L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1297)

Free Lance International Press

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Ipazia, nata nel 370 d.C. ad Alessandria d’Egitto,fin da giovanissima venne avviata dal padre allo studio della matematica, della geometria e dell’astronomia. Da studiosa riuscì ad emergere nella scienza e nella filosofia fino a ottenere un forte peso politico e culturale in un’epoca in cui le donne non avevano la possibilità di affermarsi. Fu la prima donna a dare un forte contributo allo sviluppo della matematica e tra i suoi seguaci vi erano anche molti cristiani.

Ipazia, con personalità estremamente carismatica, insegnò con un'enfasi scientifica maggiore dei neoplatonici. Fu giusta e casta e rimase sempre vergine; era così bella e ben fatta che uno dei suoi studenti si innamorò pazzamente di lei, ma Ipazia non si sposò mai e all'età di 31 anni assunse la direzione della Scuola neoplatonica di Alessandria. Per la sua eloquenza nel parlare, prudente e civile nei modi, i potenti la invidiavano mentre la città intera l'amava moltissimo. Simboleggiava la dottrina e la scienza, che i primi cristiani identificavano con il paganesimo e che consideravano come una minaccia.

Teone, il padre di Ipazia, era geometra e filosofo, ma Ipazia, allieva e solerte collaboratrice, superò in scienza e saggezza lo stesso padre.

Ipazia, degna erede di Plotino, aveva acquisito tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo. Divulgò il sapere matematico, geometrico e astronomico, si dedicò alla filosofia di Patone, Plotino e Aristotele. Secondo Filostorgio, storico della Chiesa, sua caratteristica principale fu la generosità con cui tramandava pubblicamente il sapere tanto che divenne un'autorità e un indiscusso punto di riferimento culturale nello scenario dell'epoca.

Ipazia non fu mai gelosa del proprio sapere, ma sempre disposta a condividerlo con gli altri. Usava gettarsi il mantello addosso e uscendo in mezzo alla città spiegava pubblicamente, a chiunque volesse ascoltarla, le opere di qualsiasi grande filosofo.

Lo storico cristiano ortodosso Socrate Scolastico <https://it.wikipedia.org/wiki/Socrate_Scolastico>scrive di Lei: “Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città, e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale”. Anche il filosofo<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio> Damascio ricorda che Ipazia era “pronta e dialettica nei discorsi, accorta nelle azioni e la città la amava e la ossequiava grandemente, mentre i capi si consultavano con lei prima di ogni importante decisione pubblica. I suo nome era magnifico e degno di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo”.

<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>Ma la sua grande fama e il suo prestigio politico causò la reazione invidiosa del vescovo Cirillo. Vennero prodotte calunnie nei confronti della scienziata, tanto che nel marzo del 415 progettò di farla uccidere, e lo fece e nella maniera più crudele.

Mentre faceva ritorno a casa un gruppo di fanatici cristiani che si sentivano minacciati dalla sua cultura, dalla sua sapienza e dalla vastità della sua conoscenza scientifica, (per alcuni autori monaci parabolani, un vero e proprio corpo di polizia che i vescovi di Alessandria usavano per mantenere l’ordine nelle città, guidati da un predicatore di nome Pietro), le tenne un agguato e, dopo averla tirata giù dal carro, la trascinò fino a una chiesa. Le furono strappate le vesti e venne letteralmente fatta a pezzi colpendola con dei cocci e, come afferma Il filosofo pagano Damascio che scrisse la sua biografia, le cavarono gli occhi mentre ancora respirava. Le varie parti smembrate del suo corpo furono portate al cosiddetto Cinerone, dove si bruciavano i rifiuti, in modo che di lei non rimanesse nulla.

<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>Dopo la sua morte molti dei suoi studenti lasciarono Alessandria e cominciò il declino di quella città che era divenuta un famoso centro della cultura antica. L'inchiesta che seguì questo brutale assassinio venne ben presto archiviata per il forte legame che univa il vescovo Cirillo all'imperatore Teodosio, che se non fu il mandante fu sicuramente corresponsabile del fatto. Con la morte di Ipazia, simbolo d’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica, comincia quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tenta di soffocare la ragione.

<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>La mancanza di ogni suo scritto rende problematico stabilire il contributo effettivo da lei prodotto al progresso del sapere matematico e astronomico della scuola di Alessandria, ma i suoi insegnamenti, nel Rinascimento, hanno sicuramente dato un notevole contributo nello sviluppo della geometria quantitativa piana e solida, la trigonometria, l'algebra, il calcolo infinitesimale e l'astronomia. Sono comunque attribuibili ad Ipazia:

<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>1) Commento in tredici volumi all'Aritmetica di Diofanto (Il sec.), cui si devono lo studio delle equazioni indeterminate (le diofantee) e importanti elaborazioni delle equazioni quadratiche. Sviluppò soluzioni alternative a vecchi problemi e ne formulò di nuovi che vennero inglobati in seguito nell'opera di Diofanto.

<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>2) Commento in otto volumi a Le coniche di Apollonio di Pergamo (3° sec. a.C.), un'analisi matematica delle sezioni del cono, figure che nel 15° secolo quando vennero usate per illustrare i cicli secondari e le orbite ellittiche dei pianeti.

<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>3) Commento, insieme al padre Teone, all'Almagesto di Tolomeo, un’opera in tredici libri che raccoglieva tutte le conoscenze astronomiche e matematiche dell'epoca.

 

January 20, 2016

Il ritorno del “regista a due teste”. Sembra il titolo di un film, invece si tratta degli irriducibili fratelli Coen dietro la macchina da presa della loro nuova opera: "Heil Caesar!". Sicuramente uno dei film più attesi dell’anno, scritto, diretto e prodotto da Joel ed Ethan Coen, che questa volta puntano il loro acuto obiettivo sulla Hollywood degli Anni Cinquanta. Siamo infatti durante l’età dell’oro del cinema americano, prima della crisi causata dall’avvento della televisione, quando Eddie Mannix, fixer, ovvero figura dell’industria cinematografica incaricata di risolvere i problemi o nascondere eventuali scandali dovessero nascere durante la realizzazione di un film, si trova a dover fronteggiare, durante le riprese, il rapimento del protagonista di un kolossal sull'antica Roma. I Coen hanno radunato per l’occasione un cast stellare: Josh Brolin, George Clooney, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Channing Tatum, Ralph Fiennes, Dolph Lundgren, Jonah Hill, Christopher Lambert, Tilda Swinton e, per restare in famiglia, la moglie di Joel, Frances McDormand.

Libero, ironico, graffiante, surreale, a tratti macabro e crudele, capace di grandi esercizi di stile, questo e molto altro è racchiuso nel cinema dei fratelli Coen. Con ben quattro premi Oscar portati a casa, e capolavori come Fargo, Non è un paese per vecchi, A Serious Man, Il Grinta, i fratelli Coen riescono, grazie ad una straordinaria abilità narrativa, ad andare oltre lo schermo per raccontare, attraverso le immagini, la quotidianità di uomini soli in lotta

Cinema News 14012016 RUBRICA
 George Clooney

contro qualcosa che inghiotte tutto, comprese le loro certezze.

Dopo una gestazione lunga dieci anni, arriva sul grande schermo Ave, Cesare!, selezionato per aprire la sessantaseiesima edizione della Berlinale, l'11 febbraio 2016.

Il film sarà distribuito in Italia dalla Universal Pictures e arriverà nelle sale il 10 marzo 2016.

January 19, 2016

L'attentato a Ouagadogou ha riportato in scena la rivalità tra al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) e Daesh; il richiamo al califfato e la lotta per la conquista delle rotte del contrabbando in Africa del Nord.

Sia in Medioriente che in Nord Africa, tra le maggiori fonti di finanziamento dei gruppi terroristici che si richiamano al salafismo e al takfirismo (i takfiristi sono coloro che bollano come miscredente, appunto kafir, chiunque non condivida la loro concezione dell'islam) ci sono i traffici illeciti e il contrabbando. Petrolio, armi e reperti archeologici in Siria e Iraq, armi, cocaina e migranti nel Sahel, dove queste formazioni, organizzate come veri e propri cartelli, traggono guadagno anche dai riscatti dei rapimenti. Quanto alla propaganda, regione che vai, schacchiere geopolitico che trovi. Quindi, il cosiddetto stato islamico (Daech o IS) ha esordito lanciando anatemi contro l'infausto accordo Sykes-Picot ( accordo segreto tra i governi del Regno Unito e della Francia, che definiva le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente in seguito alla sconfitta dell'impero ottomano nella prima guerra mondiale) e la corruzione dei funzionari iracheni, che speculavano sulla penuria di generi alimentari. In risposta, Aqmi ultimamente ha compiuto un vero e proprio salto di qualità nella realizzazione di video di propaganda, alzando il tono del conflitto. Culmine di questo “progresso” è stato il video di rivendicazione dell'attentato di Ouagadogou, in cui Abou Obeida Yousseh al-Annabi, considerato il numero due di Aqmi, accusa l'”Occidente” di aver disintegrato l'antico califfato smembrandolo in tanti staterelli deboli, a capo dei quali ha poi insediato suoi complici. Due gli elementi che spiccano nel suo discorso: l'appello alla liberazione di Ceuta e Melilla, enclaves spagnole in territorio marocchino (zone di reclutamento di Daesh), e la condanna del controverso accordo sottoscritto a Skhirat, in Marocco, il 17 dicembre scorso dai rappresentanti dei due parlamenti libici di Tripoli e Tobruk. Nello stesso video, inoltre, compare un combattente originario di Melilla, enclave spagnola in territorio marocchino, Abou Nasser al-Andaloussi, che in precedenza aveva esortato al terrorismo i “fratelli di Spagna”.

L'accordo di Skhirat rischia dunque di produrre gli stessi effetti, mutatis mutandis, della costituzione irachena del 2006, varata sotto l'egida di Washington. Infatti, a parte i rappresentanti libici che lo hanno firmato e la comunità internazionale che lo ha accolto come un episodio “storico”, il testo ha sollevato numerose polemiche all'interno di entrambi i parlamenti della Libia, mentre gli ulema (esperti di scienze religiose nell'islam) di Tripoli lo hanno già respinto in quanto “viola la sharia” (legge islamica). Un particolare rilievo riveste l'atteggiamento diffidente del generale Khalifa Haftar, capo delle milizie che fanno riferimento al parlamento di Tobruk e punto di riferimento del governo egiziano in Libia, per la sua opposizione alle forze ispirate all'islam politico radicale. Ex-ufficiale del colonnello Muammar Gheddafi, in seguito unitosi al Fronte nazionale per la salvezza della Libia (Fnsl), Haftar ha trascorso diversi anni negli Stati Uniti insieme ad altri combattenti, durante la presidenza di Ronald Reagan. Un periodo che gli è costato l'accusa di essere un agente dell'intelligence Usa (si veda, ad esempio, http://www.theguardian.com/world/2014/may/22/libya-renegade-general-upheaval). Sta di fatto che, malgrado l'approvazione dell'accordo di Skhirat da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (Onu), il panorama politico libico appare troppo fragile per gestire autonomamente una transizione democratica.

Intanto, l'attentato di Ouagadogou ha ristabilito definitivamente l'alleanza tra i capi di due importanti cartelli terroristici che operano nel Sahel, entrambi algerini ed ex-miliziani del Gruppo islamico armato (Gia, attivo negli anni '90 in Algeria e responsabile dell'ondata di attentati in Francia nel 1995): quello di Abdelmalek Droukdel, alla guida di Aqmi da quando venne fondata nel 2007, a partire dal Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc – nato come “alternativa” al Gia nel 1998), e quello di Mokhtar Belmokhtar, alias il guercio o mr. Marlboro, in riferimento alle ricchezze accumulate con il contrabbando di sigarette. Il rapporto tra i due si era progressivamente deteriorato (Droukdel era più per un'applicazione progressiva della legge islamica e contrario alla distruzione dei mausolei, da lui considerata una provocazione inutile), finché Belmokhtar, nel 2012 (poco dopo l'inizio dell'intervento francese in Mali), esce da Aqmi e si unisce al Movimento per l'unicità di Dio e il jihad nell'Africa occidentale (Mujiao), fondando il gruppo al-Morabitoune (gli Almoravidi). Quest'ultimo, a marzo 2015, in un momento di calo di consensi per Aqmi, ha progettato ed eseguito l'attentato di Bamako, con una modalità insolita: un commando ha aperto il fuoco nel bar la Terrasse, uccidendo cinque persone, tra cui due francesi (due mesi dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo, che aveva ricevuto il plauso di Belmokhtar). È sempre il gruppo del guercio a compiere l'attentato del 13 novembre 2015, contro l'hotel Radisson Blu di Bamako, capitale del Mali, rivendicato anche da Aqmi. Qualche giorno dopo, Droukdel comunica ufficialmente l'alleanza tra Aqmi e al-Morabitoune, stipulata con il sangue dell'hotel Radisson.

La nuova unione potrebbe essere una risposta ai tentativi dei cartelli del jihad affiliati all'autoproclamatosi califfo al-Baghdadi di guadagnare terreno in Libia, tracciando percorsi più sicuri per le rotte del narcotraffico. Che riguardi l'oppio di provenienza afgana o la cocaina proveniente dall'America latina, si tratta di un mercato fruttuoso, che dal cosiddetto Highway 10 (il decimo parallelo, che passa per la Guinea e la Guinea Bissau) può portare ogni tipo di merce illegale fino alle piazze europee. In questo, la Libia è l'alternativa ideale rispetto al Marocco, paese più stabile e dalle frontiere più controllate. Se l'accordo di Skhirat e la relativa risoluzione Onu aprissero la strada a un nuovo intervento internazionale in Libia, per le rotte del narcotraffico (e per altri commerci illegali) sarebbe un ottimo passo avanti. Quanto al Burkina Faso, l'attentato di Ouagadogou è stato un duro colpo per il governo del presidente Marc Christian Kaboré, che poco dopo la sua elezione (la prima democratica dopo il colpo di stato) aveva emesso, lo scorso 21 dicembre, un mandato di cattura internazionale contro l'ex presidente Blaise Compaoré, accusato dell'omicidio di Thomas Sankara.

Finalmente anche gli astemi possono far roteare l’acqua nel bevante (la parte superiore del calice), annusarla, descriverla.

È nata la nuova figura di idrosommelier.

 

L’Italia, per la sua conformazione fisica, geomorfologica e idrologica è strapiena di sorgenti. Sorgenti di vetta, sorgenti di detrito, sorgenti di emergenza, sorgenti di fessura, sorgenti di deflusso o di strato, sorgenti di sinclinale o di trabocco, sorgenti di sfioramento di livelli idrostatici. Quanti termini tecnici registriamo alla visione di una falda acquifera. A noi interessano le “falde” delle acque definite “minerali” ovvero «Sono considerate acque minerali naturali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e proprietà favorevoli alla salute». (D.Lgs. nº 176 dell'8 ottobre 2011 (attuazione della direttiva 2009/54/CE). E qui si apre un mondo incredibile di diversità.

Due sono le Storie che corrono parallele per poi incontrarsi di fronte allo studio specifico per il loro utilizzo nelle proprie diversità. Perché di diversità ce ne acqua cibosono, eccome!

La Storia geologica;, racconti di rocce, sedimenti, che si perdono nella notte dei secoli, nei milioni di anni.

La Storia umana; la ricerca nelle acque di un mix tra divinità, medicamenti, magia.

Poi l’incontro tra Storia e Umano fino ai tempi d’oggi, alla ricerca del gusto dell’acqua fino all’analisi sensoriale. Non più come necessità ma come prodotto e pertanto, come tale, non si sottrae al marketing diventando un “fenomeno di moda”.

Le più affermate cristallerie mondiali, Riedel in testa, dedicano studi, seminari, per approntare il “giusto calice” non per sorseggiare ma per degustare l’acqua. Anzi: i giusti calici per le differenti acque.

Le acque hanno i propri gusti, parola di idrosommelier, la nuova figura di esperto che ha origine e legittimazione da Corsi appositamente costituiti, riconosciuti al pari degli altri Corsi di formazione professionali. Attestati conseguiti per l’indirizzo, consiglio, verso la scelta consapevole della bottiglia giusta o per il migliore abbinamento a tavola.

“Un buon abbinamento con l’acqua minerale può far crescere anche un piatto povero”.

È l’ADAM, Associazione Degustatori Acque Minerali, che l’afferma e che ultimamente ha coniato il termine “Oro Blu” per elevare le acque de gustative al rango nobile: proprio come il Vino.

ll sommelier dellacqua minerale IdrosommelierUn’acqua demineralizzata con residuo fisso bassissimo per carni bianche, pesci a vapore o bolliti in genere e acqua effervescente naturale per piatti più corposi con abbondanti condimenti.

E si parla anche di terroir, questo termine francese che non ha una parola eguale nella nostra lingua. Nel mondo del vino è divenuto un termine internazionale a significare “un complesso di elementi ambientali, pedoclimatici, di tradizione per uno specifico vino”. Nel caso delle acque il termine terroir assume un significato diverso. Manca la mano dell’uomo che “trsforma” qualcosa. Nessuna mediazione umana se non nelle acque “frizzanti” con aggiunta di anidride carbonica; prodotti che esulano di principio dall’affascinante mondo delle Chiare, fresche, dolci, acque minerali”. Non la mano dell’uomo ma un’insieme di elementi, rigorosamente in successione, costituiti da rocce, minerali, molecole biologiche che portano alla composizione chimico-fisica da cui hanno origine le componenti organolettiche.

Osservare, odorare, gustare ovvero l’occhio, il naso, la bocca. Distinguere le sfumature cromatiche, la consistenza, le note complesse vuoi sulfuree, metalliche o dolci. Al palato la dolcezza, l’amaro, l’acido e il salato; molti fattori che determinano l’equilibrio e l’armonia. Il tutto per l’abbinamento perfetto con il cibo.

L’acqua può essere abbinata anche al vino. Vino tannico? Via ad un’acqua dolce, magari di montagna, dai sentori di prato” parola di ADAM. E Bacco, non solo lui, che sorride!

La Chiesa cattolica chiamata a scegliere fra perdono divino e eternità delle pene infernali

 

 Il tema della misericordia è, senza alcun dubbio, uno dei temi più ricorrenti nel pensiero e nella predicazione di papa Francesco. Tema che, per essere pienamente compreso nella sua complessità concettuale, richiede di essere strettamente legato ad altri due temi a lui molto cari: quello del perdono e quello della gioia.

Al perdono, siamo perennemente chiamati, infatti, e soltanto dalla nostra sempre più sincera capacità di perdonare potrà nascere e dilagare in noi l’attitudine alla gioia del cuore. Ma possiamo apprendere ed abbracciare il perdono solo grazie all’esempio perfetto che incontriamo in Dio. Ed è possibile, pertanto, vivere una scelta religiosa imbevuta di gioia, l’unica veramente degna, proprio grazie alla consapevolezza della natura infinitamente misericordiosa di Dio. In pratica, solo ponendo al centro della riflessione teologica e della testimonianza della fede questa triade valoriale (misericordia-perdono-gioia), si potrà, secondo Francesco, intendere correttamente il messaggio evangelico e coerentemente viverlo. “Il Vangelo (…) invita con insistenza alla gioia” - dice il papa (Evangelii gaudium, cap.5) - e tale gioia è resa possibile dall’abbracciare e dal proporre, con sentita convinzione, un concetto di divinità liberato dalle caratteristiche tradizionali dell’ implacabilità e dell’ imperscrutabilità di un Dio inteso essenzialmente (e tragicamente) come Giudice supremo. Caratteristiche queste che hanno dominato per lunghi secoli in maniera schiacciante e devastante la vita della cristianità, producendo effetti rovinosi su tutti i piani.

   “Dio - scrive Bergoglio - non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”( Evangelii gaudium, cap.3).

   Si parla spesso del carattere “rivoluzionario” di questo pontefice, corroborando tale tesi con innumerevoli elementi (dal celeberrimo “Buonasera!” al rifiuto della papamobile, dalle sue accuse al “vaticanocentrismo” alle sue scarpone nere, ecc.). Ma la centralità assoluta che viene sistematicamente assegnata alla sopra menzionata triade valoriale credo rappresenti la cosa più grande e innovativa che questo papa stia portando avanti. Anzi, la cosa più grande che qualsiasi vero grande riformatore ecclesiastico possa fare. Perché le implicazioni teorico-pratiche, se ben comprese, ci dovrebbero portare lontani anni luce dalla Chiesa cattolica intollerante, presuntuosa e spietata che la storia ci ha dolorosamente fatto conoscere e sperimentare.

   Ma se vogliamo veramente cogliere il pensiero di Francesco in merito al principio della misericordia, evitando accuratamente di scivolare in fin troppo facili semplificazioni, non possiamo fare a meno di cimentarci nell’analisi di uno dei testi più belli da lui prodotti: la Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Misericordiae Vultus.

   Già all’inizio del testo, il papa scrive che

         “Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia”. La misericordia, infatti,  “È l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro”, la “via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”. (cap.2)

Dinanzi alla gravità del peccato - ribadisce Francesco - Dio risponde con la pienezza del perdono”, in quanto la misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, non potendo alcuno pretendere di imporre limitazioni di sorta “all’amore di Dio che perdona” .(cap.3)

Più avanti, il papa si sofferma sul ritornello che viene riportato a ogni versetto del Salmo 136 (“Eterna è la sua misericordia”), mentre si narra la storia della rivelazione di Dio, sostenendo che la sua continua ripetizione potrebbe venire interpretata come un tentativo di “spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore”. Come a voler affermare che “per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre”. (cap.7)

Concetto questo che, secondo Bergoglio, sarebbe ricorrente in tutto l’Antico Testamento ed evidenziato, in particolar modo, da incisive espressioni contenute nei Salmi, come, ad esempio:

   “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia” (103,3-4);

Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vita ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi” (146,7-9).

Successivamente, riferendosi alla missione di Gesù, e ripetendo, con l’evangelista Giovanni, che “Dio è amore”, afferma con forza che in Gesù tutto parla di misericordia e che “Nulla in Lui è privo di compassione” (cap.8).

E, dopo aver menzionato le parabole evangeliche dedicate al tema della misericordia, Francesco mette in luce come, in esse, Dio venga “sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona”, e che, proprio in esse, si troverebbe il vero “nucleo del Vangelo”, perché “la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.” (cap.9)

Il perdono delle offese, infatti, andrebbe inteso come “l’espressione più evidente dell’amore misericordioso”, come “lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore”. (ib)

dsLa misericordia, secondo Francesco, è la parola-chiave presente nella Sacra Scrittura “per indicare l’agire di Dio verso di noi”, di un Dio che “si sente responsabile” che “desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni” (ib), di un Dio (per usare le parole del profeta Michea) che toglie l’iniquità e perdona il peccato (cap.17), che non serba per sempre la sua ira, ma che si compiace di usare misericordia, calpestando le nostre colpe e gettando “in fondo al mare tutti i nostri peccati” (cfr.7,18-19).

Il pregevole lavoro di rinnovamento teorico-pratico che papa Francesco sta portando avanti è, oramai, sotto il profilo dottrinario, giunto ad un bivio evidentissimo, cruciale e ineludibile: abbracciando ed enfatizzando il valore della misericordia divina, intesa come qualcosa “che non ha confini” (cap. 17) e come qualcosa che “va oltre la giustizia”, e sostenendo che   “L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno” (cap. 21), come potrà continuare la Chiesa cattolica, la Chiesa di questo papa straordinario, a credere e a chiedere di credere nell’esistenza dell’Inferno, nella stessa possibilità della dannazione eterna, ovvero nell’imperdonabilità e nell’irredimibilità della creatura umana? Anzi, di ogni creatura, includendo anche lo stesso Satana e tutti i suoi seguaci?! Ma una Chiesa senza più peccati da assolvere, indulgenze e benedizioni da elargire, intermediazioni salvifiche da effettuare … che Chiesa sarebbe? Una Chiesa senza più angeli decaduti e principi delle tenebre da combattere e sgominare, senza più, soprattutto, l’incubo sommamente angosciante della dannazione eterna … che Chiesa sarebbe?

Ovvero: se la salvezza è garantita (a prescindere da tutto e da tutti) dall’infinita misericordia divina, cosa potrebbe mai restare, sul piano teorico, dell’opera salvifica e redentrice di Gesù-Figlio di Dio e, sul piano pratico, del ruolo della sua presunta sposa-erede-prosecutrice?!

Ma credo che sia giunto, dopo gli illuminati passi compiuti da questo pontefice, il momento di operare una scelta chiara e netta, volta all’abbandono di ogni ambiguità e contraddittorietà.

La Chiesa, cioè (auspicabilmente già nella persona di Francesco), deve dire a se stessa e al mondo se, a livello dottrinale, al di là dei discorsi più o meno toccanti che questo o altri papi potranno e vorranno regalarci, preferisce restare ancorata alle posizioni tradizionali o se, invece, intende orientarsi fino alle estreme conseguenze logiche nella direzione indicata dalla Misericordiae Vultus.

Ovvero, se continuare a credere nell’“interminabilità delle pene degli empi” destinati al “fuoco inestinguibile” (S.Agostino), nella reale esistenza di una condanna “senza scampo a patire quei fetori, quegli orrori, quel tormentoso fuoco eterno (…) quel cumulo di supplizi che producono un morire che non ha fine” (S.Bernardo di Chiaravalle),nella indiscutibile verità del fatto che “le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale” siano destinate a discendere “immediatamente negli, inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, ‘il fuoco eterno’” (Catechismo della Chiesa Cattolica). O se, al contrario, il concetto stesso di eternità delle pene debba essere archiviato e rinchiuso in soffitta, lasciando spazio aperto e incontrastato all’infinita fiducia/certezza nell’illimitata compassione divina e nell’infinita capacità di perdonare tutte le colpe di tutte le creature, alla convinzione che tutte le creature (nessuna esclusa) saranno accolte nella “casa del Padre” e che tutto e tutti saranno abbracciati, trasformati e redenti dall’infinita potenza del perdono divino.

Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

 

SAM 1245
Maximilian Riendel

Frammento n. 1

Maximilian Riedel uno dei personaggi più influenti dell’Industria del Vino (Fonte: La Revue du Vin de France)

11° generazione dell’azienda austriaca Riedel, attuale Ceo e Presidente, è nella classifica dei 200 influencer a livello mondiale dell’industria del vino. L’autorevole rivista enoica Revue du Vin de France ha pubblicato la graduatoria biennale selezionando i personaggi tra Vignerons, istituzioni, aziende, ristoratori ed enotecari. Interessante il profilo-guida nelle scelte: “influenza nel mondo del vino”. Maximilian Riedel è stato scelto perché ha enormemente influenzato, se non rivoluzionato, l’industria enologica grazie ai suoi pregiati calici in armonia con il vino e i suoi decanter di design. Strumenti di precisione studiati per dare il giusto valore al contenuto ed esaltare le specifiche peculiarità di ogni tipologia d’uva.

Frammento n. 2

Sempre più Bio nel Carrello della Spesa (Fonte: Sol&Agrifood e Teatro Naturale)

Nonostante la crisi dei consumi nel 2014 il trend legato agli acquisti di prodotti biologici è cresciuto dell’11%. Tra i Biologicoprincipali prodotti sono segnalati pasta, olio di oliva extravergine, yogurt e vino. Il Primo mercato in assoluto è quello degli Stati Uniti. In Europa guida il trend la Germania seguita dalla Francia e terza l’Italia. Il dato interessante non è quello del fatturato ma del consumo pro-capite. In Europa svizzeri e danesi guidano la classifica con ben € 160,00 all’anno. Sbalorditivo, sorprendente, impressionante e sotto certi aspetti sconcertante è il rapporto IFOAM (International Foundation for Organic Agricolture) che ricorda: se il consumo è concentrato nei Paesi Occidentali, la produzione lo è invece nelle Nazioni in via di sviluppo (India al primo posto seguita da Uganda, Messico, Tanzania e non ultima la Cina). L’80% delle aziende agricole che praticano l’agricoltura biologica si trova in questi paesi!

Frammento n. 3

Novellosmall1 e1394634556589L’Olio Novello non esiste. (Fonte: Sol&Agrifood e Teatro Naturale)

Questa dicitura non è prevista da alcuna normativa e può indurre in errore. Al contrario del Vino Novello, prodotto con procedure diverse da quello del vino comune (macerazione carbonica), l’olio dichiarato novello viene prodotto allo stesso modo di quello tradizionale. Esiste l’Olio Nuovo particolarmente apprezzato e ricercato. W la bruschetta con l’olio nuovo, la tradizione autunnale e non solo che si ripete.

Frammento n. 4

Nuove Birre grazie a Nuovi Lieviti (Fonte: Sol&Agrifood e Teatro Naturale)

LIEVITO DI BIRRASono i lieviti la nuova frontiera della ricerca nel campo delle Birre. Non è solo la tostatura a dare origine al sapore. Sono anche i lieviti a convertire l’amido solubile in alcol e a creare, grazie a metabolismi secondari, composti volatili che danno aromi e profumi alla bevanda. Tutto questo è stato dimostrato dall’Università di Leuven (Belgio). Il nuovo lievito Saccharomyces Pastorianus ottenuto dopo diversi tentativi attraverso la modulazione di temperature di fermentazione e fattori di crescita dei lieviti ha dato risultati sorprendenti per una birra definita “magnifica”. Per ulteriori info: www.teatronaturale.it

Frammento n. 5

bufale alimentariLa Top ten delle Bufale alimentari. (Fonte: merendine italiane.it)

La bufala è sempre pronta dietro l’angolo. Cibi dai poteri miracolosi, diete che promettono dimagrimenti in tempo record. Ci si fida più della TV e della rete che dei medici. Ecco allora una ricerca della DOXA che stila ben 9 bufale alimentari molto diffuse sul web alle quali gli italiani credono:

-      Gli agrumi servono a prevenire il raffreddore;

-      I grassi fanno male e andrebbero totalmente eliminati dalle diete;

-      Le merendine sono piene di additivi tossici come l’E330;

-      Mangiare Ananas aiuta a bruciare grassi;

-      Lo zucchero fa male e non va dato ai bambini;

-      I carboidrati fanno ingrassare;

-      Eliminare il glutine aiuta a dimagrire;

-      Il lievito fa male alla salute;

-      Ogni tanto la merenda e la colazione andrebbero saltate per stare meglio in salute.

Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

Dopo l’esperienza sanremese nel 2015 che li ha visti al secondo posto tra le nuove proposte i KuTso si confermano come una delle band più promettenti e originali del momento. Il loro brano ’Elisa’ ha conquistato tutti, anche la critica e l’ironia con cui calcano il palco è sicuramente una delle cose che piace a chi li ascolta. Matteo Gabbianelli, anima e voce del gruppo, Donatello Giorgi alla chitarra, Luca Amendola al basso e Simone Bravi alla batteria, si possono considerare una formazione determinata e compatta che fa il suo esordio discografico nel 2013, con l’album ‘Decadendo-su un materasso sporco’, per poi arrivare nel 2014 ad aprire i concerti di Caparezza e altri grandi artisti della musica italiana. Nel 2015 oltre al successo dell’Ariston arriva anche il secondo album ‘Musica per persone sensibili’, un progetto discografico che unisce simpatia e provocazione, nella semplicità. La band di Marino, in provincia di Roma, dopo il tormentone di Sanremo ne ha fatti di passi in avanti, sempre mantenendo quel mix di ironia e schiettezza pungente verso ciò che non va nella società. La musica quindi, non solo per riderci su, ma per portare all’attenzione tematiche delicate, scottanti, da non sottovalutare. E non sono mancate le collaborazioni, da Piotta ad Alex Britti, per citare alcuni degli artisti coinvolti nel progetto. Un album coinvolgente e pieno di spunti di riflessione, musicalmente interessante e vivace, dove il rock scatena il divertimento.

Un secondo posto nella categoria nuove proposte al Festival di Sanremo 2015 con il singolo ‘Elisa’, una serie innumerevole di concerti, l’album ‘Musica per persone sensibili’, un periodo davvero intenso per voi. Dal vostro esordio come si è evoluta la vostra musica? Quali sono le caratteristiche che vi distinguono dai tanti gruppi presenti nel panorama musicale odierno?

Da circa tre anni la mole di lavoro sul nostro progetto si è decuplicata rispetto agli esordi. Siamo impegnati tutti i giorni in diverse attività, quali la scrittura di nuovi brani, la prosecuzione del “perpetuo” tour, le interviste e le collaborazioni con i nostri colleghi. Le nostre vite sono totalmente assorbite dalla musica e, dato che non siamo delle grandi popstar ricche ed affermate, non possiamo permetterci vacanze o stop per periodi troppo lunghi, pena la nostra sparizione dalla scena. Siamo degli stacanovisti, degli operai instancabili ed estremamente determinati. La nostra peculiarità musicale è la volontà di infondere gioia, energia e propositività rivoluzionaria. Le nostre canzoni a volte sono degli scherzi provocatori, a volte invece toccano temi cupi, tragici, mortiferi e crepuscolari, che fanno da contraltare ad una parte melodica solare, immediata e potente. La nostra musica è un guazzabuglio agrodolce di luce e buio, tensione emotiva e apertura disperata alla vita, vissuta fino all'ultimo secondo senza remore o tabù.

‘Musica per persone sensibili’ è un mix di energia, simpatia, ma anche provocazione. E’ divertimento e satira sociale. E’ così?

Le canzoni dei kuTso scaturiscono da un contorcimento interiore, esse si possono definire in questo senso “espressioniste”. Spesso i brani sono delle invettive contro tutto e tutti, vi trovano spazio temi sociali, ma anche discorsi più prosaici. In genere, come per tutti gli artisti che cerchino un'espressione sincera di se stessi, la nostra musica è un insieme di pensieri, considerazioni, paure e sensazioni nate in noi dal confronto quotidiano con gli eventi della vita, a cui reagiamo variabilmente con fatalismo, rabbia, ironia, sarcasmo e disfattismo. Tutto ciò viene mitigato dalle armonie maggiori che utilizziamo come lenitivo energizzante contro le difficoltà dell'esistenza.

Il disco vanta la collaborazione di tanti artisti, da Piotta ad Alex Britti. Come avete affrontato queste opportunità?

Suonando ormai da molti anni nella scena romana, ci siamo fatti molti amici (e qualche nemico) che si sono prestati volentieri a collaborare sui nostri lavori. Soprattutto con Alex c'è un rapporto di amicizia che dura da tutta la vita. Quest'anno con Sanremo si è concretizzata la possibilità di collaborare e ne abbiamo approfittato subito per poter usufruire dell'aiuto di uno dei più grandi musicisti che l'Italia possa vantare. Lo scambio tra artisti è essenziale per creare una rete di mutua assistenza e anche per imparare dagli altri, conoscere altri stili e pensieri. Noi abbiamo sempre collaborato con tanti nostri colleghi, quasi tutti estremamente lontani stilisticamente da noi e questo è un aspetto che ci ha permesso di crescere e maturare tantissimo.

Baudelaire scrisse: “La sensibilità è il genio di ciascuno di noi.” Che significato ha per voi?

La sensibilità è ciò che permette all'individuo di scavare nella superficie delle cose, maturando una propria opinione indipendente dalle chiacchiere altrui.

January 07, 2016

Due le provocazioni con cui l'Arabia Saudita ha iniziato il 2016: la prima sono le 47 esecuzioni in sé, la seconda è che tra i condannati c'era l'imam sciita Nimr al-Nimr.

Che l'abbia fatto perché la sua economia, quasi esclusivamente basata sul petrolio, è in difficoltà, oppure per distrarre quel poco che rimane dell'opinione pubblica interna da possibili perplessità sull'incapacità della classe dirigente di creare un'economia diversificata, in grado di far fronte alle crisi petrolifere (e anche a eventuali cambiamenti nelle politiche energetiche mondiali); che stia cercando di indurre la comunità internazionale a

Saudiking 
 Abd Allah

riconoscere il suo peso geopolitico con gli unici mezzi di cui dispone, o che stia tentando di distogliere la comunità internazionale (soprattutto magistratura e informazione) da possibili velleità di indagare un po' più a fondo sul sostegno finanziario che alcuni “privati donatori” legati alla casa regnante saudita forniscono ai cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico … In ogni caso, sono in molti ad interrogarsi sul perché, in un momento in cui l'unica cosa di cui la politica internazionale avrebbe bisogno è una strategia di distensione, l'Arabia Saudita abbia deciso di uccidere 47 condannati a morte, tra i quali, come se non bastasse, l'imam sciita Nimr al-Nimr.

Al-Nimr, il cui nipote Ali Mohamed al-Nimr (arrestato quando aveva solo 17 anni per aver partecipato a una manifestazione nel 2011) è ancora nelle carceri saudite in attesa dell'esecuzione, non era solo una guida religiosa, ma soprattutto una figura politica. Sferzante nei confronti dei Saud, critico verso il presidente siriano Bashar al-Assad, dedicava molti dei suoi discorsi del venerdì alle condizioni di cittadini di serie B cui sono condannati i cittadini sauditi di religione sciita. La sua condanna a morte, nell'ottobre 2014 per “terrorismo”, “sedizione”, “disobbedienza al sovrano” e “possesso di armi”, ricorda, con le dovute differenze di contesto, i processi per lesa maestà codificati nel I secolo a.C. da Silla e molto in voga in età imperiale, come metodo per liberarsi di chi osasse opporsi all'impero. Si tratta infatti di capi d'accusa che il più delle volte i tribunali sauditi imputano a chiunque sia sospettato di dissentire dalla politica del regime di Riyadh, a maggior ragione se di religione sciita. Numerosi i rapporti di Amnesty International sulle violazioni e gli abusi ai danni di questa minoranza (si veda ad esempio http://www.saudishia.com/?act=artc&id=586), che vive soprattutto nella regione, economicamente strategica, di Qatif. Finora, tuttavia, gli appelli delle organizzazioni per i diritti umani non hanno avuto seguito.

 

Riyadh continua dunque a portare avanti la sua linea politica di teocrazia retrograda, fondata su un'economia assistenziale, alimentata a sua volta dai proventi del petrolio. Un settore che, tra i progetti di estrazione del gas da scisto negli Stati Uniti e in diversi paesi del mondo (malgrado le numerose voci critiche riguardanti l'impatto ambientale), il prezzo basso del greggio e il fatto che prima o poi le riserve finiranno, rischia di non essere più così redditizio. Si tratta di un'eventualità che per l'economia di Riyadh sarebbe disastrosa, visto che il paese è costretto a importare praticamente tutte le risorse necessarie a soddisfare il fabbisogno alimentare dei suoi cittadini.

A parte l'economia, le 47 esecuzioni decise da Riyadh si inscrivono in un preciso quadro geopolitico regionale. All'Arabia Saudita, infatti, non è bastato reprimere nel sangue (con l'aiuto dei suoi satelliti del Consiglio di Cooperazione del Golfo) le proteste nel suo territorio e in Bahrein per acquisire un qualche peso nello scacchiere politico regionale. E non è bastata neppure la nuova campagna di bombardamenti in Yemen (dopo quella del 2010), lanciata per impedire che i ribelli sciiti Houthis conquistassero il potere, ma rivelatasi un cul de sac. Ora Riyadh teme infatti che la sbandierata guerra contro i cartelli del jihad possa indebolire la sua posizione geopolitica, anche a causa del sostegno di cui godono i gruppi salafiti e takfiriti nelle petromonarchie del Golfo. Ad accrescere i suoi timori è inoltre il ruolo che la Russia ha in Siria. Sarà probabilmente una coincidenza fortuita, ma, nei giorni immediatamente precedenti le 47 esecuzioni saudite, la distensione tra Iran e Usa, avviata dall'accordo sul nucleare, ha rischiato di sfumare. La Casa Bianca avrebbe infatti preparato un pacchetto di nuove sanzioni contro Tehran per contrastare il suo programma missilistico. Le autorità della Repubblica islamica hanno risposto immediatamente che il programma è nei limiti del diritto dei singoli stati alla difesa e il presidente Hassan Rohani ha ordinato al ministro della difesa di accelerare la costruzione delle testate balistiche. Un buon momento per creare un motivo di scontro con l'Iran, che con la Russia condivide la stessa posizione sul conflitto siriano.

 Rohani
 Rohani

Inoltre, a dicembre, la Turchia ha avviato importanti colloqui con Israele, per normalizzare le relazioni tra i due paesi, quasi interrotte cinque anni fa, per la vicenda della Mavi Marmara (nave turca impegnata nella Freedom Flotilla, che trasportava aiuti umanitari nella Striscia di Gaza). Il 2 gennaio, dopo una visita in Arabia Saudita, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha diffuso alla stampa una nota in cui affermava che “Israele ha bisogno di un paese come la Turchia nella regione. E noi dobbiamo accettare che anche noi abbiamo bisogno di Israele”. Una mossa con cui Ankara intende mostrarsi a livello internazionale come un alleato indispensabile contro i cartelli del jihad, al punto da potersi permettere la militarizzazione delle zone a maggioranza curda (con gli abusi che questo implica). In questo contesto, il 23 dicembre il co-segretario del Partito democratico dei popoli (partito turco filocurdo - HDP) Selahattin Demirtaş ha incontrato a Mosca il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, per discutere del conflitto siriano e della crisi diplomatica tra Turchia e Russia a seguito dell'abbattimento di un jet russo da parte dell'aviazione turca. Demirtaş, per questo, aveva ricevuto aspre critiche, soprattutto dal partito Giustizia e sviluppo (AKP, il partito di Erdoğan). Il primo ministro turco Ahmet Davutoğlu era giunto ad accusarlo di tradimento, solo perché Demirtaş aveva definito un errore l'abbattimento del jet russo. A completare il quadro, alla fine di dicembre, durante un raid sulla Siria, l'aviazione russa aveva ucciso Zahran Allush, predicatore salafita siriano, che Riyadh contava di far partecipare ad eventuali negoziati, ovviamente dopo la “necessaria” destituzione di Assad.

Probabilmente le 47 esecuzioni con cui l'Arabia Saudita ha iniziato il 2016 non sono solo l'episodio di uno scontro regionale per decidere le sorti della Siria e, di conseguenza, imporre un nuovo equilibrio di forze. In ogni caso, è evidente che Riyadh conta sulla sua impunità a livello internazionale, se si escludono le recenti prese di posizione del governo svedese sulla condanna del blogger saudita Raif Badawi (che sembra caduto nel dimenticatoio) e sui diritti delle donne. Infatti, ad esempio, non è nella lista in cui il Foreign Office britannico elenca i paesi che devono ridurre progressivamente il ricorso alla pena di morte. Ma sono privilegi che Riyadh ha finora comprato con il petrolio e che, finite le riserve, potrebbero venire meno.

Da sempre l’uomo vive un rapporto conflittuale con il mondo animale considerandolo  spesso un pericolo ma quasi sempre un semplice strumento per le sue necessità. Nella sua visione antropocentrica  ha sottomesso, sfruttato, ucciso animali di ogni specie come fossero oggetti senza valore e senza diritto. Ma i tempi erano diversi, tempi in cui la durezza dell’esistenza limitava le regole del rispetto e del diritto alla sola specie umana. Ma oggi, con l’emergere di una nuova coscienza, in virtù dell’evoluzione civile, morale e spirituale, le nuove generazioni sono chiamate a confrontarsi con una realtà che supera qualunque passata e presente visione antropologica, filosofica, culturale, religiosa, spirituale e approdare alla consapevolezza della comune appartenenza alla medesima famiglia dei viventi con il medesimo diritto alla libertà, al rispetto e alla vita. E questa sarà la condizione per traghettare l’essere umano verso una visione universalista e a renderlo finalmente in grado di porre le basi per un mondo migliore.

Un giorno certamente tutta l’umanità sarà vegan: è un processo evolutivo nell’ordine naturale delle cose; ma non saranno i benefici della dieta a far diventare vegan gli esseri umani, sarà invece il rifiuto di essere complici della sofferenza e dell’uccisione degli animali; non sarà perché tutti avranno compreso che il mangiar carne causa malattie (sarà anche per questo ma non per questo); non sarà perché l’alimentazione carnea rende peggiore l’uomo sul piano morale e spirituale (sarà anche per questo ma non per questo); non sarà perché la carne causa distruzione dell’ambiente, della biodiversità, dei cambiamenti climatici (sarà anche per questo ma non per questo); non  sarà perché causa inquinamento, sperpero di risorse naturali ed economiche, di acqua, energia, scioglimento dei ghiacciai, fame nel mondo (sarà anche per questo ma non per questo):  sarà perché l’evoluzione civile, morale e spirituale avrà attuato il suo corso; sarà perché la coscienza umana sarà più giusta e sensibile; sarà perché l’animale non sarà più considerato cosa da mangiare ma esseri senzienti come noi di forma diversa; sarà perché  l’uomo saprà apprezzare il valore delle differenze biologiche e la bontà e il senso di giustizia avranno il sopravvento sull’indifferenza e sull’egoismo umano. L’uomo imparerà a rispettare la natura non perché la privazione della stessa la prova di un bene, ma perché le piante saranno considerate esseri senzienti individuali non più massa indistinta.

Un giorno la spregevole pratica vivisettoria sarà abolita, non perché sarà condivisa da tutti la sua inutilità e dannosità per la stessa salute degli umani (sarà anche per questo ma non per questo), ma perché sarà considerato un crimine torturare un essere senziente per i presunti vantaggi dell’uomo. Un giorno la caccia sarà abolita e le future generazioni si vergogneranno delle precedenti che hanno tollerato che qualcuno potesse legalmente uccidere esseri inermi ed innocenti per mero divertimento.

            Un giorno anche la pesca sarà abolita, non perché l’umanità sarà consapevole che  anche gli animali marini sono dannosi per la salute umana (sarà anche per questo ma non per questo), ma perché sarà considerato un delitto violentare le creature del mare. Così come ogni altra forma di maltrattamento, di coercizione, di violenza sarà abolita non quando la legge imporrà il rispetto degli di ogni animale, ma quando l’essere umano sarà finalmente consapevole che tra noi e gli altri animali c’è solo una differenza di forma non di sostanza.

Un giorno la coscienza umana approderà da uno stadio di primordiale insensibilità e violenza ad una cultura di solidale condivisione e di valorizzazione della vita in tutte le sue manifestazioni; sarà perché uccidere animali per mangiare il loro corpo sarà considerato  un fatto indegno per un essere civile, evoluto, maturo, intelligente; sarà perché l’essere umano avrà finalmente una coscienza in grado di percepire l’universale sofferenza degli animali e si rifiuterà di essere complice di questo millenario olocausto.

Chi non si nutre di animali per motivazioni salutistiche difficilmente è capace di coerenza per lungo tempo. Chi lo è per motivazioni ecologiche difficilmente rinuncerà del tutto ai piaceri gastronomici. Anche la consapevolezza dell’impatto sulla fame nel mondo difficilmente porterà gli stessi operatori alla rinuncia dello sfruttamento degli animali. Per questo essere vegan per motivazioni diverse da quelle etiche non basterà a salvare gli animali dalla schiavitù umana: solo una nuova coscienza umana aperta alla maturità dello spirito e alla nuova civiltà universalista, giusta e compassionevole, responsabile ed evoluta, libererà gli animali dal sistematico massacro e porrà le basi di un mondo migliore dell’attuale.

Sarà l’etica dell’ Universalismo a rendere l’essere umano capace di preservare l’ordine naturale delle cose, passando dalla coscienza individuale alla coscienza collettiva, superando lo steccato antropocentrico per estendere il diritto all’esistenza dall’uomo ad ogni essere senziente: saranno i valori fondamentali dello spirito universalista a rendere possibile il positivo comportamento anche tra gli umani.

Chiedere molto a se stessi e poco agli altri questa credo sia la strategia migliore per aprire brecce nella mente e nella coscienza di chi non si cura né di se stesso né del destino collettivo.

Ma nessuna rivoluzione si attua in un giorno: ognuno ha tempi diversi di maturità e consapevolezza.

Ecco dunque che la possibilità di liberare gli animali dalla tirannide umana passa inevitabilmente attraverso la crescita civile, morale e spirituale della specie umana, di ognuno di noi. Solo se l’uomo sarà migliore gli animali saranno salvati, risparmiati, liberati, affrancati: dalla liberazione della sconfinata massa di schiavi/morituri,  che da millenni implorano inascoltati, l’uomo salverà se stesso, dalla sua stessa insensata, primordiale violenza fratricida: questa è la condizione per la pace.

Dal 1529 i frati Cappuccini risiedono nel cuore di Roma, dopo alcuni spostamenti, nel Seicento, papa Urbano VIII Barberini, costruisce la chiesa dell’Immacolata Concezione e l’annesso convento nella zona del suo Palazzo. Il fratello cardinale, Antonio, appartiene all’ordine, che è uno dei tre della Famiglia Francescana.

I Francescani sono, da sempre, devoti all’Immacolata Concezione. Il dogma è stato proclamato da Pio IX nel 1854.

I Cappuccini devono il loro nome al cappuccio triangolare, parte del loro abito, che li distingue dalle altre famiglie. I fondatori fra Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone caratterizzarono il movimento secondo un rigoroso modello di penitenza, povertà, preghiera, servizio ai sofferenti e vita eremitica, ispirato dalla Regola di San Francesco. L’ordine fu riconosciuto nel 1528 da papa Clemente VII.

Dal 1631 il convento fu sede della Curia Generale, trasferita nel 1890, della Curia Provinciale, della famiglia religiosa provinciale, dell’infermeria, del lanificio, degli studenti di teologia e filosofia e, più tardi, anche della tipografia.

Nel 1925 il convento fu demolito per la costruzione del Ministero delle Corporazioni e l’apertura di via Veneto. Tra il 2009 e il 2012 è stato ristrutturato il complesso formato da chiesa, convento, museo e cripta.

Il Museo dei Frati Minori della Provincia Romana conserva la memoria della storia e dei religiosi che l’hanno caratterizzata. I primi dipinti raffigurano i santi dell’ordine vissuti tra XVI e XVIII secolo: San Felice da Cantalice (1515-1587); San Giuseppe da Leonessa (1556- 1612); San Crispino da Viterbo (1668-1750). Nel XVII secolo visse anche padre Michele da Bergamo, architetto che lavorò per Urbano VIII anche come “revisore dei conti”.

Attraverso manoscritti e volumi a stampa, suppellettili e paramenti liturgici, oggetti preziosi e più umili e quotidiani, di farmacia, l’immagine del Cristo sanguinante, si arriva ai Cappuccini del XX secolo: S. Pio da Pietrelcina (1887- 1968); il mediatico “cappuccino della Tv italiana” Padre Mariano da Torino e l’artista Padre Ugolino da Belluno a cui è dedicata la mostra Oltre il bello allestita in occasione del Giubileo della Misericordia e che si chiuderà nel novembre 2017.

Chiude il percorso la Cripta-ossario, dall’impressionante decorazione, memento mori, realizzato tra il 1732 e il 1775, impiegando le ossa di circa 3700 defunti.

Un’alta e moderna scalinata a forbice conduce alla chiesa, dalla caratteristica pianta cappuccina, ad aula unica con cinque cappelle laterali per lato, separate dalla navata per mezzo di cancellate lignee. Decorazione sobria con l’impiego di materiali umili, come il legno, ma ricca di numerosi e importanti dipinti, come il San Michele Arcangelo di Guido Reni e il Cristo deriso del fiammingo caravaggesco Gherardo delle Notti. Ma su tutte si impone lo stupendo cielo del San Francesco che riceve le stigmate del Domenichino. In prossimità dell’altare maggiore, il seicentesco monumento funebre del cardinale Antonio Barberini e il settecentesco di Alessandro Sobieski (nipote del re polacco Giovanni III vincitore sull’armata turca a Vienna nel 1683) opera di Camillo Rusconi.

Una parete separa il presbiterio dal retrostante coro, in cui è allestita la mostra di Padre Ugolino da Belluno (1919- 2002), Oltre il bello.

Il percorso espositivo è stato organizzato in maniera cronologica, per permettere di cogliere l’evoluzione dell’artista, attraverso le diverse sperimentazioni espressive. Dal figurativo, alla parola-simbolo, all’astratto e di nuovo al figurativo. Tra il 1951 e il 1962 frequentò Giorgio de Chirico e Gino Severini. Quest’ultimo, fu determinante per l’acquisizione della tecnica del mosaico parietale. Della sua opera, che si esprime al meglio nella pittura murale, ha lasciato numerose testimonianze nella decorazione di chiese, a Roma, nel Lazio, ma anche in altre regioni d’Italia e all’estero.

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