L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Human Rights (215)

Roberto Fantini
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Confesso di aver commesso a lungo un grossolano peccato di sciocca superficialità:

ho guardato, cioè, alla produzione artistica di Botero (con tutte le sue ciccione e con tutti i suoi ciccioni), come ad una sorta di pittura ingenuamente naiffeggiante, gradevole e simpaticamente buffa sì, ma non certamente degna di essere troppo presa in considerazione.

Poi, vennero le decine di opere da lui dedicate, con un intensissimo lavoro di circa un anno (2005), alle vicende orribili relative alle foto provenienti dal carcere iracheno di Abu Ghraib, che ritraevano soldati e soldatesse statunitensi esercitare, con ostentazione e festoso compiacimento, indegni atti  di tortura nei confronti di prigionieri nemici, imbavagliati, incappucciati, denudati, ammucchiati come sacchi e fatti oggetto di derisione.*

 Di fronte a quell’orgia di carni sanguinolente, in cui la dignità della persona veniva fatta a pezzi con tanta vergognosa quanto inconsapevole ferocia, il mio rapporto con il pittore colombiano è mutato radicalmente.

In lui ho scoperto qualcosa di molto simile allo spessore concettuale e alla serietà morale che tutti quanti noi riscontriamo nella Guernica di Pablo Picasso, la stessa voglia divorante di urlare al mondo il proprio dolore, la stessa volontà di servirsi del proprio linguaggio pittorico per far viaggiare, nello spazio e nel tempo, un durissimo messaggio di condanna verso la follia della tortura e della guerra, nonché delle loro cause culturali:

 assolutizzazione santificante delle ragioni e delle azioni del “noi” e delegittimazione e disumanizzazione viscerale di tutto quello che riguarda il “loro”.

Ora che Botero ha lasciato questo mondo, da lui tanto amato ed entusiasticamente cantato per le sue infinite meraviglie, il mio pensiero è un pensiero di sincera gratitudine per la lezione di eticità che ha saputo donarci: per averci ricordato che, di fronte alle ingiustizie di questo mondo, siamo tutti chiamati a scegliere da che parte stare, siamo tutti obbligati a non restare ammutoliti e indifferenti, bensì chiamati a contemplare, a denunciare, a combattere (per quanto in nostro potere e con le armi, piccole e grandi, in nostro possesso) la violenza di tutti gli aguzzini e di tutti i massacratori, dei loro innumerevoli ben celati complici, dei loro mandanti, dei loro istigatori e difensori, dei loro diretti ed indiretti grandi istruttori.

Forse, chissà, come qualcuno ha detto, fra cento anni, il mondo si ricorderà ancora di Abu Ghraib solo grazie al ciclo pittorico creato da Botero …

 

*Le fotografie dei soldati statunitensi intenti ad umiliare e terrorizzare prigionieri inermi nel carcere iracheno di Abu Ghraib, diffuse nel corso del 2004, hanno scioccato il mondo intero. Ma le azioni riprese dalle fotocamere non erano aberrazioni isolate. Già nei due anni precedenti, infatti, Amnesty International aveva denunciato casi del genere non soltanto in Iraq, ma anche in Afghanistan e a Guantanamo Bay, e altrettanto ha fatto negli anni successivi. Le ricerche condotte hanno spinto, pertanto, a concludere che le torture che hanno avuto luogo ad Abu Ghraib non abbiano costituito un semplice episodio di anomala crudeltà, ma abbiano, al contrario, fatto parte di un preciso modello coerente implicante l’utilizzo di tecniche ben programmate, quali: incappucciamento, privazione sensoriale, isolamento, costrizione a posizioni dolorose, denudamento forzato, impiego di cani, ecc. Su una piccola parte di simili casi sono state aperte inchieste, conclusesi nella maggioranza dei casi con lievi condanne penali e amministrative ai danni di militari di basso grado. Solo nel caso di Abu Ghraib (probabilmente per l’amplificazione  determinata dai mezzi di informazione), sono state comminate pene detentive di un certo rilievo.

Nessuna delle indagini governative ha messo l’accento sulle responsabilità dei vertici militari e politici che, di fatto, avrebbero autorizzato, o per lo meno tacitamente avallato certe pratiche e certi metodi che rappresentano gravissime inaccettabili violazioni dei diritti umani.

 

 “L’abisso verso il quale ci stiamo dirigendo è ben visibile: armandoci sempre di più e distruggendoci a vicenda nelle guerre, non otterremo nient’altro che l’annientamento reciproco, come ragni intrappolati nella propria ragnatela.”

                                                 LEV TOLSTOJ 

 

Merzoug Hamel, giovane musulmano figlio di immigrati, aderente a gruppi islamisti radicali, in seguito al massacro del 25 febbraio del 1994, compiuto da un colono israeliano nella moschea di Hebron, venne inviato, qualche tempo dopo, in Marocco per compiere una strage vendicativa all’interno di una sinagoga.

Una volta trovatosi di fronte alla gente che avrebbe dovuto colpire, alcuni bimbi si voltarono verso di lui, fissandolo. Vide i loro occhi incontaminati e quegli sguardi riuscirono a rovesciare nei labirinti del suo cuore un vento di innocenza ignaro delle lotte fra popoli diversi, ignaro delle terre contese e delle infinite violenze che inseguono e che creano altre violenze infinite. E così, Merzoug decise che non sarebbe stato seminatore di morte: sparò sul muro del cimitero, svuotando l’intero caricatore sopra le loro teste.

Non potevo più far loro del male né potevo farne degli orfani”, disse, affermando anche che Ogni essere umano dotato di coscienza morale e di umanità non può essere un mostro e ancor meno un assassino di bambini.”*

Qualcosa di straordinario era accaduto. Come se tutto un complesso meccanismo, entrato massicciamente in funzione per indurre un essere umano a diventare l’autore mostruoso di una strage di ampie proporzioni (presentata come un doveroso ed eroico atto di giustizia), si fosse inceppato di fronte alla comparsa di un elemento del tutto imprevisto. Come se, a un certo punto, tutte le forze (che sembravano irresistibili) in azione da una parte avessero improvvisamente trovato, dall’altra, una forza ancora più grande, capace di bloccarle: lo sguardo di quei bimbi.

Qualcosa di straordinario sì, ma non di “miracoloso”, però … E’ accaduto, per usare un’immagine pirandelliana, che la forza di quegli sguardi ha saputo squarciare il cielo di carta sopra il teatrino della storia, facendo apparire le mani e i volti dei grandi burattinai: le maschere ideologiche, i paraventi costruiti dall’odio, le giustificazioni nobilitanti partorite dal desiderio di vendetta hanno finito per rivelarsi, di fronte alla verità della luce di quegli occhi, come ciò che realmente sono, qualcosa di fittizio, di menzognero e di spregevolmente  ingannevole.

Merzoug dichiarò, poi, che, in quanto credente e musulmano, aveva “appreso che tutte le religioni divine spingono alla pace, all’amicizia tra i popoli e al rispetto della vita umana, e che appartiene solo a Dio di decidere del momento della morte.”

E il suo auspicio è stato che ogni soldato israeliano, prima di sparare ad un bambino palestinese, avrebbe dovuto pensare alla propria coscienza, al proprio cuore, ai padri e alle madri, “al dolore, alla sofferenza, allo strappo nei loro cuori che non guarisce né si cancella mai.”

  Hermann Hesse

Auspicio che merita di essere esteso, oggi più che mai, a tutti coloro che impugnano le armi, con questa, con quella o con nessuna divisa, a tutti quelli che finanziano armi, progettano armi, fabbricano, vendono o “regalano” armi. A tutti quelli che, in un modo o nell’altro, le giustificano, le invocano e le benedicono.

Solo la conoscenza della nuda realtà, solo la consapevolezza di cosa implichi davvero affidare le proprie speranze di giustizia e di pace all’uso delle armi, solo il pensiero delle vite distrutte e delle sofferenze … solo questo potrà salvarci dalla retorica delle fanfare e delle bandiere, dagli ingannevoli sofismi, dal culto della violenza e degli eserciti, dalla dittatura ideologica della pseudofilosofia del “mali estremi estremi rimedi”.

Perché è sempre verissimo che, come insegnava Socrate, è l’ignoranza la grande madre di ogni male e che il rifiuto della tirannia delle armi non nasce dalla non conoscenza della realtà, bensì sempre da un giusto e concreto sapere.

Come ebbe a scrivere Hermann Hesse nel 1918:

L’amor di pace, al pari di ogni umano progresso, è frutto del sapere.

Ma ogni cognizione, se con ciò si intende qualcosa di tangibile e non accademico, ha soltanto un oggetto, cosa riconosciuta da migliaia e migliaia di persone, espressa in mille formule diverse e che tuttavia è sempre e soltanto un’unica verità:

il riconoscimento di quel che c’è di vivente in ciascuno di noi, in me e in te;

 il riconoscimento di quella segreta magia, di quella segreta divinità che ognuno di noi reca in sé;

 il riconoscimento della possibilità di superare, a partire da questo intimissimo nucleo, ogni antitesi tra opposti in ogni momento, di trasformare il bianco in nero, il male in bene, la notte in giorno.

L’indiano parla di “atman”, il cinese di “tao”, il cristiano di “grazia”. E ovunque  si abbia questa suprema cognizione (come ad esempio in Gesù, in Buddha, in Platone, in Lao Tze), ecco che si supera una soglia, al di là della quale cominciano i miracoli. Qui hanno termine guerra e ostilità.”**

A fermare la mano di Merzoug, allora, furono gli sguardi di quei bimbi che, forse, ebbero la straordinaria, naturalissima capacità di fargli scoprire (o riscoprire) quell’ unica, grande, immensa, eterna verità:

la “segreta magia”, la “segreta divinità che ognuno reca in sé”.

 

 

*M. Giro, Gli occhi di un bambino ebreo. Storia di Merzoug terrorista pentito, Guerini e Associati, Milamo 2005.

*Hermann Hesse, Guerra e pace, in Non uccidere, Mondadori, Milano 1987.

 

 

In tema di sanzioni amministrative nei confronti di tutti gli ultracinquantenni che si fossero rifiutati di sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria, imposta dalle autorità governative per quanto attiene il  Covid-19, vi riproponiamo l'impostazione giuridica illustrata dal collega Luca Scantamburlo già nel giugno del 2022 e oggi confermata dalla sentenza del 2 agosto 2023 del Giudice di pace di Rovigo.

 

"Quanto tempo può durare una istruttoria di accertamento sanzionatorio dal momento del suo avvio?

Domanda importante e così la sua risposta, soprattutto in merito all'avvio del procedimento sanzionatorio che l'Agenzia delle entrate - Riscossione ha avviato nei mesi scorsi nei confronti di alcuni (non tutti) over 50 anni di età, per non essersi conformati all'obbligo di profilassi vaccinatoria anti-SARS-CoV-2 stabilito dalla legge italiana DL 7 gennaio 2022, nr 1 coordinato con la legge di conversione 4 marzo 2022 n.18.

Una sottrazione all'obbligo che - per altro - risponde a diritti sacrosanti di tutela di habeas corpus,  principio consensualistico in ambito medico e della biologia, di tutela della propria dignità e del proprio convincimento personale, tutti tutelati dalla giurisprudenza di Cassazione e della Corte Costituzionale (sentenza n.438/2008), sulla scorta della Convenzione di Oviedo (ex art 5)  e soprattutto sulla scorta della Carta dei Diritti Fondamentali della UE (ex art 3) la quale e' legge vigente nel diritto eurounitario e di rango superiore alle leggi nazionali degli Stati.

Dei 90 GG ha parlato anche il Consiglio di Stato: Sentenza nr 1330, Sez III 13 marzo 2015.

Vedi anche Delibera A.G. Con n 136/06/CONS, L. 241/1990 art 5 comma 2)

Rif. Anche sentenza Cassazione n 4042 del 21 marzo 2001, che indica espressamente i 90 GG come tempo massimo per la conclusione del procedimento amministrativo

Vi e' un orientamento di Cassazione che invece parla dei cinque anni (il termine di prescrizione), ma e' per me una VIOLAZIONE del diritto all'equo processo ex art 6 CEDU.

Così come del diritto alla buona amministrazione (ex art 41 CDFUE, per cui ogni cittadino ha diritto che le questioni che lo riguardano siano trattate "entro un termine ragionevole dalle istituzioni")

Anche la Costituzione della Repubblica italiana riconosce e garantisce "il buon andamento e l'imparzialità della amministrazione", secondo quanto disposto dall'art 97 Cost.) Non si può considerare la conclusione entro termini ragionevoli, un procedimento che dura cinque anni.

La sentenza che sconfessa il primo orientamento di cui sopra, e' la sentenza del 27 aprile 2006, n 9591, Cassazione Sez. Unite.

Il Consiglio di Stato ha espresso il suo parere nel 2015 e taglia la testa al toro:

(...) "La fase istruttoria del procedimento sanzionatorio che precede la notifica della sanzione al trasgressore non può, tuttavia, per scelte organizzative dell'Autorita', dilatarsi oltre i limiti temporali ragionevoli e congrui allo scopo perseguito"

E quindi, dal momento della contestazione della sanzione al trasgressore, scattano i 90 GG di tempo come termine entro il quale la P.A deve concludere il suo accertamento per irrogare una legittima sanzione, decorsi i quali ogni qualsiasi sanzione irrogata oltre questo limite temporale e' da ritenersi illegittima.

Non si può protrarre ad libitum una istruttoria sanzionatoria.

I cinque anni sono un chiaro abuso ed una sorpassata convinzione giurisprudenziale.

L'obbligo vaccinale per gli over 50 anni di età era poi previsto dalla legge in vigore fino al 15 giugno 2022, termine di scadenza della obbligatorietà di profilassi anti-SARS-CoV-2.

L'obbligo e' scaduto da tre giorni. La vaccinazione per questa coorte non è più obbligatoria. Stando a quanto riferisce ilSole24ore (news del 16.06.2022 Riccardo Ferrazza), sinora sono stati individuati 1,7 milioni di inadempienti per i quali è scattato l'avvio del procedimento sanzionatorio.

1,7 milioni su 2,4 milioni di nominativi individuati. Se partissero ulteriori avvii di procedimento sanzionatorio, anche per i rimanenti (nonostante la scadenza dell'obbligo) valgono le considerazioni già sopra svolte: dal momento dell'accertamento scattano i 90 GG.

Rispondere con istanza in autotutela di richiesta di immediata archiviazione e' sempre cosa buona e giusta

In ogni caso, rimane la possibilità di ricorso dinanzi al GdP."

 

 Luca Scantamburlo
18 giugno 2022

     Lev Tolstoj

Io, in qualità di uomo, non posso, né direttamente né indirettamente, né dirigendo, né aiutando, né incitando, partecipare alla guerra; non posso, non voglio e non lo farò.”

                                                                     Lev Tolstoj

 

All’inizio dello scorso secolo, Tolstoj, grande maestro di cultura della Pace e della Nonviolenza, di fronte ai conflitti del suo tempo e al dilagare frenetico di deliri nazionalistici e di aggressività imperialistica, si trovò a riscontrare, con grande amarezza, che i saggi insegnamenti filosofico-religiosi e gli appassionati messaggi etico-politici delle menti migliori del passato sembravano non aver lasciato alcunissima traccia sulla coscienza collettiva dell’umanità.

 A molti di noi, credo, sarà certamente capitato, con sconfinata facilità, di condividere tale amara e sconfortante considerazione.

Per cui, al fine di tentare di porre un argine all’avanzata della paralizzante sensazione di sfiducia nelle capacità evolutive del genere umano, penso possa risultare utile e rivitalizzante rituffarsi, almeno per qualche minuto, nel pensiero di alcuni intelletti che hanno cercato di metterci in guardia in merito alla follia della guerra e di offrirci anche preziosi suggerimenti in vista della costruzione di una pace vera e duratura.

Ed ecco, quindi, come dono per un fausto e proficuo Ferragosto di riflessione, una piccola antologia di parole di Luce, per non dimenticare che, se è pur vero che la strada da percorrere per espellere la guerra dal nostro comune destino è lunga e piena di incognite, molto dipenderà da quanti saremo a voler proseguire a percorrerla e molto ancora dipenderà dalla determinazione e dalla forza dei nostri passi.

 

  • E’ come se non fossero mai esistiti Voltaire, Montaigne, Pascal, Swift, Kant, Spinoza e centinaia di altri scrittori che hanno denunciato con fermezza l’insensatezza e l’inutilità della guerra, descrivendone la crudeltà, l’immoralità, la ferocia; e, soprattutto, è come se non fosse mai esistito Cristo e il suo predicare la fratellanza fra uomini, l’amore per questi e per Dio.

        Uno rammenta tutto questo e, guardandosi attorno, non  rimane più inorridito dagli orrori della guerra, ma da qualcosa che li supera tutti: la consapevolezza dell’impotenza della ragione umana.”                                                            LEV TOLSTOJ

 

  • Esiste qualcosa di più ridicolo del fatto che un uomo ha diritto di uccidermi perché vive dall’altra parte di un fiume e il suo sovrano è in lite con il mio, sebbene io non lo sia con lui?

                                                                   BLAISE PASCAL

  • La guerra forma persone che cessano di essere cittadini e diventano soldati. Le loro abitudini li separano dalla società, il loro principio è la fedeltà a un superiore. Nelle colonie si abituano al dispotismo, a raggiungere i loro obiettivi con la violenza e a calpestare i diritti e la felicità di chi gli sta attorno; traggono piacere principalmente dalle avventure estreme e dal pericolo. Sono contrari allo svolgere un lavoro pacifico.

        La guerra stessa produce altra guerra e la prolunga all’infinito.  Una nazione vittoriosa, inebriata dal successo, cerca di riportare nuove vittorie; una nazione ferita, irritata dalla sconfitta, si affretta a recuperare l’onore e le perdite subìte.

Le nazioni, incattivite dalle reciproche offese, si augurano l’un l’altra umiliazione e distruzione. Gioiscono quando malattie, fame, urgenze, sconfitte affliggono un Paese ostile.

L’uccisione di migliaia di persone, al posto della compassione, provoca in loro una gioia estatica: le luminarie riempiono le città e tutto il Paese festeggia.

In questo modo, il cuore dell’uomo s’indurisce, e le sue passioni peggiori vengono alimentate. L’uomo rinuncia alla solidarietà e all’umanità.”

                                                  WILLIAM ELLERY CHANNING

 

  • La guerra è più rispettata che mai. Un abile artista della guerra, un massacratore di genio, de Moltke (1848-1916, generale tedesco), rispose un giorno ai delegati della pace con queste strane parole: ‘La guerra è santa, un’istituzione divina, una delle leggi sacre del mondo; essa mantiene fra gli uomini tutti i grandi, nobili sentimenti, l’onore, il disinteresse, la virtù, il coraggio; li salva, in una parola, dal cadere nel più abominevole materialismo’.

        Dunque riunirsi in branchi di quattrocentomila uomini, camminare senza riposo, giorno e notte, non pensare a niente, non studiare niente, non imparare niente, non leggere niente, non essere utile a nessuno, marcire nel sudiciume, dormire nella sporcizia, vivere come bestie in un perenne istupidimento, saccheggiare città, incendiare villaggi, distruggere popoli, poi imbattersi in un alto mucchio di carne umana, saltargli addosso, versare fiumi di sangue, ricoprire i campi di carne lacerata e mucchi di cadaveri, venire mutilati e devastati senza utilità per nessuno, e infine spirare in un angolo del campo avversario, mentre i genitori, la moglie e i figli muoiono di fame: ecco ciò che chiamano non cadere nel più abominevole materialismo!

                                                    GUY DE  MAUPASSANT

 

  • Gli abitanti del pianeta Terra versano ancora in un tale stato di follia, irrazionalità, stupidità, che ogni giorno, sui giornali dei paesi civilizzati, si legge di discussioni sulle relazioni diplomatiche dei capi di Stato allo scopo di allearsi contro un presunto nemico, e della preparazione di guerre, per cui le nazioni permettono ai loro capi di disporre di loro come fossero bestiame mandato al macello, come se non sospettassero che ogni vita umana è proprietà personale.

       Gli abitanti di questo strano pianeta vengono tutti istruiti a credere che esistano nazioni, confini e vessilli, e tutti hanno una coscienza così labile dell’umanità, per cui questo sentimento scompare completamente di fronte alla nozione di patria …”

                                                     CAMILLE FLAMMARION

 

  • Noi non vediamo e non udiamo coloro che soffrono: tutto ciò che è spaventoso si svolge dietro le quinte. Tutto sembra calmo, appare piacevole; protestano solo le silenziose statistiche: tanti uomini divenuti pazzi, tanti esseri rovinati dalla vodka, tanti fanciulli morti di fame … E questa situazione sembra necessaria; apparentemente l’uomo felice sta bene soltanto perché gli sventurati sopportano in silenzio il loro fardello; senza questo silenzio, la felicità sarebbe impossibile. E’ un’ipnosi generale. Bisognerebbe che dietro la porta di ciascun uomo soddisfatto e felice ci fosse qualcuno armato di un piccolo martello, i cui colpi gli ricordassero incessantemente che esistono gli sventurati e che, benché egli sia felice, anche per lui la vita presto o tardi tirerà fuori i suoi artigli; la disgrazia si abbatterà su di lui, conoscerà la malattia, la povertà, il lutto, e nessuno lo vedrà, nessuno lo sentirà, come lui stesso attualmente non sente e non vede nessuno.

                                                                      ANTON CECOV

  • Ricordo Einstein che in risposta ai tentativi di “umanizzare” la guerra disse: “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”.

        Questa grande verità va ribadita continuamente: che queste parole si imprimano nelle nostre menti, che si diffondano ad altri, fino a diventare un mantra ripetuto in tutto il mondo, che il loro suono si faccia assordante e infine sommerga il rumore dei fucili, dei razzi e degli aerei.”

                                                                        HOWARD ZINN

 

  • La strada di ogni marcia per la pace e la nonviolenza sia la strada di tutti, la strada maestra da condividere fin nelle sue innumerevoli, possibili diramazioni; sia la strada della comprensione reciproca e di quell’aggiunta che dal semplice buon senso e dalla mera tolleranza ci fa arrivare finalmente all’inclusione e alla valorizzazione dell’altro nella sua autonomia; sia, in ultima istanza, la strada di una sempre rinnovata fiducia nella capacità trasformativa di ogni uomo e di ogni donna.

                                                             ALDO CAPITINI

 

  • La pace è un principio pratico di umanità e di organizzazione sociale che si fonda sulla stessa natura dell’uomo. Essa non lo sottomette, ma lo esalta; non lo umilia, ma lo fa
         MARIA MONTESSORI
    cosciente del proprio potere sull’universo. E poiché si fonda sulla natura dell’uomo, è un principio unico e universale, comune a tutti gli uomini.

        Questo principio deve condurre a realizzare la scienza della pace e l’educazione degli uomini per la pace.”

                                                          MARIA MONTESSORI

 

Come ho fatto osservare ad alcuni amici e amiche, ha molto più senso sensibilizzare la Corona britannica e le Autorità britanniche, nei modi civili e di protesta pacifica stabiliti dalla Legge. Non certo quelle americane. Per delle ragioni molto semplici. In America il già Presidente USA B. Obama concesse commutazione di pena alla talpa di WikiLeaks - l'ex soldato Chelsea Manning - solo dopo diversi anni di prigione (almeno sette anni) scontati, cioè dopo aver imparato la lezione di un carcere duro (questo il ragionamento di Obama e degli americani nel tema di giustizia, chi sbaglia deve essere punito, in misura severa ma giusta, e negli Stati Uniti, al netto di tanti problemi, la certezza della pena e di tempi ragionevoli nella amministrazione della giustizia, sono rispettati).

Invece un gesto possibile di grazia da parte della Corona britannica attraverso una formale richiesta di un Ministro o un funzionario pubblico britannico rivolto a sua Maesta' Re Carlo III, ha una valenza diversa perché parte da un presupposto di difesa di un cittadino in territorio europeo, dove dagli anni Cinquanta vige la CEDU di Strasburgo (ma CEDU non significa solo andare in Tribunale in ricorso dinanzi alla Corte EDU di Strasburgo, ma significa anche impegno nella difesa dei principi e valori dei diritti umani in ogni circostanza, perché essi informano e permeano o dovrebbero orientare ogni decisione delle istituzioni dei 47 Paesi membri del Consiglio d'Europa, di cui anche il Regno Unito fa parte).

Inoltre, la difesa legale di Julian Assange si fonda soprattutto sulla contestazione che la estradizione richiesta dagli USA al Regno Unito sembra più un atto di persecuzione politica che un atto fondato da ragioni oggettive di giustizia, connesse alle pretese accuse di spionaggio. Pertanto, mi auguro che la opinione pubblica e le associazioni a tutela dei diritti umani e civili, perorino la causa di liberta' di Assange dinanzi alla Corona britannica perché intervenga con un atto di grazia che possa bloccare definitivamente la estradizione dal Regno Unito. Un gesto difficile e poco probabile ma non impossibile. Me lo auguro dal profondo del cuore per il fondatore di WikiLeaks e per quanto ha fatto per tutta la umanità, aiutando a prendere coscienza di certe dinamiche di potere e di manipolazione dalla verita'.

 

 

Roberto Fantini, saggista e già docente di filosofia, ha insegnato filosofia e storia in diversi Licei di Roma, occupandosi anche, come volontario, di Educazione ai diritti umani all’interno di Amnesty International. Per questa associazione, ha curato: Pena di morte: parliamone in classeLiberarsi dalla paura. Tutela dei diritti umani e “guerra al terrore”Una giornata particolare (in collaborazione con Antonio Marchesi).

Lo abbiamo intervistato per parlare del suo vivacissimo metodo didattico, e siamo arrivati a esplorare il soggiorno indiano di Maria Montessori, la filosofia anti-violenta di Aldo Capitini e lo sciopero come mezzo per fermare la guerra. Temi senza tempo e questioni attualissime.

Roberto Fantini, una scuola socratica nell’era della digitalizzazione

Prof. Fantini, nel 2019 La Repubblica le ha dedicato un articolo dal titolo “Fantini, che classe seduti in cerchio e con filosofia”, in cui si spiegava che nelle sue lezioni “Non c’è cattedra e in un certo senso non c’è nemmeno il professore, almeno nella percezione degli studenti. Non ci sono le classiche spiegazioni e interrogazioni: in classe si discute ciò che si è studiato a casa e i compiti scritti diventano esercizi creativi, con dialoghi immaginari tra diversi esponenti di scuole di pensiero”.

Per me l’insegnamento è stata un’avventura grandiosa, fatta di mille scoperte, fuori e anche dentro di me. Più che un metodo collaudato il mio è stato un percorso, che è emerso spontaneamente con l’esperienza e tanti tentativi più o meno felici, perché l’insegnamento (se vissuto con passione e responsabilità) è un cantiere sempre aperto in cui si sperimentano diverse modalità di ricerca, comunicazione e trasmissione.

Quando ero un professore in erba mi sentivo insicuro, insegnavo in maniera tradizionale e cattedratica, diciamo che non potevo ancora permettermi di uscire dagli schemi. Studiavo come un matto perché mi rendevo conto di quante cose non sapessi e anche perché temevo sempre di fare tremende figuracce. Poi, negli anni, lavorando sulla mia autostima, ho acquisito sicurezza e ho allargato la fantasia.

Ho capito che si poteva scardinare la gerarchia, rendere la lezione più interessante e stimolante, entusiasmando i ragazzi invece di costringerli: questo rendeva più avvincente il mio lavoro, dinamiche le lezioni e più disponibili gli studenti.

Tutto questo non significava rinunciare al mio ruolo, non esprimere valutazioni sulle verifiche o non dare compiti. Quando assegnavo alcune pagine da leggere, non le spiegavo prima: volevo che i ragazzi si facessero innanzitutto una loro idea libera dal mio condizionamento e che si sforzassero di interpretare i testi entrando direttamente in contatto con essi.

Poi, invitavo qualcuno ad esporre quanto credeva di aver compreso, lasciando ampio spazio all’esame delle difficoltà, delle incertezze e dei dubbi e, ovviamente, delle domande dell’intera classe.

 Dato che non ero io a spiegare prima di loro, spesso si creavano dibattiti, confronti coinvolgenti. Ecco, questo è imparare! Imparare dai grandi poeti e filosofi, ma anche imparare ad ascoltare e farsi capire.

Chi è stato il suo maestro in questo percorso pedagogico a doppio filo?

Il mio maestro è Socrate, quindi parliamo di un insegnamento millenario: quello della dialettica e della maieutica. Il dialogo collaborativo, aperto, che esclude una posizione di superiorità netta, preferendo il mettersi a fianco. Anche per questo motivo facevo il possibile per disporre i banchi a cerchio: non si può parlare e ascoltare solo il professore e vedere la nuca dei compagni; che razza di circuito comunicativo potrebbe mai essere?

Le giustificazioni mensili? Ma che formalità… Io dicevo ai miei studenti: “se avete litigato con la fidanzata o il fidanzato o con i genitori, ecc., basta dirlo all’inizio della lezione e non abusare di pretesti falsi o sotterfugi”. E’ così che si costruisce un rapporto corretto:sulla fiducia, sul rispetto reciproco e sulla responsabilizzazione. Non sulla coercizione.

Non crede che, però, la perdita di autorità e disciplina di questo momento storico in Italia confonda i ragazzi e lasci i giovani senza punti di riferimento sociali e regole morali? Tra le recenti notizie di cronaca abbiamo letto di un giovane che ha sparato ad una professoressa con una pistola ad aria compressa. Non sono casi isolati.

Penso che un metodo troppo lassista sia inefficace come uno eccessivamente autoritario. Al concetto di autorità ho cercato di contrapporre quello di autorevolezza. Essere autoritari significa imporre, e imporre è il contrario di insegnare, di indurre a sviluppare una vera coscienza critica.

La paura allontana lo studente dalla voglia di apprendere. E’ una cosa che ho deciso quasi subito: i ragazzi non dovevano temermi e vedermi come una minaccia, dovevano vedermi come una risorsa. Spesso ho ottenuto buoni risultati sia didattici sia umani, a volte meno, non voglio autoincensarmi. In quante circostanze, continuo a chiedermi, avrei potuto fare di più e di meglio?

La paura è il contrario della dialettica di Socrate. Socrate, infatti, era invece temuto da coloro che erano autoritari e intendevano mantenere tale autorità.

Certo, temevano di essere smascherati nella loro forza coercitiva che, in realtà, non era altro che debolezza e bluff, un inganno insomma.

Da Socrate alla scuola digitalizzata. Si va verso la scuola 4.0 prevista dal PNRR, cosa ne pensa?

Premetto che sono decisamente un paleolitico, ma ho cercato di rinnovarmi e superarmi nella tecnologia. Penso che, se adottati con intelligenza e misura, questi strumenti possano essere efficaci e utili. La lavagna elettronica, ad esempio, è un dispositivo dalle potenzialità sorprendenti, soprattutto per invogliare lo studente demotivato attraverso filmati, video, docufilm. Certo, non è il punto di arrivo, ma può essere un input: chissà che poi quel ragazzo non se ne vada in biblioteca…

E così il registro elettronico, da non tenere più chiuso nel cassetto come accadeva con il registro cartaceo personale, ma che diventa un mezzo di comunicazione con gli studenti per mandare esortazioni a fare meglio, campanelli di allarme per i più pigri, segnali di approvazione per i più collaborativi, sempre al fine di renderli più consapevoli. Nessun congegno può o deve sostituire l’insegnante ma non dobbiamo temere questi marchingegni.

Una questione preoccupante è invece quella della ChatGPT basata su intelligenza artificiale, non sappiamo davvero dove ci potrebbe portare.

Lei è anche autore del saggio Maria Montessori. Teosofica maestra di pace. Ci spiega perché l’educatrice, pedagogista, filosofa, medico e neuropsichiatra infantile sarebbe anche stata un’appartenente alla scuola teosofica della Blavatsky?

Per me la Montessori è sempre stata una figura grandiosa, spesso sottovalutata in Italia. Studiandola, ho scoperto che si era iscritta alla Società Teosofica da giovanissima e che, negli anni della Seconda guerra mondiale, è stata in India, ospite presso la sede mondiale della Società Teosofica, in Adyar, vicino Madras, invitata dal presidente George Arundale, che nutriva pronunciati interessi pedagogici e grande stima nei suoi confronti. Antica spiritualità indiana, teosofia e pedagogia del bambino come nuovo Messia, si fondevano nella sua speculazione filosofica e spirituale di altissimo livello. Una figura da mettere nell’Olimpo dei nonviolenti insieme ad Aldo Capitini, Gandhi, Don Milani e Tolstoj.

Maria Montessori si è dedicata molto al tema della pace e lo ha fatto in maniera molto carismatica ed è anche stata candidata più volte al Nobel per la Pace. Il minimo che potessi fare, insomma, era scrivere un saggio su di lei, con lo scopo di mettere in risalto aspetti della sua vita e del suo pensiero poco conosciuti, ma di fondamentale importanza.

Aldo Capitini e lo sciopero di massa contro la guerra

Parliamo della guerra e verso la pace. In un suo articolo lei scrive che Aldo Capitini, filosofo che portò il movimento non violento gandhiano in Italia, affermava che “La pace è troppo importante perché possa essere lasciata nelle mani dei soli governanti” e che, di conseguenza, in ogni nazione, tutto il popolo avrebbe dovuto “continuamente e liberamente informarsi” e tutti coloro che fossero disposti ad opporsi e a resistere alla guerra avrebbero dovuto costituire una fraterna coalizione di portata internazionale per ristabilire la pace. 

Noi – scriveva Capitini nel 1964 – dobbiamo dire NO alla guerra ed essere duri come le pietre; oggi i governi, con la decisione di fare la guerra e di usare le armi atomiche e chimiche, sono infinitamente più dannosi di qualsiasi disordine della popolazione, perché un’ora di guerra atomica può distruggere la vita di tutto un popolo.” E ci ricordava che “Giacomo Matteotti, nel febbraio 1915, scrisse che tutti i lavoratori dovevano fare, se scoppiava la guerra, lo sciopero generale. Intuì che l’arma della popolazione intera davanti alla guerra è la vigilanza e la non collaborazione, il rifiuto di massa.” 

Sciopero generale e non collaborazione restano il metodo non violento più efficace per contrastare una guerra. Ma oggi la situazione è paralizzante. I sindacati si sono dati da soli l’estrema unzione durante la “pestilenza”, i pochi partiti contro il sistema non riescono ad emergere, i media sono asserviti, associazionismo e volontariato ammutoliti. Il referendum “Italia per la pace” è stato censurato da quasi ogni giornale e canale.

L’opinione pubblica non sa neppure cosa pensare di questa guerra se non ciò che dice la tv. Quando c’era Matteotti le piazze erano spaccate, l’opinione pubblica non voleva la guerra e lo gridava per le strade.

Pensa che oggi uno sciopero generale contro la guerra in Ucraina potrebbe essere utile? Gran parte dell’opinione pubblica è contraria alla guerra, ma alcuni cittadini credono anche che si debbano inviare armi per ristabilire la pace…

E’ un discorso doloroso e complesso. Per esaminare la situazione attuale bisognerebbe partire da un po’ più lontano: da diversi anni è stata messa in moto una macchina “occulta” e anche molto manifesta di persuasione di massa che ci sta convincendo che l’antimilitarismo e il pacifismo sono cose da santi e da eroi d’altri tempi e non cose alla portata di tutti e doverose per tutti. Ovvero, siamo tutti, in astratto, sostenitori dei diritti umani ma, essendo concretamente realistici, di fronte “a mali estremi”, ci sentiamo chiamati a ricorrere a “estremi rimedi”. La pace diventa, così, esito paradossale della conquista tramite il conflitto.

Questa operazione concettuale deriva dall’antica idea secondo cui, in questo mondo crudele e spietato, l’unica strada valida sia quella della forza. La forza per esportare la democrazia, per fermare i terroristi, per ristabilire i diritti: in questo gli Stati Uniti sono il traino ideologico e militare. Lo abbiamo visto con la guerra in Iraq negli anni ’90, con le operazioni NATO in Kosovo, con il post 11 settembre. I diritti umani vengono strumentalizzati come qualcosa di esclusivamente occidentale che ci fa sentire autorizzati a difendere con le armi i nostri paesi, anche portando disordine e sofferenze in altri territori.

La “psicopandemia” ha poi reso la manipolazione dell’informazione pressoché totale, fino alla rigida polarizzazione ipersemplificante che contrappone aggredito ed aggressore, come nel caso della questione della guerra in Ucraina. 

Chissà se, più dialettica socratica e meno ottusità e sofismi, possono ancora salvarci dal peggio.

A questo punto, possiamo soltanto cercare di fare in modo che la diffusione dello spirito della salutare dialettica socratica e del coerente e coraggioso pensiero della nonviolenza aiutino tutti noi a liberarci dall’ottusità, dai pregiudizi e dall’inclinazione sempre più diffusa alla cieca obbedienza.

 

da https://www.quotidianoweb.it/

                                                         

Erasmo da Rotterdam - Aldo Capitini

 La guerra è grata a chi non l’ha sperimentata, ma chi l’ha sperimentata prova un grande orrore se essa si avvicina al suo cuore.”

                                                                                   PINDARO

 

 

Sappiamo da sempre quanto la Pace sia difficile da conseguire, difficile da difendere e difficile da consolidare. Ma, dopo tante dolorose esperienze della nostra Storia, abbiamo finito, in tanti, per illuderci che la nostra comune sensibilità e il nostro comune pensare si fossero, oramai, efficacemente immunizzati di fronte al pericolo di subire, accettare, propugnare la guerra.

Mezzo millennio fa, Erasmo da Rotterdam ci diceva che, ai suoi tempi, nonostante  apparisse evidentissimo, agli occhi della ragione, che nessun  male di questo mondo fosse più dannoso, più rovinoso ed indegno  della guerra che gli uomini  usano praticare contro i propri simili, chi avesse tentato di mettere in discussione  tale abominio sarebbe stato trattato da “stravagante” se non addirittura da “irreligioso” addirittura in odore di eresia. E ci invitava a domandarci

 “qual genio malvagio, quale flagello, quale calamità, quale Furia infernale abbia immesso un impulso così bestiale nell’animo dell’uomo”. 1)

Ma il fatto è che, dopo le guerre spaventose che hanno massacrato la famiglia umana nel ventesimo secolo, davvero arduo risulta il continuare a credere nella fondamentale bontà della natura umana, attribuendo a forze esterne ad essa (terrene, divine o diaboliche) l’origine dell’inclinazione alla bellicosità e alla belligeranza. Per cui, l’interrogativo più sensato e più urgente da porsi non è più, oggi, quello relativo alla genesi metafisica della guerra in sé, bensì, molto più concretamente, quello di chiedersi cosa poter fare per cercare di arginare (se non estinguere) detta inclinazione con le sue devastanti manifestazioni.

Dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, si verificò, da parte degli spiriti più illuminati, primi fra tutti Albert Einstein e Bertrand Russell, un grande e ammirevole impegno nel tentativo di inchiodare l’umanità alle proprie inderogabili responsabilità, mettendo in risalto come, nella neonata era atomica, non fosse più possibile non essere irremovibilmente fermi nella condanna della guerra e nel suo radicale e definitivo rifiuto: la pace avrebbe dovuto, infatti, essere intesa come un valore assoluto, non esistendo più realistiche alternative ad essa.

Come ebbe a dire Gunther  Anders, divenute anacronistiche ormai, con l’avvento dell’era atomica, le alternative contemplate nel passato (pace e libertà; pace e onore; pace e giustizia, ecc …),  l’unica alternativa rimasta è quella tra l’essere e il non essere.

Quando Aldo Capitini, nel 24 settembre 1961, dette vita alla Marcia per la Pace Perugia-Assisi, nei Princìpi contenuti nella Mozione del Popolo per la Pace, venne molto sapientemente scritto che

La pace è troppo importante perché possa essere lasciata nelle mani dei soli governanti

 e che, di conseguenza, in ogni nazione, tutto il popolo avrebbe dovuto “continuamente e liberamente informarsi” e tutti coloro che fossero disposti ad opporsi e a resistere alla guerra avrebbero dovuto costituire una fraterna coalizione di portata internazionale. 2)

Affermava Capitini, infatti, che le popolazioni continuano a commettere l’errore abnorme di fidarsi troppo dei loro governanti.

Noi - scriveva nel lontano 1964 - dobbiamo dire NO alla guerra ed essere duri come le pietre; oggi i governi, con la decisione di fare la guerra e di usare le armi atomiche e chimiche, sono infinitamente più dannosi di qualsiasi disordine della popolazione, perché un’ora di guerra atomica può distruggere la vita di tutto un popolo.”

E proseguiva ricordandoci che

Giacomo Matteotti, nel febbraio 1915, scrisse che tutti i lavoratori dovevano fare, se scoppiava la guerra, lo sciopero generale. Intuì che l’arma della popolazione intera davanti alla guerra è la vigilanza e la non collaborazione, il rifiuto di massa.” 3)

Ma concetti come  “sciopero generale”,  “noncollaborazione” e “rifiuto di massa” sembrano oramai del tutto scomparsi dalle odierne coordinate culturali e da ogni capacità di progettualità politica, tristemente trattati come polverosi oggetti appartenenti ad arcaiche mitologie: chi ardisse tentare di farne uso, ai nostri giorni, finirebbe  certamente per apparire ancor più “stravagante”, eretico e scandaloso dell’ ipotetico uomo di pace dei tempi del menzionato buon Erasmo.

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  1. Erasmo da Rotterdam, Chi ama la guerra non l’ha vista in faccia, in Adagia, Einaudi, Torino 1980.
  2. Aldo Capitini (a cura di), Persone che marciano per la pace, Edizioni dell’Asino, Roma 2016.
  3. Aldo Capitini, La pace è sempre in pericolo, ne Il Potere di Tutti, Guerra Edizioni, Perugia 1969.

L'avvocato e scrittore Robert Francis Kennedy Jr. - nipote di JFK e figlio del fratello Bon Kennedy già a capo del Dipartimento di Giustizia USA - lo scorso giugno 2023 ha tenuto  un memorabile discorso allo Saint Anselm College in Goffstown, nel New Hampshire.

Una orazione civica straordinaria che tocca il tema della guerra in Ucraina - che egli riconosce essere una guerra per procura e pretesto per la ingerenza statunitense - contro la Federazione russa dopo la sua invasione a sostegno delle minoranze russofone nel Donbass, anche per spezzare la tenaglia di progressiva espansione a Est della NATO.

Kennedy ricorda le preoccupazioni di JFK che lo portarono pochi mesi prima della sua morte a volere a tutti i costi la messa al bando dei pericolosi  esperimenti nucleari in atmosfera: il trattato "Treaty Banning Nuclear Weapon Tests in the Atmosphere, in Outer Space, and Under Water", firmato a Mosca nel 1963 e ostacolato dal Pentagono, dai falchi del Dipartimento di Stato e da molti politici americani di allora.

Ma l'avvocato Kennedy rievoca anche l'anima più profonda della politica estera americana condotta dalla Presidenza di suo zio JFK, che per la prima volta sottolineo' la importanza del "mettersi nei panni dei Russi" e delle loro "legittime preoccupazioni" per la sicurezza del loro Paese.

Raramente in vita mia ho sentito un discorso così lucido, appassionato e denso di significati, arrivando a cogliere il nesso fra la politica aggressiva e militarista USA condotta a livello globale negli ultimi trent'anni circa, e la violenza domestica e urbana che sempre più scuote la società statunitense nelle ultime decadi.

Un discorso - quello di Robert F. Kennedy Jr. - che merita di essere ascoltato interamente e che può veramente sensibilizzare la opinione pubblica statunitense ed europea e aiutare le classi politiche nazionali a invertire il processo di pericolosa escalation e di tensione geopolitica che negli ultimi mesi sta sempre più avvicinando alla mezzanotte le lancette dell'orologio dell'apocalisse ATOMICA.

Le parole di Kennedy - oltre che ricordare aneddoti storici e familiari - mettono ordine e giustizia e sono veramente un trampolino per la distensione e una pace più che mai desiderabile, che non può prescindere dal riconoscimento della verità e delle reciproche istanze di giustizia di tutti coloro che sono coinvolti negli attuali conflitti.

Possano le parole del nipote di John F. Kennedy fare breccia in tutti coloro che ancora oggi non hanno compreso la grave crisi che stiamo vivendo, non solo geopolitica ma soprattutto sociale e spirituale, e con la forza e luce della verità, condurci tutti sulla via dello discernimento e della autentica diplomazia e desiderio di armoniosa convivenza fra popoli, prima di superare una linea rossa fatale per il mondo intero.

Fra le numerose manifestazioni di interesse e di consenso incontrate in seguito alla pubblicazione dell’articolo del 2 Maggio scorso*, relativo alla questione dei trapianti di organo( “Donne ‘cerebralmente morte’ come madri surrogate? Ma il vero abominio è il criterio di “morte cerebrale!”), ho ritenuto proficuo dare spazio a quanto scritto da un mio amico professore di Filosofia, nonché filosofo autentico.

Le sue intelligenti osservazioni mi hanno invitato a puntualizzare con chiarezza e completezza maggiori quanto già asserito nel sopra menzionato articolo. Ciò nella speranza che detto scambio di riflessioni possa favorire in chi ci legge una migliore  consapevolezza degli aspetti problematici insiti nella complessa (e molto ignorata) questione di morte cerebrale e di espianti/trapianti di organi.

 

Alberto Stirati:

Alla base della pratica abominevole degli espianti sta il materialismo più bieco o il pregiudizio cartesiano che il “pensiero” sia eterogeneo rispetto al corpo.

Che il pensiero possa prolungarsi in una “verticalità” al di sopra (Supercoscienza) e al di sotto (precoscienza e subcoscienza) dell’orizzontalità della coscienza di veglia, non genera alcuno scrupolo nei difensori della pratica degli espianti di organi.

Se la mente fosse riducibile alla corteccia cerebrale o anche all’intera rete neuronale, come potrebbero spiegarsi tutte quelle ultracomplesse, meravigliose e coerenti operazioni che anche un corpo in condizioni di “morte cerebrale” continua, invece, perfettamente a compiere?

Una donna in stato di “morte cerebrale” può essere fecondata e portare a compimento la gravidanza senza alcun problema né per sé né per il nascituro. Giordano Bruno parlava di “Mens insita omnibus” e di “Intelletto artefice”, che “da l’intrinseco della germinal materia risalda l’ossa, stende le cartilagini, incava le arterie, inspira i pori, intesse le fibre, ramifica gli nervi e con sì mirabile magistero dispone il tutto”. Una “mens” demiurgica, quindi, che plasma il corpo; una “mens” di cui la mente di cui facciamo quotidianamente uso non è che la punta dell’iceberg.

Santa Romana Chiesa, se possibile più dualista di Cartesio, pensò bene di bruciarlo vivo.

Supercoscienza, coscienza, precoscienza e subcoscienza sono tutte funzioni che cooperano affinché l’essere vivente non si disintegri, disperdendosi in una molteplicità di elementi privi di sinergia. La “morte” è il dividersi di queste funzioni che non restano, però, MAI in uno stato di separazione, ma passano immediatamente a tessere nuovi centri di vita e di sinergia, in un processo di trasformazione perenne. 

 

Roberto Fantini:

Alberto ti ringrazio molto per le tue preziose considerazioni, che mi offrono l’occasione per alcune fondamentali puntualizzazioni.

Io, in maniera molto più elementare, vorrei riuscire a far capire alle persone (anche a quelle che hanno difficoltà a parlare di “supercoscienza” o di metafisica bruniana), che si lasciano ingannare dalla potentissima propaganda filotrapiantista, almeno due o tre cosette di estrema semplicità, che basterebbe non avere troppi pregiudizi per poter prendere in considerazione:

  1. Qualcuno, senza alcun diritto né elementi di natura scientifica a disposizione, ad un certo punto, ha cambiato il NOME alle cose: quello che veniva fino ad allora chiamato “coma depassé”, ovvero coma irreversibile, è stato ridefinito come “morte cerebrale” e, quindi, pazienti in gravissime condizioni (e probabili moribondi) trasformati in cadaveri respiranti.
  2. Il cervello è universalmente considerato la cosa più meravigliosa, complessa e inesplorata: pretendere di poter decidere che abbiasmesso TOTALMENTE di funzionare e PER SEMPRE (ovvero che non lo si possa MAI PIU’ riattivare) è, quindi, evidentemente arbitrario, illogico e antiscientifico.
  3. Gli stessi responsabili di questa aberrante rivoluzione culturale hanno dichiarato che tale decisione aveva soltanto motivazioni di carattere UTILITARISTICO, cioè che, pur restando il momento della VERA morte misterioso, per chiarissimi motivi PRATICI, si intendeva scegliere di ritenere “morti” determinati pazienti.
  4. Il sistema trapiantistico fa di tutto per non fare capire ai potenziali “donatori” che, per prelevare organi necessariamente VIVI, non è possibile attendere che l’organismo a cui appartengono (di fatto e di diritto) MUOIA VERAMENTE. Ovvero, che si debba disporre di organismi che siano anch’essi necessariamente VIVI …
  5. Il presupposto indimostrabile è che in quegli organismi (vivi!) si sia spenta definitivamente la coscienza. Ma l’unica cosa certa è che SICURAMENTE vita e coscienza non ci saranno più quando, con bisturi e sega elettrica, saranno stati espiantati i loro organi!

 

 

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