L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Qualche anno fa, il teologo valdese Paolo Ricca scriveva, con non poca amarezza, che, nel mondo contemporaneo, risultava non aver più alcun posto la questione dell’aldilà e di una possibile vita futura, questione “che in altri tempi appassionava l’opinione pubblica ed era considerata e vissuta come assolutamente prioritaria, cioè come la questione principale di questa vita, quella che ciascuno doveva affrontare, perché questa vita aveva senso e valore (così, allora, si pensava) proprio come preparazione al “grande salto” nell’aldilà”. 1)
Oggi, diceva, il tema dell’aldilà non interessa quasi più nessuno, perché: “La speranza generale è di prolungare il più possibile questa vita."2) Anzi, potremmo dire che l’unica vera preoccupazione che ci trova tutti d’accordo, credenti e non credenti, è proprio quella del vivere il più a lungo possibile, evitando sistematicamente di interrogarsi in merito all’evento del morire.
Non ci si interrogherebbe più, di conseguenza, in merito al vivere buono e giusto, ma soltanto in merito a come riuscire a proiettare sempre più lontano dalla nostra coscienza l’idea di quell’evento (visceralmente inaccettabile) che tutti ci attende. Potremmo dire che mai l’umanità è stata tanto risucchiata in una visione così banalizzante del vivere, in cui si fondono, in una sorta di sabbie mobili dello spirito: rozzo edonismo, semplicistico ottimismo e cieco fideismo scientista.
Il risultato di ciò è che, di fronte al fatto ineludibile della morte, mai ci siamo trovati così indifesi, così impreparati, così vulnerabili.
Due colossali conferme di tale nostra generale condizione psicologica le possiamo ricevere dall’ analisi di come l’opinione pubblica stia acriticamente accogliendo, da alcuni decenni ormai, la pratica dei trapianti di organi e come, in questi ultimi anni, abbia ampiamente subìto (o anche abbracciato) le politiche vaccinali.
In entrambi i casi, la vittima principale è il pensiero coraggioso e indipendente: anche il più elementare buon senso, infatti, si è ritrovato annichilito.
Di fronte al timore della morte incombente e all’allettantissima possibilità di riuscire a rinviarla a tempo indeterminato, ci siamo (in troppi e troppo facilmente) dimostrati pronti a spegnere gli interruttori del normale pensare, gettandoci incondizionatamente nelle braccia onniscienti ed onnipotenti dei Gran Sacerdoti di Santa Madre Scienza.
E, così, ci siamo ritrovati ad accettare, senza troppi indugi, che, una volta adottate parole ingannevoli come “morte cerebrale”, “donatore”, ecc., si possa essere dichiarati morti e quindi macellati come cadaveri, pur respirando, pur avendo sangue circolante e organi sessuali in grado di procreare; che si possa essere considerati morti anche se con organismo caldo e in grado di rispondere a eventuali cure.
E, così, siamo giunti ad accettare di subire poliziesche imposizioni, facendoci inoculare (disposti ad assumerci ogni responsabilità in merito alle possibili conseguenze) un qualche siero dichiarato arbitrariamente “vaccino”, benché sprovvisto dei doverosi oggettivi requisiti; un qualche siero protetto dalla massima segretezza, in merito a cui nessuno (nemmeno chi lo produce) è in grado di fornirci alcuna reale garanzia.
In entrambi i casi, è il terrore della morte ad ammutolire il nostro intelletto, ad indurci a mettere da parte, nello stesso tempo,
innati princìpi logici,
universali paradigmi etici,
costituzionali valori civili.
Per salvarci dal naufragio esistenziale, individuale e collettivo, bisognerebbe quindi, oltre che non smettere mai di esercitare il “dubbio metodico”, riuscire a liberarci da un rapporto malato con il problema della morte, recuperando quanto di meglio ci proviene dall’antica sapienza filosofica e dalla migliore psicologia contemporanea. Ovvero, riscoprendo la “naturalezza” del morire (indissolubilmente legato al vivere), magari anche riappropriandoci di prospettive aperte all’eventualità di ultraterrene esperienze.
Socrate, Epicuro, Seneca e tanti altri giganti del passato potrebbero esserci di grande aiuto:
“Tutte le cose – scrive, ad esempio, Seneca - procedono secondo tempi ben definiti: debbono nascere, crescere, estinguersi. Questi astri che vedi correre sopra di noi e questa materia terrestre a cui siamo attaccati e che ci sembra così solida, si logoreranno e finiranno: ogni cosa ha la sua vecchiaia. La natura, attraverso diseguali cicli di vita, dirige tutte le cose allo stesso punto. Tutto quello che esiste cesserà di essere, non per annullarsi, ma per decomporsi. La decomposizione noi la chiamiamo morte: noi vediamo solo l’aspetto esteriore delle cose, ma la nostra mente ottusa e a discrezione del corpo non vede che quel che sta al di là. L’uomo sopporterebbe con più coraggio la fine sua e dei suoi cari, se credesse che, come tutto il resto, la vita e la morte si avvicendano e i composti si dissolvono e si ricompongono i corpi dissolti, e a quest’opera si rivolge l’attività di dio, che tutto regola.” 3)
E anche scienziati all’avanguardia e liberi da pregiudizi di ordine positivistico, come la psichiatra Elizabeth Kubler-Ross, potrebbero costituire una fonte di terapeutica saggezza:
“Se viviamo bene non dovremo mai preoccuparci della morte, anche se si vive solo un giorno. La questione tempo non è importante, è solo un concetto artificiale, creato dall’uomo.
Vivere bene significa soprattutto imparare ad amare.”4)
Insomma, non c’è vera possibilità di difenderci dalle schiavitù del presente e da quelle di un ipotetico-probabile avvenire, senza una vera liberazione interiore dalla paura più grande, quella del più non esserci. E l’angoscia della morte è curabile solo grazie alla carità illuminata dal giusto pensiero e coronata da un giusto operare volto ad occuparci della sofferenza del mondo.
Forse ha ragione Fernando Savater nel dirci che soltanto i veri poeti sanno rapportarsi alla morte:
“i poeti accettano la morte opponendole l’altra grande forza che ci individualizza, che ci personifica: l’amore. Ciò che è incompatibile con la morte non è vivere (la vita esige la morte), ma amare: l’amore disconosce la forza della morte, anche se amiamo consci della nostra mortalità e di quella di ciò che amiamo.” 5)
Un cuore colmo di amore è e resterà luce che si espande.
Nel nostro paese, incontestabilmente il più straricco di tesori artistici, sta diventando sempre più difficile poter visitare chiese e musei per chi non gode di brillanti condizioni fisiche e di altrettanto brillanti condizioni economiche.
Ecco qualche esempio eloquente.
Duomo di Firenze: quando l'altare resta vuoto, le sedie previste per lo svolgimento delle funzioni religiose vengono rigorosamente recitate ed interdette all'uso da parte dei comuni visitatori.
Basilica di San Marco a Venezia: recinzioni ovunque, in modo da rendere impossibile potersi sedere anche negli angoli più reconditi.
Palazzo Ducale a Venezia: percorso lungo, con non pochi gradini, in ambienti con spazi immensi del tutto spogli di appositi arredi, oppure grandi panche lignee severamente proibite ai visitatori.
Da tener presente che, in siti artistici del genere, le cose più importanti da osservare (e magari anche da gustare) sono collocate in alto, cosa questa che, stando in posizione eretta, richiede l'assunzione di una postura inconsueta, che ai più risulta ardua ed anche piuttosto dolorosa.
Domanda:
perché non cercare di rendere un pochino più agevole e gradevole la visita a tutti e soprattutto alle persone non particolarmente atletiche?
I costi di visite museali sono diventati, poi, decisamente eccessivi e tutt'altro che attrattivi.
Palazzo Ducale di Venezia prevede un biglietto di 30 euro;
la Galleria degli Uffizi di Firenze, da marzo a tutto ottobre, ha portato il costo a 25 euro;
il Museo Archeologico di Napoli ha un costo di 22 euro.
Le agevolazioni per gli anziani sopravvivono encomiabilmente soltanto qua e là (vedi la Scuola Grande di San Rocco a Venezia), e sempre più numerose stanno diventando le chiese in cui si richiede un biglietto di ingresso. Il caso probabilmente più eclatante ed irritante è costituito dalla Basilica di San Marco: 3 euro per l'accesso, altri 5 per poter ammirare la Pala d'Oro, e altri 7 per accedere alla Loggia e relativo Museo! E qualcosa di simile si verifica con il Duomo di Milano, con varie opzioni, dal semplice ingresso in chiesa, al Museo e alle Terrazze (con o senza ascensore).
Forse sarebbe opportuno chiederci, allora, se siamo veramente disposti a credere in quanto tutti coloro che sono a capo di qualche istituzione - civile, religiosa, pubblica e privata - ci dicono con solennità e fervore:
Oppure, al di là delle tante magniloquenti e nobilitanti dichiarazioni, preferiamo rassegnarci, in maniera assai meno poetica, ad accettare che lo sterminato patrimonio artistico-culturale del nostro paese venga cinicamente gestito come una straordinaria “macchina per quattrini”, meritevole di essere resa sempre più produttiva, rivolta soltanto a coloro che hanno cartella clinica in ordine e portafoglio gonfio?
Che la Cultura dei Diritti Umani non godesse di ottima salute, nonostante le tante dichiarazioni d’amore provenienti dalle fonti più disparate, molti di noi lo supponevano e se ne preoccupavano da tempo. Numerosi erano i segnali inquietanti. Numerose le manifestazioni di fragilità della coscienza etico-civile generale. Dalle bombe Nato su Belgrado di fine millennio alla caccia al feroce talebano in terra afghana, dalle (inesistenti) armi di distruzione di massa irachene agli attuali isterismi russofobi, passando per una psicopandemia alimentata dall’inganno, dalla menzogna, dalla censura e dalla manipolazione dell’informazione, ci era giunto un messaggio inequivocabile:
per i governanti cosiddetti democratici e per buona parte delle popolazioni cosiddette civilizzate, i Diritti Umani sono cosa buona e giusta soltanto se la loro affermazione risulta essere più o meno conciliabile con le proprie esigenze e mai fonte di problematicità, di rinuncia e di scelte percepite come pericolose e dolorose. Una sorta, cioè, di buoni e nobili princìpi e propositi destinati ad essere rapidamente accantonati di fronte all’immigrato che invade prepotentemente i nostri spazi vitali, al “nemico” che ci appare contrastare il nostro strapotere, al non vaccinato che mette scelleratamente a repentaglio la salute dell’intera collettività (ammirevolmente obbediente e responsabile!).
In pratica, si potrebbe dire che, nei confronti dei Diritti Umani, è accaduto un po’ quello che si è verificato per secoli, all’interno delle Chiese cristiane, nei confronti del mite (ma scomodissimo) profeta nazareno: cori di Osanna e di domenicali benedizioni, ma solo e sempre a patto di ignorare-dimenticare tutto quanto sappia di scandalo, di disorientamento, di invito radicale a rivoluzionare il proprio modo di pensare e di essere.
La filosofia dei Diritti Umani non è facile da comprendere, e ancora più difficile da accogliere e coerentemente rispettare.
E per tanti motivi. Per uno, sopra a tutti gli altri:
i Diritti Umani pretendono di essere Universali, ovvero di essere veri e validi per TUTTI, senza alcuna possibile forma di distinzione.
Ma perché, potremmo chiederci, dovrebbero valere per tutti, proprio per tutti?
Il Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948 ci offre una risposta secca e pragmatica, ancorata alle tragiche vicende storiche del recente passato:
Continuando a rifiutare questo ragionevolissimo invito, continueremo a sprofondare nelle letali sabbie mobili del chiacchiericcio politichese e della retorica ipocrita e meschina.
Scriveva, più di mezzo secolo fa, Aldo Capitini, lungimirante maestro di saggezza:
“Bisogna muovere (…) da ogni essere a cui possiamo dire un tu, dargli un’infinita importanza, un suo posto, una sua considerazione, un suo rispetto ed affetto.
Finora non si è mai fatta veramente questa apertura ad ogni essere, un singolo essere e un altro singolo essere, con l’animo di non interrompere mai.
Perché non si è avuta questa apertura precisa e infinita?
Perchè si è trovato il modo di appoggiarsi a qualche cosa dicendo che era più importante:
i religiosi a Dio, i filosofi all’Idea universale, i politici allo Stato o alla Rivoluzione;
trascurando gli esseri,
anzi distruggendone alcuni senza rimorso.”*
Insomma, dovremmo sentirci tutti di fronte ad un bivio, chiamati, uno per uno, a scegliere da che parte stare:
o entrare finalmente nella dimensione dell’affratellamento egualitario e solidale, abbandonando qualsiasi politica caratterizzata dai privilegi, dalle gerarchie, dalle esclusioni e dalle discriminazioni di ogni tipo,
oppure rassegnarsi ad un futuro all’insegna della paura, sottoposto alla tirannia dell’odio e all’incubo della violenza.
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*Aldo Capitini, Il Potere di Tutti, Guerra Edizioni, Firenze 1969.
In vista di una efficace Educazione ai Diritti Umani, l’insegnamento della Storia, in ambito scolastico e ben lontano dalla retorica tracimante dagli ingranaggi mediatici e politici, è certamente in grado di offrire un contributo straordinariamente prezioso.
Dovrebbe trattarsi, però, di un insegnamento liberato, oltre che da letture ideologicamente viziate, da tutti quegli infecondi nozionismi e schematismi imparaticci che, troppo spesso, fanno apparire la Storia (come un po’ tutte le discipline) noiosa e priva di rapporti col mondo della realtà in cui i nostri giovani sono chiamati a vivere.
Insegnare Storia in maniera rigorosamente ragionata, nell’ottica della ricerca aperta e della analisi critica, può, infatti, svolgere una funzione importante non solo sotto il profilo strettamente culturale, ma anche e soprattutto nella prospettiva di una democratica formazione delle coscienze giovanili.
Ciò perché:
La comprensione di tutto questo non potrebbe che favorire la formazione di una mentalità allergica ai rigidismi aprioristici e agli assolutismi concettuali.
Insegnando Storia, una delle prime cose che sarebbe opportuno mettere bene in evidenza è il principio pirandelliano secondo il quale i fatti storici sarebbero sempre e soltanto come “sacchi vuoti”, incapaci di reggersi da soli, ovvero senza il significato che solo l’interprete può assegnare loro.
Ciò dovrebbe condurre a sgombrare la mente dal pregiudizio positivistico (ancora molto diffuso) che potremmo definire come “mito dell’oggettività dei fatti” (vedi, a tal proposito, le Sei lezioni sulla storia E. Carr, nonché gli studi storiografici di Huizinga, Marrou e Bloch), optando per un’ottica di stampo soggettivistico. Il che non significherebbe teorizzare l’equipollenza delle chiavi di lettura, bensì l’affermazione della consapevolezza dell’impossibilità di approdare ad una unicità di visione e ad una definitività interpretativa.
Da questo dovrebbe scaturire un atteggiamento di tipo costruttivamente socratico nei confronti della realtà:
nessuno può pretendere, infatti, di possedere le chiavi “giuste”, né di fornire l’unica risposta possibile ai vari interrogativi.
L’adozione di un certo metodo, dunque, non può essere ritenuta fatto secondario né tantomeno neutrale.
Tutto questo comporta che, al di là delle tematiche proposte e degli obiettivi prefissati, sarà il metodo adottato a fare la sostanza centrale dell’intera attività educativa.
Tanto più, cioè, saremo in grado di trasmettere ai nostri ragazzi una metodologia d’indagine autenticamente scientifica, tanto più potremo sperare che in loro riuscirà ad affermarsi e a rafforzarsi una mente vigile, disinibita, solidamente logica, amante della coerenza argomentativa e nel contempo rispettosa delle tesi altrui.
In definitiva, la mia proposta metodologica mira a coniugare, potremmo dire, istanze socratiche con elementi di provenienza cartesiana ed anche nietzscheana, trovando coronamento nelle teorie sulla democrazia e sulla scienza di John Dewey e nei risultati più avanzati delle ricerche contemporanee in campo di ermeneutica e di epistemologia, senza ignorare le cose migliori dello storicismo tedesco e di quello crociano.
In altri termini, andrebbero applicati i seguenti criteri:
Concludendo, è mia convinzione che ogni discorso sul che cosa insegnare debba essere preceduto da un opportuno dibattito di carattere metodologico, e che è soprattutto con l’adozione di un metodo critico-problematico che ci sarà possibile strappare l’insegnamento della Storia alle nebbie della retorica e alle paludi del mnemonicismo, promuovendo nei giovani:
il gusto per il libero impiego del pensiero;
l’autonomia di ricerca;
una visione serenamente e rispettosamente pluralistica e progressiva del sapere;
l’esigenza di strutturare il proprio giudizio in modo fortemente argomentato;
il desiderio di combattere tutte le pseudo-verità alimentate dal pregiudizio, dalla superficialità, dal dogmatismo, da un uso conformista ed ingenuo della ragione.
Cercare di comunicare tutto questo ai giovani, in un’epoca come la nostra, in cui tecniche e strategie sempre più raffinate ed evolute consentono ai grandi poteri di penetrare nelle nostre coscienze, manipolandole ed asservendole in vista dei loro fini, è quanto mai urgente e necessario.
Soltanto così, al di là delle tante dichiarazioni di nobili principi e delle altisonanti celebrazioni delle oramai innumerevoli (quanto stucchevoli) “Giornate” commemorative, sarà possibile educare davvero ai Diritti Umani, formando cittadini del mondo mentalmente liberi, buoni e sinceri amici e difensori di una teoria della vita e di una relativa prassi di natura pluralistico-democratica, capaci di dire il proprio NO a tutti i tentativi del potere di appropriarsi del nostro pensiero, del nostro corpo, della nostra volontà.
Nulla vi è di più imperdonabile e di pi vile della violenza dell’uomo sulla donna, imporre la propria volontà attraverso la forza fisica . Se l’umanità fosse stata ad appannaggio del genere femminile le sorti dell’umanità sarebbero state sicuramente migliori. La competizione fisica, lo scontro armato, l’impulso prevaricatore e dominatore non è nella natura della donna ma dell’uomo. Non vi è parte del mondo in cui la donna non sia vergognosamente relegata ad un ruolo secondario (eccetto paesi culturalmente più evoluti). L’essere femminile non il maschile è il fulcro di quella parte umana portatrice di sentimento, di gentilezza, di amore e custodia della vita. Da secoli la donna fatica ad acquisire il riconoscimento del suo determinante ed imprescindibile ruolo nella vita sociale. Nei millenni è stata sfruttata, schiavizzata, strumentalizzata, calpestata nella sua dignità e nei suoi diritti, vergognosamente relegata a strumento riproduttivo: le è stato impedito di emergere nei settori importanti della vita sociale. Se la donna avesse avuto l’opportunità degli uomini li avrebbe superati in tutto lo scibile umano. La donna è l’ultima opera di Dio, la ciliegina sulla torta, il capolavoro della creazione.
Fulvio Di Blasi, avvocato e filosofo, autore di un'opera pregevole ( Vaccino come atto d'amore? , Phronesis Editore) di cui abbiamo già avuto modo di parlare * , ha compiuto un'operazione davvero molto interessante. Si è infatti cimentato nell'analisi della posizione provaccinale espressa dal papa non secondo le coordinate culturali di un libero pensatore o di un agguerrito novax, bensì secondo la prospettiva di un ferratissimo moralista cristiano che ben conosce e ben utilizza i paradigmi etici della teologia cattolica.
Partendo dal presupposto che, in ambito etico, per la morale cristiana (come, d'altronde, già per quella classica) è la coscienza ad occupare un ruolo centrale, in quanto “ fondamento della responsabilità della persona umana e dei suoi diritti di libertà ” (p. 44), Di Blasi ritiene che dovere primario dell'istituzione ecclesiastica dovrebbe essere quello di aiutare la formazione della coscienza, rifuggendo dall'adozione di qualsivoglia metodo impositivo.
“ Rispetto alla coscienza morale, - infatti - il dovere è di aiutare gli altri ad assumere tutte le informazioni necessarie a compiere la scelta etica migliore, inclusi, nel caso dei vaccini anti Covid, le valutazioni rischi benefici rispetto all'età o alla propria famiglia e le anamnesi individuali.
Dire alla coscienza dubbiosa del singolo di vaccinarsi “e basta” è profondamente sbagliato e ingiusto già per il senso comune prima ancora che per la dottrina secolare sulla coscienza morale. ” (pag. 46)
E parlare di formazione della coscienza morale dovrebbe significare, innanzitutto, coraggiosa “ esposizione alla verità riguardo la questione su cui essa dovrà decidere ”.
Sarà perciò auspicabile, ai fini della scelta etica migliore, favorire l'acquisizione del maggior numero possibile di “ informazioni corrette ”, mentre risulterà moralmente sbagliato tentare di convincere qualcuno dandogli certezze che non ci sono ”. (pag. 46)
E sarà “ fortemente immorale ” nasconde informazioni importanti o cercare di manipolare le informazioni disponibili al fine di indurre le persone ad agire in un determinato modo.
Cosa è accaduto, invece, con il videomessaggio del 18 agosto 2021, in cui Papa Francesco ha esaltato la scelta del vaccinarsi come “ atto d'amore ”?
E' accaduto che questa affermazione è stata euforicamente accolta dal sistema mediatico imperante e fatta rimbalzare in ogni angolo del pianeta.
E' accaduto, soprattutto, che le istituzioni governative impegnate nelle asfissianti campagne vaccinali hanno trovato nelle parole papali l' “ arma perfetta contro i no vax”.
E' accaduto che questa minoranza si trovasse “ immediatamente sotto un assedio ormai benedetto dal Papa (…) insultata e perseguitata come non mai mai ” (p. 38).
“ I presunti no-vax (…) sono stati definiti egoisti, immorali, imbecilli, ignoranti, sorci da rinchiudere nelle loro tane, nemici della società, terroristi, persone da stanare ea cui rifiutare le cure e l'assistenza del sistema sanitario nazionale, e ancora, da tassare, licenziare, ostracizzare e di cui perfino auspicare una morte dolorosa e umiliante, liberatoria per la società e per chi, con il vaccino , ha compiuto il suo atto di amore .
Per questi soggetti perseguitati, umiliati e offesi non c'è stata nessuna parola di conforto da parte della chiesa, che semmai ha unto e consacrato i persecutori grazie all'innalzamento di quella opinione personale del Pontefice a verità etica universale.
Perfino molte diocesi e parrocchie hanno avviato politiche di discriminazione e umiliazione contro questi “criminali” (privi oltretutto di giusto processo) limitandone la partecipazione alle attività ecclesiastiche e perfino alle celebrazioni liturgiche .” (pag. 39)
Ma il secondo errore del papa (forse più grande ancora del primo) è stato, di fronte a tanta confusione ea tanto odio sociale venutisi a creare in seguito alle sue parole, quello di non essere prontamente intervenuto a favore degli oppressi, chiarendo, dall' alto del proprio magistero, cosa si dovrebbe correttamente intendere per “ vero amore ”.
E, con immensa amarezza, si domanda il filosofo cattolico Di Blasi,
“ Cristo non sta con chi è perseguitato e oppresso?
L'etica cristiana non sta nel ragionamento onesto delle persone di coscienza? "
*https://www.flipnews.org/index.php/life-styles-2/technology-5/item/3267-vaccino-come-atto-d-amore-epistemologia-della-scelta-etica-in-tempi -di-pandemia.html
Fulvio Di Blasi
VACCINO COME ATTO D'AMORE?
Epistemologia della scelta etica in tempi di pandemia.
FRONESI EDITORE - PALERMO
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Riflettere sui Diritti Umani nel momento storico presente, cercando di intravedere, anche, quale potrà essere il loro futuro, è davvero impresa oltremodo difficile.
Anche prima lo era, certamente. I Diritti Umani non hanno mai goduto di buona salute, sono stati, bensì, sempre sotto attacco da parte dei potenti di questo mondo.
Perché sono nati per limitare il loro strapotere, per imporre, cioè, degli argini al loro arbitrio (a lungo incondizionato), per tutelare l’individuo nel suo essere persona, con la sua intrinseca e inalienabile dignità, e non ridotto o riducibile a mero ingranaggio di un qualche sistema, destinato esclusivamente all’obbedienza silenziosa.
Ma, in questi ultimi anni, i Diritti Umani, in nome di varie emergenze, più o meno reali e in larga misura abilmente manipolate (come terrorismo internazionale, fenomeno migratorio, situazioni di dichiarata pandemia, crisi internazionali, crisi energetiche), si è arrivati a fare di essi vere e proprie vittime sacrificali da immolare sull’altare del cosiddetto interesse comune, della cosiddetta salute pubblica, della cosiddetta sicurezza collettiva.
Come se essi, invece di rappresentare la vera chiave per la risoluzione dei problemi della nostra vita in comune, fossero soltanto una sorta di “lusso” che le nostre società possono permettersi solo quando il tempo è sereno e senza nuvole all’orizzonte.
Ma che gli antichi e nuovi nemici dei Diritti Umani si sarebbero ulteriormente rafforzati, affinando oltre ogni immaginazione le loro tecniche, i loro strumenti e le loro strategie, era facilmente prevedibile e non dovrebbe neppure produrre in noi troppo sconcerto. Più cresce e matura la cultura dei Diritti Umani, infatti, più sono e saranno inevitabilmente feroci e disperati i tentativi dei suoi nemici di attaccarla, inquinandola, indebolendola, snaturandola, o, addirittura, asservendola e strumentalizzandola.
Meno prevedibile e infinitamente più amareggiante e doloroso è stato, invece, l’essersi ritrovati costretti a constatare, accanto alla forza dei nemici, la scoraggiante debolezza di molti degli “amici” dei Diritti Umani. O, almeno, di coloro che ritenevamo possibile considerare tali.
Di fronte agli attacchi, agli svilimenti, ai tradimenti che si sono succeduti senza sosta in questi primi anni del terzo millennio (e, in particolar modo, in questi ultimi due), il variegato mondo dei partiti sedicenti liberali e democratici, le forze culturali sedicenti progressiste, le chiese piccole e grandi sedicenti misericordiose, le organizzazioni sedicenti caritatevoli, le associazioni sedicenti umanitarie, i sindacati sedicenti difensori del popolo, i mass media sedicenti indipendenti, ecc., hanno via via messo in luce una sterminata serie di fragilità, contraddizioni, incertezze, ritardi, pavidità, quando non addirittura di connivenze (sotterranee o lampanti) con i soggetti responsabili ed artefici di detti attacchi.
Ma, ancora più doloroso e scoraggiante è l’essere stati inchiodati ad assistere allo scenario impregnato di superficialità, passività, meschinità, codardia e, soprattutto, di indifferenza relativo al comportamento di larga parte dei singoli membri della grande Famiglia umana, che i Diritti Umani dovrebbero, invece, ben conoscere, immensamente amare e incondizionatamente voler e dover difendere.
Scriveva il Premio Nobel per la Pace Elie Wiesel che
“essere indifferenti alla sofferenza è ciò che spoglia un essere umano della sua umanità.”
E che essa, a ben guardare, risulta peggiore dell’odio e della rabbia, perché, almeno in alcuni casi, da tali sentimenti potrebbe anche scaturire qualcosa di buono, come l’energia per ribellarsi, per contrastare l’ingiustizia. Mentre l’indifferenza non risulta mai creativa, in quanto non rappresenta mai l’inizio di un qualcosa, ma soltanto una gelida e paralizzante “fine”.
Fine di ogni speranza, fine di ogni possibilità di indignazione, di denuncia, di reazione costruttiva.
“E perciò - continua Wiesel - l’indifferenza è sempre amica del nemico, perché giova all’aggressore, mai alla sua vittima che soffre ancora di più quando sente di essere dimenticata. Il prigioniero politico nella sua cella, i bambini affamati, i rifugiati senza dimora: non rispondere alla loro sofferenza, non alleviare la loro solitudine dando loro un piccolo frammento di speranza significa esiliarli dalla memoria dell’uomo. Negando la loro umanità tradiamo e inganniamo la nostra.”
L’impegno per affermare e per difendere la cultura dei Diritti Umani, per far valere la dignità della persona umana, in ogni luogo e in ogni circostanza, anche la più insolita, la più imprevista, la più allarmantemente emergenziale è una vera e propria fatica di Sisifo, un’opera da compiere ogni giorno, sempre pronti e sempre disposti a ricominciare generosamente anche daccapo.
Su questa strada, su chi potremo contare?
Temo che non potremo certo troppo sperare, oltre che nelle istituzioni governative e nei grossi apparati economici e religiosi, anche in quei grandi soggetti nati all’interno della società civile al fine di esercitare atti di solidarietà vicaria.
Potremo avere dalla nostra parte, credo, soltanto l’immenso tesoro degli insegnamenti e degli esempi di vita dei grandi, antichi e moderni, Maestri e Messaggeri di Pace e di Nonviolenza, unitamente all’immensa forza morale sprigionata da tutti i dissidenti, gli oppositori e i resistenti che hanno lottato e che continuano a lottare contro ogni forma di oppressione, violenza ed ingiustizia.
Potremo contare, soprattutto, sulle coscienze risvegliate di tutti noi, desiderose di non arrendersi, intenzionate a non lasciarsi fagocitare dall’indifferenza, a non lasciarsi ricattare dal timore, a non subire la logica aberrante della contrapposizione faziosa fondata sul non-ascolto e sul rifiuto demonizzante dell’altro.
Decise a combattere ogni forma di dogmatismo, di intolleranza, di discriminazione e di esclusione; decise a non rinunciare ai valori della Fratellanza universale, della solidarietà e della compassione nei confronti di tutti coloro, vicini e lontani nel mondo, a cui i diritti umani vengono arbitrariamente sottratti, feriti, negati.
Altro non vedo.
E probabilmente è troppo poco.
Ma forse, in un giorno non lontanissimo, ci potremo accorgere, mi auguro con soddisfazione e con gioia, non con rimpianti e rimorsi, che era, che è, che sarà immensamente, straordinariamente, meravigliosamente TANTO!
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Premio Italia Diritti Umani 2022 ®
Dedicata alla memoria dell'ex vicepresidente della Free Lance International Press Antonio Russo.
via Ulisse Aldovrandi 16 c/o Unar - ROMA
ROMA 15 Ottobre 2022 Il Premio Italia Diritti Umani nasce dall'esigenza da parte delle associazioni coinvolte di voler osare un giusto riconoscimento a coloro che, per la loro attività, sono distinti nel campo dei diritti umani . In un mondo in cui il profitto sembra essere lo scopo ultimo di ogni intento, bisogna premiare chi lotta veramente, sacrificando spesso gran parte (o del tutto) la propria esistenza per aiutare il prossimo. I Mass Media spesso non prestano la dovuta attenzione al tema dei diritti umani, se non in maniera superficiale.
È giunto quindi il momento, non solo di dare un giusto riconoscimento a chi lotta per la difesa dei più deboli, ma anche di parlare su come possono essere tutelati meglio questi diritti che, anche in paesi come l'Italia oltre che all'estero, sono sistematicamente violati, soprattutto nei confronti dei più deboli.
In collaborazione con
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Ore 16.10 Saluti di Virgilio Violo, Presidente della Flip - Coordina: Neria De Giovanni
– giornalista, Presidente dell'Associazione Internazionale Critici Lettererari
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Interventi
ore 16.20 Massimo Tomaselli – coord. risp. della Coop. “Il Futuro Quadrifoglio”
L'assistenza domiciliare integrata nel trattamento delle dipendenze patologiche
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ore 16.30 Antonio Cilli: fondatore di Cittanet .
Pensare la rete e gli altri beni collettivi globalmente
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ore 16.40 Tiberio Graziani - Presidente di Vision & Global Trends
Diritti umani e geopolitica
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ore 16.50 Patrizia Sterpetti –Wilpf Italia
"L'impegno comune per i diritti umani"
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ore 17.00 Roberto Fantini – Responsabile diritti umani Flip
Quale futuro per i diritti umani?
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Coordinatrice l'attrice Fabiola Di Gianfilippo .
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Consegnano i premi e leggono le motivazioni gli attori: Antonella Civale, Vincenzo Vivenzo e il regista Eitan Pitigliani
Conferimento del “PREMIO ITALIA DIRITTI UMANI 2022”
un ALDO MORRONE
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a DAVITE TUTINO
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a LUCA SCANTAMBURLO
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Dona opere dalla Galleria d'Arte Sempione di Roma degli artisti: Stefania Pinci, Alessandro Trani, Federica Fedele.
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da sin. Davide Tutino, Luca Scantamburlo, Aldo Morrone |
Quando cultura e coerenza si incontrano, seppur operanti su binari paralleli e distanti tra loro e l’iniziale perplessità dei presenti alla fine si trasforma in un messaggio positivo, assistiamo ad uno dei rari esempi di comunicazione vera, a beneficio della Comunità.
Questo è ciò che è riuscito a fare il Presidente di Flip news, Virgilio Violo, in piena linea con lo spirito libero della sua Associazione di stampa, in occasione del conferimento del “Premio Italia Diritti umani 2022”.
Una manifestazione in sordina, che ormai si ripete da anni, intitolata al defunto Vice Presidente della Free Lance Antonio Russo, tragicamente scomparso, nell’esercizio del suo dovere di informazione.
L’incontro è stato caratterizzato dagli interventi dei relatori Massimo Tomaselli – coord. Resp. della Coop. “Il Futuro Quadrifoglio” L’assistenza domiciiare integrata nel trattamento delle dipendenze patologiche, Antonio Cilli: Cittanet founder “Pensare la rete e gli altri beni collettivi glocalmente”, Tiberio Graziani - Presidente di Vision & Global Trends.
“Diritti umani e geopolitica”, Patrizia Sterpetti –Wilpf Italia
"L'impegno comune per i diritti umani" , Roberto Fantini – Responsabile diritti umani Flip
“Quale futuro per i diritti umani?” e la straordinaria anteprima dell’attore e autore teatrale Ferdinando Maddaloni in “Social vs Asocial”.
Il tutto splendidamente coordinato dalla Dott.ssa Neria De Giovanni – giornalista, Presidente dell’Associazione Internazionale Critici Letterari , con la collaborazione degli attori Fabiola Di Gianfilippo. Antonella Civale, Vincenzo Vivenzo e il regista Eitan Pitigliani, per la lettura delle motivazioni e la consegna dei premi.
Ma ciò che ha fortemente colpito i presenti è stato l’incontro tra due dei premiati (ritratti in foto in un cordiale abbraccio) : il Prof. Aldo Morrone , noto Specialista in malattie veneree e dermatologiche , Direttore Generale dei più importanti nosocomi della Capitale, membro di diverse organizzazioni internazionali, autore di più di 500 pubblicazioni ed il Prof. Davide Tutino, già docente di Storia e filosofia, resosi famoso per aver iniziato uno sciopero della fame a favore del diritto di non vaccinarsi contro il Sars-Covid 19.
Un esempio di cultura e di silenzioso scambio di opinioni , dal qual dovrebbe prendere spunto soprattutto chi ci governa, che molto ci fa riflettere su come e quanto la “verità stia sempre nel mezzo “, come l’una non escluda l’altra, certi che alla fine , tanto il Prof. Morrone quanto il Prof. Tutino, si saranno trovati d’accordo sui loro rispettivi intenti, il primo basato principalmente sulle emergenze di popolazioni bisognose, l’altro sulla coerenza e la necessità di esercitare un proprio diritto, in seno alla libertà di pensiero.
Complimenti al Presidente Virgilio Violo ed a tutto il suo Staff per il costruttivo evento.
Con un decreto d’urgenza (firmato il 6 luglio scorso), la giudice della seconda sezione del Tribunale civile di Firenze, Susanna Zanda, ha temporaneamente sospeso il provvedimento dell’Ordine degli Psicologi della Toscana che impediva ad una dottoressa di Pistoia di esercitare la propria attività professionale, in quanto non vaccinata.
Si tratta, senza alcun dubbio, di una sentenza di enorme importanza non soltanto per la sorte della diretta interessata, ma anche e soprattutto perché ha il merito di riuscire a fare chiarezza, con logica rigorosa e inequivocabile, su alcuni aspetti iniqui, liberticidi e anticostituzionali che hanno caratterizzato i provvedimenti governativi assunti nell’ambito delle martellanti campagne vaccinali condotte nel nostro Paese.
Questi i punti centrali delle motivazioni della sentenza:
La Costituzione Italiana, in quanto “personocentrica”, dopo la tragica esperienza rappresentata dal nazifascismo, “non consente di sacrificare il singolo individuo per un interesse collettivo vero o supposto e tantomeno consente di sottoporlo a sperimentazioni mediche invasive della persona, senza il suo consenso libero e informato”.
Non è possibile ipotizzare un simile consenso se, come nel caso in questione, “i componenti dei sieri e il meccanismo del loro funzionamento” si trovano coperti “non solo da segreto industriale ma anche, incomprensibilmente, da segreto “militare”. ”
Mentre, dopo due anni, non è ancora possibile conoscere la reale natura dei sieri, né quali potranno risultare essere gli effetti a medio e a lungo termine (“come scritto dalle stesse case produttrici”), è invece accertato che “nel breve termine hanno già causato migliaia di decessi ed eventi avversi gravi”.
L’articolo 32 della nostra Costituzione, come anche “le varie convenzioni sottoscritte dall’Italia vietano l’imposizione di trattamenti sanitari senza il consenso dell’interessato perché ne verrebbe lesa la sua DIGNITA’”.
L’obbligo vaccinale imposto per poter continuare a lavorare viola gli articoli 4, 32 e 36 della Costituzione, i quali pongono al centro la persona, con l’obiettivo di difenderla “prima di tutto dallo Stato”.
I “trattati internazionali vietano senza alcun dubbio qualunque trattamento sperimentale sugli esseri umani”.
Regolamenti “come il n. 953/21 e risoluzioni UE come la n. 2361/21 (…) vietano agli stati membri di attuare discriminazioni in base allo stato vaccinale Sars Cov 2”.
Le “autorità sanitarie della Regione Toscana e il Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Toscana non possono non essere al corrente del dilagare dei contagi nonostante l’80/90 % della popolazione sia vaccinata contro Sars Cov 2 e sono anche al corrente o dovrebbero esserlo, del dilagare del contagio tra i vaccinati con tre dosi, degli eventi avversi anche gravi e mortali di soggetti vaccinati” (“dati pubblicati dallo stesso Ministero della Salute”).
Sotto “un profilo epidemiologico la condizione del soggetto vaccinato non è dissimile da quello non vaccinato perché entrambi possono infettarsi, sviluppare la malattia e trasmettere il contagio” (come documentato dagli stessi report dell’AIFA).
Il provvedimento dell’Ordine degli psicologi della Toscana costituisce, quindi, una “innegabile discriminazione” ai danni della dottoressa colpita, “rispetto ai colleghi vaccinati che possono continuare a lavorare pur avendo le stesse possibilità di infettarsi e di trasmettere il virus”.
Conversazione con Linda Maggiori, autrice di Semi di Pace!*
Abbiamo conosciuto Linda Maggiori all’inizio di giugno, a Roma, alla presentazione del suo Semi di pace! (La nonviolenza per curare un mondo minacciato da crisi ecologica, pandemia e guerra, Centro Gandhi Edizioni), libro bellissimo, straordinariamente illuminante, capace di fornire preziose chiavi di lettura su quanto accaduto in questi ultimi anni terribili, e capace di suggerire, su basi anche sperimentali, possibili concrete ed efficaci alternative al disumano sistema dominante. Linda è veramente una persona ammirevole, per la fermezza, la coerenza e la forza gentile con cui cerca di portare avanti non soltanto intelligenti discorsi controcorrente, ma anche e soprattutto per l’impegno da lei gioiosamente condotto nel praticare uno stile di vita ispirato con lucida sapienza a valori autenticamente ecopacifisti.
Con lei è nata la conversazione che segue.
Con queste parole, Linda, sei riuscita a mettere a fuoco, i due interrogativi cruciali relativi a quanto accaduto nel nostro Paese, nei mesi passati, con l’introduzione del green pass, nelle sue varie declinazioni.
Qualcosa di terribile è accaduto. Qualcosa che non avremmo mai, fino a poco tempo fa, potuto immaginare. Ti ritieni soddisfatta delle risposte che sei riuscita a darti con la scrittura del tuo libro o ci sono ancora aspetti della vicenda che non riesci a spiegarti?
Ancora adesso sono sconvolta dall'efficacia delle strategie di psicologia sociale di manipolazione del consenso. Terrorizzare, martellare con continui messaggi sempre uguali, trovare un capro espiatorio, mettere gli uni contro gli altri, aizzare la rabbia del popolo contro un ipotetico nemico interno, premiare gli zelanti, umiliare i riottosi... ha sempre funzionato e sempre funzionerà, anche nelle nostre "democrazie occidentali". Per me è davvero qualcosa di inedito, che fa crollare tanti punti di riferimento, e di difficile comprensione, ancora adesso. E' incredibile come si possa scatenare la guerra civile tra gente che fino a poco prima viveva senza problemi insieme. Ma la storia ce lo insegna da tempo, e non c'è forse niente di nuovo sotto al sole, come dice una musicista, che ha rilasciato una toccante testimonianza nel mio libro. Nel libro traccio la trama degli interessi che sono sotto a queste gestioni autoritarie e tecnocratiche delle crisi: i grandi capitali finanziari traggono profitto da ogni crisi, come diceva Naomi Klein e lo abbiamo visto chi si è arricchito, chi è sprofondato.
Tu esprimi stupore ed amarezza a proposito di come la sinistra italiana e i sindacati abbiano potuto tollerare e sostenere le misure governative liberticide e discriminatorie, anche le più severe.
Ma, mi chiedo, non è ancora più sconcertante il silenzio o la complicità di buona parte del mondo cattolico, di quello del volontariato e dell’associazionismo (soprattutto quello relativo ai diritti umani)?
Assolutamente sì, e aggiungo alla lista anche il mondo ambientalista dal quale io derivo. Ora che ne siamo fuori, o almeno siamo in mezzo ad una parentesi, è come se quel periodo di discriminazione sia un vuoto spazio temporale, un blackout di coscienza. Fino a qualche mese fa io (come tanti altri) ero trattata come un paria, esclusa dalle riunioni, respinta dai bus, o dalle biblioteche, e quasi nessuno degli amici attivisti si indignava, ma tollerava in silenzio o ne era un fiero sostenitore. Proprio coloro che da anni lottavano per le minoranze oppresse e per tutti gli emarginati, improvvisamente hanno accettato questa barriera invisibile, che separava umani da subumani, cittadini di serie A da cittadini di serie B. Hanno accettato la soppressione dei diritti di base. Qualcosa di pazzesco e surreale. Ora che siamo di nuovo tutti uguali, queste associazioni preferiscono glissare, non ricordare, non rivangare. C'è stato davvero un atteggiamento poco onesto da parte di tante associazioni. Uniche eccezioni: Amnesty, a gennaio, fece un timido comunicato contro le discriminazioni e anche Attac Roma lanciò pesanti e preoccupanti moniti, che ho prontamente citato nel libro, e ovviamente il mio gruppo Famiglie senza Auto. Per il resto il vuoto cosmico, a parte, come racconto, semi di pace che germogliavano qua e là, ma non da associazioni "storiche".
Sicuramente lo diranno, ma la logica purtroppo è quella. La logica fascista è sempre stata "credere, obbedire combattere" e così gli insegnanti non vaccinati, pur non essendo pericolosi, sono stati puniti per non aver obbedito. Non facevano male a nessuno, ma sono stati prima sospesi, poi demansionati, come un mobbing di stato. Una scuola che privilegia l'obbedienza cieca e punisce e umilia chi dissente usa una logica e una modalità educativa fascista, una pedagogia nera. Esattamente il contrario dell'insegnamento di Don Milani che diceva che l'obbedienza non è più una virtù!
Nonostante questa devastante pressione per schiacciare la scuola pubblica, io ancora ci credo. Tutti e quattro i nostri figli vanno nelle scuole pubbliche, sono consigliera nel consiglio di istituto, e resto a combattere per migliorarle. So che ci sono tante scuole parentali, ma non tutti possono permettersi di pagare 2-300 euro al mese per ogni figlio. Non mi sembra neppure giusto che si stia andando verso un modello americano, con una scuola pubblica rottame e fiorenti scuole private.
Come diceva ancora Don Milani, uscire da un problema insieme è politica, uscirne da soli è egoismo.
Hai fatto veramente bene a raccontarci di tante esperienze e di tante iniziative belle, intelligenti e, soprattutto, utili! Non credi, però, che, nel complesso, la popolazione italiana abbia troppo subito e continui a troppo subire le strategie governative, senza esercitare nessuna forma di pensiero critico?
Sì, nonostante tanti semi di pace germogliati qua e là, la veduta complessiva è desolante. Una società spaccata, divisa e piegata, dove chi crea alternative lo fa in modo pressoché clandestino. Come spesso accade, invece che riflettere su ciò che è accaduto e cercare di comprendere, si preferisce dimenticare e non parlarne. Per questo ho voluto scrivere un libro, perché è successo qualcosa di così grosso, nella nostra società, che non possiamo dimenticare. Anche la libertà di stampa è crollata. Anch'io ne ho fatto le spese. Collaboravo con un quotidiano di sinistra, ma dopo aver criticato pubblicamente la gestione della pandemia e la linea editoriale filogovernativa, sono stata di fatto messa da parte.
La vita da freelance e scrittrice indipendente è sempre più difficile, in questo paese.
A fine agosto del 2021, sull’ottimo giornale online La Pressa di Modena, è apparsa, a firma della diciannovenne Camilla Dolcini, una originale Lettera all’essere umano*, in cui apparivano considerazioni e riflessioni di rara profondità in merito ai dolorosi processi degenerativi in atto nella psicologia e nella moralità individuali e collettive, in seguito al terrore pandemico e alle misure liberticide imposte a tutti noi. A tale Lettera, ha fatto seguito, il giorno 8 dello scorso mese, sempre ad opera della medesima studentessa, un corposo articolo** in cui sono state esaminate, con grande acutezza e con insolita sensibilità psicopedagogica, le problematiche relative all’infanzia e all’adolescenza, legate alla attuale situazione di negazione dei più elementari fondamenti della civiltà costituzionale.
Ora, dopo aver già segnalato detto articolo***, sono felice di poter riportare un’ampia conversazione grazie alla quale l’Autrice ha potuto riprendere ed approfondire i principali nodi tematici da lei precedentemente affrontati. Ciò nella convinzione che le parole di Camilla, tanto dense di saggezza e di intrinseca rigorosa logicità, scevre da asprezze e da nocivo livore, possano aiutarci a comprendere meglio la gravità di quanto ci sta accadendo e ad affrontare con maggiore lucida e ragionata speranza i giorni difficili che certamente ci attendono.
Senz’altro le circostanze nelle quali abbiamo vissuto negli ultimi due anni hanno contribuito fortemente in questo processo di disumanizzazione che purtroppo ha colpito la società intera. La paura, alimentata anche da una propaganda martellante e malsana, ha giocato, prima su tutto, un ruolo molto importante. Essa, infatti, costituisce un sentimento molto forte e profondo, oserei dire totalizzante e, spesso, ci induce a pensare in modo confuso e irrazionale facendoci dimenticare quelli che sono i nostri principi, le nostre idee e i nostri punti di riferimento.
Quando abbiamo paura, infatti, tendiamo ad agire in modo impulsivo e il nostro scopo primario è quello di cercare di scappare a qualunque costo da questo sentimento che causa in noi un grande disagio. Non importa come. Basta trovare una via d’uscita. Se poi tale via d’uscita sia più o meno sensata, più o meno giusta o coerente con i nostri valori è solamente secondario.
Inoltre, alla paura, dobbiamo aggiungere altri fattori che sicuramente hanno contribuito a renderci tutti più insensibili come, ad esempio, l’isolamento e la progressiva perdita di socialità che hanno caratterizzato le nostre vite in questi due anni. Credo, infatti, che tutto ciò abbia portato a chiuderci sempre di più in noi stessi e a pensare in modo sempre più egoistico al nostro piccolo orticello, facendoci perdere il desiderio di confrontarci con l’altro e persino il semplice piacere di stare insieme.
Tuttavia, penso che, nonostante la paura, la propaganda e la mancanza di socialità tra le persone abbiano giocato un ruolo importante nel privarci di gran parte della nostra sensibilità. Era da tempo che la società mostrava delle serie lacune in quella che è la sua sfera etico-morale, sia da un punto di vista collettivo, sia per quanto riguarda il singolo, cioè ciascuno di noi.
La paura, l’isolamento sociale, l’ipnosi di massa infatti non hanno semplicemente condizionato e influenzato il nostro modo di relazionarci con l’altro e di vedere la realtà che ci circonda, ma sono stati capaci di dominare completamente le nostre vite assoggettando persino la nostra coscienza, la quale, invece, avrebbe dovuto aiutarci a superare nel modo più umano possibile questo momento difficile.
Personalmente, ritengo, che tutto ciò abbia svelato come quelli che ritenevamo i nostri valori universalmente riconosciuti, come ad esempio l’uguaglianza, la solidarietà, la difesa del pluralismo e delle libertà personali, il rispetto della dignità umana, la condanna nei confronti delle discriminazioni etc…, erano in realtà molto fragili e non abbastanza radicati nella nostra interiorità, nella quale invece covava un crescente sentimento di menefreghismo e povertà morale.
Devo inoltre aggiungere che già da tempo avvertivo intorno a me un mondo, una società con molte contraddizioni, nella quale spesso faticavo a identificarmi. Una società che definirei piatta e conformista, fondata sull’apparenza e la competizione, nella quale ormai da anni vi era poco spazio per la riflessione e il pensiero critico. Insomma, detto questo, credo che il progressivo imbarbarimento della società si fosse innescato ben prima della pandemia, ma le condizioni nelle quali abbiamo vissuto e le scelte politiche prese negli ultimi due anni lo abbia messo veramente in luce e, in alcuni casi, esasperato.
Certamente, la propria libertà implica sempre delle responsabilità verso gli altri e qui mi sento di citare una ormai ricorrente frase che in questi mesi mi è stata ripetuta più volte: “La tua libertà finisce dove inizia la mia”. Un principio giustissimo, ma che ritengo inapplicabile ai provvedimenti presi negli ultimi mesi per contrastare l’avanzata del virus, in particolare per quanto riguarda lo strumento del green pass che è stata presentato come uno strumento in grado di garantire luoghi sicuri e permettere alle attività di restare aperte.
Oramai, è stato ampliamente dimostrato, anche dall’ondata di contagi di questo inverno, che non è affatto così, in quanto anche le persone che hanno scelto legittimamente e liberamente di vaccinarsi possono, purtroppo, infettarsi e contagiare. Dunque, quella presunta sottrazione di libertà in nome dell’interesse comune e della prevenzione nei confronti di un pericolo collettivo non è altro che un’ingiustizia fondata su una menzogna a sua volta costruita sulla base di un diffuso sentimento di paura.
Inoltre, credo sia doveroso spendere due parole sui concetti di benessere del singolo e rispetto della collettività. Per come la vedo io, credo che questi due aspetti non possano essere l’uno subordinato all’altro ma debbano, al contrario, coesistere. Sono entrambi importanti e penso che costituiscano i pilastri fondamentali di una società giusta, equilibrata e democratica. Voler creare una sorta di gerarchia tra questi due principi come è stato fatto negli ultimi mesi penalizza e svilisce entrambi. La società, infatti, è composta da individui, persone diverse con idee, pensieri e valori differenti, i quali contribuiscono personalmente a dare forma alla comunità in cui vivono, ognuno apportando il proprio unico e originale contributo. Tutti. Nessuno escluso. Ognuno a modo suo.
Ecco, detto questo, credo sia doveroso chiedersi in che tipo di società vogliamo vivere per poter stare bene ed essere felici. Personalmente ho sempre desiderato vivere in un mondo nel quale ci fosse posto per tutti, dove ognuno venga accolto e accettato per quello che è, perché credo che soltanto attraverso il rispetto reciproco e la valorizzazione del singolo, ogni persona possa rendersi disponibile a fare la propria parte per la collettività. In caso contrario, se l’individuo non viene rispettato, ma bensì giudicato, deriso o escluso per qualunque motivo, raramente egli sarà disposto ad avere a cuore il benessere altrui dopo aver subito un tale trattamento.
Credo che solo in questo modo potremmo davvero costruire una società equa, pacifica e soprattutto coesa, altrimenti rischiamo di dare vita ad un collettivo privo di personalità e di anima che non agisce tanto in nome dell’altruismo o del rispetto della comunità, ma per la necessità di conformarsi a ciò che è ritenuto socialmente accettabile. Insomma, credo che il rischio di una subordinazione delle libertà del singolo alla tutela della collettività sia proprio quello di dare origine ad una società in cui la salvaguardia di tutti viene sostituita con la repressione di pochi. Una società in cui il rispetto delle regole viene sostituito con l’obbedienza cieca a qualunque ordine. Una società in cui il bene e il male sono determinati da un pensiero unico e conforme.
Infine vorrei aggiungere che questa tanto propagandata tutela e rispetto della collettività stoni fortemente con l’individualismo che, purtroppo, ormai da anni caratterizza la società in cui viviamo, sempre più fondata sull’arroganza e la competizione, due aspetti che purtroppo predominano in ogni suo ambito, (scolastico, lavorativo, economico, sociale, politico etc…) e questo grazie anche al contributo di chi oggi, con una lieve nota di ipocrisia, insiste a schierarsi a fianco di coloro che si ritengono dalla parte giusta.
Personalmente, credo che lo sfruttamento e la strumentalizzazione abbiano rappresentato le principali strategie adottate negli ultimi due anni per diffondere nelle persone i sentimenti più negativi, come la paura, il senso di colpa, la rabbia. Prima è toccato a coloro che purtroppo hanno perso la vita durante la pandemia, poi alle persone più anziane e fragili e, infine, sono riusciti a colpire persino i bambini.
Per come la vedo io, queste strategie, specialmente se applicate a persone in un certo senso più deboli che necessitano di essere tutelate come, ad esempio, i minori, non siano soltanto frutto dell’ignoranza pedagogica di chi ha preso certe decisioni. Usare o strumentalizzare qualcuno, soprattutto se ciò viene fatto in contrapposizione a qualcun altro, è, a mio parere, un atto violento, meschino e soprattutto ben calcolato.
Lo sfruttamento, infatti, ha spesso dei fini e degli obiettivi ben precisi e raramente avviene per caso. Da mesi, mi pare che lo scopo primario di chi ci rappresenta sia quello di dividere e punire chi rifiuta di piegarsi a certi provvedimenti. Ma per raggiungere tale obiettivo, per punire qualcuno si deve necessariamente dare l’idea di “premiare” tutti gli altri, ed ecco che qua subentra quella che è la strumentalizzazione, l’inganno, l’atto violento di gratificare una persona non tanto perché la si stima, ma perché la si vuole usare per metterne un’altra in cattiva luce. Per farla breve questo tipo di sfruttamento consiste nel servirsi indirettamente di alcuni per fare del male ad altri.
A tale scopo, se si fa riferimento ai bambini, aggiungerei anche la volontà da parte di chi ha messo in campo questi provvedimenti di educare all’obbedienza, al conformismo e alla demonizzazione del diverso. I ragazzini, infatti, non essendo ancora abbastanza maturi per distinguere ciò che è bene da ciò che è male, rappresentano delle ottime prede per chi desidera dare vita ad una società fondata sul pensiero unico e sull’intolleranza.
Sicuramente ripongo una grande fiducia nei bambini, perché, proprio grazie alla loro coscienza ancora in formazione, al loro animo puro e non ancora corrotto dagli egoismi e dagli interessi personali, possono davvero offrici una grande lezione di umanità. Credo che, ogni volta che nel mondo nasce un bambino, egli rappresenti un’occasione per la società di rigenerarsi.
Questo mio pensiero non è solo una convinzione personale, ma credo che dovrebbe diventare una necessità per tutti noi. E’ dal bambino, infatti, che si costruisce l’uomo e soltanto se riusciremo a preservare la sua purezza e la sua bontà potremmo far crescere adulti responsabili e onesti.
E’ una necessità, così come dovrebbe esserlo anche il bisogno di guardarsi dentro e fare i conti con la propria interiorità, perché credo che soltanto in questo modo possiamo preservare la nostra coscienza e sviluppare un patrimonio di valori in grado di guidarci nelle nostre azioni.
Infine, per quanto riguarda il mio invito a non rispondere all’odio con l’odio e non farsi condizionare dai sentimenti negativi, ammetto che la sua componente consolatoria è un aspetto molto significativo. In questi mesi, infatti, vedere la progressiva spaccatura che si è venuta a creare nella società mi ha causato molta sofferenza e delusione e cercare di non darla vinta a questa disumana contrapposizione è stato, prima di tutto, un modo per farmi coraggio. Tuttavia, soprattutto nell’ultimo periodo, devo dire che sta diventando un’impresa sempre più difficile. Perciò non lo definirei una vera e propria filosofia di vita maturata e consolidata ma una sorta d’impegno, di tentativo o di obiettivo verso cui tendere per cercare di continuare a vivere in armonia con i miei principi e la mia coscienza, ai quali non posso assolutamente rinunciare.
Spunti tratti dal libro di Bruno Melas “La Bibbia, gli Ebrei e le altre storie”
Per chi pensi che 20.000 italiani infoibati siano poca cosa in confronto con i 6 milioni di Ebrei uccisi dai nazisti, ricordiamo che:
1) Stalin il 17 agosto 1942 disse a Churchill che in Russia era stato necessario uccidere 10 milioni di Kulaki per la loro opposizione alla collettivizzazione delle fattorie. E non esistono stime attendibili per gli stermini successivi voluti da Stalin. Ma secondo il premio nobel Solzenitsyn, dal 1918 al 1953 Stalin avrebbe fatto uccidere circa 66.700.000 persone.
2) Mao Tse Tung dal 1949 al 1965 ha fatto uccidere almeno 26 milioni di cinesi, senza che né cristiani né ebrei abbiano fatto nulla per impedirlo. Secondo uno studio pubblicato sul Figaro nel novembre del 1978 le vittime cinesi sarebbero state 63. 700.000.
3) Pol Pot dal 1975 al 1979 ha fatto uccidere circa 3 milioni di Cambogiani armeni, su una popolazione totale di 8 milioni.
4) I turchi nel 1915 hanno massacrato 2 milioni di cristiani armeni.
5) I Negri americani rivendicano l’esistenza di un grande olocausto nero perpetrato per tre secoli ai danni dei Negri africani, deportati a decine di milioni nelle americhe. I gruppi di Negri americani rimproverano in particolare agli Ebrei, titolari dell’unico olocausto riconosciuto, di aver gestito una grossa fetta del mercato degli schiavi.
Quello che viene ricordato con insistenza è quello degli Ebrei, ammesso che le vittime siano ugualmente rispettabili indipendentemente dalla razza o dalla religione, occorre domandarsi quale sia in criterio di questa scelta:
1) Se il criterio è il numero dei morti allora occorre ricordare prima quello di Mao o di Stalin;
2) Se il criterio è quello del fatto più recente allora occorre ricordare prima quello di Pol Pot, poi quello di Mao;
3) Se il criterio è quello della vicinanza geografica ed etnica allora agli italiani occorre ricordare quello delle foibe;
4) Se il criterio è quello della durata allora è primo l’olocausto nero:
Evidentemente il criterio non è tra questi 4. Ma chi ci ricorda con insistenza sempre lo stesso olocausto non ritiene le vittime ugualmente rispettabili indipendentemente dalla razza o dalla religione. Il genocidio degli Ebrei è più grave del genocidio degli Zingari o dei Kulaki o dei Cinesi o dei Negri?
Quanto poi ai campi di concentramento questi furono usati precedentemente dagli Inglesi in Sudafrica nel 1900-1902 durante la guerra contro i Boeri (contadini ed allevatori di origine olandese): nella seconda fase della guerra; i Boeri difendevano la loro terra con una guerriglia di stampo resistenziale. Gli Inglesi incendiarono allora 40.000 fattorie, ne distrussero i raccolti, abbatterono o confiscarono il bestiame e deportarono figli e mogli dei Boeri in campi di concentramento. Vi fu un vero e proprio genocidio. Il tasso di mortalità raggiunse tra i Boeri proporzioni spaventose: il 36% degli adulti e l’88% dei bambini. Di queste, pur essendo cifre superiori a quelle dei campi di concentramento nazisti, non se ne parla mai, né mai si fanno film per ricordare le colpe dei grandi crimini e criminali della storia.
Un toccante articolo di Camilla Dolcini.
Mentre prosegue asfissiante, da parte dei principali soggetti mediatici, la campagna filogovernativa, mirante a glorificare in maniera indecorosamente propagandistica la bontà indiscussa e indiscutibile dei cosiddetti “vaccini anticovid”, ridicolizzando, infangando e criminalizzando - al contempo - tutti coloro che, non volendo abbandonare l’uso del pensiero autonomo, continuano a sollevare e proporre dubbi, perplessità e analisi critiche, capita, fortunatamente, nel grande universo della libera informazione, di trovare interventi di grande intelligenza e di ricco spessore civile. E’ quanto mi è potuto accadere con l’imbattermi nello splendido articolo di Camilla Dolcini su La Pressa dell’8 febbraio (https://www.lapressa.it/articoli/parola_d_autore/follia-green-pass-i-bambini-prime-vittime-di-una-societ-disumana).
In questo articolo, la giovanissima Camilla, mettendo in luce una sensibilità psicopedagogica davvero pregevole, affronta un problema dolorosamente molto, troppo trascurato: quello delle conseguenze rovinose che la strategia dei green pass sta producendo nell’esistenza dei nostri bambini e dei nostri ragazzi.
“Oggi un ragazzino di appena dodici anni, - scrive - sprovvisto di super green pass non può salire sul bus per andare a scuola, venendo così ostacolato in quello che è il suo diritto allo studio, un diritto primario di ogni bambino o ragazzo in un paese civile e democratico come ormai un tempo era il nostro.
Oggi un ragazzino di appena dodici anni sprovvisto di super green pass non più fare sport, un’attività fondamentale per il benessere psico-fisico degli adolescenti e che fino a poco tempo fa medici, psicologici ed educatori raccomandavano di praticare.
Oggi un ragazzino di appena dodici anni sprovvisto di super green pass non può più andare al cinema o mangiare una pizza insieme agli amici, venendo così privato di quella vita sociale che per gli adolescenti costituisce una vera e propria necessità.
Oggi un bambino non vaccinato, nel caso in cui in classe vi sia un determinato numero di alunni positivi è costretto a rimanere in DAD, persino alla scuola primaria, mentre i suoi compagni inoculati possono tranquillamente andare a scuola, nonostante alcuni esponenti politici abbiano dichiarato espressamente che la didattica a distanza sia una pratica che crea profonde discriminazioni e disuguaglianze.
Oggi un ragazzino non vaccinato rappresenta un potenziale pericolo per la società, egli fa parte dei cattivi, dei nemici e per questo deve pagare. Deve pagare, ma senza aver fatto nulla di male, senza aver avuto alcuna voce in capitolo per la sua attuale condizione. Deve pagare per le scelte compiute legittimamente dai suoi genitori, ai quali secondo alcuni dovrebbe essere attribuita la colpa per la sofferenza dei propri figli.
Oggi ad un ragazzino di appena dodici anni in possesso di super green pass, non ancora in grado di distinguere con chiarezza ciò che è bene da ciò che è male vista la sua giovane età, è concesso salire sui mezzi pubblici, giocare a calcio, andare al cinema e al ristorante, rimanere in classe con i suoi compagni. A lui è concesso, è proprio questo il problema. Tutte queste attività non dovrebbero essere concesse, ma rappresentano, al contrario, una serie di diritti e di libertà che ogni ragazzo, dovrebbe possedere fin dalla nascita e che la Costituzione stessa gli garantisce a prescindere dalla sua etnia, religione, classe sociale e quanto meno dalle scelte sanitarie che i suoi genitori hanno compiuto per lui.
Oggi, dunque, un ragazzino di appena dodici anni in possesso di un super green pass che gli concede di vivere una vita relativamente normale, rischia di maturare un’idea malata di libertà, vincolata unicamente ad un passaporto sanitario, un lasciapassare che funge da permesso per esercitare i propri diritti costituzionali. Un’idea di libertà materiale, slegata dal suo significato più profondo intrinsecamente connesso alla dignità umana.
Oggi un ragazzino di appena dodici anni in possesso di super Green pass, rischia di crescere con la convinzione che sia accettabile discriminare gli altri, che bambini della sua stessa età con i quali ha sempre condiviso momenti ed esperienze di vita meritino di essere tagliati fuori perché i loro genitori hanno compiuto una determinata scelta, senza che nessuno si preoccupi delle conseguenze che tale atteggiamento potrebbe avere a lungo andare sulla società, senza che nessuno pensi che un domani, quando ormai odiare, discriminare ed escludere, sarà divenuto normale, il nuovo cattivo, il nuovo nemico potrebbe essere proprio quel ragazzo che oggi sembra apparentemente salvo grazie al suo lasciapassare.
Oggi un bambino i cui genitori hanno scelto altrettanto legittimamente di sottoporlo alla vaccinazione viene sfruttato dai media e dalle istituzioni per contrapporre a quei bambini cattivi, ai piccoli nemici non vaccinati, ai figli dei colpevoli, un modello di bambino buono e virtuoso che merita un premio o un attestato di coraggio. Ma la verità è che quel bambino, come ogni altro minore, meriterebbe solo di essere rispettato e tutelato e non strumentalizzato in modo così falso e meschino.”
E i bambini, ci dice Camilla, in questa società spaccata in due dalla mannaia dell’odio sociale e schiavizzata e abbrutita dal terrore, sono tutti (vaccinati e non) vittime incolpevoli e inconsapevoli. Gli uni ingannati, gli altri emarginati. Gli uni usati e strumentalizzati, gli altri emarginati e ghettizzati.
Tutto ciò nell’indifferenza o, addirittura, nel compiacimento vergognoso degli adulti. E, aggiungerei, molto spesso con il silenzio o con il supporto imperdonabile (diretto o indiretto) del mondo delle chiese, delle associazioni civili, delle istituzioni caritatevoli, ecc.
Tutto ciò mentre era tutto un ipocrita blaterare di responsabilità sociali e di doveri civici. Tutto ciò con la complicità di tutti coloro (poliziotti, allenatori sportivi, insegnanti, ecc.) che avrebbero dovuto tutelare i bambini, impedendo qualsiasi forma di discriminazione ai loro danni.
Tutto ciò grazie a
“tutti quegli uomini e quelle donne, che in molti casi sono anche padri e madri, i quali pur di non rinunciare alla propria tranquilla e mediocre esistenza apparentemente non minacciata da queste restrizioni perché magari i loro figli hanno il lasciapassare oppure sono ancora troppo piccoli per dover sottostare a queste regole, hanno preferito chiudere gli occhi e abbandonarsi ad un atteggiamento di impotenza e oserei dire di vigliaccheria.”
Bellissima, in particolar modo, la conclusione (di spirito decisamente montessoriano) dell’articolo:
a salvare questa società impazzita e disumanizzata, ipnotizzata, accecata e desensibilizzata, potranno essere LORO, soltanto loro, i bambini e i ragazzi che rifiuteranno di lasciarsi ingabbiare nelle nostre paure, nelle nostre bassezze, nelle nostre logiche ciniche ed opportunistiche di divisione e di esclusione!