
L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Sì, l’Amazzonia brucia. Scompaiono ogni giorno centinaia, migliaia di alberi. Immensi territori vengono sottratti alle popolazioni che, in perenne pericolo, vi vivono da epoche lontanissime. Specie vegetali e animali scompaiono per sempre, a volte senza che siano state neppure esaminate e classificate in ambito scientifico.
Oggi un po’ di più, certo. Oggi se ne parla in tutti i tg con toni allarmati ed allarmanti. Ma è storia vecchia. L’uomo bianco, cristiano europeo, ha cominciato a distruggere quel mondo da diversi secoli, dando la precedenza – con cinica strategia militare – all’eliminazione degli esseri umani ritenuti indegni di abitare luoghi stracolmi di ricchezze scioccamente non adeguatamente apprezzate e utilizzate.
E’ una storia vecchia, fatta di mille e mille violenze, soprusi, abusi, crimini di ogni sorta. Ma, non dimentichiamolo, è proprio da tutto questo che è nata la nostra tanto “evoluta civiltà moderna”! Grazie a tutto questo si sono riempite d’oro le nostre banche e le nostre chiese (dagli altari ai soffitti), si sono sviluppati immensi capitali, industrie, eserciti. Che hanno richiesto (e che continuano a richiedere) sempre più ricchezze per poter crescere, crescere e crescere ancora … Per distruggere, per divorare, per seminare, coltivare e mietere morte.
Sì, è storia vecchia. Molto, molto vecchia. Una storia che non fa piacere conoscere, che preferiamo ignorare. Una storia fatta di fiumi di sangue e di fiumi di catene, di cimiteri sterminati di alberi e di popoli, senza lapidi e senza croci. Sono secoli che l’uomo bianco si accanisce sugli altrui continenti, espropriando, schiavizzando, deportando, massacrando, imponendo il proprio dio e i propri preti, le proprie esigenze economiche, i propri calcoli di interesse, i propri indicibili giochi di ambizione e di dominio. Bolsonaro è certamente deprecabile e condannabile per la sua dissennatissima politica. * E certamente merita di essere fermato. Ma Bolsonaro non è altro che l’ennesima creatura-strumento nelle mani di tutto un sistema complesso di economia in cui tutti quanti noi siamo immersi, dal quale scaturisce la nostra (comoda e molto confortevole) condizione di privilegio. Condizione che, nonostante le nostre più o meno accorate lagrime, facciamo una gran fatica a pensare di dover abbandonare.
Tutto appare schiacciante e paralizzante. Ogni tanto, magari, aderiamo a qualche webappello e rabbiosamente firmiamo qualche saggia petizione … Analgesici della coscienza, un po’ come la monetina di elemosina durante la messa domenicale.
Ma, considerando con un pizzico di rigore logico e onestà morale e intellettuale il dato incontrovertibile secondo cui la maggior parte dei territori disboscati è destinata, direttamente o indirettamente, ad introdurre sempre più vasti allevamenti volti a soddisfare la crescente richiesta di carne per le nostre allegre grigliate e le nostre tavole imbandite, per i nostri hamburger e i nostri hot dog, forse non sarebbe tanto impensabile provare ad operare una coerente scelta di noncollaborazione nei confronti della più grande macchina devastatrice e creatrice di morte prodotta nella storia, rinunciando del tutto alla nostra alimentazione carnea, o, almeno, drasticamente riducendola.
I grandi Maestri di tutte le epoche, dal Buddha a Pitagora, da Tolstoj a Gandhi, ci hanno sempre esortato a non farci assassini dei nostri fratelli minori e a non diventare sepolcri dei loro corpi ridotti a cadaveri. Ce lo dicevano soprattutto per il bene della nostra anima e del nostro corpo, per la purificazione e la salvezza della psiche, e per la purificazione e la salute del sòma.
Ora, abbiamo un motivo ancora più nobile, ancora più urgente e incontestabile:
la sopravvivenza stessa del nostro pianeta …
Con l’Unesco un premio alla memoria di Antonio Russo, vice-presidente della Free Lance International Press
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Il Presidente dei clubs Unesco Italia, Maria luisa Stringa, e |
Si sono ritrovati tutti a Firenze i giornalisti freelance il 4 dicembre scorso ed insieme alla stampa locale e ai media radio-televisivi per ricordare Antonio Russo, il nostro compianto vice presidente, reporter di guerra e coraggioso giornalista freelance caduto in Georgia il 16 ottobre del 2000.
L’occasione è stata la premiazione di cinque bravi giornalisti liberi professionisti che si sono particolarmente distinti nel corso della loro carriera per la loro attività nell’ambito del giornalismo cartaceo, fotografico e radio-televisivo. La premiazione è avvenuta nel corso della giornata di studi organizzata dal Centro Unesco di Firenze e dall’Osservatorio Internazionale dei giovani Unesco con la collaborazione della Free Lance International Press e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Firenze per celebrare il 55°Anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.
Sono passati 55 anni dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani e, considerando anche i recenti conflitti dall’Afghanistan all’Iraq, nessuno tra i
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L'attrice Antonella Ponziani |
paesi firmatari può dire di averla onorata.
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti” recita l’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948. Ma è davvero così? Gli uomini, visti i fatti, non agiscono “gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Troppe le vittime innocenti e neanche l’alternarsi di dittatori e governi possono essere considerati degli “effetti collaterali”.
Era il 10 dicembre 1948, poco dopo la fine della guerra mondiale, quando è stata scritta la solenne Dichiarazione Universale dei diritti umani, per promuovere il diritto di ciascuno di noi allo “stare insieme” e perché l’orrendo massacro della guerra non avesse a più ripetersi.
Nel preambolo, l’Assemblea generale dell’Onu considerava il riconoscimento dei diritti umani, uguali e inalienabili per tutti gli uomini, come il “fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.
A 55 anni da quelle solenni promesse, firmate da tutti i paesi delle Nazioni Unite ed oggi, violentemente calpestate, siamo arrivati ad un punto critico. “Dobbiamo
ricostruire i rapporti tra gli uomini sulla giustizia e sulla solidarietà e praticare la Dichiarazione universale come unico antidoto per vincere la guerra” ha ricordato la Presidente del Centro Unesco di Firenze e Presidente dei clubs Unesco d’Italia, Maria Luisa Stringa, nel sottolineare l’impegno di tutti gli operatori, medici, volontari, giornalisti compresi, nei teatri del disagio e dei conflitti armati.
I giornalisti e la guerra hanno ormai destini indissolubilmente legati. Ma come raccontano i fatti? Quale ruolo hanno “dentro la guerra”? I reporter di guerra sono gli spettatori “esperti” che riferiscono quanto vedono e strumenti “consapevoli” di propaganda e consenso. Sono anche gli “impotenti” amplificatori di comunicati e immagini diffusi dagli alti comandi militari e critici interpreti di eventi spaventosi dietro cui si nascondono giganteschi interessi. Sono i narratori di tragedie umane “dentro la guerra, ” un generale crollo di ogni forma di umana pietà. E’ questo che raccontano i giornalisti in guerra, e rischiano la vita ogni giorno per farlo, per testimoniare la realtà dei fatti.
I giornalisti premiati a Firenze, sono un grande contributo al giornalismo freelance, ed esempi di quel professionismo coraggioso che tanto aveva rappresentato Antonio Russo prima di essere
barbaramente ucciso in Georgia dalle mani sconosciute di un commando.
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Giorgio Fornoni |
Il premio al giornalismo video è andato a Giorgio Fornoni, giornalista freelance di Report - noto programma di inchieste in onda su Raitre – da anni in prima linea nelle zone più disastrate del mondo per fare reportage dall’alto significato sociale ed umano.
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Lucia Vastano |
Il premio al giornalismo scritto è stato consegnato a Lucia Vastano, giornalista freelance che ha collaborato con Associated Press, Corriere d’Informazione, Boston Globe, e che da 20 anni va in giro per il mondo per raccontare le “grandi guerre” in presa diretta e le “piccole guerre” di casa nostra, in cui le violazioni dei diritti umani ci richiedono risposte sempre più urgenti.
Particolarmente significativo il premio giornalismo radiofonico a Nancy Roc - reporter haitiana – come riconoscimento per il programma “Metropolis”, in prima linea per la tenace difesa della libertà dei media indipendenti, in onda su Radio Metropole ad Haiti e di cui Nancy Roc è ideatrice e conduttrice. Secondo l’Institute International de la Presse, Haiti è uno dei paesi al mondo in cui la situazione della stampa è più critica. I giornalisti sono minacciati di morte e aggrediti dai sostenitori di un governo autoritario e violento che incita ad applicare la formula “tolleranza zero” per impedire una corretta informazione. E le ultime notizie pervenuteci dall’ambasciata italiana non sono confortanti sulla sorte della giornalista, che è ancora viva ma in situazione di estremo pericolo.
Per il premio al giornalismo fotografico, è stata la volta di Roberto Dotti fotografo freelance, che attraverso il giornalismo d’immagine, racconta le tragedie del mondo contemporaneo e dedito agli studi delle religioni e filosofie orientali, fin dall’età giovanile, fotografa le tragedie immani dei popoli più vessati di questo pianeta, dal Kossovo, all’Afghanistan al Kurdistan.
Nella sezione editoria è stata premiata, Lidia Castellani, giornalista di politica e scrittrice, per il suo libro “Mamma senza paracadute”- Salani
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Roberto Dotti |
editore. Diversamente dagli scenari apocalittici prefigurati a volte dai media di città popolate da anziani, nel suo libro, Lidia Castellani, riflette con intelligenza e sensibilità e con toni drammaticamente ironici sull’evoluzione di una donna in carriera, che
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Lidia Castellani |
sceglie di dedicarsi alla figlia appena nata, trovando una realizzazione inaspettata in un ruolo spesso poco valorizzato e mal interpretato dalla comunicazione.
Particolarmente atteso il premio speciale al premio Nobel per la pace, Ikeda per il suo costante impegno nella promozione dei diritti umani e dei valori della pace, contro guerre, differenze sociali e morte. Non potendo essere presente il premio è stato ritirato dal rappresentante della Soka Gakkai, movimento per i diritti umani e per la pace di cui Ikeda ne è il Presidente.
Insieme ad Emergency, sono intervenute alla premiazione, Amnesty International, Peace Link, la Croce Rossa Italiana e l’Associazione internazionale dei critici letterari per testimoniare l’impegno che queste associazioni hanno nei teatri di guerra e nella promozione della pace e della difesa dei diritti umani.
Questo è l’appello finale dell’Unesco: ”La comunicazione dei diritti umani e il diritto all’identità culturale”. E questo deve essere il primo dei compiti da scrivere nella nostra agenda, al primo gennaio 2004, e riuscirci è davvero nelle nostre mani. Basta guerra, basta morti, basta vittime.
Free Lance International Press
Con l’adesione di:
Amnesty International
Soka Gakkai
Vita
Fondazione Centro Astalli
Peacelink
Medici Contro la Tortura
Medici Senza Frontiere
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Roma 14 ottobre 2005
Premio Italia “Diritti Umani” 2005
“Civiltà Globale e Diritti Umani”
Dedicata alla memoria dell’ ex Vice-presidente della Flip Antonio Russo.
ROMA 17 –18 –19 Ottobre 2005
Il Premio Italia Diritti Umani nasce dall’ esigenza da parte delle associazioni coinvolte di voler dare un giusto riconoscimento a coloro che, per la loro attività, si sono distinti nel campo dei diritti umani. In un mondo in cui il profitto sembra essere lo scopo ultimo di ogni intento, bisogna sostenere chi lotta veramente, sacrificando spesso gran parte (o del tutto) la propria esistenza per aiutare il prossimo. I Mass Media spesso non prestano la dovuta attenzione al tema dei diritti umani, se non in maniera superficiale. È giunto quindi il momento, non solo di dare un giusto riconoscimento a chi lotta per la difesa dei più deboli, ma anche di parlare su come possano essere tutelati meglio questi diritti che, anche in paesi come l’Italia oltre che all’estero, sono sistematicamente violati, soprattutto nei confronti dei più deboli.
Lunedì 17 ottobre 2005
“Le vittime di guerra.
I diritti dei bambini e delle Donne”.
“MAI PIU’ VIOLENZA SULLE DONNE” 16 min (Amnesty International)
“VITTIME DI GUERRA”
“Europa - Diritti dell’uomo e ordinamento italiano”
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“Diritti dei Malati e assistenza sanitaria”
ore 15:00-18:00
“IL MALATO TRA REALTA' E SPERANZA:
QUALI SONO LE SUE ASPETTATIVE, I SUOI BISOGNI, i SUOI DIRITTI”
" Richiedenti asilo, rifugiati e ricorrenti”
salute e cura - accoglienza e integrazione
“Esperienza nei campi profughi Palestinesi”
“Educazione ai diritti umani.
educazione alla Pace”
Interventi
ore 10:00-13:00
“PACE, FONDAMENTO DEI DIRITTI UMANI”
“Informazione etica e diritti umani”
“non c’e’ pace senza democrazia”
“MetodologiE per l’educazione ai diritti umani”
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“Migranti e rifugiati”
Interventi
“La situazione dei rifugiati in italia”
Richiedente asilo
“I fRutti dell’IPOCRISIA” (Medici senza Frontiere)
“I lavoratori stagionali impiegati nell’agricoltura”
“Prendersi Cura delle Vittime di Tortura”
“Cronaca di ROma – 14/15 settembre 2005”
regia Valeria brigida e Giulia zanfino.
Interventi
“Integrazione”
Autrice del libro “Carovane tra le pagine”
(Giornalista e scrittrice, esperta della cultura dei Rom, Sinti e Camminanti)
Autore del libro “Il popolo Invisibile Rom”
Fotografa del calendario “Me sem rom-sono rom”
Mercoledì 19 ottobre 2005
“Informazione e diritti umani”
Interventi
Ore 10:00 - 13:00
“Antonio Russo difensore dei diritti dei ceceni”.
“ informazione Internet e diritti umani: il caso Peacelink ”
“Può l’informazione Offendere i Diritti umani?”
“Effettività della tutela dei diritti in Italia”
“Fatti e versioni in zona di guerra”
“La struttura della catena informativa in Italia”
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Ore 15:00 –16:00
Omaggio musicale ad Antonio Russo (voce e chitarra)
Ore 16:00 –18:00
“Per non morire.Rifugiati a Roma” - Centro Astalli 26min
(Presidente della commisione Video-reporter della FLIP)
“C’è sempre l’uomo con il suo passato ed i suoi valori” 20min
“Il calvario ceceno” 20min
“Kosovo” 13min
“Sarawi” 7 min
(Redattore della testata “Prove Aperte”)
Ore 18:00
Consegna i premi l’attrice Antonella Ponziani
Sono stati premiati:
Padre Giorgio Poletti
“Padre Giorgio Poletti, missionario Comboniano nella comunità di Castel Volturno (CE), da anni è impegnato nel riconoscimento dei diritti fondamentali degli immigrati nel nostro Paese.
In una società che li emargina, e in un contesto globale che genera continuamente emergenze nel Sud del mondo, l'opera dei Padri missionari non si può racchiudere in gesti di pura liturgia ma si interroga anche qui in Italia sulla situazione degli "ultimi" di questa Terra.
La sensibilità di padre Poletti si è concretizzata più volte in numerosi scritti oltre che in gesti anche provocatori - seppure sempre nonviolenti - nei confronti della nostra società e delle stesse istituzioni spesso sorde e "faresaiche" nella rigorosa applicazione di leggi anche ingiuste, nei confronti dei diritti umani di chi bussa ai nostri confini con l'illusione di una vita migliore. Abbiamo individuato in lui il soggetto per l'attribuzione del Premio FLIP per i diritti umani, consci dell'impegno costante e totale che offre ogni giorno nel sanare con la sua forza di volontà e col suo amore le ferite anche invisibili alla dignità e alla sopravvivenza di fratelli, "diversi" e "lontani", ma vicini a noi nel cammino comune di viventi su questo Pianeta. “
Fabrizio Gatti
Fabrizio Gatti ha fatto quello che tutte le associazioni dei diritti umani cercano di fare da tempo, ed è stato costretto a farlo illegalmente e mettendo in gioco la propria vita: entrare in un Cpta e verificare il modo in cui vengono trattati i cittadini stranieri che arrivano nel nostro paese. La sua inchiesta ha reso per un attimo trasparente cio' che e' invisibile e nascosto all'opinione pubblica: le violazioni dei fondamentali diritti umani nei centri di permanenza temporanea.
Teresa Petrangolini
Per essersi mossa in uno dei campi più delicati, quello della salute, dove l'inferiorità psicologica del malato e dei suoi parenti nei confronti della struttura sanitaria permette a volte che vengano calpestati i più elementari diritti (della privacy, del rispetto umano..). Per l'aver svelato un altro modo di essere malato, un malato attivo e consapevole. Per il suo impegno nel sollecitare i singoli cittadini a prendersi cura e ad imparare a tutelare i propri diritti: “Su un cittadino consapevole e preparato sarà ben difficile operare abusi e coercizioni.”
FREE LANCE INTERNATIONAL PRESS
via Sicilia 166/b - 00187 Rom - Italien
tel/fax +39 06.42013171 -06.97617661
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“Premio Italia diritti umani 2006”
“Civiltà Globale e Diritti Umani”
Dedicata alla memoria dell’ ex Vice-presidente della Flip Antonio Russo.
Fondazione Europea “Dragan”- Foro Traiano 1/A Roma (via dei Fori imperiali)
ROMA 17 –18 –19 Ottobre 2006
Il Premio Italia Diritti Umani nasce dall’esigenza da parte delle associazioni coinvolte di voler dare un giusto riconoscimento a coloro che, per la loro attività, si sono distinti nel campo dei diritti umani. In un mondo in cui il profitto sembra essere lo scopo ultimo di ogni intento, bisogna sostenere chi lotta veramente, sacrificando spesso gran parte (o del tutto) la propria esistenza per aiutare il prossimo. I Mass Media spesso non prestano la dovuta attenzione al tema dei diritti umani, se non in maniera superficiale. È giunto quindi il momento, non solo di dare un giusto riconoscimento a chi lotta per la difesa dei più deboli, ma anche di parlare su come possano essere tutelati meglio questi diritti che, anche in paesi come l’Italia oltre che all’estero, sono sistematicamente violati, soprattutto nei confronti dei più deboli.
Con l’adesione di:
Amnesty International – sezione italiana
Centro Astalli
Associazione “Altri Mondi”
“Medici senza Frontiere”
Associazione “Wam”
Associazione culturale “Aurum il divenire”
Associazione ”Figli del Darfur”
Associazione “Information, Safety and Freedom”
mostra fotografica di Maria Nives Salvatori e Stefanie Gengotti
Saluti del Presidente della Free Lance International Press Virgilio Violo
Interventi :
17 ottobre ore 15-19
Ore 15,00 - Rosalia Grande – medico counselor supervisore – (Associazione culturale Aurum il divenire). I diritti dei bambini e degli adolescenti: quale futuro?- documentazione Cecilia Erede
Ore !5,30 - Mambaye Diop– mediatore interculturale – “ La discriminazione istituzionale in Italia”
Ore 16,00 - Najo Adzovic – “Il diritto alla cittadinanza”scrittore - Autore del libro “Il popolo Invisibile - I Rom”
Ore 16,30 - Omar Mih – portavoce in Italia del “Fronte Polisario”– “Il diritto all’indipendenza del Sarawi”
Ore 17,00 - Giuseppe Serrone:fondatore dell'Associazione italiana dei "Sacerdoti lavoratori sposati" e co-fondatore del Movimento Intenazionale "Married Priests Now" –“Relazione: "Sacerdoti sposati: alcuni Diritti Umani in materia religiosa. Un Tentativo di rinnovamento"
Ore 18,00 - avv. Elisabetta Macrina – “la tutela legale dei diritti umani in Italia”
18 ottobre ore 15-19
Ore 15.00 - Isac Mati – Responsabile Flip per i diritti umani –“ Diritti dell’uomo e interculturalità”
Ore 15,30 – Suliman Hamed – portavoce in Italia del “Movimento di liberazione del Darfur””– “la guerra nel Darfur. Una guerra dimenticata dal mondo”
Ore 16,00 - Ahmad Rafat - membro del Comitato Esecutivo di Information, Safety and Freedom, - “libertà d'informazione e sicurezza dei giornalisti nel mondo”
Ore 16,30 - Giorgio Ferraresi – giornalista - Direttivo FLIP – “ diritti umani e religione”
Ore 17,00 - Sevla Seijdic – artista rom “ esperienza di lavoro sul campo” Coop. Occhio del Riciclone”
Ore 17,30 - Carlo Quintozzi – Presidente dell’associazione “Altri Mondi” – “Il diritto all’autodeterminazione dei popoli”
Ore 18,00 - Carlo Sordoni, counselor “ Il diritto di essere laici – religione e libertà di coscienza” documentazione Giorgio Scadino
Ore 18,30 - Valentina Fabbri – Medici senza Frontiere – Missione Italia –“Le barriere al diritto d'asilo in Italia".
Ore 19 – avv. Francesco Canepa – I”Diritti dell’uomo hanno cittadinanza in Italia?”
19 ottobre ore 16,30 – 18,00
Ore 16,30 -“Sogni di donna” (20’)- Documentario diretto da Martha Elvira Patiňo e Anna Maria Chica
(cinque storie di donne immigrate in Italia a causa delle difficoltà incontrate nel loro paese). Progetto finanziato da Ministero e politiche sociali e Unione Europea.
Intervista a Martha Elvira Patiňo dell’associazione Nodi.
17,00 - Esibizione musicale a favore del dialogo del gruppo interetnico di Ramzi Harrabi – poeta e cantante tunisino. Misto di culture musicali che si riuniscono per fare del suono una preghiera universale per la pace.
ore 18,00 consegna dei premi da parte degli attori:
Barbara Maudino e Stefano Pesce.
Conduce Giovanni Cavaliere della redazione di “Prove Aperte”
Premio Italia Diritti Umani 2006 a Paola Zanuttini
“Premio Italia diritti umani 2007” ®
“Civiltà Globale e Diritti Umani”
Dedicata alla memoria dell’ ex Vice-presidente della Flip Antonio Russo.
Fondazione Europea “Dragan”- Foro Traiano 1/A Roma (via dei Fori imperiali)
ROMA 16 Ottobre 2006
Il Premio Italia Diritti Umani nasce dall’esigenza da parte delle associazioni coinvolte di voler dare un giusto riconoscimento a coloro che, per la loro attività, si sono distinti nel campo dei diritti umani. In un mondo in cui il profitto sembra essere lo scopo ultimo di ogni intento, bisogna sostenere chi lotta veramente, sacrificando spesso gran parte (o del tutto) la propria esistenza per aiutare il prossimo. I Mass Media spesso non prestano la dovuta attenzione al tema dei diritti umani, se non in maniera superficiale. È giunto quindi il momento, non solo di dare un giusto riconoscimento a chi lotta per la difesa dei più deboli, ma anche di parlare su come possano essere tutelati meglio questi diritti che, anche in paesi come l’Italia oltre che all’estero, sono sistematicamente violati, soprattutto nei confronti dei più deboli.
Con l’adesione di:
Amnesty International – sezione italiana - Centro Astalli
Interventi
Mattinata
Ore 11.00- “Libertà e bisogno di sicurezza” - Maurizio Navarra - socio Flip
Ore 11, 30 Ricordo di Paolo Ungari – Sokol Borshi - socio Flip (video)
Ore 11,45 Proiezione del cortometraggio “Noi che siamo stati buio” alla presenza dei registi Renzo Ridolfi e Antonietta Are e del poeta minatore Manlio Massole.
(Dal buio della miniera alla luce della coscienza) Ore 12,15 – video su Antonio Russo – commento di Enzo Coletta – socio Flip
Ore 12,45/13,15 – “Educare ai Diritti umani - L'esperienza di Amnesty International”.Roberto Fantini - insegnante, attivista di Amnesty International nel campo dell'Educazione ai Diritti Umani.
Attualmente del gruppo di lavoro EDU di Amnesty Lazio.
Pomeriggio
Ore 15,30 - "Messico 2002-2007".
Carrellata sulla repressione dei diritti umani in Messico dal 2002 al 2007, attraverso i titoli degli articoli dei quotidiani messicani - Daniere Laudato – socio Flip -
Ore 16,00 - “I diritti umani sono ancora universali? La sfida della tortura”. Claudio Giusti socio. Fondatore della Sezione Italiana di Amnesty Internationale, fondatore nel 2002, della World Coalition Against The Death Penalty. Da settembre 2006 fa parte del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla Legalità e i Diritti.
Ore 16,30 - “La tutela del minore” – Prof. avv. Elisabetta Macrina –
Ore 16, 50 –“Testimonianze della situazione in Birmania” Alice Stopponi – socia Flip.
”Ore 17,10 -”"Bosnia: alle soglie di un nuovo conflitto? Il caso di Srebrenica, tra cooperazione, presenze straniere e giornalismo"
Andrea Foschi - fotogiornalista, specializzato in fatti di Bosnia– socio Flip.
Ore 17,30 - Darfur: Origine del conflitto – situazione attuale e opportunità per la risoluzione. Stefano Cera – prof. – assistente universitario e ricercatore in teorie e tecniche della trasformazione dei conflitti .
Ore 18,00 - concerto french-creyol-jazz della cantautrice Josette Martial e Arturo Valiante, pianoforte jazz
Ore 18,30 premiazione
Presentazione del premio: Giovanni Cavaliere – redattore della testata “Prove aperte”
Consegna del premio “Italia diritti umani 2007” da parte dell’attore di teatro e televisione Vito Favata
Premio a Sr. Maria Teresa Piras
Opere d’arte donate dagli artisti
1) Paolo Ristonchi
2) Stefania Ciranna
3) Elio Mazzella
Mostra fotografica di
Andrea Foschi (sulla Bosnia)
Alessandra Quadri (i rom a Roma)
Paola Del Rio e la classe 1^ C della Scuola media Alghero 2+ Fertilia
“A piene mani per i diritti dei bambini e degli adolescenti”
Molto ha fatto discutere la panciuta esibizione salviniana al Papeete Beach, con tanto di graziose fanciulle ghepardate gioiosamente zompettanti sulle note dell’ Inno di Mameli.
Credo, però, che su una cosa non ci si sia soffermati con la dovuta serietà, su una cosa che ritengo di primaria importanza:
l’uso ripugnantemente strumentale ed iniquo che si è fatto di quelle note musicali. Ovvero: il problema cruciale non credo sia tanto l’indiscutibile volgarità di scenografia e coreografia, bensì il connubio venutosi a creare tra un certo “significante” ed un certo “significato”. Cioè il fatto che (scientemente o incoscientemente, poco importa) si sia fatto uso di un determinato strumento comunicativo (l’Inno nazionale) per veicolare valori antitetici a quelli che quello strumento hanno partorito e per promuovere un processo identitario anch’esso antitetico alla sostanza ideale e ideologica originaria. Si è ridotto, infatti, un prodotto culturale altamente simbolico, scaturito da mille sofferenze e da lotte coraggiose e dolorose, nate dal nobile sogno della ricerca del bene comune e della costruzione di una società più giusta e più libera, a calamita aggregatrice faziosa e propagandistica, mirante non ad allargare orizzonti, ad abbattere antiche mura e ad oltrepassare ben consolidati fossati e terrapieni, ma a fomentare odiose contrapposizioni, ad alimentare un modo di essere, di pensare e di fare fondato sul feticcio ideologico del “noi”, del “solo NOI”, volto a rinchiudere (alcuni), a separare (gli uni dagli altri), ad estromettere (quelli che non risultano inseribili nelle anguste coordinate del “noi”).
Ed è su questa operazione politico-mediatica (ahimè abile ed efficace, come tante altre analoghe) che dovrebbero concentrarsi le nostre più che legittime preoccupazioni. Ciò che risulta davvero intollerabile, infatti, è il volersi appropriare di un simbolo che, al di là di ogni trita retorica, rappresenta (come il tricolore) qualcosa che si colloca necessariamente e doverosamente al di sopra di tutti, al di sopra delle opinioni e degli interessi di singoli individui, partiti, chiese, ecc., e che, pertanto, non appartiene e non può e non DEVE appartenere a nessuno in particolar modo, né appartenere a qualcuno di più e a qualcuno di meno.
Se quell’Inno ha un senso, esso consiste nell’essere in grado di continuare ad insegnarci che soltanto dallo stringersi insieme, dal sentirsi parte di qualcosa di unico ed unificante (l’essere italiani e, prima ancora, donne e uomini alla ricerca del BENE di TUTTI), soltanto dalla volontà e dalla capacità di abbandonare egoistici campanilismi vecchi e nuovi, soltanto dallo scegliere strategie improntate all’altruismo e alimentate da sincero spirito di fratellanza e di affratellamento, sarà possibile intraprendere un cammino di liberazione dall’ingiustizia e di costruzione di reale felicità.
Insomma, quell’Inno non è e non può diventare maschera nobilitante per settarie mire di potere, né arma di difesa di interessi bottegai, né tantomeno arma di offesa contro chi vorremmo collocare oltre il confine della nostra opinabilissima “italianità” o “umanità”. Meglio farebbero, dunque, Salvini e salviniani ad imitare i protoleghisti che, assai più coerentemente con i propri principi ed obiettivi politici, rifiutavano l’Inno nazionale, sostituendolo con l’aria verdiana dei “Lombardi alla prima crociata”. Perché la mentalità e la sensibilità dei primi quanto dei secondi erano e restano quelle che tante sventure nel corso della storia hanno prodotto:
quelle dei crociati, quelle presuntuose ed aggressive di coloro che, in nome di un qualche dio (o di qualche invocata Madonna!), sono sempre pronti a tutto per conseguire le proprie méte.
Sul tema della “morte cerebrale” e della prassi dei trapianti di organi regna, a livello mediatico, la massima indisponibilità ad affrontare e a discutere i numerosi aspetti oscuri, problematici e controversi che da decenni vengono evidenziati da insigni pensatori e scienziati, primo fra tutti il filosofo Hans Jonas, già dalla fine degli anni sessanta dello scorso secolo.
Ma la cosa a mio avviso più sconcertante è constatare come anche la stampa cattolica sia acriticamente allineata sulle posizioni oggi dominanti, caratterizzate da assoluto plauso nei confronti di pratiche che vengono ritenute, senza alcuna ombra di dubbio, scientificamente, eticamente e civicamente encomiabili, nonché degne di essere alacremente promosse.
Caso emblematico è l’articolo apparso (qualche giorno fa) in prima pagina di Popotus, l’inserto dell’ Avvenire destinato ai ragazzi, in cui si racconta con grande enfasi di un trapianto di fegato “donato” da un uomo di 97 anni.
In merito a detto articolo, ho ritenuto doveroso scrivere al direttore del noto “Quotidiano di ispirazione cattolica”, esprimendo assai sinteticamente (e credo assai garbatamente) qualche perplessità e qualche (probabilmente piuttosto scomodo) interrogativo.
In assenza tuttora di risposta, ho deciso di pubblicare sul nostro sito, da sempre sostenitore e fautore del libero pensiero, il testo della mia lettera, nella speranza di riuscire a promuovere un sereno confronto di opinioni e di contribuire ad avviare un costruttivo quanto necessario dibattito scientifico ed etico-teologico.
Gentile Direttore,
sul numero di Popotus di giovedì 30 maggio, ho avuto la sgradevole sorpresa di imbattermi in una prima pagina occupata quasi per intero da un articolo (“La generosità è senza età”) di elogio nei confronti di coloro (anche molto in avanti con gli anni) che decidono di donare i propri organi a scopo di trapianto.
A tale proposito, mi permetta di farle presente una cosa non certo irrilevante, ma che troppo spesso viene ignorata o taciuta, e cioè che l’evento della cosiddetta donazione degli organi implica necessariamente il fatto che il soggetto donatore non sia in condizioni di morte cardiaca e respiratoria (ossia un vero e proprio cadavere) ma in quella condizione che, in seguito a quanto proposto-imposto dal Comitato di Harvard nel 1968, siamo soliti chiamare “morte cerebrale”, ovvero mancanza di segni oggettivamente registrabili di presenza di funzioni cerebrali.
Ora, le chiedo, perché tanta parte del mondo cattolico (pur non essendoci una posizione dottrinale ufficiale), ivi incluso il giornale da lei diretto, che mostra tanta encomiabile attenzione nei confronti degli embrioni e delle persone in stato vegetativo (anche da decine di anni), non si sente minimamente in dovere di porsi il problema di cosa sia veramente la condizione di coloro che vengono dichiarati (con procedure diverse da paese a paese!) “morti cerebrali” (anche dopo poche ore)?
Cosa le dà, mi chiedo, la categorica certezza che questi pazienti siano veramente privi di ogni forma di coscienza e che la loro anima (sempre che si voglia continuare a prendere in considerazione la sua esistenza) si sia realmente e definitivamente separata dal corpo?
Come può, mi chiedo, da uomo di fede e da uomo di cultura, ritenere che la scienza odierna (spesso ancora tanto discutibilmente positivistica e meccanicistica) possa pretendere di disporre di criteri e di strumenti perfettamente in grado di stabilire con infallibile certezza quando un individuo non sia più degno di essere considerato persona e, di conseguenza, non più doverosamente meritevole di venire come tale rispettato, e pertanto declassabile al livello di cosa inanimata?
Infine: possibile che lei non sia al corrente del fatto che non pochi illustri intellettuali cattolici come, ad esempio, il neonatologo Paul A. Byrne, il filosofo J. Seifert, il neurologo D. Alan Shewmon, la teologa Doyen Nguyen (recentemente impegnati a Roma in un convegno internazionale dal titolo “La Morte Cerebrale. Un’invenzione medico-legale: evidenze scientifiche e filosofiche”) sostengano fermamente, con ricchissime argomentazioni, che la morte cerebrale sarebbe un’invenzione di carattere eminentemente utilitaristico, del tutto priva di fondamenti scientifici e teologici, nata - come lo stesso Comitato di Harvard ebbe a dichiarare - per sollevare la collettività dal peso di tante persone in stato comatoso e di consentire ai medici espiantatori di non essere accusati di omicidio?
Possibile che lei non sia neppure minimamente sfiorato dall’atroce sospetto che l’invenzione della morte cerebrale (che permette di considerare morta una persona con il cuore che batte, il sangue che circola, capace di reagire positivamente a farmaci in caso di malattia, capace di portare felicemente avanti una gravidanza, nel caso di donna incinta) possa rappresentare, al di là della sua filantropica veste esteriore, l’espressione più cinica ed estrema della tanto giustamente deprecata “cultura dello scarto”?
Cordialmente,
Roberto Fantini
Questa la tesi sostenuta in un recente Congresso internazionale.
Una delle tante errate convinzioni intorno alla pratica dei trapianti è quella che, in merito ad essa ed al suo necessario presupposto teorico-pratico rappresentato dalla morte cerebrale, ci sia, all’interno della comunità scientifica, come all’interno del mondo religioso, un consenso totale e universale.
Le cose, in realtà, sono ben diverse. Numerosi sono gli scienziati, i teologi e i filosofi che, da sempre (a cominciare dagli scritti di Hans Jonas), avanzano riserve, sollevano dubbi ed esprimono ferme obiezioni e critiche decise nei confronti sia del criterio della morte cerebrale, sia nei confronti della pratica di espianto-trapianto di organi. Ma di queste voci, molte delle quali di indubbia autorevolezza, si preferisce non parlare. L’intera grancassa mediatica è infatti compattamente impegnata in una inesausta apologia della donazione degli organi e nell’esaltazione delle imprese chirurgiche attuate dalle équipes trapiantistiche. Per i perplessi, i dubbiosi e gli oppositori, sul palcoscenico mediatico non risulta esserci posto, neppure sottoforma di fugace comparsata.
Un importante tentativo di incrinare le alte muraglie che difendono le (presunte) certezze dei sostenitori dell’indiscutibilità dei trapianti di organi ha avuto luogo in questi giorni (20-21/05) a Roma, ad opera della John Paul II Academy for Human life and the Family (fondata da ex docenti dell’Accademia pontificia per la Vita), che ha dato vita ad un convegno internazionale (“La morte cerebrale”. Un’invenzione medico-legale: evidenze scientifiche e filosofiche) a cui hanno preso parte importanti scienziati, filosofi e teologi di fede cattolica, accomunati dal fermo rifiuto nei confronti della morte cerebrale.
Tutte di grosso spessore le relazioni di entrambe le giornate, vere miniere di puntuali informazioni scientifiche e di corpose argomentazioni filosofiche e teologiche.
Il filosofo Josef Seifert, uno dei padri spirituali dell’iniziativa, ha aperto i lavori dedicandosi, in particolar modo, a denunciare l’assoluta mancanza di giustificazioni di ordine scientifico alla base della decisione del Comitato ad hoc di Harvard che, nel 1968, propose-impose il nuovo criterio di definizione di morte, sganciandolo dalle attività respiratoria e circolatoria, e fondandolo unicamente sul riconoscimento della cessazione delle funzioni cerebrali.
Le uniche due motivazioni addotte dal Comitato, infatti, furono esclusivamente di carattere pragmatico ed utilitaristico:
sollevare la collettività dal peso di numerosi pazienti mantenuti nelle strutture ospedaliere in condizioni di assenza di coscienza;
sollevare i medici espiantatori dal rischio di essere accusati di omicidio nei confronti dei pazienti “donatori”.
“La morte cerebrale - ha detto Seifert - è una delle maggiori vergogne della medicina”, responsabile dell’uccisione di migliaia di persone a cui vengono tolti gli organi “da vive”.
Il neurologo Thomas Zabiega ha sottolineato, poi, come la morte cerebrale non sia altro che una diversa definizione di quella condizione denominata da Mollaret e Goulon, nel 1959, coma dépassé (ossia coma irreversibile), mettendo anche in luce che i criteri adottati per la morte cerebrale, invece che rafforzarsi, sarebbero stati indeboliti rispetto a quelli precedentemente adottati.
Con particolare incisività, poi, il neurologo si è soffermato nel sostenere l’inaccettabilità morale di criteri di ordine utilitaristico ed emozionale, esulanti da adeguate valutazioni di natura rigorosamente razionale.
Particolarmente coinvolgenti sono risultati i contributi di Paul Byrne, neonatologo statunitense, il quale, anche utilizzando numerose immagini e filmati, ha operato una variegata rassegna di casi (da lui seguiti in prima persona) di individui strappati alle procedure di espianto, grazie ad una serie di circostanze propizie, prima fra tutte l’opposizione dei familiari. Toccantissima, fra le tante, la vicenda di Joseph, nato prematuro nel 1975 che, nonostante l’EEC piatto e la conseguente dichiarazione di morte cerebrale, continuò ad essere curato con eroica caparbietà, potendo così sopravvivere, godere di una vita normale, essere, oggi, felice padre di famiglia.
“Quante altre persone - si è chiesto Byrne, vero indomabile combattente a favore degli individui più fragili e vulnerabili - avrebbero potuto essere salvate qualora le cure non fossero state troppo frettolosamente interrotte?”
L’anziano pediatra è stato categorico:
“Non ha senso - ha detto - essere “donatori”: ogni organo è preso da un essere vivente!”
“Nel caso di persone veramente morte - ha poi aggiunto - le si porta in obitorio, non in sala operatoria, somministrandole accuratamente farmaci immobilizzanti. Questa si chiama vivisezione!”
Davvero molto interessanti, infine, gli interventi densissimi di Doyen Nguyen, ematopatologa e teologa morale,* soprattutto per quanto concerne l’analisi condotta, con rara perizia ermeneutica, delle parole pronunciate da papa Giovanni Paolo II in uno storico discorso al 18° Congresso Internazionale della Società dei trapianti, del 29 agosto 2000, parole erroneamente ed arbitrariamente intese da molti (cattolici e non) come una sorta di implicita approvazione della pratica trapiantistica.
La Nguyen ha evidenziato, in maniera assai efficace, che il pontefice si trovò ad insistere chiaramente nel sottolineare come l’eventualità del prelevamento degli organi dovrebbe essere sempre inderogabilmente subordinata al rispetto di ben precise pre-condizioni:
adeguata corretta informazione e consenso pienamente consapevole ed esplicito da parte del paziente-donatore;
accertamento senza il minimo margine di dubbio della reale condizione di morte del paziente-donatore (prelievo “ex cadavere”);
applicazione di criteri di accertamento della morte universalmente accolti ed approvati dall’unanime comunità scientifica.
Insomma, pre-condizioni che, nella realtà vigente, non sono mai rispettate e che, nel caso lo fossero davvero, verrebbero a rendere pressoché nulle le reali possibilità di espianto-trapianto di organi.**
NOTE
** PER SAPERNE DI PIU’:
Fondamentale il sito della Lega Nazionale contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente : www.antipredazione.org
- Paolo Becchi, Morte cerebrale e trapianto d’organi, Morcelliana, Brescia 2008
- Roberto Fantini, Vivi o morti? Morte cerebrale e trapianto di organi. Certezze vere e false, dubbi e interrogativi, Efesto, Roma 2015
Sabato 25 maggio, presso il Teatro Golden di Roma, si è svolta la cerimonia di premiazione del concorso nazionale per le scuole “Un Corto per i Diritti Umani”.
Il concorso, giunto al quarto anno, è un’iniziativa ideata e progettata dall’Associazione per i Diritti Umani e la Tolleranza Onlus nell’ambito del progetto Gioventù per i Diritti Umani, in collaborazione con la prestigiosa Academy del Teatro Golden di Roma, la cui direzione didattica è affidata dal 2004 all’attrice, ballerina e coreografa Laura Ruocco.
Lo scopo del progetto – che anche quest’anno ha visto la partecipazione di un altissimo numero di istituti primari e secondari di tutta la nazione - è promuovere la conoscenza, la divulgazione e l’applicazione dei Diritti Umani, cosi come espresso nella Dichiarazione Universale promulgata dalle Nazioni Unite.
La giornata di premiazioni si è aperta con un laboratorio teatrale – presso la sede dell’omonimo teatro capitolino – offerto alle scuole dalle straordinarie e coinvolgenti docenti dell’Academy del Teatro Golden Laura Ruocco e Barbara Pieruccetti, ed è proseguita con la consegna dei premi ai primi 3 classificati e delle menzioni speciali a 7 corti, scelti fra gli oltre 70 video partecipanti al concorso dalla giuria di esperti, fra cui la giornalista e docente di cinema e regia Ketty Carraffa.
Vincitori della terza edizione del concorso: per la categoria Scuole medie, il corto dal titolo “Libertà di Espressione”, realizzato dagli studenti dell'I.C.S. “P. Impastato Polo 1” di Veglie (LE), mentre per la categoria Scuole superiori, il corto dal titolo “Anch’Io, Anche Noi” presentato dall’I.S. “Notarangelo-Rosati” di Foggia.
Tre le menzioni di merito attribuite alle scuole medie in concorso: Menzione per la scenografia e la creatività al corto “Civitafarfalla” presentato dall’Istituto “Ennio Gallice” di Civitavecchia (RM); Menzione per la sceneggiatura e la recitazione al corto “Sopravvissuti” realizzato dalla Scuola secondaria “Dante Alighieri” di Selargius (CA) e Menzione speciale per la recitazione a Sofia Mayer per il ruolo nel corto “Speciale Tg Bullismo” dell’I.C. "Antonio Gramsci" di Aprilia (LT).
Quattro invece le menzioni di merito consegnate alle scuole superiori: Menzione per la grafica e il sound design al corto “Un valore inestimabile” del Liceo Artistico “Camillo Golgi” di Breno (BS); Menzione per la recitazione e l’ambientazione al corto “No Torture” realizzato dalla Rome International School (RM) e Menzione per il soggetto originale al corto “Guardami adesso” presentato dall’I.S.I.S. “EUROPA” di Pomigliano d’Arco (NA). Menzione speciale per la recitazione a Lorenzo Bruni per il ruolo nel corto “Siamo nati tutti uguali” del Liceo Scientifico "A. Messedaglia" di Verona.
Anche per questa quarta edizione, la splendida scultura in ceramica omaggiata ai vincitori del concorso è stata realizzata dal ceramista Antonio Grieco, maestro d’arte di grande spicco del panorama artistico romano.
Con la vicenda della professoressa di Palermo sottoposta a severi provvedimenti disciplinari perché ritenuta (direttamente o indirettamente) responsabile del video realizzato da alcuni suoi alunni, in cui vengono proposti accostamenti fra dolorose pagine del nostro passato e molto discusse scelte politiche del nostro presente, ci troviamo di fronte a qualcosa di cui appare davvero arduo quantificare e qualificare la gravità.
Ciò che più appare inquietante ed estremamente allarmante del fatto che delle autorità istituzionali si siano sentite in diritto-dovere di intervenire in merito a quanto operato all’interno di una scuola in un ambito di carattere storico-culturale è l’evidente mancanza di consapevolezza messa in mostra da dette autorità rispetto a princìpi e valori di cui si parla da qualche secolo e che, dopo tanta fatica e tanto sangue, sono stati proclamati diritti inviolabili e inalienabili della persona da tutti i fondamentali documenti del diritto internazionale e da quella cosa non proprio irrilevante che chiamiamo Costituzione della Repubblica Italiana.
Ora, a mio avviso, il problema che dovremmo porci tutti, con la massima determinazione e con la massima urgenza, non è se i fanciulli palermitani dicano cose più o meno giuste, sensate o balorde, e neppure se la loro professoressa li abbia adeguatamente “sorvegliati”, bensì il seguente:
le cariche pubbliche che hanno deciso di applicare ai danni dell’insegnante la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione relativa hanno compiuto qualcosa di legittimo o qualcosa che fuoriesce dalla legalità costituzionale, calpestando libertà di pensiero, libertà di espressione, libertà di insegnamento, ecc.?
E, nel caso si riscontrasse (come a me appare del tutto evidente) che sia stato compiuto un atto totalmente arbitrario e giuridicamente insostenibile, i responsabili del provvedimento disciplinare in questione possono ancora meritare di restare ad occupare il posto che occupano, retribuiti da pubblico danaro?
Un’ultima considerazione:
in queste ultime ore si sta innescando una patetica gara tra ministri e cariche dello Stato nel manifestare solidarietà e/o volontà di incontrarsi con la professoressa umiliata e sospesa.
Possibile che non si comprenda che il potere politico, invece di limitarsi a scrivere letterine e ad esprimere desideri per future cordiali chiacchierate, dovrebbe sentirsi in assoluto dovere di adoperarsi a restituire alla docente la dignità professionale che le è stata sottratta, consentendole di riprendere immediatamente il suo posto in mezzo ai suoi alunni?
Il quadro globale relativo alla pena di morte delineato dall’ultimo rapporto di Amnesty International presenta, nello stesso tempo, dati di segno contrastante. Se, infatti, risulta certamente positivo il fatto che il Burkina Faso abbia adottato un nuovo codice penale abolizionista, che Gambia e Malaysia abbiano annunciato una moratoria ufficiale sulle esecuzioni, che negli USA la legge sulla pena di morte dello stato di Washington sia stata dichiarata incostituzionale e che, nel corso dell’Assemblea delle Nazioni Unite, ben 121 stati abbiano votato a favore di una moratoria (con la sola opposizione di 35 Stati), altri dati risultano assai meno incoraggianti. Fra questi:
l’aumento delle esecuzioni in Bielorussia, Giappone, Singapore, Sud Sudan e Usa; la prima esecuzione in Thailandia dal 2009; il quadruplicarsi delle condanne in Iraq; la crescita del 75 per cento in Egitto, a causa di condanne a morte in massa al termine di processi palesemente iniqui, imperniati su “confessioni” estorte tramite tortura.
In ogni modo, nonostante tali parziali regressi, dai dati complessivi del 2018 la pena di morte risulta stabilmente in declino, essendo il numero delle esecuzioni documentate calato del 30 per cento, raggiungendo pertanto il valore più basso registrato nel corso degli ultimi dieci anni. Inoltre, anche il numero dei paesi che hanno eseguito sentenze capitali appare ridotto.
Va sempre tenuto presente, però, il perdurare in Cina del segreto di stato relativamente all’uso della pena di morte, cosa questa che non impedisce di ritenere, in maniera sufficientemente fondata, che le condanne e le esecuzioni continuino sistematicamente nell’ordine delle migliaia.
“La drastica diminuzione delle esecuzioni dimostra che persino gli stati più riluttanti stanno iniziando a cambiare idea e a rendersi conto che la pena di morte non è la risposta”, ha dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International.
Questo bilancio cautamente ottimistico è costretto a fare i conti, però, anche con le recenti informazioni provenienti dall’ Arabia Saudita, dove si è da poco verificata l’esecuzione di ben 37 prigionieri (fra cui anche un minorenne) condannati per “terrorismo”, in seguito a processi irregolari basatisi su “confessioni” ottenute attraverso il ricorso alla tortura.
Undici prigionieri erano stati condannati per spionaggio in favore dell’Iran, mentre almeno altri quattordici per reati violenti nell’ambito di manifestazioni contro il governo che si erano svolte tra il 2011 e il 2012, nella Provincia orientale a maggioranza sciita.
Tra i prigionieri messi a morte c’era anche Abdulkareem al-Hawaj, un giovane sciita arrestato a 16 anni, sempre per reati commessi durante manifestazioni antigovernative. La sua esecuzione costituisce una evidente violazione del divieto assoluto di usare la pena di morte contro minorenni.
“Questa esecuzione di massa - ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International - mostra ancora una volta e in modo agghiacciante il profondo disprezzo delle autorità saudite per la vita umana e l’uso della pena di morte come strumento di repressione politica contro la minoranza sciita del paese“,
Finora, nel 2019, in Arabia Saudita sono state eseguite almeno 104 condanne a morte, 44 delle quali nei confronti di cittadini stranieri, per lo più per reati di droga. In tutto il 2018 le esecuzioni erano state 149.
Tra coloro che restano in attesa di esecuzione vi sono Ali al-Nimr, Dawood al-Marhoon e Abdullah al-Zaher, tre sciiti minorenni al momento del reato per cui sono stati condannati a morte.
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Aveva sicuramente ragione Norberto Bobbio quando ci diceva che la realtà dei diritti umani è in perenne movimento e destinata ad espandersi e ad arricchirsi sempre più. Ma è anche vero che si tratta di una realtà fragile e vulnerabile, che può subire, in tempi anche molto brevi, attacchi gravi e dolorosi regressi e limitazioni .
E’ proprio quanto si sta verificando nel piccolo stato del Brunei, in cui, a partire dal 3 aprile, entrerà in vigore il nuovo codice penale basato sulla shari’a, che comporterà l’introduzione di punizioni crudeli e disumane, quali la lapidazione per atti sessuali compiuti da persone dello stesso sesso e l’amputazione per il reato di furto.
Rachel Chhoa-Howard, ricercatrice di Amnesty International per il Brunei, ha dichiarato che
“Il Brunei deve fermare immediatamente questi feroci provvedimenti e deve rivedere il codice penale in conformità con i suoi obblighi in materia di diritti umani. La comunità internazionale deve condannare urgentemente la decisione del Brunei di applicare queste pene crudeli”.
Aggiungendo anche che
“Legittimare sanzioni così crudeli e disumane è già terrificante, ma alcuni dei ‘reati’ previsti, come ad esempio i rapporti fra persone dello stesso sesso consenzienti non dovrebbero nemmeno essere considerati tali ”.
In realtà, già dal lontano aprile del 2014, in occasione dell’entrata in vigore della prima parte dello stesso codice penale, Amnesty International aveva prontamente espresso le proprie preoccupazioni, in quanto tale codice (limitando anche in modo evidente i diritti alla libertà di espressione, religione e credo, e legittimando la discriminazione nei confronti dei soggetti femminili) risulta viziato da una serie di disposizioni lesive dei diritti umani più elementari.
E’ da precisare che il sultanato del Brunei non ha ancora ratificato la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, respingendo tutte le raccomandazioni provenienti dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Ciò benché le norme internazionali sui diritti umani proibiscano con fermezza tutte le punizioni corporali come la lapidazione, l’amputazione o la flagellazione, ritenute a tutti gli effetti vere e proprie forme di tortura.
Tale divieto, tra l’altro, è riconosciuto come una norma perentoria del diritto internazionale consuetudinario e quindi vincolante anche nei confronti di stati non aventi siglato alcun trattato in merito: tutti gli atti di tortura costituiscono crimini in base al diritto internazionale.
Ha destato grandissimo sgomento e dolore in tutto il mondo il duplice attentato terroristico che nella città di Christchurch ha colpito i fedeli musulmani riuniti in moschea per la preghiera comunitaria del Venerdì. Ben 49 vite sono state stroncate.
In tutto il mondo, accanto alla condanna nei confronti di questo crimine brutale, tanto più grave in quanto perpetrato nei confronti di vittime innocenti raccolte in un luogo di culto, è stata espressa una forte solidarietà nei confronti delle vittime, dei loro familiari, delle comunità musulmane e del popolo neozelandese sconvolto da questo evento tragico accaduto nel proprio paese, solidarietà alla quale ci associamo umanamente e spiritualmente attraverso la preghiera.
Di fronte a tali orrori, che si aggiungono ad altri analoghi ai quali abbiamo assistito in questi anni, esprimere solidarietà implica anche interrogarsi a fondo sulle cause che spingono certe menti, magari più ossessionate e disperate, a sviluppare strategie di morte nella tragica illusione di rimuovere la sfida della coesistenza nelle differenze, resa ancor più delicata ed impegnativa in questo cambiamento d’epoca indotto dalla globalizzazione.
Gli attentatori si sono richiamati senza remore ad una “_white supremacy_” in nome della quale si sarebbero impegnati in modo militante fino alla perversa azione terroristica.
Lasciamoci interrogare da questo “bisogno”, che in loro è diventato ossessivo, di _supremacy_.
Come persone delle differenti fedi e religioni, come leaders politici, come educatori , come uomini e donne di cultura, abbiamo fatto abbastanza ed in modo appropriato per arginare in noi stessi ed intorno a noi la tendenza “istintiva” alla _supremacy_ religiosa, culturale, comunitaria, etnica e nazionale nei confronti degli altri?
Molto è stato fatto dopo il disastro del secondo conflitto mondiale e certamente, oltre alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ha avuto un significato fondamentale l’avvio di un cambiamento di rapporti tra le religioni in direzione del riconoscimento reciproco, del dialogo e della cooperazione per il bene comune, ma molta strada resta da fare affinché non si continui a disattendere il comandamento fondamentale del “_Non Uccidere_” in nome di ideologie e scontri di civiltà.
www.religioniperlapaceitalia.org
Papa Francesco non ha certo perso tempo. Nei confronti della pena di morte, infatti, fin dall’inizio del suo pontificato, e in più circostanze, ha assunto una ferma posizione di condanna. Ne costituisce un esempio particolarmente significativo la corposa Lettera rivolta al Presidente della Commissione internazionale contro la pena di morte (20 marzo 2015), in cui vengono formulate numerose tesi che, a parte qualche riferimento dottrinale, risultano in palese sintonia con i punti cardine su cui, da qualche secolo, si incentrano i discorsi e le battaglie del movimento abolizionista mondiale.
Eccole:
- Soltanto Dio è Signore della vita umana e nessun criminale, anche il più spietato, potrà perdere del tutto la sua dignità personale (di cui Dio stesso è garante).
- A favore della pena di morte non può essere invocata la legittima difesa, in quanto tale pena viene applicata per danni commessi nel passato (a volte molto lontano), a persone già totalmente neutralizzate, private della propria libertà.
- Per quanto, quindi, possano essere gravi i delitti del condannato, la pena di morte risulta essere un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana.
- Non solo la pena di morte è incapace di rendere giustizia alle vittime, ma finisce per fomentare mentalità e comportamenti vendicativi.
- La pena di morte, costringendo lo Stato di diritto ad uccidere “in nome della giustizia”, rappresenta un suo tragico fallimento, non potendosi mai raggiungere vera giustizia sopprimendo vite umane.
- L’innegabile e ineliminabile “difettosa selettività del sistema penale” implica l’impossibilità di escludere con certezza il verificarsi di errori giudiziari. L’irrazionale rifiuto di prendere atto di ciò potrebbe sempre trasformare l’imperfetta giustizia umana in fonte di ingiustizie.
- Con l’applicazione della pena capitale si viene a negare irrimediabilmente al condannato la possibilità di portare avanti un percorso di riparazione del danno prodotto, nonché di esperire un processo di conversione interiore e di “contrizione, portico del pentimento e dell’espiazione”.
- La pena di morte è risultata essere uno strumento tristemente efficace nelle mani dei regimi totalitari per l’eliminazione “di dissidenti politici, di minoranze, e di ogni soggetto etichettato come «pericoloso»”.
- La pena di morte, implicando un trattamento crudele, disumano e degradante “è contraria al significato dell’humanitas e alla misericordia divina, che devono essere modello per la giustizia degli uomini.” Essa, infatti, oltre alla sofferenza che viene inflitta al condannato al momento dell’esecuzione, comporta un’incalcolabile “angoscia previa al momento dell’esecuzione e la terribile attesa tra l’emissione della sentenza e l’applicazione della pena, una «tortura» che, in nome del dovuto processo, suole durare molti anni, e che nell’anticamera della morte non poche volte porta alla malattia e alla follia”.
- I vari tentativi portati avanti, nel corso della storia, per rendere (o far apparire) meno doloroso e meno disumano il meccanismo di morte sono decisamente fallimentari, in quanto non esiste e non potrà mai esistere “una forma umana di uccidere un’altra persona” .
- Nel tempo attuale, è necessario tenere presente che, oltre all’esistenza di mezzi idonei alla repressione del crimine “ senza privare definitivamente della possibilità di redimersi chi lo ha commesso (cfr. Evangelium vitae, n. 27)”, si va affermando sempre più una sensibilità morale che, in nome del valore della vita, esprime crescente dissenso verso la pena di morte e crescente sostegno verso chi si batte contro di essa.
La Lettera, poi, dopo aver messo in luce come la pena dell’ergastolo, implicando, per il condannato, non soltanto la perdita della libertà, ma anche quella della speranza, meriti di essere considerata una sorta di “pena di morte occulta”, si conclude con l’affermare che la pena capitale verrebbe ad implicare “la negazione dell’amore per i nemici, predicata nel Vangelo”, e con l’incitare (attraverso una citazione del precedente discorso del 23 ottobre) tutti i credenti a battersi a favore dell’abolizione:
«Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà».
Ma il fatto più rilevante e, per certi versi, più clamoroso, della predicazione abolizionista condotta da Francesco è l’essersi tradotta nella richiesta di revisione di quanto asserito nel Catechismo cattolico. Il quale, nella prima edizione del 1992, ribadiva che “l’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte”. Formulazione che, in seguito alle non poche critiche suscitate, era stata successivamente modificata, nel 1997, in modo da arrivare a ritenere la pena capitale (pur non ancora del tutto esclusa a livello teorico) oramai anacronistica, non ponendosi praticamente mai (o quasi mai) “casi di assoluta necessità di soppressione del reo”.
Ora, la nuova versione approvata da papa Francesco ha l’enorme pregio di abbandonare qualsiasi incertezza ed ambiguità, esprimendo finalmente un rifiuto radicale ed assoluto della pena di morte.
Il nuovo paragrafo 2267, dopo aver ricordato che “per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune”, asserisce che, nel mondo di oggi, “è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi”, nonché “una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato”.
E, dopo aver sottolineato che sono oramai “stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi”, si arriva solennemente ad affermare (citando sempre il discorso di Francesco dell’ottobre del 2017) che
“la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che ‘la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona’, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”.
Secondo monsignor Fisichella (Rino Fisichella, La pena di morte è inammissibile, Osservatore Romano del 2 agosto 2018), la riformulazione del pensiero della Chiesa in merito alla pena di morte (giustificata e praticata per lunghi, terribili secoli) è una evidente oggettivazione di “un vero progresso nella comprensione dell’insegnamento sulla dignità della persona”. Ci troveremmo dinanzi, infatti, ad “un vero progresso dogmatico con il quale si esplicita un contenuto della fede che progressivamente è maturato fino a far comprendere l’insostenibilità della pena di morte ai nostri giorni.”
Insomma, per parlare chiaramente e onestamente, la Chiesa cattolica, che da qualche millennio si arroga il diritto di essere la vera ed unica depositaria e interprete della parola rivelata, finalmente riconosce che le incalcolabili vittime delle esecuzioni capitali verificatesi nel corso del tempo col suo beneplacito (o, addirittura, per sua volontà) non sono che l’effetto di una sua errata comprensione del Vangelo!
Ma non sarebbe, allora, più corretto parlare di palese e dolorosa conseguenza di una vergognosa dimenticanza del Vangelo, o, meglio, di un ancor più vergognoso tradimento dei fondamentali valori del Vangelo?!
E sarebbe eccessivo a questo punto, mi domando, pretendere che la stessa Chiesa, dopo aver riconosciuto (per dirla con le parole di papa Francesco) di non essere stata in grado, fino ad ora, di percepire la “luce del Vangelo” in merito all’”inviolabilità e dignità della persona”, si senta perlomeno in dovere di chiedere perdono alle innumerevoli vittime e a tutti coloro che, per aver tentato di aiutarla a scorgere un po’ di quella luce, sono stati da lei vessati, perseguitati e spesso soppressi in qualità di “eretici”? … nonché, infine, a tutta l’umanità che dal suo magistero ha ricevuto non luce ma tenebra?!
Roberto Fantini