni. Una recita di adolescenti che, per aver adottato un testo di Corneille (Poliuto), si era vista attirata su di sé la reazione della società del teatro francese, gelosa custode delle tragedie di Racine. A quella contrastata recita aveva assistito Le Grand, un attore famoso ai suoi tempi. Questi, divinando il talento della piccola, aveva voluto curarne la formazione artistica e le suggerì il nome d’arte. Adrienne Couvreur divenne Adrienne Lecouvreur.
Dopo due anni di studio e otto di provincia, Adrienne tornò a Parigi preceduta da una reputazione ottima come artista e cattiva come donna: a Lilla, all’età di sedici anni aveva avuto il primo amante, a Lunéville la prima figlia da un ufficiale del duca di Lorena, a Strasburgo la seconda da un nobile alsaziano. la storia d’amore con Maurizio di Sassonia, entrata nella letteratura mondiale, si svolse nella lussuosa dimora parigina di rue des Marais, dove Adriana si era definitivamente trasferita.
Adriana Lecouvreur aveva conosciuto Maurizio di Sassonia nel salotto della marchesa di Lambert, l'indomani di una recita della Fedra di Racine. Affascinato dalla rappresentazione, Maurizio di Sassonia aveva voluto conoscerne la protagonista e l'attrice rimase a sua volta affascinata da quel giovane capitano dalla vita avventurosa che, all’età di 24 anni, aveva già condotto undici campagne di guerra.
Maurizio di Sassonia era figlio naturale di un re. Sua madre, la bellissima principessa svedese Aurora di Koenigsmark, lo aveva avuto da Augusto II, elettore di Sassonia. Lo aveva fatto riconoscere dal re e si adoperava fra gli stati del nord allo scopo di ottenere i voti della Dieta per la successione al trono. Quando Maurizio si dichiarò, Adriana impose un’attesa a lui e a se stessa (“Io sono più vostra, mio caro conte, - ella infatti scrive - di quanto lo sarebbe un'altra che lo fosse di più. Voi siete abituato ad ottenere delle vittorie rapide e complete per non essere contenta di prepararvi un trionfo differente che può solleticarvi per la sua singolarità"). Un’attesa non troppo lunga: tre mesi dopo l’attrice capitolava: “voglio farvi conoscere quello che ha potuto mancarvi e quanto i sentimenti siano ancora superiori ai piaceri ordinari. Venite, voi m'incanterete, anche senza profferir motto".
La loro unione fu felice per tre anni, poi si mise di mezzo la politica. Il conte di Sassonia partì per la Polonia con il miraggio della reggenza degli stati baltici, fino allora retti dal Gran Maestro dei Cavalieri Teutonici, morto in quell'anno senza lasciare eredi. I negoziati che egli intraprese si trascinarono nel tempo. Le lettere di quel periodo riflettono la reciproca gelosia dei due amanti. Scrive Adriana: "lo ve ne supplico, provatemi che pensate a me, non siate ga1ante, non vi mostrate, non piacete, ve ne supplico in ginocchio"; e in risposta ai timori di Maurizio, geloso a distanza di tutti gli spettatori della Comedie: "io non esco dalla mia camera, non vado a cena con nessuno. Temo di amarvi troppo. Questa non è la maniera più sicura per piacere?".
Due anni trascorrono nelle vicende baltiche. "Io invecchio, constata l'attrice, ma è per voi. Potrei trovare una scusa più felice?: è nell’aspettarvi". Contro il volere di Russi e Polacchi, il conte di Sassonia ottiene dalla Dieta l’investitura ufficiale per i Paesi Baltici. Adriana pensa seriamente di interrompere la sua carriera, di abbandonare tutto per raggiungerlo. Russi. Polacchi, nel mentre, scontenti della scelta della Dieta, minacciano di invadere il ducato e fanno mancare le finanze al neoeletto principe per sostenere la guerra. Adriana vende i suoi diamanti, i suoi cavalli, la sua argenteria e invia quarantamila libbre a Maurizio, che risponde: “vi sono obbligato per il sacrificio che avete sostenuto. Ciò mi persuade che voi vi preoccupate esclusivamente di me e del mio destino. Ve ne ringrazio e vi assicuro che la mia fortuna non sarà mai tanto cattiva da non poterla dividere con voi".
Ma la catastrofe si avvicina: le truppe russe sono entrate in Estonia; anche i Polacchi sono apparsi sulla frontiera. I nuovi sudditi di Maurizio non fanno resistenza, il principe resta solo con la sua guardia del corpo. Adriana, lo scongiura di abbandonare: dal momento che i sudditi per primi hanno mancato, può ritirarsi senza vergogna. Cosa potrebbe trovare, se non la morte, in quella disperata resistenza?
La risposta è angosciante: "Domani farò una sortita e passerò attraverso gli avversari. ...Addio, amatemi. Se io perirò voi perderete qualcuno che vi ha molto sinceramente amato".
Si sa come Maurizio di Sassonia abbia attraversato l’Europa aggrappato alla criniera del suo cavallo, passando a nuoto o a guado i corsi d’acqua, portando con sé solo una cassetta contenente l’attestato della sua elezione e le lettere di Adriana.
La lotta condotta da un solo uomo contro una coalizione internazionale impressionò il mondo e sedusse le donne; tutte volevano amare l'eroe. Adriana Lecouvreur, ormai trentacinquenne, ebbe allora mille rivali, ma tutte passeggere. Maurizio ritornava a lei dopo ogni infedeltà come ad una sposa legittima. L'attrice riconosceva l'inutilità dei rimproveri, confessando di non essere portata "né alla gelosia, né alle scene violente".
Eppure questa creatura che si reputava "debole e delicata" doveva svegliarsi con una fiammata terribile: quando una donna minacciò di prenderle il posto nel cuore di Maurizio. La Parigi pettegola di quel tempo le aveva fatto conoscere in breve tempo il suo nome: era la bellissima Francesca di Guisa, moglie del vecchio duca di Bouillon. Ma, incapace di spezzare con Maurizio, Adriana sembrava accettare la divisione degli affetti con la giovane duchessa. La cenere, però, restava calda. Nel corso di una rappresentazione della "Fedra", nella scena in cui la protagonista rivolgendosi alla confidente pronuncia l’apostrofe alle donne ardite, l'attrice cerca nel teatro la duchessa Bouillon e le lancia, indicandola col dito, la terribile apostrofe di Racine: "Conosco le mie perfidie ed io non sono di quelle donne ardite, le quali, godendo la tranquillità nel peccato, hanno saputo farsi una fronte che non arrossisce mai".
Lo scandalo fu enorme. L'indomani la duchessa esigeva ed otteneva che la compagnia di Molière, nella persona del suo decano, andasse a presentarle le sue scuse. Anche il conte di Sassonia, cessando di colpo le sue visite sembrava avere disapprovato Adriana. Sono di questo periodo tre significativi biglietti di Adriana: "O voi volete troncare, o voi contate infinitamente sulla mia debolezza e sulla mia predilezione per voi. Io ho il tempo di riflettere e di prepararmi agli avvenimenti più tristi. Ma non sforzatevi affatto. Io non posso soffrire di essere ingannata e se voi avete l'intenzione di lasciarmi ... Io non posso più continuare, il mio cuore smentisce la mia mano e la mia penna". "Io vi scrivo nel mezzo della notte poiché da quando siete lontano, io non mangio, né dormo. Così voi mi troverete assai magra ed anche molto malata, se voi non tornerete. Quale piacere trovate a rendermi infelice, quando voi potreste fare la mia felicità? Io non voglio affatto riempirvi di lamentele, vorrei molto rianimare la vostra tenerezza e non suscitare la vostra pietà. Ma forse avviene che il vostro animo non sia più suscettibile di alcun sentimento per me. Finite dunque di illudermi, per me è indifferente morire o vivere ancora nello stato in cui sono”.
Quando Adriana scrisse il terzo biglietto il dolore aveva prodotto i suoi effetti: Adriana è caduta malata: "Vorrei di tutto cuore essere nell'agonia per il piacere di farvelo sapere. Non posso per ora che annunciarvi che ho un po' di febbre, poiché non saprei mentirvi. Poiché non mangio e non dormo e poiché mi addoloro quanto è umanamente possibile, è da ritenere che vi arriverò. Secondo quanto pensiamo l'uno dell'altro presentemente, è verosimile che saremmo assai contenti se ci sbarazzassimo, voi di me, io della vita. Sono d'accordo con voi che sia una cosa difficile e che le donne durano fatica a morire. Ma ciò che posso promettervi è che farò del mio meglio e con tutto il cuore”.
Adriana Lecouvreur, infatti, non visse a lungo; un mese dopo dalla stesura di questo messaggio, a tre giorni di distanza da una rappresentazione in cui aveva offerto una misura di tutta la sua arte interpretando “l'Ortensia” di La Fontaine e "l'Edipo" di Voltaire, l'attrice si spegneva, fra le braccia delle sue due figlie e di Voltaire, che era suo grande amico dal tempo dei primi trionfi parigini.
La Chiesa colpiva con scomunica gli artisti di quell'epoca e, senza un'abiura prima della morte, negava loro la sepoltura con il rito ecclesiastico. Poteva rinnegare il teatro Adriana Lecouvreur? Il teatro era Adriana stessa, un atto di abiura equiva1eva a un misconoscimento di se stessa.
Il titolare della parrocchia di Saint-Sulpice, padre Languet de Gergy, si rifiutò di lasciare entrare il corpo nella chiesa. Invano gli fu riferito che il testamento della defunta cominciava con le parole: "In nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo"; replicò che Adriana non aveva voluto fare alcun atto di pentimento per gli scandali della sua professione. Poi, nottetempo, la polizia notturna fece irruzione nella camera mortuaria. "Per ordine del Luogotenente di Polizia - disse l’ufficiale - noi veniamo a prendere la salma di mademoiselle Lecouvreur". Strappato alle figlie, avvolto in un drappo e portato come un fagotto, il corpo è gettato in un carro. Dove fu portato? Voltaire e Maurizio di Sassonia, partirono alla ricerca. Domandando a destra e a sinistra arrivarono all’altezza di un cantiere sito al civico 115 di rue de Grenelle. Lì uno sconosciuto affermava di aver visto gettare un fardello bianco. Il corpo di Adriana Lecouvreur, di colei che era stata la grazia, la sensibilità, l'intelligenza, era stato gettato nella calce viva.
Perché si era voluto far scomparire e annientare il corpo dell'attrice? La gente a Parigi non vide chiaro nella faccenda. E una voce corse ben presto, insinuando lo stesso sospetto in tutte le menti: la vendicativa duchessa non avrebbe soppresso la rivale?
L’attrice non sarebbe morta avvelenata? E venne fuori la chiacchiera di un frate che pretendeva di essere stato incaricato da uno scudiero di casa Bouillon di offrire all'attrice certe pastiglie. "Mademoiselle Lecouvreur è morta fra le mie braccia, risponde Voltaire. Tutto ciò che si dice sul suo avvelenamento sono voci di popolo senza alcun fondamento". Non importa: la gente è persuasa del contrario. Adriana Lecouvreur entra nella leggenda. Scrittori e poeti s’ispireranno alla sua persona e ne fisseranno lo storia per l'eternità.
TTIP è un trattato in discussione fra Europa e Stati Uniti per costruire un unico grande libero mercato: Transatlantic Trade Investment Partnership.
Niente dazi, niente limiti al commercio e regole uguali per tutti. Detta così non è male. E allora, perché è a rischio il nostro patrimonio agro-alimentare? Perché verremo invasi da cibo americano: "Guarda che bello questo pollo. Non solo è bello, ma costa anche molto meno dei nostri. Ha un solo difetto. È trattato con la candeggina... E, se sei vegetariano? Non preoccuparti: al supermercato potrai infilarti così tanta verdura OGM nella busta della spesa che la cosa più naturale che ti porterai a casa sarà la BUSTA."
Crozza spiega in maniera molto semplice come, qualora l'accordo venisse siglato, migliorare o anche mantenere i nostri standard per i prodotti alimentari, i diritti dei lavoratori, la tutela dell’ambiente e dei diritti
dei consumatori, diventerà molto più difficile.
E in Italia, con il nostro enorme patrimonio agro-alimentare e tutte le relative tutele volte a proteggere salute dei cittadini e ambiente, abbiamo tanto da perdere.
Chiediamo al Governo Italiano, al Presidente del Consiglio: Matteo Renzi, al Ministro delle politiche agricole: Maurizio Martina, al Ministro della Sanità: Beatrice Lorenzin, al Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare: Gian Luca Galletti, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Paolo Gentiloni, al Dipartimento per le politiche europee, al Ministro dello Sviluppo Economico: Carlo Calenda, al Ministro dell'Economia e delle Finanze: Pier Carlo Padoan, al Presidente Stefano Bonaccini e al Vicepresidente Giovanni Toti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, di opporsi all'accordo tra Unione Europea-Usa-Canada TTIP e CETA.
L'UE intende firmare due accordi commerciali di vasta portata:
1. con gli Stati Uniti (TTIP = Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti)
2. con il Canada (CETA = accordo economico e commerciale globale) La linea ufficiale è che questi accordi creeranno posti di lavoro e aumenteranno la crescita economica, mentre i veri beneficiari saranno le multinazionali e non i cittadini.
Scenario futuro se gli accordi venissero firmati:
- Settlement Investor-State-Dispute (ISDS): le aziende canadesi e statunitensi avrebbero il diritto di citare in giudizio per danni i governi dei singoli paesi o dell'intera unione europea, se credono di aver subito delle perdite economiche (per esempio con l'introduzione di nuove leggi per la tutela dell'ambiente o dei diritti dei consumatori).
- Sarà molto più difficile, migliorare o mantenere i nostri standard per i prodotti alimentari, i diritti dei lavoratori, la tutela dell'ambiente e i diritti dei consumatori.
- L'UE e i suoi Stati membri si troverebbero sotto pressione al fine di consentire tecnologie a rischio come per esempio: il fracking (frantumazione idraulica del sottosuolo per estrarre gas da argille o petrolio) e la modificazione genetica (ogm).
Gli accordi CETA e TTIP aumenterebbero il potere delle multinazionali a scapito della democrazia, della sovranità delle nazioni e dei diritti dei cittadini.
Nominato il nuovo primo ministro e presidente del Partito Giustizia e Sviluppo, la Turchia si avvia verso un nuovo sistema costituzionale e tenta di affermare il proprio ruolo di “interlocutore chiave” in Medio Oriente
L'insediamento del nuovo primo ministro turco Binali Yıldırım non è il primo segnale dell'accentramento di poteri ai vertici di Ankara, ma l'uscita di scena di Ahmet Davutoğlu segna la fine di quel minimo di dialettica politica interna al governo e al partito Giustizia e Sviluppo (AKP). Già quest'ultimo fatto è indice di un cambiamento avvenuto: la fine del sistema parlamentare e l'instaurazione di un sistema presidenziale de facto. La riforma costituzionale è ancora solo nelle intenzioni del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, ma quest'ultimo, già nel suo simbolico trasferimento di residenza da İstanbul ad Ankara dopo la vittoria alle prime presidenziali della storia della Turchia, aveva dato un segnale chiaro: la sua prima tappa era stata una preghiera personale alla moschea Eyüp Sultan, meta di pellegrinaggio dei musulmani turchi ma anche il luogo in cui i sultani ottomani erano soliti pregare prima dell'ascesa al trono.
Con lo stesso spirito, lo scorso 22 maggio, al congresso straordinario dell'AKP per la nomina del nuovo presidente, Erdoğan non ha partecipato in prima persona perché la costituzione turca stabilisce l'imparzialità del presidente della Repubblica. Tuttavia, “virtualmente” la sua presenza era forte e non solo per la nota scritta che ha mandato e di cui è stata data pubblica lettura. La sala era piena di manifesti con la sua immagine e in apertura il ministro della giustizia Bekir Bozdağ, che presiedeva il congresso, ha ribadito chiaramente (e in barba alla costituzione vigente) che “l'AKP resterà il partito di Tayyip (Erdoğan n.d.r.) finché la nostra gente dirà che è il partito di Tayyip... l'AKP ha solo un leader, il nostro presidente Recep Tayyip Erdoğan”. Quindi, la lettura della nota scritta del “Presidente”, che auspica l'abolizione di “questa strana regola che obbliga il presidente a recidere i legami con la dirigenza del partito”. Come dire che il problema principale di Palermo è il traffico. In un momento in cui vi sarebbero diverse questioni urgenti da affrontare, il neoeletto presidente dell'AKP Yıldırım indica esplicitamente la priorità massima della Turchia: “la cosa più importante che abbiamo da fare oggi è trasformare una situazione de facto in una situazione ufficiale, per porre fine alla confusione, e il modo per farlo è una nuova costituzione che instauri il sistema presidenziale”.
Infatti Yıldırım, ingegnere navale, è da sempre un alleato fedele del presidente turco, sin dal suo esordio negli anni '90 come direttore della compagnia dei traghetti di İstanbul, quando Erdoğan era sindaco della città. Co-fondatore dell'AKP, di formazione conservatrice, da ministro dei trasporti, degli affari marittimi e delle comunicazioni ha portato a buon fine i grandi progetti che dovrebbero rappresentare la “grande Turchia”, la “nuova Turchia”. Uno fra tutti, il terzo ponte sul Bosforo (i lavori sono stati affidati all'italiana Astaldi e al gruppo turco Ictas), la cui inaugurazione è prevista per agosto. Nominato presidente dell'AKP con un plebiscito, in un congresso che è stato, secondo le sue stesse parole, “un esempio di vera lealtà”, ha ricevuto 1405 voti su 1411 (i restanti sei voti sono stati dichiarati non validi). Nella stessa seduta, Davutoğlu ha lasciato ufficialmente la carica di presidente del partito (e di primo ministro), che deteneva dall'agosto 2014, quando Erdoğan aveva ottenuto la presidenza della Repubblica. Nella sua dichiarazione conclusiva, ha esortato i suoi colleghi a tenersi alla larga dalla corruzione politica, precisando che le sue dimissioni sono state una mossa necessaria per evitare spaccature nel partito. “Nessuno è insostituibile”, ha aggiunto, “ma l'AKP ha sei valori insostituibili: la tutela della dignità umana, il seguire la propria coscienza, la condivisione del sapere, la giustizia, la solidarietà nazionale e la volontà popolare. Per questo uno dei traguardi più importanti della nuova era sarebbe stato avere una costituzione libera e democratica”.
Tuttavia, il cammino verso la democrazia per Ankara (e non solo) è ancora lungo. Secondo il presidente del Partito repubblicano del popolo (CHP) Kemal Kılıçdaroğlu l'ultimo congresso dell'AKP è stato un vertice “sul modello coreano”, in riferimento al regime di Pyongyang. Intanto, dal Partito democratico dei popoli (HDP, filo-curdo e impegnato sul fronte dei diritti umani) arriva un allarme sull'uso politico dell'abolizione dell'immunità per i parlamentari indagati. Solo il suo presidente Selahattin Demirtaş ha 41 inchieste aperte a suo carico, con capi d'accusa che vanno dall'insulto al presidente al sostegno a un'organizzazione terroristica (con riferimento al Partito dei lavoratori del Kurdistan – PKK). Gli ultimi sviluppi (come se ce ne fosse bisogno) hanno destato preoccupazione nelle cancellerie europee e a Washington. La cancelliera tedesca Angela Merkel, ad esempio ha espresso i suoi timori riguardo alle condizioni della minoranza curda e per la mancanza di democrazia. “Uno stato democratico ha bisogno di un sistema giudiziario indipendente, di una stampa indipendente e di un parlamento forte”, ha detto a Erdoğan durante il vertice mondiale sui diritti umani che si è tenuto nei giorni scorsi a İstanbul. Dal canto suo, Erdoğan ha più volte esortato l'Unione Europea a rispettare i termini dell'accordo sul ricollocamento di migranti e rifugiati e ad accelerare le pratiche per l'abolizione dei visti per i cittadini turchi in area Schengen. Un invito velato di minaccia: se non si procede verso l'integrazione della Turchia, gli accordi bilaterali con l'UE potrebbero saltare.
La situazione che ora viene additata dalla comunità internazionale come motivo di apprensione è frutto di anni di scelte politiche del partito di governo (l'AKP), soprattutto dal 2014. Eppure al momento di stipulare l'accordo sul ricollocamento dei migranti e rifugiati nessuno ha sollevato obiezioni sulla definizione della Turchia come “paese terzo sicuro”. Basti pensare, a proposito di democrazia e di una costituzione che impone al presidente della repubblica l'imparzialità, che sarà Erdoğan a presiedere la prima riunione del nuovo governo formato da Yıldırım. Lo stesso presidente turco ha assicurato che gli ultimi emendamenti alla legge anti-terrorismo, che hanno suscitato critiche in UE (in quanto pretesto per la repressione del dissenso politico), non sono negoziabili. Similmente, Ankara non mostra l'intenzione di rivedere la sua politica dei visti nei confronti dei cittadini greco-ciprioti, altro punto incluso nelle 72 condizioni che Bruxelles ha chiesto alla Turchia di rispettare in cambio della libera circolazione dei suoi cittadini in area UE. Ma ora Erdoğan ha dalla sua una maggioranza compatta, come ha detto Yıldırım all'ultimo congresso dell'AKP: “la tua passione è la nostra passione, la tua causa la nostra causa, il tuo cammino il nostro cammino”. Frasi che rievocano pagine oscure della storia europea.
Le mire accentratrici di Erdoğan, nondimeno, hanno anche risvolti tragicomici: durante il World Humanitarian Summit dei giorni scorsi, il presidente turco ha salutato il primo ministro greco Alexis Tsipras, domandandogli in un misto di turco e inglese dove fosse la sua cravatta e ricordandogli che in una precedente occasione gliene aveva regalata una lui stesso. Altro che la questione di Cipro! Tsipras è senza cravatta. Ma il re, anzi il sultano, è nudo.
Si è conclusa con successo domenica 22 maggio 2016 nel parco di Villa Pamphilj, presso la Cascina del Bel Respiro, antica vaccheria dei Principi Pamphilj, ingresso di Via Vitellia 102, a Roma, la cerimonia di premiazione della Terza Ragunanza di Poesia. Una mattinata nel segno della condivisione tra poesia e natura, che ha visto una notevole partecipazione di pubblico, con la presenza di poeti provenienti da ogni parte d’Italia.
Ha aperto la manifestazione la presidente del premio Michela Zanarella, che ha spiegato il significato del termine barocco ‘ragunanza’, i raduni degli artisti, che Cristina di Svezia era solita organizzare con la sua Arcadia, poi la Zanarella ha dato voce ai componenti della Giuria, composta da Roberto Ormanni(Presidente di Giuria), Giuseppe Lorin, Dario Amadei, Elena Sbaraglia, Lorenzo Spurio e Fiorella Cappelli. Sono intervenuti il musicista Alfredo Tagliavia, che si è esibito alla chitarra, insieme al M° Mauro Restivo, i loro omaggi in musica sono stati molto apprezzati. Era presente l’assessore alle politiche culturali e sportive Tiziana Capriotti, che ha anche premiato alcuni autori. L’attrice Michela Cesaretti Salvi ha interpretato il racconto ‘Galvano e l’orrenda dama’, catturando l’attenzione del pubblico. Si sono poi alternate le premiazioni, per la sezione libro edito ha vinto Luciana Raggi, al secondo posto Stefania Onidi, terzo posto per Nunzio Granato, menzioni d’onore a Liliana Manetti, Laura Pezzola, Barbara Bracci, Costanza Lindi, Laura Pecoraro, Valentina Meloni, Patrizia Portoghese, Bartolomeo Bellanova, Claudio Fiorentini, Vincenzo Monfregola. Lorenzo Spurio ha assegnato il Trofeo Euterpe a Tiziana Mignosa. Per la sezione poesia a tema natura prima classificata Manuela Magi con la poesia ‘L’universo ferito’, al secondo posto Gianni Di Giorgio, terzo posto a Daniela Taliana, menzioni d’onore a Donato Loscalzo, Sebastiano Impalà, Antonella Monaco, Enrico Danna, Cristina Biolcati, Marco Marra, Silvana Famiani, Christian Ronchetti. Erano presenti anche gli autori Antonella Proietti, Michele Zacconee Furio Ortenzi, premiati al concorso di poesia e racconti ideato da Santo Tornabene con il Comitato Monteverde Nuovo, una sinergia tra realtà del quartiere. Il poeta Bartolomeo Bellanova ha poi presentato la rivista on line ‘La macchinasognante’, attiva in progetti di impegno culturale e sociale, contenitore di scritture dal mondo.
Avvolgente e densa di significato la coreografia ‘Natura è’, una perfetta intesa tra danza e poesia in diverse lingue, a simbolo dell’integrazione culturale e dell’universalità della scrittura in versi. Bravissimi HanadSheick, ThakurPayel, KhatriHimalay, Luisanna Margarita Arias Romero, IbrahimaBaThiecome, Marisa Di Cecca, Elena Arceci, Brenda Riccio.
Ottima l’interpretazione di Chiara Pavoni con il monologo ‘La mia terra santa’, un omaggio ad Alda Merini. L’evento è stato patrocinato dal Consiglio regionale del Lazio, da Roma Capitale Municipio XII, Ambasciata di Svezia ed è promosso da A.P.S. Le Ragunanze, Magic BlueRay, Turisport Europe, Golem Informazione, Associazione Culturale Euterpe, Edizioni Il Viandante.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
EXPO. I conti non tornano. Né quelli veri, fatti di numeri, né quelli di ritorno d’immagine. Il bilancio 2015 risulta in rosso per 32,6 milioni (fonte il Fatto Quotidiano). Il rilancio nel Mondo di Milano e l’Italia è stato un flop. Ora si parla di Arexpo, il futuro dell’area espositiva. Per adesso sono le solite promesse elettorali. Una cosa è certa: il messaggio dell’Expo al mondo non è mai decollato. La verità prima o poi verrà a galla? Basta crederci, come atto di fede.
Frammento n. 1
Sardegna, Costa Rei. Il Ristorante Escargot inaugura la nuova stagione.
Già dal Menù, anzi dai Menù, si capisce che sarà una stagione “stellare”. Fabio Groppi, lo chef che recentemente è entrato a far parte dell’Associazione CHIC, Charming Italian Chefs, “che raggruppa professionisti capaci di riscrivere con estro un universo di sapori che nasce dall’incontro di territori e prodotti unici”, ha predisposto due Menù degustazione: il primo, Istintivo, un percorso di 4 portate e servito per tutti gli ospiti del tavolo e il secondo, Acqua e Sabbia, con un percorso di 6 portate. Un Ristorante Gourmet i cui piatti terranno conto delle ricchezze locali, terra e mare, senza porsi alcun vincolo geografico. (fonte: Aromicreativi)
Frammento n. 2
Alberto Basso e il Ristorante Trequarti entrano a far parte dei Jeune Restaurateurs d’Europe.
“ Per me è un grande onore ma soprattutto è la realizzazione di un obiettivo che insieme al mio amico e socio Stefano Leonardi ci siamo posti già al momento dell’apertura nel 2010”. Alberto Basso, classe 1984, si è formato alla scuola degli chef Portinari e al ristorante bi-stellato La Peca. Non si limita ai prodotti del territorio per non rimanerne “prigioniero”. Le migliori materie prime ricercate su tutto il territorio nazionale che incontrano le tecnologie e tecniche di cottura moderne ed efficienti ripensando così ogni piatto in chiave contemporanea per continuamente stupire. Un gioco di contrasti e sensazioni, creatività e tecnica. Ristorante Trequarti nel cuore della Valle Liona, Colli Berici (Veneto). (fonte:Aromicreativi)
Frammento n. 3
È nato il Gruppo “Viticoltori del Chianti Classico Sancascianese”
San Casciano in val di Pesa, Provincia di Firenze, è uno dei Comuni il cui territorio (non tutto) rientra come sottozona nel Chianti Classico, quello del Gallo Nero. Dopo la costituzione dell’Associazione dei viticoltori di Castelnuovo Berardenga arriva il Gruppo Viticoltori Sancascianese. E non rimarranno a lungo soli. C’è del fermento (parola quanto mai azzeccata nel mondo del vino), del movimento nell’area del Chianti. Un bisogno di valorizzare le singole sottozone. Dall’Aprile 2015 i produttori del territorio Sancascianese hanno cominciato a riunirsi per realizzare “il progetto” finalizzato ad attribuire maggiore importanza al loro territorio e ai loro vini. “La Primavera Sancascianese” per uscire da un silenzio assordante.
Frammento n. 4
Conosciamo Il Carciofo Moretto di Brisighella
L’Italia è piena di numerosi prodotti tipici, a volte meno conosciuti di altri, rientranti tra le vere e proprie eccellenze a livello nazionale. È il caso del piccolo Carciofo Moretto, autoctono dell’autoctono, a significare che ne esiste uno, quello vero, che si trova solamente nel Comune di Brisighella nel Parco Regionale della Vena del gesso Romagnola. Si perché i tipici calanchi gessosi con una buona esposizione al sole creano le condizioni organolettiche da farne un prodotto unico, inimitabile, dal sapore inconfondibile. Il Carciofo Moretto si mangia crudo e/o leggermente lessato, condito con il Brisighello, l’olio d’oliva di queste parti. Nel mese di Maggio di ogni anno la Pro Loco di Brisighella celebra con una Sagra il Moretto, violaceo con riflessi dorati. È stato istituito anche un titolo per insignire, onorare i Produttori di Brisighella:Custode del Carciofo Moretto. (fonte: Pro Loco Brisighella)
Frammento n. 5
Riolo Terme: lo Scalogno di Romagna
Né aglio né cipolla pur appartenendo sempre alla famiglia delle Liliacee. Una prelibatezza tutta romagnola. A Riolo Terme Provincia di Ravenna, dal 21 al 24 luglio 2016, si svolgerà la Fiera dello Scalogno IGP di Romagna. Nelle vie del paese, cuore produttivo di questa meraviglia del palato, ci sarà una mostra mercato che vedrà la presenza di tutti i produttori. I Ristoranti proporranno pietanze a base di Scalogno come riso allo Scalogno, tagliolini allo Scalogno, frittata allo Scalogno e arrosti aromatizzati allo Scalogno. Da sempre coltivato in Romagna ne è divenuto nel tempo prodotto tipico della tradizione locale ottenendo il riconoscimento IGP dal 1997. (fonte: Terre di Faenza)
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
PER FRANCO DI MARE - conduttore televisivo della trasmissione televisiva Uno Mattino
Lunedì 16 maggio verso le ore 7,50 nella trasmissione televisiva su Rai Uno, Franco Di Mare riprendeva il discorso del papa sui presunti comportamenti di alcune persone che si interessano di animali ma trascurano le necessità degli umani, e ricordava lo sterminio in Ruanda di qualche tempo fa in cui furono uccisi circa un milione di persone e lasciò orfani un numero enorme di bambini che poi morivano a decine nei campi di raccolta. Nello stesso periodo, ricorda Di Mare, si raccoglievano fondi per i gorilla delle montagne, e terminava asserendo che in caso di necessità lui non avrebbe avuto dubbi su chi aiutare. Poi ricordava il pensiero di papa Ratzinger il quale asseriva che la vita dell’animale si esaurisce con la morte fisica, a differenza dell’uomo in possesso di un’anima immortale. Probabilmente papa Ratzinger ha dimenticato la visione di Santa Faustina che era di parere opposto: “Oggi in spirito sono stata in Paradiso e ho visto l’inconcepibile bellezza e felicità che ci attende dopo la morte. Ho visto come tutte le creature rendono incessantemente onore e gloria a Dio. Ho visto quanto è grande la felicità in Dio, che si riversa su tutte le creature, rendendole felici”.
In un momento storico in cui appena appena emerge un barlume di luce nei confronti del mondo animale, da sempre schiavizzato, tormentato, crocefisso dall’uomo, si palesa vergognosamente il panico che gli umani possano trascurare i loro simili a vantaggio degli animali. Una paura pretestuosa, strumentale, patetica, grottesca che non farebbe che aumentare la distanza tra noi e loro e ad allungare il loro martirio.
Credo che chiunque, prima di schierarsi in posizioni a favore dell’uomo o dell’animale, sarebbe opportuno vedesse cosa succede in un mattatoio dove ogni giorno, 365 giorni l’anno, milioni di animali vengono fatti a pezzi tra fiumi di sangue, puzza e grida di terrore; vedesse come vengono torturati nei laboratori di sperimentazione; come vengono sterminati nei boschi, nei mari, si rendesse conto che questa umanità rischia di estinguersi a causa dell’insensato egoismo degli umani. Se vedesse tutto questo forse avrebbe dei dubbi su chi aiutare per primo.